Responsabilità civile
RIDARE

Gestore e del manutentore di beni demaniali (responsabilità del)

24 Luglio 2020

L'analisi della questione specifica concernente la responsabilità del gestore e manutentore di un bene demaniale presuppone un'analisi a 360° sui profili problematici sottesi alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c.
Inquadramento

L'analisi della questione specifica concernente la responsabilità del gestore e manutentore di un bene demaniale presuppone un'analisi a 360° sui profili problematici sottesi alla responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., avuto riguardo in particolare alla non corretta manutenzione del manto stradale da parte dell'ente preposto alla tutela. L'attenzione deve, in quest'ottica, concentrarsi sugli aspetti della ripartizione dell'onere della prova (avuto riguardo altresì al caso fortuito), del comportamento colposo del danneggiato, della rilevanza della dimensione del bene, della individuazione delle figure sintomatiche della sussistenza dell'effettivo potere di controllo su un bene demaniale.

Nell'affrontare le dette questioni, va tenuto presente che la Pubblica Amministrazione incontra, nell'esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni demaniali, limiti derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche, e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere.

È noto che per la giurisprudenza più recente «L'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l'evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile». Ne risulta superato il riferimento all'insidia o al trabocchetto, perché ciò che rileva è esclusivamente il nesso causale tra la cosa in custodia e l'evento lesivo al fine di imputare quest'ultimo all'ente gestore della strada.

In tema di concessione a terzi di beni demaniali, per quanto si assista ad un contrasto di vedute in giurisprudenza, tende a prevalere l'orientamento secondo cui deve essere esclusa la responsabilità dell'ente pubblico per i danni cagionati da un bene appartenente al demanio, ove la gestione, manutenzione e conservazione della res siano state affidate ad altro soggetto.

Premessa

La Pubblica Amministrazione incontra, nell'esercizio del suo potere discrezionale anche nella vigilanza e controllo dei beni demaniali, limiti derivanti dalle norme di legge e di regolamento, nonché dalle norme tecniche, e da quelle di comune prudenza e diligenza, ed, in particolare, dalla norma primaria e fondamentale del neminem laedere, in applicazione della quale essa è tenuta a far sì che il bene demaniale non presenti per l'utente una situazione di pericolo occulto, cioè non visibile – aspetto oggettivo - e non prevedibile – aspetto soggettivo - (cfr., fra le tante, Cass. civ., sez. III, sent. 22 aprile 1999 n. 3991 ; Cass. civ., sez. III, sent. 5 luglio 2001 n. 9092 ; Cass. civ., sez. III, sent. 9 novembre 2005 n. 21686 e Cass. civ., sez. VI - 3, ord. 26 aprile 2013 n. 10096; in dottrina si segnala A. FERRARIO, Danni da uso di beni demaniali e criteri di imputazione di responsabilità della PA tra art. 2051 c.c. e clausola generale di responsabilità, in Ridare 27/04/2018).

In termini generali, con riferimento ai beni demaniali, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera anche per la P.A., con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo la P.A. liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza (v. postea), neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode. In applicazione di tale principio, Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 6703 del 19/03/2018 ha cassato la sentenza di appello che aveva ritenuto provato il caso fortuito nella verificazione del sinistro in ragione della mancanza di prova, da parte dell'attore, della conoscenza, da parte dell'ente custode, della presenza sulla strada dell'olio che aveva causato la caduta (conf.: Sez. 6 - 3, Ordinanza n. 7805 del 27/03/2017 e Sez. 3, Sentenza n. 6101 del 12/03/2013, entrambe in fattispecie in cui una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, aveva provocato un sinistro stradale).

Nel solco di questa impostazione, Cass. civ., sez. III, sent. 25 luglio 2008 n. 20427 ha cassato con rinvio la decisione del giudice di merito che aveva escluso la responsabilità della P.A. per i danni subiti da un trattore agricolo finito in un avvallamento della strada, ritenendo non potersi affermare con certezza se il manto stradale avesse ceduto a causa del peso del trattore, o se piuttosto non fosse stato quest'ultimo a finire per imperizia nell'avvallamento preesistente.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Beni demaniali - Responsabilità per danni da cose in custodia – Cause estrinseche ed estemporanee create da terzi – Esenzione da responsabilità della P.A. – Condizioni.

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., opera anche per la P.A. in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, rimanendo la P.A. liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione (Cass. civ.,19 marzo 2019, n. 6703).

Beni demaniali - Inapplicabilità dell'art. 2051 c.c. per impossibilità di effettiva custodia - Responsabilità ex art. 2043 c.c. – Applicabilità.

