Cose in custodia (danno cagionato da)

Cesare Trapuzzano
27 Giugno 2014

La responsabilità speciale per i danni cagionati da cose in custodia, essendo correlata alla res, ricade sul soggetto che abbia un potere di uso della cosa e un correlativo obbligo di custodia (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 750; DE MARTINI, 219). Inoltre, l'applicazione della norma presuppone che il danno sia stato provocato da un dinamismo connaturato alla cosa oppure dallo sviluppo di un agente dannoso insorto nella cosa (ALPA-BESSONE, 340). Il danneggiato deve, dunque, provare il collegamento in termini di causalità fra cosa in custodia e danno. Nel caso in cui la cosa sia normalmente inerte oppure innocua, è necessario che ...

Inquadramento

La responsabilità speciale per i danni cagionati da cose in custodia, essendo correlata alla res, ricade sul soggetto che abbia un potere di uso della cosa e un correlativo obbligo di custodia (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 750; DE MARTINI, 219). Inoltre, l'applicazione della norma presuppone che il danno sia stato provocato da un dinamismo connaturato alla cosa oppure dallo sviluppo di un agente dannoso insorto nella cosa (ALPA-BESSONE, 340). Il danneggiato deve, dunque, provare il collegamento in termini di causalità fra cosa in custodia e danno. Nel caso in cui la cosa sia normalmente inerte oppure innocua, è necessario che il danneggiato fornisca la prova delle condizioni di pericolo, oppure di insidiosità insorte nella cosa; mentre nel caso in cui la cosa sia dotata di una particolare attitudine lesiva, l'onere probatorio è esaurito dalla dimostrazione della contestualità tra l'evento dannoso ed il contatto con la cosa (DI GIOVINE, 363). L'art. 2051 si riferisce al danno cagionato dalla cosa, indipendentemente da un comportamento volontario di colui che se ne serve, e non è applicabile quando il danno sia derivato dalla cosa per effetto dell'intervento positivo del fatto dell'uomo. Non è necessario, ai fini dell'applicazione della norma, che la cosa dannosa abbia una specifica, intrinseca pericolosità (SCOGNAMIGLIO, 644).

Secondo la dottrina prevalente, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha natura oggettiva, poiché la condotta diligente del custode non esclude in sé la responsabilità, ove non si sia determinata un'interruzione del nesso causale (TRIMARCHI, 169; DE MARTINI, 224; RODOTÀ, 52; COMPORTI, 91; FRANZONI, 563; SPALLAROSSA, 531; ZIVIZ, 99). Si tratterebbe, per l'effetto, di una responsabilità collegata al rischio di custodia (SALVI, 166), che smentisce la ricostruzione risalente della giurisprudenza che fondava tale fattispecie su una presunzione legale di colpa (SCOGNAMIGLIO, 644). In senso contrario, una tesi minoritaria, richiamandosi ai riferimenti contenuti nella relazione al codice civile, riconduce la fattispecie nell'alveo della responsabilità soggettiva, discendente dal fatto imputabile all'uomo, sebbene connotata da una presunzione di colpa, sicché la prova liberatoria avrebbe per contenuto l'identificazione della causa non imputabile, in modo che la causa ignota rimarrebbe a carico del custode (DE CUPIS, 93; BONVICINI, 282). La presunzione legale di colpa del custode sarebbe giustificata dalla circostanza che l'idoneità della cosa a produrre un danno impone di adottare le misure adeguate per rendere la cosa innocua, sicché il fondamento della responsabilità del custode sarebbe ravvisabile nella violazione del suo dovere di sorveglianza (BIANCA, 718). Una tesi ulteriore afferma che tale forma di responsabilità non può correttamente ricondursi né al modello della responsabilità puramente oggettiva né al modello della responsabilità puramente soggettiva, ma è piuttosto inquadrabile in una categoria intermedia, cui può attribuirsi la qualifica meramente descrittiva di responsabilità semioggettiva (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 753).

