Riforma fiscale: la revisione del procedimento accertativo
10 Luglio 2023
Gli obiettivi della riforma
È indubbio che la velocità e la qualità del procedimento di accertamento costituiscano il presupposto essenziale per poter, da un lato, incrementare le risorse erariali; dall'altro, per contenere le liti tra contribuente e amministrazione finanziaria.
Va da sé che, affinché la riforma possa effettivamente decollare è necessario bilanciare concretamente le posizioni delle parti del rapporto tributario, liberandosi da preconcetti ma, nel contempo, entrare nell'ottica di un mutamento culturale volto ad indurre i contribuenti a partecipare realmente in ragione della loro effettiva capacità dando finalmente attuazione ai principi costituzionali dell'uguaglianza e della capacità contributiva (artt. 3 e 53). Per una riforma che si voglia realizzare è necessario innanzitutto liberarsi di quel formalismo procedimentale fonte di tante controversie, perdite di tempo, dispendio di energie, consumazioni di gravi sperequazioni contributive. Pur rendendomi conto che un effettivo passaggio da una cultura di civil law ad una common law (o se si preferisce dalla forma alla sostanza) non sia agevolmente raggiungibile, si è convinti che diversamente, la riforma è destinata a fallire. Occorre avere la forza politica per emanare una disciplina basata su norme chiare, agevolmente comprensibili ed attuabili, che non consentano le solite scappatoie italiche, oltre che su un prelievo fiscale adeguatamente parametrato e non espropriativo. Ne consegue che la prima soppressione, stante al contenuto della bozza di decreto legislativo, riguarda l'assurda previsione della c.d. flat tax piatta, ovvero basata su un'aliquota unica.
Il procedimento di accertamento – che non può prescindere, ovviamente da taluni obblighi contabili e strumentali - deve necessariamente basarsi sull'esaltazione di alcuni principi. Il primo attiene, ovviamente, alla eliminazione di tutti gli inutili adempimenti determinando elevati costi amministrativi che, per contro, non apportano alcuna utilità alle singole procedure di accertamento.
È ampiamente condivisibile la previsione dell'art. 10 riguardante la semplificazione della procedura accertativa che intende ottimizzare l'utilizzo delle tecnologie digitali. Il contenuto e repentino sviluppo di tali tecnologie e la prospettiva, abbastanza vicina, della intelligenza artificiale (sulla cui declinazione non si hanno certezze) deve costitutore un primario alleato non solo del fisco ma anche dei contribuenti. Invero, se ormai l'utilizzo delle centinaia (se non di migliaia) di banche dati disponibili nell'ambito della pubblica amministrazione agevolano, indubbiamente, il compito degli uffici finanziari e della Guardia di Finanza nell'esercizio dei loro poteri investigativi ed accertativi per la individuazione, la raccolta e il legittimo utilizzo delle prove, non può e non deve sfuggire che gli stessi contribuenti possono e devono trarre concreti vantaggi dalle menzionate tecnologie.
Detto ausilio, non deve solo essere valutato in un'ottica di risparmio dei costi amministrativi. Si è dell'avviso, per contro, che costituisce uno strumento utilissimo sia per la verifica dell'attendibilità della propria capacità contributiva dichiarata sia (e direi soprattutto) come strumento di difesa qualora le Agenzie dovessero perpetuare il loro comportamento finalizzato, spesso, ad evitare solo il rischio di procedimenti dinanzi alla Corte dei conti per danni erariali.
Va, cioè, superato il concetto che, nel dubbio, si contesta tanto c'è sempre il rimedio del ricorso (e la certezza di non dover rispondere di danni diretti al fisco sebbene la condanna per spese di giudizio non sempre potrebbe risultare irrilevante a tal fine). L'utilizzo delle banche dati, quindi, dovrà essere disciplinato non solo come obbligo giuridico di istituirle ma anche di prevedere la loro obbligatoria intercomunicabilità comminando severe sanzioni laddove tale flusso di dati informativi sia impedito (spesso per mera gelosia) fatta eccezione, ovviamente per le ipotesi di segreto sulle indagini in ipotesi di reato.