In tema di responsabilità della P.A. per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell'art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l'impossibilità dell'effettiva custodia sul bene demaniale, l'ente pubblico risponde dei danni subiti dall'utente secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c. (Cass. civ., 19 giugno 2015, n. 12821).

Beni demaniali – Presunzione di responsabilità della P.A. ex art. 2051 c.c. – Applicabilità – Limiti – Possibilità di esercizio della custodia – Criteri di valutazione.

In tema di responsabilità della P.A. per danni subiti da utenti di beni demaniali, la presunzione sancita dall'art. 2051 c.c. non si applica le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all'estensione dell'intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo al riguardo determinante rilievo la natura, la posizione e l'estensione della specifica area in cui si è verificato l'evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili (Cass. civ.19 gennaio 2018, n. 1257).

Responsabilità per danno cagionato da cose in custodia (art. 2051 c.c.) all'ente proprietario di strade demaniali - Sussistenza - Natura e requisiti.

Figura sintomatica della sussistenza dell'effettivo potere di controllo su una strada del demanio stradale è rappresentato, in base al combinato disposto degli artt. 41-quinquies legge 17 agosto 1942, n.1150, come modificato dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n.765, 4 d.lgs. 30 aprile 1992, n.285, 9 d.P.R. 6 giugno 2001, n.380, dall'essere la stessa ubicata all'interno della perimetrazione del centro abitato (Cass. civ., 12 luglio 2006, n. 15779).

La ripartizione dell'onere probatorio

Sul piano probatorio, in tema di danno cagionato (ex art. 2051 c.c.) da beni demaniali, grava sulla P.A. custode l'onere di provare la sussistenza di una situazione la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode. In applicazione dell'enunciato principio, Sez. III, Sentenza n. 6326 del 5 marzo 2019 ha cassato la sentenza che aveva ritenuto provato il caso fortuito nella verificazione del sinistro soltanto in ragione della consapevolezza da parte dell'attore della presenza sulla strada di ghiaia e sabbia che avevano causato la caduta, senza indagare se il Comune convenuto avesse dato prova di aver fatto quanto in suo potere per rimuovere o ridurre l'incidenza della situazione di pericolo.

In tema di ripartizione dell'onere probatorio, nel caso di un sinistro stradale, Cass. civ., sez. III, sent. 9 giugno 2016 n. 11802 ha avuto modo di chiarire che il danneggiato che agisca per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza di una caduta avvenuta, mentre circolava sulla pubblica via alla guida del proprio ciclomotore - a causa di una grata o caditoia d'acqua -, è tenuto alla dimostrazione dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con la cosa in custodia, non anche dell'imprevedibilità e non evitabilità dell'insidia o del trabocchetto, né della condotta omissiva o commissiva del custode, gravando su quest'ultimo, in ragione dell'inversione dell'onere probatorio che caratterizza la responsabilità ex art. 2051 c.c., la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse, per l'utente, una situazione di pericolo occulto, nel cui ambito rientra anche la prevedibilità e visibilità del pericolo stesso.

Più precisamente, il danneggiato che invochi la responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. contro una p.a. (o il gestore), in relazione a danno originatosi da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale e diretto della collettività, non è onerato della dimostrazione della verificazione del danno in conseguenza dell'esistenza di una situazione qualificabile come insidia o trabocchetto, dovendo esclusivamente provare - come avviene di regola per le ipotesi di responsabilità per i danni cagionati da una cosa in custodia - l'evento dannoso e l'esistenza del rapporto eziologico tra la cosa e l'evento suddetto (Cass. civ., sez. III, sent. 1 ottobre 2004 n. 19653).

Il caso fortuito

In questo ambito si inserisce, come già accennato, la questione del caso fortuito. È stato affermato in proposito che i criteri di imputazione della responsabilità devono tener conto della natura e della funzione dei detti beni, anche a prescindere dalla loro maggiore o minore estensione (v., sul punto, infra), considerato che, mentre il custode di beni privati risponde oggettivamente dei danni provocati dal modo di essere e di operare del bene, sia in virtù del principio cuius commoda eius incommoda, sia perché può escludere i terzi dall'uso del bene e, quindi, circoscrivere i possibili rischi di danni provenienti dai comportamenti altrui, per contro, il custode dei beni demaniali destinati all'uso pubblico é esposto a fattori di rischio potenzialmente indeterminati, a causa dei comportamenti degli innumerevoli utilizzatori che non può escludere dall'uso del bene e di cui solo entro certi limiti può sorvegliare le azioni. Ne consegue che, per i beni da ultimo indicati, all'ente pubblico custode vanno addossati, in modo selettivo, solo i rischi di cui egli può essere tenuto a rispondere, in relazione ai doveri di sorveglianza e di manutenzione razionalmente esigibili, in base a criteri di corretta e diligente gestione, tenuto conto della natura del bene e della causa del danno. In applicazione di questo principio, Cass. civ., sez. III, sent. 16 maggio 2008 n. 12449, confermando la sentenza impugnata, ha affermato che il manifesto strappato e gettato per terra, su cui il ricorrente era scivolato, rappresentava uno degli elementi di rischio occasionali, episodici ed inevitabili nell'immediatezza che esimono il custode da responsabilità, come caso fortuito derivante dal comportamento di terzi, qualora il custode dimostri di non averli potuti tempestivamente eliminare, neppure con un'efficiente e diligente organizzazione dell'attività di sorveglianza e di manutenzione.