In ragione dell'analisi giurisprudenziale degli ultimi anni, la responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia ha carattere oggettivo e non prevede una presunzione di colpa, essendo sufficiente, per la sua configurazione, la dimostrazione da parte dell'attore del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia: una volta provate queste circostanze, il custode, per escludere la sua responsabilità, ha l'onere di provare il caso fortuito, ossia l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso causale (Cass. n. 27724/2018; Cass. n. 30775/2017; Cass. n. 25214/2014; Cass. n. 6306/2013; Cass. n. 6306/2013; Cass. n. 2660/2013; Cass. n. 1769/2012; Trib. Milano 4 aprile 2012). Ne discende che tale ipotesi di responsabilità oggettiva è circoscritta esclusivamente dal caso fortuito, e non, quindi, dall'ordinaria diligenza del custode (Cass. n. 2477/2018; Cass. n. 12027/2017). Al riguardo, è superato il tradizionale orientamento giurisprudenziale che individuava nella norma in questione un'ipotesi di presunzione di colpa, il cui fondamento sarebbe pur sempre riconducibile al fatto imputabile dell'uomo, venuto meno al suo dovere di controllo e vigilanza affinché la cosa non producesse danni a terzi (Cass. n. 24881/2008; Cass. n. 3651/2006; ma da ultimo, in questo senso, Cass. n. 13222/2016). Piuttosto, perché la responsabilità oggettiva da cose in custodia possa configurarsi in concreto è sufficiente che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, senza che rilevi, al riguardo, la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso rilevante non presuppone, né implica, uno specifico obbligo di custodire analogo a quello previsto per il depositario, e funzione della norma è, d'altro canto, quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo, pertanto, considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta (Cass. n. 4279/2008). In base ad una pronuncia di legittimità, la responsabilità da cose in custodia sussiste qualora ricorrano due presupposti: un'alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche, determina la configurazione nel caso concreto della c.d. insidia o trabocchetto e l'imprevedibilità e l'invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno (Cass. n. 11592/2010). Per converso, si ritiene che il comportamento del responsabile é estraneo alla fattispecie e fa giustizia di quei modelli di ragionamento che si limitano ad accertare la colpa del custode, sia essa presunta o meno, parlando, in proposito, di ipotesi di responsabilità soggettiva o semioggettiva. In ragione del carattere oggettivo di tale responsabilità, per la cui configurazione in concreto basta che sussista il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno arrecato, ricade sull'attore l'onere probatorio relativo alla dimostrazione che l'evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa (Cass. n. 7125/2013; Cass. n. 5910/2011; Cass. n. 8005/2010; Cass. n. 858/2008). D'altronde, il caso fortuito (da intendersi nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato), quale causa di esclusione della responsabilità, costituisce fattore che attiene non già ad un comportamento del custode (che é irrilevante) bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno, recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità (Cass. n. 4279/2008). Quanto alla distribuzione dell'onere probatorio, l'attore deve offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l'evento lesivo nonché dell'esistenza di un rapporto di custodia relativamente alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l'esistenza di un fattore estraneo che, per il carattere dell'imprevedibilità e dell'eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità, cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la responsabilità del custode (Cass. n. 25243/2006). La prova del rapporto eziologico tra la cosa in custodia e l'evento dannoso può essere data anche attraverso la dimostrazione di circostanze dalle quali sia possibile dedurre, in via presuntiva, l'integrazione del nesso di causalità (Cass. n. 6467/1981; Trib. Cassino 15 giugno 2016). Pertanto, il riferimento ad una concreta condotta colposa del danneggiante, contenuto nella domanda di risarcimento danni, esclude che la parte attrice abbia inteso richiamare la fattispecie della responsabilità da cose in custodia, essendo questa fondata sulla mera esistenza di un nesso causale tra la cosa ed il danno, a prescindere dall'accertamento del carattere colposo dell'attività o del comportamento del custode, ciò che preclude all'attore la possibilità di invocare, nei successivi gradi di giudizio, l'applicazione dell'art. 2051 (Cass. n. 4446/2014), a meno che l'attore non abbia, sin dall'atto introduttivo del giudizio, enunciato in modo sufficientemente chiaro situazioni di fatto suscettibili di essere valutate come idonee, in quanto compiutamente precisate, ad integrare la fattispecie contemplata da detto articolo (Cass. n. 18609/2013; Cass. n. 15666/2013; Cass. n. 18520/2009).

Distinzione da altre ipotesi di responsabilità

La fattispecie in esame e quelle regolate dagli artt. 2052,2053 e 2054, quarto comma, c.c. si differenziano dalle fattispecie di cui agli artt. 2043,2050,2054, primo e terzo comma, c.c. poiché nelle ipotesi enucleate dalle prime disposizioni (responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia, per i danni cagionati da animali, per i danni derivanti da rovina di edificio e per i danni dipendenti da vizi di costruzione o difetti di manutenzione del veicolo) le cose non sono inserite nel dinamismo dell'attività umana (DE CUPIS, 95; SCOGNAMIGLIO, 646), diversamente dalle ipotesi di cui al secondo blocco (responsabilità per il fatto doloso o colposo del soggetto giuridico che cagioni ad altri un danno ingiusto, per i danni che conseguono all'esercizio di attività pericolosa e per i danni provocati dal conducente, dal proprietario, dall'usufruttuario o dall'acquirente con patto di riservato dominio nella circolazione dei veicoli). La disposizione in commento deve essere applicata nell'ipotesi in cui la cosa produca il danno quando non è azionata direttamente dal custode o dai suoi dipendenti, oppure quando, nel corso di tale azionamento, per guasto o per altre cause accidentali, si sottragga al loro controllo, mentre, qualora la cosa sia sottoposta alla direzione dell'uomo, dovrebbe applicarsi l'art. 2050, ove si tratti di attività pericolose, oppure l'art. 2043, negli altri casi (TRIMARCHI, 194; VISINTINI, 1967, 389). In proposito, si evidenzia che non è possibile collegare un comportamento umano alla responsabilità da cose in custodia (DEVOTO, 67 e 68; SCOGNAMIGLIO, 646). Un filone della dottrina nega però che sussista una contrapposizione rigida tra la responsabilità per danno da cose e quella per fatto dell'uomo: si rileva, infatti, che anche nel primo caso un'attività dell'uomo è pur sempre ravvisabile, ad esempio nell'omessa custodia (DE CUPIS, 94). In tale dimensione la responsabilità in esame è prospettata come conseguenza della violazione dell'obbligo di custodia, collegato alla situazione di potere sulla cosa (DE CUPIS, 93).