Pur dovendo riconoscere che negli ultimi anni sono stati introdotte alcune semplificazioni (contabili, dichiarative, di versamento, ecc.) occorre pur sempre considerare che la posizione fiscale dei singoli contribuenti è determinata, in modo pressoché generalizzato, autonomamente dal singolo contribuente. Non deve sfuggire, però, che la necessità di semplificare il compito dei cittadini e la riduzione dei costi va sempre coniugata con quella di poter effettuare reali accertamenti che, evidentemente, non possono che essere modellati sui regimi contabili disciplinati.
In tale contesto, va rivisto l'uso delle presunzioni e, nel contempo, individuato un punto di equilibrio tra i contrapposti interessi.
Gli schemi finora seguiti, complice anche la giurisprudenza della Corte di cassazione – in taluni casi eccessivamente benevola con il fisco, in altri con i contribuenti – sono falliti in quanto si è inteso assicurare le stesse garanzie ai soggetti passivi a prescindere dei regimi contabili utilizzati, dalla forma giuridica adottata, dai comportamenti tenuti, ecc.
Detta impostazione, basata sostanzialmente sull'esaltazione del diritto alla difesa, va rivista non certo per mortificare il suo esercizio quanto per individuare un punto di equilibrio tra i vantaggi della procedura e il rischio di accertamenti costruiti sulle presunzioni qualificate. Se si pensa di garantire l'accertamento analitico a prescindere dal regime contabile utilizzato la esaltata riforma è destinata all'immediato fallimento.
Lo strumento che dovrebbe consentire di superare alcune attuali posizioni sia della Corte di Giustizia sia della giurisprudenza domestica – di merito e di legittimità – va individuato certamente nella generalizzazione del contraddittorio. Finalmente la bozza di legge delega prevede di applicare in via generalizzata detto principio sancendo la declaratoria di nullità in caso di inosservanza.
Tale soluzione supera l'attuale distinzione - incomprensibilmente avallata dalla Corte di Cassazione nonostante le ripetute pronunce della Corte di giustizia in senso contrario – che lo rende obbligatorio per i tributi armonizzati e non obbligatorio per le imposte sul reddito. Trattasi di miopia giuridica essendo evidente che l'esercizio del diritto di difesa in materia fiscale, incidendo su un canone di rango costituzionale, non può essere discriminato a seconda del comparto impositivo.
La citata diversità, come emerge agevolmente dalla giurisprudenza, sovente si è rivelata un vero autogol del Fisco per aver consentito al contribuente di sottrarsi al pagamento di imposte oggettivamente dovute per violazione del principio del contraddittorio. Occorre prendere atto che non esistono accertamenti che possono sfociare in atti impositivi senza che l'interessato venga chiamato a partecipare al relativo procedimento.
Va da sé che il contraddittorio deve operare a prescindere se può essere utile o meno – come pure è stato affermato – atteso che la valutazione di detta utilità non può essere apprezzata da soggetti terzi bensì soltanto dall'interessato. Di contro, il contraddittorio, si rivelerebbe una mera perdita di tempo, ogni qualvolta gli avvisi di accertamento scaturiscono dalle c.d. procedure automatizzate ovvero delle altre forme di accertamento sostanzialmente automatizzate.
Al riguardo, l'art. 17 della bozza fornisce indicazioni precise in merito alla formulazione della disciplina delegata. Certamente, sono del tutto irrilevanti le modalità con cui si svolge il controllo (verifica fiscale, controlli incrociati, accertamenti in ufficio, ecc.).
In merito al termine da accordare al contribuente per formulare osservazioni sulla proposta di accertamento sarà necessario attribuirgli un carattere perentorio, come avviene di norma per i termini processuali, per evitare tentativi dilatatori e successive speculazioni in sede giurisdizionale.