Pertanto, la responsabilità dell'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito è esclusa solo dal caso fortuito, che può consistere sia in una alterazione dello stato dei luoghi imprevista, imprevedibile e non tempestivamente eliminabile o segnalabile ai conducenti nemmeno con l'uso dell'ordinaria diligenza, sia nella condotta della stessa vittima (v., sul punto postea) consistita nell'omissione delle normali cautele esigibili in situazioni analoghe e che, attraverso l'impropria utilizzazione del bene pubblico, abbia determinato l'interruzione del nesso eziologico tra lo stesso bene in custodia ed il danno. In una fattispecie in cui un motociclista aveva convenuto in giudizio l'ente proprietario di una strada di montagna, invocandone la responsabilità ex art. 2051 c.c. ed allegando di essere caduto a causa del brecciolino che copriva la carreggiata, Cass. civ., sez. III, sent.19 novembre 2009 n. 24419, confermando la sentenza di merito, ha ritenuto assorbente - in quanto integrante il suddetto caso fortuito - la responsabilità della vittima, consistita nell'avere ignorato la segnaletica che avvertiva dell'esistenza di lavori in corso e prescriveva un limite di velocità di 30 km/h.

Il comportamento colposo del danneggiato

Rileva, quindi, l'eventuale comportamento colposo del danneggiato. Invero, ove si verifichi un sinistro a seguito di non corretta manutenzione del manto stradale da parte dell'ente preposto alla tutela, la responsabilità gravante sulla P.A., ai sensi dell'art. 2051 c.c., per l'obbligo di custodia delle strade demaniali è esclusa ove l'utente danneggiato abbia tenuto un comportamento colposo tale da interrompere il nesso eziologico tra la causa del danno e il danno stesso, dovendosi altrimenti ritenere, ai sensi dell'art. 1227, comma 1, c.c., che tale comportamento integri soltanto un concorso di colpa idoneo a diminuire, in proporzione dell'incidenza causale, la responsabilità della P.A. (Cass. civ., sez. III, sent. 22 aprile 2010 n. 9546).

In particolare, in tema di danno da insidia stradale, il solo fatto che sia dimostrata l'esistenza di una anomalia sulla sede stradale è di per sé sufficiente a far presumere sussistente la colpa dell'ente proprietario, il quale potrà superare tale presunzione solo dimostrando che il danno è avvenuto per negligenza, distrazione od uso anomalo della cosa da parte della stessa vittima. A tal fine, il giudice di merito dovrà considerare che quanto più la situazione di pericolo era prevedibile e superabile con le normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi sul piano causale il comportamento di quest'ultimo. In una fattispecie in cui un automobilista era deceduto fuoriuscendo dalla sede stradale, precipitando nel canale di scarico delle acque di una vicina centrale elettrica, Cass. civ., sez. III, sent. 13 luglio 2011 n. 15375, applicando l'enunciato principio, ha confermato la sentenza di merito che aveva escluso la responsabilità dell'ente proprietario della strada, sul presupposto che lo stato di dissesto, la mancanza di barriere, nonché di segnaletica di pericolo, non apparissero dotate di autonoma efficienza causale rispetto all'incidente, essendo piuttosto risultata determinante la repentina e non necessaria manovra di guida della vittima verso il margine opposto della strada.

Il regime residuale di cui all'art. 2043 c.c. (cenni)

E' opportuno evidenziare che, in tema di responsabilità della P.A. per danni da beni demaniali, qualora non sia applicabile la disciplina dell'art. 2051 c.c., in quanto sia accertata in concreto l'impossibilità dell'effettiva custodia sul bene demaniale, l'ente pubblico risponde dei danni subiti dall'utente secondo la regola generale dell'art. 2043 c.c., sicché in tal caso, ove il danneggiato abbia provato l'anomalia del bene demaniale (come, ad esempio, della strada), che costituisce fatto di per sé idoneo, in linea di principio, a configurare il comportamento colposo della P.A., ricade su quest'ultima l'onere della prova di fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità per l'utente di percepire o prevedere con l'ordinaria diligenza la suddetta anomalia (Cass. civ., sez. VI - 3, ord. 19 giugno 2015 n. 12821; conf. Cass. civ., n. 8692/2009).