Secondo la S.C., mentre l'art. 2043 c.c. impone a tutti un obbligo generale e negativo di neminem laedere, un comportamento omissivo, cioè l'astensione da atti che possono arrecare danni a terzi (che è un non agere), l'art. 2051 pone un dovere specifico, di contenuto positivo, consistente non solo nel mantenere il controllo del bene, ma anche nell'adottare le misure idonee ad impedire che esso rechi danni a terzi (Cass. n. 4124/1975). Inoltre, la fattispecie prevista dall'art. 2051 è caratterizzata, rispetto all'art. 2043, da un più intenso dovere di vigilanza e di precauzione, imposto a chi ha un effettivo potere fisico sulla cosa (Cass. n. 3134/1982). Pertanto, nel caso in cui taluno abusivamente acceda all'altrui proprietà, esula la responsabilità per danni cagionati dalle cose in custodia ex art. 2051, mentre sussisterebbe la generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c., ove sia configurabile la esistenza sul fondo di un pericolo imprevedibile dal quale il proprietario dello stesso, che non lo abbia chiuso, non abbia adempiuto l'obbligo di preservare l'incolumità dei passanti (Cass. n. 8997/1999, in Nuova giur. civ. comm., 2000, 3, I, 352). L'art. 2051 si applica se la situazione di pericolo per il terzo dipende dall'omissione del semplice dovere di custodia, mentre si applica l'art. 2050 c.c. se si tratta di esercizio di attività pericolosa per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati (App. Milano 17 marzo 1972). In caso di danno prodotto da veicolo in sosta, non ricollegabile causalmente ad un fatto di circolazione, l'obbligazione risarcitoria rientra nella previsione normativa di cui all'art. 2051 (Trib. Milano 17 maggio 1984).

Custodia

La norma prevede un criterio di imputazione della responsabilità, basato sulla relazione di custodia che intercorre tra la cosa che ha cagionato il danno ed il soggetto che sarà chiamato a rispondere dello stesso (DI GIOVINE, 307). Perché si abbia custodia occorre che la cosa sia nella fisica disponibilità di un individuo, situazione cui inerisce il dovere di vigilare per evitare che essa produca danni a terzi (ALPA-BESSONE, 340; SCOGNAMIGLIO, 644; TRIMARCHI, 243). Sicché custode della cosa è colui che ha l'effettivo potere materiale su di essa (SCOGNAMIGLIO, 644; ALPA-BESSONE, 14; BIANCA, 716) ovvero ne ha la disponibilità di fatto piena ed esclusiva (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 751). In senso più ampio, il custode si identifica con il soggetto che ha il dovere di controllo sul rischio derivante dalla cosa; ne discende che deve essere considerato custode il soggetto che abbia con la res un rapporto duraturo e continuativo, tale da rendere prevedibili i rischi a cui la cosa stessa espone i terzi (TRIMARCHI, 244). La tesi prevalente individua nella custodia una particolare relazione tra un soggetto e la res, che legittima una pronuncia di responsabilità, fondandola sul potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerire sulla cosa nel momento in cui si è prodotto il danno (FRANZONI, 564; GERI, 169; MONATERI, 1044; SALVI, 176; VISINTINI, 1996, 654). Pertanto, custode può essere non solo il proprietario della cosa ma anche il semplice possessore o il detentore, legittimo o abusivo, nell'interesse proprio o altrui (BIANCA, 717). Custode può essere considerato anche l'imprenditore, rispetto a tutte le cose con cui si svolge la sua attività, quale che sia la sua posizione in relazione ad esse ed anche ove le abbia affidate ai suoi dipendenti (SCOGNAMIGLIO, 646). Deve ritenersi custode sia colui che controlla direttamente la cosa sia colui che si avvale del primo per tale controllo. Incombe sul danneggiato la prova che la cosa che ha provocato il danno era nella custodia di colui al quale si chiede il risarcimento (DE CUPIS, 93; COMPORTI, 182). L'espressione «custodia» non corrisponde alla nozione tecnica di cui fa uso il legislatore per definire il contratto di deposito, ma è adoperata in senso atecnico, come traduzione letterale del termine garde usato dall'art. 1384 del Code Napolèon, sicché essa assume un significato ampio ed elastico, la cui specificazione è affidata alla giurisprudenza (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 751). Qualora vi siano più custodi, ognuno risponde in via solidale per i danni subiti dai terzi; con-custodi sono di regola i comproprietari della cosa, i quali non sono presuntivamente responsabili l'uno verso l'altro (BIANCA, 718).