Infine può essere utile richiamare quanto sancito dalla Corte Costituzionale secondo cui in materia di contraddittorio endoprocedimentale, di fronte alla molteplicità di strutture e di forme che il contraddittorio ha assunto e può assumere in ambito tributario, spetta al legislatore, nel rispetto dei principi costituzionali, il compito di adeguare il diritto vigente, scegliendo tra diverse possibili opzioni che tengano conto e bilancino i differenti interessi in gioco, in particolare assegnando adeguato rilievo al contraddittorio con i contribuenti (Corte cost. 21 marzo 2023, n. 47).
Sull'obbligo di motivare gli atti amministrativi esistono biblioteche intere da cui attingere. Al riguardo, la delega risulta eccessivamente generica atteso che impone all'ente impositore l'obbligo di motivare espressamente sulle osservazioni formulate dal contribuente. Le vigenti norme dei decreti delegati, lo statuto dei diritti del contribuente, la legge n. 241/1990 (e l'elenco potrebbe continuare) prevedono già tutte l'obbligo della motivazione. Il tema, pertanto, si sposta sul contenuto e cioè sulla necessità di chiarire quando detto adempimento può essere considerato assolto.
Partendo dal presupposto che la motivazione – intesa come iter logico ricostruttivo operato dall'Amministrazione – costituisce il necessario presupposto per garantire un adeguato esercizio dei diritti difensivi, il legislatore delegato dovrà necessariamente formulare norme in modo tale escludere, come avviene sovente, che le medesime formulazioni vengano reiterate, sotto forme differenti.
Si è dell'avviso che l‘unico riferimento debba esse sempre l'esercizio del diritto alla difesa. D'altra parte, se quest'ultimo è insindacabile nelle forme e nei contenuti, è altrettanto innegabile che anche i contribuenti devono esercitarlo tenendo conto anche del principio dell'affidamento e della buona fede.
In altri termini, occorre prevedere una disciplina che non alimenti un inutile contenzioso che spesso è finalizzato esclusivamente per confidare nel consueto, monotono, assurdo, sperequativo, incomprensibile provvedimento di clemenza.
La clemenza va riconosciuta ai contribuenti in buona fede e non agli evasori. In altri termini, la riforma, come pure si legge su alcuni organi di informazione, non può essere concepita nella sola ottica della tutela dei contribuenti – profilo non oggetto di discussione – ma anche di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione della pubblica amministrazione. È auspicabile, comunque, che la riforma non diversifichi le forme di motivazione distinguendo quella “rafforzata” da quella ordinaria, distinzione che, per le funzioni svolte dalla motivazione, può essere solo frutto della fantasia italica.
Sempre l'art. 17 prevede la “estensione del livello di maggior tutela previsto dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000”. Detta norma prevede che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L'avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza.
Occorre considerare che il vigente orientamento consolidato della Cassazione ritiene valido l'avviso di accertamento che non menzioni le osservazioni del contribuente ex art. 12, comma 7, della L. n. 212/2000, atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e che, dall'altro lato, l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo.
Pertanto, se si vuole rafforzare la tutela sarebbe necessario prevedere espressamente la declaratoria di nullità in modo generalizzato ogniqualvolta tale obbligo non sia rispettato. È da ritenere, poi, che la citata “estensione” sia una conseguenza della dichiarata inammissibilità costituzionale della norma citata in quanto il superamento dei dubbi di legittimità esige un intervento di sistema del legislatore che garantisca l'estensione del contraddittorio endoprocedimentale in materia tributaria.
In realtà la disparità di trattamento tra le verifiche precedute da accessi in loco, disciplinate appunto dal censurato art. 12, comma 7, e le cosiddette verifiche "a tavolino", che si svolgono cioè presso gli uffici dell'amministrazione, ovvero con i dati di cui essa ha la disponibilità sarebbe già superata dalla generalizzazione del contraddittorio. Non è chiaro, però, cosa debba essere fatto per accentuare la tutela disciplinata dalla menzionata norma giuridica.
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