Il rapporto custodiale: la rilevanza della dimensione del bene

La presunzione di responsabilità per danni da cose in custodia prevista dall'art. 2051 c.c. non si applica, per i danni subiti dagli utenti dei beni demaniali, le volte in cui non sia possibile esercitare sul bene stesso la custodia intesa quale potere di fatto sulla cosa (v., sul punto, M. MOIRAGHI, Irrilevanza della estensione e dell'uso generalizzato della rete stradale ai fini della esclusione della a responsabilità dell'ente, su Ri.Da.Re. 28/07/2014). In riferimento, ad esempio, al demanio stradale, la possibilità concreta di esercitare tale potere va valutata alla luce di una serie di criteri, quali l'estensione della strada, la posizione, le dotazioni e i sistemi di assistenza che la connotano, per cui l'oggettiva impossibilità della custodia rende inapplicabile il citato art. 2051; tale impossibilità, peraltro, non sussiste quando l'evento dannoso si è verificato su un tratto di strada che in quel momento era in concreto oggetto di custodia o quando sia stata proprio l'attività compiuta dalla P.A. a rendere pericolosa la strada medesima (Cass. civ., sez. III, sent. 22 aprile 2010 n. 9546).

Di questo avviso è Cass. civ., sez. III, sent. 6 luglio 2006 n. 15383, secondo cui la presunzione di responsabilità per danni da cosa in custodia, di cui all'art. 2051 c.c., non si applica agli enti pubblici per danni subiti dagli utenti di beni demaniali ogni qual volta sul bene demaniale, per le sue caratteristiche, non risulti possibile - all'esito di un accertamento da svolgersi da parte del giudice di merito in relazione al caso concreto - esercitare la custodia, intesa quale potere di fatto sulla stessa. L'estensione del bene demaniale e l'utilizzazione generale e diretta delle stesso da parte di terzi, sotto tale profilo, assumono soltanto la funzione di circostanze sintomatiche dell'impossibilità della custodia. Alla stregua di tale principio, con particolare riguardo al demanio stradale, la ricorrenza della custodia dev'essere esaminata non soltanto con riguardo all'estensione della strada, ma anche alle sue caratteristiche, alla posizione, alle dotazioni, ai sistemi di assistenza che li connotano, agli strumenti che il progresso tecnologico appresta, in quanto tali caratteristiche assumono rilievo condizionante anche delle aspettative degli utenti. Ne deriva che, alla stregua di tale criterio, mentre in relazione alle autostrade (di cui già all'art. 2 del d.P.R. n. 393 del 1959, ed ora all'art. 2 del d.lgs. n. 285 del 1992), attesa la loro natura destinata alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza (cui si è ammessi dietro pagamento di un "corrispettivo"; cfr. Cass. civ., Sez. III, sent. 13 luglio 2005 n. 14749), si deve concludere per la configurabilità del rapporto custodiale, in relazione alle strade riconducibili al demanio comunale non è possibile una simile, generalizzata, conclusione, in quanto l'applicazione dei detti criteri non la consente, ma comporta valutazioni ulteriormente specifiche. In quest'ottica, per le strade comunali - salvo il vaglio in concreto del giudice di merito - circostanza eventualmente sintomatica della possibilità della custodia è che la strada, dal cui difetto di manutenzione è stato causato il danno, si trovi nel perimetro urbano delimitato dallo stesso comune (conf. Cass. civ., sez. III, sent. 26 settembre 2006 n. 20827).

Non manca, peraltro, chi ritiene che la presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 c.c. sia applicabile nei confronti della P.A. per le categorie di beni demaniali quali le strade pubbliche solamente quando, per le ridotte dimensioni, ne sia possibile un efficace controllo ed una costante vigilanza da parte della P.A., tale da impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti. E così si ritiene configurabile, a carico della P.A., una responsabilità ex art. 2051 c.c. solo in relazione a beni, demaniali o patrimoniali, non soggetti ad uso generale e diretto della collettività (come la rete fognaria comunale; cfr. Cass. civ., sez. I, sent. 26 gennaio 1999 n. 674), i quali consentano, per effetto della loro limitata estensione territoriale, un'adeguata attività di vigilanza e di controllo da parte dell'ente a tanto preposto.