Il potere effettivo e dinamico sulla cosa, al quale la legge ricollega la responsabilità, è generalmente rappresentato dall'espressione «governo della cosa». Tale criterio è un elemento qualificante della custodia e si concretizza nella disponibilità immediata sulla cosa; tale disponibilità di fatto, inoltre, non può essere disgiunta dalla disponibilità giuridica delle condizioni di uso e di conservazione della cosa (Cass. S.U., n. 12019/1991). Infatti, la responsabilità da cose in custodia si fonda sull'esistenza di un rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla stessa, e cioè la sua disponibilità giuridica e materiale, con il conseguente potere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore (Cass. n. 22839/2017; Cass. n. 24530/2009; Cass. n. 1948/2003). L'usufruttuario, avendo il possesso della cosa, è parificato al proprietario, senza che si possa distinguere nell'ambito della cosa oggetto dell'usufrutto (nella specie, villa con parco), per sottrarsi alla responsabilità, tra un singolo bene pertinenziale non fruttifero, destinato a scopi ornamentali, come una pianta di araucaria, e il bene principale, atteso che la capacità di produrre frutti va riferita non alle singole parti, ma al bene nella sua inscindibile totalità (Cass. n. 12280/2004). Non assume rilievo, ai fini di escludere la responsabilità, la circostanza della illegittimità della materiale detenzione della res damnosa (Cass. n. 5814/1998). Non rileva sul punto la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia nel caso pertinente non presuppone né implica uno specifico obbligo di custodire, analogo a quello previsto in materia di deposito. Funzione della norma é quella di ascrivere la responsabilità al soggetto che si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo - pertanto - considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta. Dunque, é la relazione di fatto e non semplicemente giuridica tra il soggetto e la cosa che legittima una pronunzia di responsabilità, fondata sul potere di governo della res (Cass. n. 24546/2009). Detto ultimo potere si compone di tre elementi: il potere di controllare la cosa, il potere di modificare la situazione di pericolo creatasi e il potere di escludere qualsiasi terzo dall'ingerenza sulla cosa, nel momento in cui si é prodotto il danno (Trib. Benevento 8 settembre 2010). La disponibilità che della cosa ha l'utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l'effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all'utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia (Cass. n. 15096/2013). La custodia si concretizza non solo nel compimento sulla cosa degli interventi riparatori successivi, volti a neutralizzare, in un tempo ragionevole, gli elementi pericolosi non prevedibili, che si siano comunque verificati, ma anche in un'attività preventiva, che, sulla base di un giudizio di prevedibilità ex ante, predisponga quanto è necessario per prevenire danni eziologicamente attinenti alla cosa custodita; ne consegue che il caso fortuito, idoneo ad escludere la responsabilità, può rinvenirsi anche nella condotta del terzo, o dello stesso danneggiato, purché si traduca in un'alterazione imprevista ed imprevedibile, oltre che non tempestivamente eliminabile o segnalabile, dello stato della cosa (Cass. n. 1725/2019). Ai fini della configurabilità della responsabilità del datore di lavoro, ai sensi dell'art. 2087 c.c., nell'ipotesi in cui il danno sia stato causato al lavoratore da cose che il datore di lavoro aveva in custodia e, a maggior ragione, in quella in cui lo stesso datore, in ragione dell'attività da lui esercitata, abbia ricevuto in consegna un oggetto che il lavoratore sia stato incaricato di elaborare, sussiste a carico del datore di lavoro (sempre che siano certi l'esistenza del danno e il rapporto di causalità con l'ambiente lavorativo) una presunzione di responsabilità, derivante dalla concorrente applicabilità degli artt. 2051 e 2087 c.c., che può essere superata solo dalla dimostrazione dell'avvenuta adozione delle cautele antinfortunistiche e della natura imprevedibile ed inevitabile del fatto dannoso (Cass. n. 5957/2018; Cass. n. 15919/2004). Nella specie, è stata affermata la responsabilità di un'azienda di riparazione di pneumatici in relazione all'infortunio occorso ad un suo dipendente che, mentre era intento al gonfiaggio di un pneumatico, era rimasto colpito in viso dal cerchione sganciatosi improvvisamente per il cedimento dei bulloni causato dallo stato di usura dello stesso pneumatico. In particolare, ove il danno derivi da un macchinario che il lavoratore aveva il compito di manovrare, è applicabile, in via residuale, l'art. 2051, allorché, non trattandosi di attrezzature o strumenti guasti o malfunzionanti affidati al lavoratore in violazione dell'art. 2087 c.c., il danno sia stato prodotto da un comportamento delle cose anzidette assolutamente anomalo e in nessun modo influenzato dall'uso fattone per l'esecuzione della prestazione lavorativa, atteso che, in tale ipotesi, il lavoratore, pur in immediato contatto con la cosa produttiva del danno, si trova, rispetto alla medesima - quanto alla genesi e alle conseguenze del fatto dannoso - in una relazione di sostanziale estraneità, non dissimile da quella di un soggetto non impegnato nell'attività lavorativa trovatosi casualmente nelle vicinanze della cosa, con la differenza che il lavoratore, cui dal datore di lavoro sia assegnato l'uso del macchinario, deve utilizzarlo costantemente come strumento di lavoro e per obbligo contrattuale e che il datore di lavoro non può evitare la propria responsabilità se non provando, indipendentemente dalla violazione di specifici obblighi normativi, la causale connessione del danno con un comportamento anomalo del lavoratore, che di questo sia stato la causa esclusiva (Cass. n. 9909/2003). In termini più generali la responsabilità può anche risalire a più soggetti, ai quali la custodia faccia capo a pari titolo o anche per titoli diversi, che importino tutti l'attuale esistenza di poteri di uso, gestione, ingerenza sulla cosa (Cass. n. 255/1989), sempre che l'evento lesivo non sia da attribuire alla sfera di vigilanza di uno di essi, con esclusione degli altri (App. Genova 21 aprile 1964). Nei rapporti in cui la custodia costituisce prestazione accessoria rispetto all'obbligo in cui si sostanzia il contratto, si reputa che trovino applicazione non le regole di cui alla norma in commento, bensì le regole ordinarie sulla responsabilità per colpa (Cass. n. 5618/1981). L'indagine sulla ricorrenza della custodia rilevante per la responsabilità ex art. 2051 costituisce accertamento di fatto riservato al giudice di merito (Cass. n. 1948/2003, in Resp. civ. e prev., 2003, 6, 1377). L'obbligazione di risarcire il danno immobiliare da infiltrazione, ai sensi dell'art. 2051, non è un'obbligazione propter rem, che si trasferisce dal venditore al compratore insieme alla proprietà dell'immobile da cui il danno stesso proviene, trattandosi, invece, di un'obbligazione connessa alla qualità di custode dell'immobile nel momento in cui esso ha cagionato il danno (Cass. n. 18855/2013).

