Dimissioni per giusta causa dell'amministratore di s.p.a.

31 Agosto 2023

In una fattispecie relativa alle dimissioni di un amministratore di s.p.a., il Tribunale di Milano si concentra sulle ipotesi di giusta causa, soggettive e oggettive, analizzando in particolare quando sorge il diritto a un indennizzo.
Massima

Le dimissioni dell'amministratore di s.p.a. per giusta causa determinano il sorgere del diritto ad un indennizzo in capo all'amministratore medesimo solo se tale diritto era stato espressamente concordato tra le parti e solo se le ragioni poste a base delle dimissioni e indicate nell'atto di recesso integrino effettivamente una giusta causa, che è ravvisabile quando ricorrono situazioni in cui l'amministratore non è in grado di svolgere i propri compiti per fatti allo stesso non imputabili e non rimuovibili.

Il caso

Nella fattispecie sottoposta al vaglio del Tribunale di Milano, la compagine di una società per azioni originariamente riferibile alla famiglia dell'attore era stata ridefinita a seguito di una articolata operazione societaria, con la quale un fondo di investimento aveva acquistato una partecipazione di maggioranza, mentre la minoranza delle azioni era rimasta in capo ai membri della famiglia, della quale l'attore era divenuto l'amministratore di riferimento espresso nel nuovo C.d.A.

In occasione del cambio nel controllo sociale e della nomina a consigliere di amministrazione con deleghe, l'attore aveva stipulato con la società un accordo diretto a disciplinare fino alla scadenza naturale il proprio compenso, l'indennizzo dovuto dalla società per l'ipotesi di dimissioni per giusta causa dalla carica e l'obbligo di non concorrenza al termine dell'incarico.

Lamentando l'inadeguata gestione da parte del socio di maggioranza attraverso i suoi amministratori espressi nel C.d.A., il mancato flusso di informazioni necessarie per svolgere il proprio mandato, la comunicazione di dati contabili non corretti e la sua esclusione delle scelte gestorie, l'attore rassegnava le proprie dimissioni per giusta causa ed agiva (tra l'altro), chiedendo la condanna della s.p.a. convenuta a pagare l'indennizzo convenzionalmente pattuito.

Le questioni

Sebbene nella concreta fattispecie non fosse in discussione la sussistenza del diritto dell'amministratore all'indennizzo al ricorrere di dimissioni supportate da una giusta causa – diritto che era stato espressamente previsto all'atto del conferimento dell'incarico – il Tribunale di Milano ha premesso all'esame del caso concreto alcune considerazioni in merito ai presupposti per il riconoscimento di tale diritto e, più in generale, sul tema della giusta causa nel rapporto gestorio in ambito societario.

L'art. 2383 comma 3 c.c. prevede che l'amministratore è revocabile ad nutum da parte dell'assemblea, stabilendo che lo stesso ha diritto al risarcimento del danno per l'effetto subito laddove la revoca non sia supportata da giusta causa.

La rinuncia dell'amministratore di s.p.a. al proprio incarico è, invece, disciplinata dall'art. 2385 c.c., che attribuisce allo stesso la facoltà di rinunciarvi ad nutum, dandone comunicazione scritta al consiglio di amministrazione e al presidente del collegio sindacale. La disposizione non richiede che la rinuncia sia supportata da una giusta causa, né prevede alcun obbligo di motivazione in capo all'amministratore e tantomeno un onere di indennizzo in favore della società; e ciò in quanto l'interesse della società “alla continuità dell'attività gestoria può facilmente essere soddisfatto con l'immediata sostituzione dell'amministratore” (Cass. civ. 13 agosto 2008, n. 21563).

Laddove il recesso sia supportato da giusta causa, tuttavia, è l'amministratore a vedere pregiudicata la propria aspettativa alla stabilità del rapporto per la durata inizialmente concordata, per una ragione a lui non riferibile.

La disciplina codicistica non prevede, in tale ipotesi, alcuna tutela né risarcitoria né indennitaria in favore del dimissionario, tant'è che, in relazione ad una domanda di risarcimento danni da lucro cessante per la mancata percezione dei compensi che sarebbero maturati nel periodo ricompreso tra l'intervento delle dimissioni e la scadenza naturale della carica, è stato affermato che “Le dimissioni sono atti individuali rimessi alla volontà dell'amministratore e come tali non danno diritto ad alcun indennizzo contrattuale né al risarcimento del danno, a prescindere dalla configurabilità di una giusta causa” (Trib. Venezia 13 maggio 2022, n. 911, in Eutekne.it).

Accertato che il diritto all'indennizzo sussiste solo se espressamente concordato tra le parti, il Tribunale di Milano procede dapprima all'affermazione di alcuni principi utili a delineare la fattispecie della giusta causa e a determinare il carico del relativo onere probatorio, passando, quindi, alla concreta individuazione delle condotte in cui la giusta causa può concretamente estrinsecarsi.

Osservazioni

La sentenza precisa, anzitutto, che la giusta causa può ricomprendere sia ipotesi soggettive (avendo in tale caso riguardo a profili personali dei contraenti, quando venga ad esempio meno il rapporto di fiducia tra gli altri membri del C.d.A. e l'amministratore dimissionario), sia ipotesi oggettive (ossia circostanze, diverse dall'inadempimento, che rendano più gravose le condizioni inizialmente pattuite per fatti estranei alle persone dei contraenti).