Tuttavia, si tende ad escludere l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. alla P.A. per i beni demaniali soggetti ad un uso ordinario generale e diretto da parte dei cittadini soltanto nell'ipotesi in cui sul bene demaniale non sia possibile - per la notevole estensione di esso e le sue modalità d'uso - un continuo ed efficace controllo, idoneo ad impedire l'insorgenza di cause di pericolo per gli utenti (v. Corte cost. n. 156 del 1999). Da ciò consegue che è proprio l'esistenza o meno del potere di controllo e di vigilanza sul bene - la cui sussistenza in concreto deve essere oggetto di indagine mirata, caso per caso, da parte del giudice del merito - a costituire il discrimine per l'applicabilità della norma suddetta e non già la natura demaniale del bene medesimo. In applicazione dell'enunciato principio, Cass. civ., sez. III, sent. 26 novembre 2007 n. 24617 ha cassato la sentenza di merito che aveva escluso l'applicabilità dell'art. 2051 c.c. nei confronti dell'Agenzia del demanio marittimo per l'infortunio occorso ad un privato in conseguenza della caduta determinata da una buca esistente su una scala di cemento sita sull'arenile in corrispondenza della strada comunale, affermando che l'estensione del demanio marittimo era tale che, di per sé, non poteva consentire la vigilanza ed il controllo proprio dello statuto di responsabilità del custode. L'impugnata decisione, in particolare, è stata cassata per omessa considerazione di tutte le concrete circostanze del caso, avendo la corte territoriale trascurato di valutare adeguatamente la valenza autonoma della scala come strumento indispensabile per l'accesso al bene demaniale e la sua limitata e circoscritta estensione.

Pertanto, la responsabilità oggettiva prevista dall'art. 2051 c.c. è invocabile anche nei confronti della P.A., per i danni arrecati dai beni dei quali essa ha la concreta disponibilità, anche se di rilevanti dimensioni. In quest'ottica, Cass. civ., Sez. III, sent. 25 luglio 2008 n. 20427 ha cassato con rinvio la decisione con la quale il giudice di merito aveva escluso la responsabilità della p.a. per i danni subiti da un trattore agricolo finito in un avvallamento della strada, ritenendo non potersi affermare con certezza se il manto stradale avesse ceduto a causa del peso del trattore, o se piuttosto non fosse stato quest'ultimo a finire per imperizia nell'avvallamento preesistente.

Le figure sintomatiche della sussistenza dell'effettivo potere di controllo su un bene demaniale

Cass. civ., sez. III, sent. 6 giugno 2008 n. 15042 ha avuto il merito di operare una summa divisio, cassando la decisione con la quale un giudice di merito aveva ritenuto che l'amministrazione comunale non fosse responsabile del danno patito da un passante inciampato in un marciapiede sconnesso, sul presupposto che l'art. 2051 c.c. non potesse essere applicato nell'ipotesi di danni causati da beni demaniali. La S.C. ha statuito che, affinché la P.A. possa andare esente dalla responsabilità di cui all'art. 2051 c.c., per i danni causati da beni demaniali, occorre avere riguardo non solo e non tanto all'estensione di tali beni od alla possibilità di un effettivo controllo su essi, quanto piuttosto alla causa concreta (identificandosene la natura e la tipologia) del danno. Se, infatti, quest'ultimo è stato determinato da cause intrinseche alla cosa (come il vizio costruttivo o manutentivo), l'amministrazione ne risponde ai sensi dell'art. 2051 c.c.; per contro, ove l'amministrazione - sulla quale incombe il relativo onere - dimostri che il danno sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi (come ad esempio la perdita o l'abbandono sulla pubblica via di oggetti pericolosi), non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, essa è liberata dalla responsabilità per cose in custodia in relazione al citato art. 2051 c.c.

A sua volta, Cass. civ., sez. III, sent. 12 luglio 2006 n. 15779 ha precisato che, con riferimento alla responsabilità per danno cagionato da cose in custodia dall'ente proprietario di strade demaniali, configurandosi il rapporto di custodia di cui al citato art. 2051 c.c. come relazione di fatto tra un soggetto e la cosa, tale da consentirne "il potere di governo" (da intendersi come potere di controllarla, di eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte e di escludere i terzi dal contatto con la cosa), solo l'oggettiva impossibilità di esercitare tali poteri vale ad escludere quel rapporto per gli effetti di cui alla norma in questione, che configura la responsabilità del custode come oggettiva, salva la prova del fortuito, da intendersi come fatto idoneo ad interrompere il nesso causale fra la cosa e l'evento produttivo del danno e da provarsi dal custode. Figura sintomatica della sussistenza dell'effettivo potere di controllo su una strada del demanio stradale è rappresentato dall'essere la stessa ubicata all'interno della perimetrazione del centro abitato (-art. 41 quinquies legge 17 agosto 1942, n. 1150, come modificato dall'art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765; art. 4 d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285; art. 9 d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380).