Requisiti della cosa custodita

Nel concetto di cosa in custodia si fa rientrare qualsiasi elemento inanimato, mobile (anche registrato) o immobile, pericoloso o meno, allo stato solido, fluido o gassoso, dal momento che ogni cosa può essere in grado, in certe circostanze, di produrre danni (ZIVIZ, 100). Sono esclusi da tale novero quelle cose (edifici e autoveicoli) per le quali è prevista una disciplina specifica (GERI, 101). Secondo taluno, la responsabilità per difetto di custodia presuppone la pericolosità della cosa sottoposta alla custodia medesima, che dovrebbe di volta in volta essere accertata dal giudice, senza che sia ammissibile una deduzione ex post del danno cagionato (DE CUPIS, 95). Altri autori, invece, affermano che tutte le cose possono costituire causa di danno ai sensi dell'art. 2051, quale che sia la loro struttura e qualità, ossia indipendentemente dal fatto che si tratti di cose inerti o in movimento, pericolose o meno (SCOGNAMIGLIO, 646). Il danno deve essere provocato da cose lasciate libere di operare per effetto del proprio naturale dinamismo, non già da un comportamento attivo del custode nel servirsi delle cose (BIGLIAZZI GERI-BRECCIA-BUSNELLI-NATOLI, 753). Il criterio del dinamismo intrinseco serve ad escludere le ipotesi in cui la cosa cagiona danno come strumento dell'azione umana: occorre che il danno non derivi da un fatto di utilizzo della cosa da parte del presunto custode (MONATERI, 1039).