Ciò che rileva, in entrambi i casi, è che l'evento che ha dato causa alle dimissioni sia di gravità tale da pregiudicare in concreto il rapporto gestorio, cosicché giustamente il Tribunale di Milano ha ritenuto di dovere attribuire rilevanza esclusivamente alle situazioni in cui l'amministratore non sia in grado di svolgere i propri compiti per fatti allo stesso non imputabili e non rimuovibili che – incidendo sul rapporto di mandato tra società ed amministratore – gli impediscono di svolgere i propri compiti; questi fatti devono apparire di una gravità tale, se globalmente considerati, da compromettere l'effettivo perseguimento degli obiettivi sottesi all'incarico conferito.

In tal senso si era peraltro già espresso il Tribunale di Bologna, che aveva ritenuto sussistente la giusta causa delle dimissioni rassegnate dall'amministratore delegato a fronte della condotta ostruzionistica serbata nei suoi confronti dal Presidente del C.d.A., stante “le concrete difficoltà per l'Amministratore delegato di espletare il proprio mandato senza quelle illegittime interferenze e ostruzioni, che appaiono di una gravità tale, se globalmente considerate, da compromettere l'effettivo perseguimento degli obiettivi sottesi all'incarico conferito” (Trib. Bologna 1° giugno 2020, n. 828, in Eutekne.it).

Nella sentenza in commento viene, inoltre, valorizzato il principio di proporzionalità tra le circostanze denunciate e le dimissioni, occorrendo, in particolare, “valutare se le circostanze allegate, per la loro gravità, siano idonee a non consentire la prosecuzione del rapporto gestorio”. In tema di prova, viene chiarito, da un lato, che le motivazioni delle dimissioni rilevanti ai fini dell'analisi in ordine alla sussistenza della giusta causa e del diritto all'indennizzo sono solo quelle cristallizzate contestualmente all'esercizio del diritto di recesso e, dall'altro, che è l'amministratore dimissionario che invochi la giusta causa che deve fornire la prova della sussistenza delle circostanze denunciate, quale fatto costitutivo della propria pretesa indennitaria.

Svolta tale analisi in punto di diritto, il Tribunale di Milano si sofferma su alcuni esempi di condotte rilevanti ai fini della configurabilità della giusta causa di recesso individuandole, in astratto, nelle ipotesi in cui gli assetti organizzativi non consentono flussi di informazione adeguati ovvero nei casi in cui l'amministratore riceva illegittime interferenze e ostruzioni, di gravità tale da non consentirgli, come detto, di perseguire gli obiettivi sottesi all'incarico; esclude, invece, la sussistenza della giusta causa nelle ipotesi di mera non condivisione delle scelte gestorie o di mutamento degli obiettivi di gestione.

Sulla base di tale contrapposizione, esaminando le condotte censurate dall'attore nella propria lettera di dimissioni e valorizzate in giudizio, il Tribunale esclude che possano rilevare quale giusta causa di dimissioni le scelte gestorie – anche non proficue per la società – che l'ex amministratore non ha ritenuto di condividere con il resto del consiglio di amministrazione e i contrasti all'interno del C.d.A. confinati nell'ambito di una normale dialettica dell'organo gestorio.

Ritiene, invece, possano risultare astrattamente idonee a configurare la giusta causa delle dimissioni le doglianze con cui l'amministratore ha censurato a) la continua mancanza del flusso informativo necessario per espletare l'incarico; b) l'invio al consigliere di un flusso di informazioni sistematicamente non corrette e c) la sua esclusione dalla partecipazione dei processi decisionali e delle scelte del C.d.A.

Il Tribunale ha, tuttavia, accertato che l'attorenon ha provato la lamentata mancanza di un flusso informativo adeguato, non avendo censurato carenze informative specifiche rilevanti ai fini delle attività gestorie oggetto delle deleghe allo stesso conferite e, inoltre, perché non ha allegato di avere richiesto ma non ottenuto dal C.d.A. specifici documenti, dati o informazioni; anche la prova della pretesa carenza di un assetto organizzativo capace di veicolare informazioni veritiere non sono state fornite, al pari della falsità dei dati fornitegli (tant'è che non ha documentato di avere mai impugnato ai sensi dell'art. 2388 c.c. le delibere del C.d.A. asseritamente basate su dati non corretti); con riferimento all'esclusione dai processi decisionali, infine, rilievo determinante è stato assegnato al fatto che la società convenuta ha dimostrato che l'ex amministratore è sempre stato invitato a partecipare ai momenti decisori del C.d.A. e che lo stesso ha autonomamente deciso di non presenziarvi.

Conclusioni

La sentenza del Tribunale di Milano offre una chiara analisi della nozione di giusta causa nella prospettiva delle dimissioni dell'amministratore, sia in punto di diritto sia in punto di fatto.

Le considerazioni del Tribunale in ordine alle condotte rilevanti ed alla proporzionalità tra le stesse e le dimissioni appaiono pienamente condivisibili; la verifica probatoria richiesta, tuttavia, appare particolarmente rigorosa, soprattutto nella parte in cui arriva a valorizzare la mancata impugnazione delle delibere del C.d.A. ai sensi dell'art. 2388 c.c. da parte dell'amministratore dimissionario per escludere la rilevanza delle censure di quest'ultimo.

L'analisi svolta dal Tribunale di Milano, inoltre, appare focalizzata sull'analisi delle singole condotte, in sé e per sé considerate, mentre appare preferibile l'impostazione seguita dalla citata sentenza del Trib. Bologna 1° giugno 2020, n. 828, che tenta di ricostruire l'effettivo andamento del rapporto, valutando le condotte censurate nel loro insieme nonché unitamente a tutte le altre circostanze afferenti alla concreta fattispecie dedotte in giudizio dalle parti, per verificare se dette condotte siano concretamente in grado di pregiudicare l'andamento del rapporto gestorio nel suo complesso.

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