La concessione a terzi di beni demaniali

La disponibilità dei beni demaniali (e similmente quella dei beni patrimoniali indisponibili dello Stato e di altre pubbliche amministrazioni), attesa la loro destinazione alla diretta realizzazione di interessi pubblici, può essere legittimamente attribuita ad un soggetto diverso dall'ente titolare del bene - entro certi limiti e per alcune utilità - solo mediante concessione amministrativa. Il concessionario, invece, se autorizzato dall'amministrazione concedente, può dare in uso a terzi, a titolo oneroso e dietro corrispettivo, terreni demaniali, ovvero anche locali facenti parte del demanio, mediante sia locazione che subconcessione. L'astratta compatibilità tra natura demaniale del bene e locazione discende, infatti, dalla espressa previsione normativa contenuta nell'art. 35, ultima parte, della legge 27 luglio 1978, n. 392, richiamato anche dal successivo art. 41 cpv.: norme che, per le locazioni aventi ad oggetto immobili complementari od interni a beni demaniali (art. 822 c.c.), escludono l'indennità per la perdita dell'avviamento ed il diritto di prelazione e riscatto, e, dunque, a contrario, consentono tale strumento negoziale pur con tali limitazioni (Cass. civ., sez. III, sent. 26 aprile 2000 n. 5346).

Pertanto, la convenzione, stipulata fra un ente pubblico ed un privato, avente ad oggetto l'attribuzione al privato dell'utilizzazione di un bene del demanio (si pensi ad un acquedotto comunale), nonché della gestione del servizio pubblico per cui esso serve (si pensi alla distribuzione dell'acqua potabile), riguardando un bene demaniale, deve essere qualificata come concessione - contratto, poiché l'attribuzione a privati, tanto della utilizzazione di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato o del Comune, quanto della gestione di un servizio pubblico comunale obbligatorio, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile alla suddetta figura (Cass. civ., Sez. Un., sent. 19 febbraio 1999 n. 79).

Il regime di responsabilità in caso di concessione a terzi

Sono assai frequenti, in pratica, i casi di dissociazione tra soggetto pubblico proprietario e soggetto affidatario dei compiti di manutenzione, sorveglianza, pulizia, sicurezza del bene pubblico. In tali situazioni diventa rilevante l'individuazione del soggetto legittimato passivamente rispetto all'azione risarcitoria del danneggiato, dovendo stabilirsi se l'affidamento in appalto o in concessione determini il trasferimento degli obblighi di custodia e della connessa responsabilità dall'ente proprietario al concessionario/appaltatore, con conseguente esclusione della responsabilità del primo nei confronti del terzo danneggiato da sinistri verificatisi a causa dell'omessa o inadeguata manutenzione, progettazione, costruzione del bene pubblico (per un approfondimento si rinvia a G. NOZZETTI, Atto di citazione con domanda di risarcimento del danno per responsabilità del gestore e manutentore di beni demaniali, su Formulario responsabilità civile, Giuffrè, 2017).

Ciò debitamente premesso, Cass. civ., sez. III, ord. 18 giugno 2019 n. 16295 ha affermato l'importante principio secondo cui, anche nel caso di affidamento in gestione di un bene demaniale a società privata, non viene meno, in capo all'ente pubblico, il dovere di vigilanza (e, quindi, la custodia) sulla corretta esecuzione di esso e la supervisione sulle situazioni complessive di pericolo che si possono determinare. Tuttavia, questo principio non può avere generalizzata applicazione, atteso che, in tema di affidamento a terzi della gestione di impianti pubblicitari (fattispecie con riferimento alla quale la S.C. si è pronunciata), oltre all'art. 14, comma 1, del CdS, che prevede genericamente per il Comune l'obbligo di manutenzione degli impianti strettamente pertinenti alla fluidità della circolazione, ricorreva l'applicazione dell'art. 28 della delibera n. 289/94 in materia di affissioni che, a sua volta, richiamava l'art. 56 del Regolamento di esecuzione ed attuazione del Codice della Strada, il quale prevede che «gli enti proprietari delle strade sono tenuti a vigilare, a mezzo del proprio personale competente in materia di viabilità, sulla corretta realizzazione e sull'esatto posizionamento dei cartelli, delle insegne di esercizio e degli altri mezzi pubblicitari rispetto a quanto autorizzato. Gli stessi enti sono obbligati a vigilare anche sullo stato di conservazione e buona manutenzione di essi».