La pericolosità della cosa non costituisce un elemento costitutivo della fattispecie, con la conseguenza che la responsabilità in esame deve essere applicata anche nel caso di danni cagionati da cose innocue (Cass. n. 8229/2010; Cass. n. 28811/2008; Cass. n. 10641/2002; Cass. n. 2319/1985; Cass. n. 3971/1983). Infatti, tale forma di responsabilità è indipendente dalla pericolosità attuale o potenziale della cosa stessa (Cass. n. 2563/2007). Anche le cose a struttura complessa, come un impianto irriguo, possono costituire la causa del danno (Cass. n. 5539/1997). E così le cose inerti e prive di un proprio dinamismo, ben potendo anche esse essere idonee, in concorso di altri fattori causali, a cagionare danni (Cass. n. 11264/1995). Non rileva che la cosa sia inerte ovvero in movimento, atteso che la potenzialità lesiva può consistere in un fatto intrinseco determinato dall'anomalia strutturale della cosa, dal suo connaturato dinamismo o da fattori sopravvenuti che ne alterino l'originario carattere (Cass. n. 20825/2006; Cass. n. 6616/2000; Cass. n. 539/1979). Per l'effetto, occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell'ambito del dinamismo connaturale del bene, o per l'insorgenza in esso di un processo dannoso, ancorché provocato da elementi esterni, e, dall'altro, che la cosa, pur combinandosi con l'elemento esterno, costituisca la causa o la concausa del danno (Cass. n. 25243/2006). Qualora il danno non derivi da un dinamismo interno della res, in relazione alla sua struttura o funzionamento, ma presupponga un intervento umano che si unisca al modo d'essere della cosa inerte, il danneggiato può provare il nesso causale tra evento dannoso e bene in custodia unicamente dimostrando l'obiettiva situazione di pericolosità dello stato dei luoghi, tale da rendere probabile, se non inevitabile, il danno stesso (Cass. n. 21212/2015). Il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti deve essere condotto alla stregua di un modello relazionale, in base al quale la cosa venga considerata nel suo normale interagire con il contesto dato, sicché una cosa inerte in tanto può ritenersi pericolosa in quanto determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante (Cass. n. 16527/2003, in Giust. civ., 2004, 11, I, 2680). In questo secondo senso sembra orientata anche la prevalente giurisprudenza, che sostiene che presupposto della responsabilità è rappresentato dal fatto che il danno sia stato cagionato dalla cosa, o perché questa è per sua natura suscettibile di produrre danni, o perché è prevedibile che possa intervenire, come concausa o causa esclusiva, il fortuito o il fatto dell'uomo nel processo obiettivo di produzione dell'evento dannoso, eccitando lo sviluppo di un agente, di un elemento o di un carattere che conferiscono alla cosa l'idoneità al nocumento (Cass. n. 3971/1983; Cass. n. 908/1983). Sicché anche la prevedibilità del fortuito può assumere rilievo qualora insorgano nella cosa agenti dannosi, anche se provocati da elementi o da fatti provenienti dall'esterno (Cass. n. 10277/1990). Ne discende che, al fine di provare il rapporto causale tra la cosa in custodia e il danno, l'attore deve allegare un elemento intrinseco od estrinseco come fatto costitutivo idoneo a radicare il nesso eziologico, senza, però, poter modificare nel corso del giudizio l'allegazione iniziale, indicando prima un fattore intrinseco e, successivamente, un fattore estrinseco, atteso che non è consentito mutare il tema d'indagine; tuttavia, nell'ipotesi in cui, nel corso dell'istruttoria del primo grado di giudizio, emergano altre condizioni, intrinseche o estrinseche alla cosa in custodia, che si pongano come mere specificazioni della domanda, esse potranno essere esaminate dal giudice, non integrando un fatto costitutivo nuovo (Cass. n. 6677/2011). Così, a fronte dell'iniziale deduzione della caduta da una scala, dovuta alla scivolosità del terreno, l'assenza di strisce antiscivolo, emersa in sede di deposizione testimoniale, può essere prospettata in corso di causa, quale elemento ricollegabile all'allegazione principale relativa al nesso causale. Nel senso specifico ed esplicito di negare la rilevanza del presupposto della pericolosità si è pronunciata altra giurisprudenza. Così un arresto di merito (Trib. Pistoia 10 marzo 1990) ha affermato che l'art. 2051 non è applicabile qualora della cosa venga fatto un uso del tutto difforme dalla sua normale destinazione e dalle sue caratteristiche strutturali. In senso conforme altro arresto di legittimità ha sostenuto che il proprietario non ha il generale e assoluto dovere di adottare misure idonee ad impedire che un estraneo venga in contatto con la cosa in sua proprietà e ne faccia strumento per attentare all'integrità altrui, personale o patrimoniale, bensì tale dovere ha solo in quanto il bene possa costituire di per sé stesso la fonte di un pericolo per chi ne venga in contatto o se ne serve (Cass. n. 1836/1968). Così nel caso in cui l'evento di danno sia da ascrivere esclusivamente alla condotta del danneggiato, la quale abbia interrotto il nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, si verifica un'ipotesi di caso fortuito che libera il custode dalla responsabilità di cui all'art. 2051. Il giudizio sull'autonoma idoneità causale del fattore esterno ed estraneo deve essere adeguato alla natura e alla pericolosità della cosa, sicché quanto meno essa è intrinsecamente pericolosa e quanto più la situazione di possibile pericolo é suscettibile di essere prevista e superata attraverso l'adozione delle normali cautele da parte dello stesso danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l'efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino ad interrompere il nesso eziologico tra cosa e danno e ad escludere, pertanto, la responsabilità del custode (Cass. n. 2345/2019, con nota di SACCHETTINI, in Guida al dir., 2019, 9, 48). Peraltro, il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria, la cui pericolosità é talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché l'imprudenza del danneggiato, che abbia riportato un danno a seguito di siffatta impropria utilizzazione, integra un caso fortuito. In applicazione di siffatto principio, la S.C., in relazione ad un infortunio occorso al ricorrente danneggiato nel tuffarsi in un lago da un pontile di attracco per imbarcazioni, ha confermato l'esclusione del nesso di causalità tra il detto pontile e l'incidente in questione e ascritto l'evento lesivo esclusivamente al comportamento dell'attore (Cass. n. 4279/2008, in Danno e resp., 2008, 11, 1112). Per le stesse ragioni deve essere escluso il nesso di causalità tra gli eventuali doveri di custodia dei gestori di un complesso immobiliare con piscina, ove si era svolta una festa notturna, e l'evento di danno occorso ad uno degli ospiti, che nel corso della festa decideva improvvisamente di tuffarsi in piscina riportando gravi lesioni, riconducendo al solo comportamento di costui, del tutto improvvisamente e repentinamente posto in essere, la causa dell'evento dannoso (Cass. n. 20334/2004, in Foro it., 2005, 6, I, 1794). L'estensione del concetto di custodia agli agenti dannosi collegati a fatti provenienti dall'esterno ha condotto, in particolare, ad affermare la responsabilità, ai sensi dell'art. 2051, nei confronti del proprietario di un edificio per la caduta di neve dal tetto (Trib. Milano 31 gennaio 1987; in senso contrario App. Genova 31 marzo 1989, che ha riconosciuto l'applicabilità dell'art. 2043, non derivando i danni da dinamismo intrinseco della cosa). Nello stesso senso la norma è stata applicata a favore del proprietario della cosa per i danni conseguenti all'incendio della stessa (Cass. n. 5989/1981; Cass. n. 1629/1954). Ed ancora, il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva restando l'azione di rivalsa del danneggiante-custode nei confronti dello stesso costruttore (Cass. n. 26051/2008; Cass. n. 5236/2004). Infine, l'assenza di una intellegibile segnaletica stradale, laddove la circolazione possa comunque avvenire senza inconvenienti anche in mancanza di essa, rivelandosi sufficienti a regolarla le norme del codice della strada, non può ritenersi causa degli eventuali incidenti occorsi e, quindi, non determina alcuna responsabilità dell'ente custode della strada quanto al loro verificarsi (Cass. n. 10520/2017).

Caso fortuito

Secondo la dottrina prevalente, che considera la fattispecie regolata dalla norma come un'ipotesi di responsabilità oggettiva, il fortuito è rappresentato dal fatto estraneo alla causalità della cosa, da identificarsi in base alla possibilità astratta di governarla, sicché rientra, ad esempio, nel caso fortuito la raffica di vento che trasporta il ramo di un albero in potatura sui fili di corrente (SCOGNAMIGLIO, 645; TRIMARCHI, Il caso fortuito quale limite della responsabilità per il danno da cose. Contributo ad una teoria del rischio d'impresa, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 1959, 808; SALVI, 167). In questa prospettiva la dimostrazione del caso fortuito non implica che debba essere provata l'osservanza della dovuta diligenza e, dunque, l'assenza di colpa (SCOGNAMIGLIO, 645). La prova del caso fortuito ha contenuto positivo; in conseguenza, il custode risponde anche qualora l'agente dannoso si sia manifestato nella cosa per cause ignote (ALPA-BESSONE, 338). Rientra nel caso fortuito anche il fatto del terzo, sia pure doloso, o del danneggiato (COMPORTI, 192). Secondo altro orientamento, che qualifica la fattispecie in termini di responsabilità per colpa presunta, la prova liberatoria ricorrerebbe quando possa essere esclusa la riconducibilità causale del danno a un difetto di custodia, ovvero sia dimostrabile la mancanza di colpa in tale difetto. Attraverso questa significazione del fortuito si nega che si tratti di una fattispecie di responsabilità oggettiva (DE CUPIS, 94). Ne consegue che la presunzione di colpa potrebbe essere vinta dalla prova che il danno è ascrivibile al caso fortuito, ossia alla verificazione di un evento non prevedibile e non superabile con la diligenza normalmente adeguata in relazione alla natura della cosa (BIANCA, 718). Questa connotazione del fortuito implica che esso attenga a ciò che il presunto responsabile avrebbe dovuto fare e ha fatto in concreto per evitare il danno, non già alla causa estranea del danno (BIANCA, 719). La dottrina distingue il fortuito incidente dal fortuito concorrente: il primo è un fattore causale che si cristallizza come causa esclusiva del danno, tale da rendere la cosa una mera occasione del danno stesso; il secondo, invece, è un fattore che partecipa con la cosa al processo causativo del danno, affiancandosi al fatto della cosa e non interrompendo il nesso causale, con la conseguenza che la responsabilità del custode non può essere esclusa (GERI, 69). Il c.d. fortuito concorrente, pertanto, non assorbe l'intero nesso eziologico ed il custode è ugualmente responsabile, poiché il concorso del fatto naturale è giudicato irrilevante (FRANZONI, 579). Ove si ritenga che tale responsabilità prescinda dalla colpa del responsabile, del danno risponderebbe anche l'incapace (COMPORTI, 251). Viceversa, l'adesione ad un'ipotesi di responsabilità per colpa presunta postula la necessità di tutela dell'incapace, indipendentemente dalla rilevanza della colpa. L'incapace legale non può avvalersi dell'esimente, qualora il potere di custodia competa al suo rappresentante legale (BIANCA, 720).