Al di fuori di queste ipotesi normativamente disciplinate, dovrebbe valere, invece, il principio secondo cui la responsabilità per i danni cagionati da un bene appartenente al demanio (cfr. Cass. civ., sez. III, ord. 22 agosto 2018 n. 20907, con riferimento a quello idrico; si trattava di un ramo staccatosi da un albero collocato lungo le sponde del Tevere) spetta non al soggetto titolare della proprietà del bene, bensì a quello sul quale gravava l'obbligo di custodia. Sia pure ai fini della responsabilità oggettiva di cui all'art. 2051 c.c., il principio può dirsi consolidato nel senso che non è alla natura demaniale del bene che occorre guardare per individuare il soggetto tenuto all'obbligo risarcitorio, ma solo a chi ha il potere di controllo e di vigilanza sul bene stesso (Cass. civ., 26 novembre 2007, n. 24617; Cass. civ., 9 giugno 2010, n. 13830).

Più in generale, deve essere esclusa la responsabilità dell'ente pubblico per i danni cagionati da un bene appartenente al demanio, ove la gestione, manutenzione e conservazione della res siano state affidate ad altro soggetto.

Argomentando a contrariis, sussiste la responsabilità ex art. 2051 c.c. dell'ente pubblico per i danni cagionati da beni, ove la res appartenga al demanio (si pensi ad un ramo staccatosi da un platano posto sull'argine) e difetti la prova dell'affidamento degli oneri di manutenzione ad un altro ente (cfr., in tal senso, Cass. civ., sez. III, sent. 27 agosto 2015 n. 17204).

In definitiva, sulla questione si registrano due indirizzi contrastanti. Il primo valorizza l'autonomia dell'appaltatore, il quale esplica la sua attività nell'esecuzione dell'opera con propria organizzazione, apprestandone i mezzi e curandone le modalità obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera. Nel momento in cui l'amministrazione affida completamente il compito di vigilanza e di manutenzione sulle strade ad un'impresa, quest'ultima risponde in via esclusiva e diretta dell'evento (Cass. n. 10588/2008). La responsabilità del soggetto pubblico committente potrebbe configurarsi soltanto in caso di culpa in eligendo, per aver affidato l'opera o il servizio ad un'impresa palesemente inidonea, perché priva delle necessarie competenze tecniche ed organizzative, ovvero quando l'appaltatore sia stato un semplice esecutore di direttive ed istruzioni del committente ed abbia quindi agito quale suo nudus minister, ovvero ancora in base al generale principio del neminem ledere, e dunque ai sensi dell'art. 2043 c.c. (con conseguente aggravio dell'onere probatorio a carico del danneggiato) nel caso di violazione di quelle regole cautelari che costituiscono il limite all'attività discrezionale della pubblica amministrazione (Cass. civ., n. 11757/2011). Potrebbe, inoltre, essere chiamato a rispondere dei danni derivati dalla cosa di sua proprietà ai sensi dell'art. 2051 c.c., quando, per sopravvenute circostanze a lui note o delle quali avrebbe dovuto diligentemente avvedersi (come, ad es., l'abbandono del cantiere o la sospensione dei lavori da parte dell'appaltatore), sia sorto a suo carico il dovere di apprestare le precauzioni che spetta al custode adottare per evitare che il bene sia fonte di pregiudizio per i terzi (Cass. civ., n. 14443/2010).

Da parte di altra giurisprudenza si sono, invece, valorizzati gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza che competono alla P.A. nell'ambito degli appalti pubblici - per mezzo del direttore dei lavori - e si è, dunque, esclusa l'esenzione da responsabilità per l'ente committente da un controllo continuo sul bene o sull'attività pericolosa (Cass. civ., n. 4591/2008). In quest'ottica, si è sostenuto che l'esistenza di un contratto di appalto per la gestione della manutenzione di strade (e autostrade) non valga affatto ad escludere la responsabilità dell'ente proprietario - committente ai sensi dell'art. 2051 c.c., in quanto dalla stessa titolarità della strada, dalla sua destinazione all'uso pubblico e dagli obblighi posti dalla legge a carico del soggetto proprietario o concessionario (artt. 2, 4, 14 d.lgs. n. 285/1992 per le strade pubbliche, art. 8 d.P.R. n. 753/1980 per le strade ferrate, art. 28 legge n. 2248/1865 all. F per le strade provinciali e comunali) discenderebbe il dovere della P.A. di adoperarsi affinché l'uso da parte dei terzi venga svolto in condizioni di normalità, regolarità e senza alcun pericolo per gli utenti (Cass. civ., n. 1691/2009; Trib. Palermo, 28 giugno 2006). Ciò in quanto non potrebbe il Comune spogliarsi del dovere, di fonte pubblicistica, di curare la manutenzione, gestione e pulizia delle strade posto a suo carico dall'art. 14 Cod. strada (Cass. civ., sez. III, n. 11511/2008).

Aderendo alla seconda impostazione, si viene a rafforzare la tutela del cittadino/utente del bene demaniale, che per i danni derivanti dall'omessa manutenzione potrebbe agire non soltanto nei confronti della ditta appaltatrice, ma, direttamente e in solido, ai sensi dell'art. 2055 c.c., nei confronti dell'ente proprietario, che manterrebbe la veste di custode (Cass. civ., sez. III, n. 4039/2013).

La responsabilità della P.A. per i danni derivanti dalla presenza di un cantiere stradale

Alla stregua di quanto esposto in precedenza, il criterio che dovrebbe orientare nell'individuazione del soggetto passivamente legittimato rispetto all'azione risarcitoria del danneggiato è quello della persistenza o meno dell'obbligo di vigilanza, controllo, intervento sulla strada in capo alla P.A., quale riflesso del potere di fatto sulla res.

In particolare, in tema di danni determinati dall'esistenza di un cantiere stradale, qualora l'area di cantiere risulti completamente enucleata, delimitata ed affidata all'esclusiva custodia dell'appaltatore, con conseguente assoluto divieto su di essa del traffico veicolare e pedonale, dei danni subiti all'interno di questa area risponde esclusivamente l'appaltatore, che ne è l'unico custode. Allorquando, invece, l'area su cui vengono eseguiti i lavori ed insiste il cantiere risulti ancora adibita al traffico e, quindi, utilizzata a fini di circolazione, denotando questa situazione la conservazione della custodia da parte dell'ente titolare della strada, sia pure insieme all'appaltatore, consegue che la responsabilità ai sensi dell'art. 2051 c.c. sussiste sia a carico dell'appaltatore che dell'ente (Cass. civ., n. 15383/2006; Cass. civ., sez. III, n. 4039/2013; Trib. Arezzo, 10 ottobre 2016 n. 1128; cfr., in dottrina, I.D. CALAPRICE, La responsabilità del Comune per difetto di manutenzione della strada pubblica, su Ri.Da.Re. 30/09/2015).

Casistica

Responsabilità della P.A. ai sensi dell'art. 2051 c.c. - Enti locali - Configurabilità – Limiti.

Non può essere esclusa la responsabilità dell'ente comunale per omessa custodia dell'impianto pubblicitario dal quale sia derivato il danno, atteso che l'affidamento in gestione di esso a società privata non vale a far ritenere l'insussistenza della violazione del dovere di rimozione della situazione di pericolo (Cass. civ., 18 giugno 2019, n. 16295).

Danni cagionati da un bene appartenente al demanio idrico - Responsabilità del demanio - Esclusione - Responsabilità del soggetto sul quale grava l'obbligo di custodia – Sussistenza.

Deve essere esclusa la responsabilità dell'Agenzia del Demanio per i danni cagionati da un bene appartenente al demanio idrico ove la gestione, manutenzione e conservazione della "res" siano state affidate ad altro soggetto (Cass. civ., 22 agosto 2018, n. 20907).

Beni su alveo fluviale - Responsabilità ex art. 2051 c.c. della P.A. - Individuazione – Criteri.

Sussiste la responsabilità ex art. 2051 c.c. del Ministero delle Infrastrutture e non del Comune per i danni cagionati da beni posti sull'alveo fluviale sito nel territorio urbano ove la "res" appartenga al demanio idrico e difetti la prova dell'affidamento degli oneri di manutenzione all'ente locale (Cass. civ., 27 agosto 2015, n. 17204)).

Convenzione avente ad oggetto la gestione della distribuzione dell'acqua potabile - Da parte di privato - Natura - Concessione - contratto.

La convenzione, stipulata fra un Comune ed un privato, avente ad oggetto l'attribuzione al privato dell'utilizzazione di un bene del demanio comunale (nella specie un acquedotto), nonché della gestione del servizio pubblico per cui esso serve(nella specie la distribuzione dell'acqua potabile), riguardando un bene demaniale, deve essere qualificata come concessione - contratto, poiché l'attribuzione a privati, tanto della utilizzazione di beni del demanio e del patrimonio indisponibile dello Stato o del Comune, quanto della gestione di un servizio pubblico comunale obbligatorio, quale che sia la terminologia adottata nella convenzione ed ancorché essa presenti elementi privatistici, è sempre riconducibile alla suddetta figura (Cass. civ., 19 febbraio 1999, n. 79).

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