La tesi della giurisprudenza sulla concretizzazione del fortuito, in ragione dell'adesione ad un modello di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia avente carattere oggettivo, importa che, a fronte della sufficienza della dimostrazione - da parte dell'attore - del verificarsi dell'evento dannoso e del suo rapporto di causalità con il bene in custodia, il custode ha l'onere di provare l'esistenza di un fattore estraneo che, per il suo carattere di imprevedibilità e di eccezionalità, sia idoneo ad interrompere ovvero ad elidere il nesso causale (Cass. n. 18317/2015; Cass. n. 19998/2013). Ne consegue che tale tipo di responsabilità é escluso solamente dal caso fortuito, fattore che attiene, non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell'evento, riconducibile non all'intrinseco dinamismo della cosa che ne é fonte immediata, ma ad un elemento esterno recante i caratteri dell'imprevedibilità e dell'inevitabilità, a nulla viceversa rilevando che il danno risulti cagionato da anomalie o vizi insorti nella cosa prima dell'inizio del rapporto di custodia (Cass. n. 15383/2006). Il carattere dell'imprevedibilità del caso fortuito é rilevante non già per escludere la colpa, bensì quale profilo oggettivo, al fine di accertare l'eccezionalità del fattore esterno, sicché anche un'utilizzazione estranea alla naturale destinazione della cosa diviene prevedibile dal custode, laddove largamente diffusa in un determinato ambiente sociale. Anche alcuni arresti giurisprudenziali discriminano il fortuito autonomo e il fortuito incidentale; segnatamente, la responsabilità del custode, in base alla suddetta norma, è esclusa in tutti i casi in cui l'evento sia imputabile ad un caso fortuito riconducibile al profilo causale dell'evento e, perciò, quando si sia in presenza di un fattore esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l'evento, assumendo il carattere del c.d. fortuito autonomo, ovvero quando si versi nei casi in cui la cosa sia stata resa fattore eziologico dell'evento dannoso da un elemento o fatto estraneo del tutto eccezionale (c.d. fortuito incidentale), e per ciò stesso imprevedibile, ancorché dipendente dalla condotta colpevole di un terzo o della stessa vittima (Cass. n. 2563/2007, in Giust. civ., 2007, 6, I, 1344; Cass. n. 20317/2005). Il caso fortuito va inteso nel senso più ampio, comprensivo del fatto del terzo e del fatto dello stesso danneggiato, purché detto fatto costituisca la causa esclusiva del danno (Cass. n. 5445/2006; Cass. n. 5326/2005): sicché tali fatti devono essere dotati di impulso causale autonomo e devono rivestire il carattere dell'inevitabilità (Cass. n. 4237/1990). Anche l'uso improprio od anomalo della cosa fonte di danno può integrare gli estremi del caso fortuito ed essere, quindi, idoneo ad escludere la responsabilità del custode, ma l'accertamento di tale modalità d'uso deve essere valutata in concreto ed ex post, non già in astratto ed ex ante, con la conseguenza che il caso fortuito e la susseguente liberazione dalla responsabilità del custode possono essere esclusi quando l'uso anomalo, ancorché originato da un comportamento volontario, sia stato posto in essere all'interno di un'attività utile, necessaria ed autorizzata per finalità professionali (Cass. n. 25838/2017). Viceversa, non ricorre il caso fortuito quando la causa che ha provocato il danno lamentato è strutturale ed intrinseca al modo di essere del bene, non già derivata da comportamenti estemporanei di terzi, non immediatamente conoscibili ed eliminabili dal custode, neppure con la più diligente attività di manutenzione (Cass. n. 15042/2008). A titolo esemplificativo, nel caso di caduta all'interno di un esercizio commerciale, a causa del pavimento bagnato per lo sgocciolamento degli ombrelli dei clienti, si è ritenuto che non integra il fortuito la mera disattenzione della vittima, salvo che il custode non provi di avere adottato tutte le misure idonee a prevenire i danni derivanti dalla cosa divenuta pericolosa per la situazione atmosferica e per la contestuale presenza di numerose persone nei locali (Cass. n. 13222/2016). Per converso, sussiste il caso fortuito qualora l'evento dannoso sia riconducibile all'incendio di un cassonetto, dolosamente provocato dal terzo, idoneo ad interrompere il nesso causale (Cass. n. 13005/2016). In genere, gli eventi meteorologici eccezionali costituiscono caso fortuito, qualora siano causa sopravvenuta autonomamente sufficiente a determinare l'evento, sicché si accerti, con il maggior rigore, che i danni si sarebbero verificati con pari entità anche se il soggetto preposto avesse provveduto alla predisposizione di un sistema di pompaggio per lo smaltimento delle acque, idoneo, in base alle norme disciplinanti la detta attività ed alle regole dell'arte conformi alle comuni norme di diligenza e prudenza, a contenere la furia delle acque (Cass. n. 5877/2016; Cass. n. 18877/2015). Ed ancora, è stato considerato caso fortuito, quale fattore causale estraneo al soggetto danneggiante, avente un'efficacia di tale intensità da interrompere il nesso eziologico tra la cosa custodita e l'evento dannoso, ossia quale causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento, una pioggia di eccezionale intensità, in relazione ai danni riportati dai proprietari degli appartamenti inondati da acque tracimate a causa di tale evento, a condizione che l'ente preposto provi di avere provveduto alla manutenzione del sistema di smaltimento delle acque nella maniera più scrupolosa e che, nonostante ciò, l'evento dannoso si è ugualmente determinato (Cass. n. 5658/2010). Segnatamente, le precipitazioni atmosferiche integrano l'ipotesi di caso fortuito, ai sensi dell'art. 2051, allorquando assumano i caratteri dell'imprevedibilità oggettiva e dell'eccezionalità, da accertarsi con indagine orientata essenzialmente da dati scientifici di tipo statistico (i c.d. dati pluviometrici) riferiti al contesto specifico di localizzazione della res oggetto di custodia, la quale va considerata nello stato in cui si presenta al momento dell'evento atmosferico (Cass. n. 2482/2018). È stata qualificata come fortuito la condotta della stessa vittima, consistente nell'introduzione in una piscina condominiale, superando un cancello, al di fuori del periodo di apertura, nonostante il divieto di entrata alle persone estranee e in mancanza di autorizzazione o di assenso da parte del custode, a cui sia conseguito il suo annegamento (Cass. n. 22807/2009). Per gli stessi motivi, è stata rigettata la domanda di risarcimento dei danni derivanti all'abitazione dell'attore dalle acque provenienti dal fondo del convenuto, avendo la S.C., nel confermare la decisione impugnata, ravvisato il caso fortuito nella realizzazione da parte del terzo di un muro che, impedendo il naturale deflusso delle acque, aveva provocato l'accumulo, nel sovrastante fondo del convenuto, delle acque tracimate poi nel terreno dell'attore (Cass. n. 14609/2007). Sul piano probatorio, è onere del danneggiato provare il fatto dannoso ed il nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno e, ove la prima sia inerte e priva di intrinseca pericolosità, dimostrare, altresì, che lo stato dei luoghi presentava un'obiettiva situazione di pericolosità, tale da rendere molto probabile, se non inevitabile, il verificarsi del secondo, nonché di aver tenuto un comportamento di cautela correlato alla situazione di rischio percepibile con l'ordinaria diligenza, atteso che il caso fortuito può essere integrato anche dal fatto colposo dello stesso danneggiato (Cass. n. 11526/2017). Il caso fortuito forma oggetto di un onere probatorio che grava sul custode, soggiacendo, pertanto, alle relative preclusioni istruttorie, ma non anche di un'eccezione in senso stretto, sicché la relativa deduzione non incorre nella preclusione fissata, per il primo grado, dall'art. 167, secondo comma, c.p.c. (Cass. n. 13005/2016; Cass. n. 11015/2011). In applicazione di tali principi, la S.C. ha ritenuto che, nell'ipotesi di sinistro stradale determinato dall'inattesa ed imprevista presenza di un animale selvatico sulla carreggiata di un'autostrada, la società di gestione autostradale, titolare del potere di custodia della cosa, per vincere la presunzione di responsabilità dalla quale è gravata ex art. 2051, deve dare la prova positiva che la presenza dell'animale è stata determinata da un fatto imprevedibile ed inevitabile, idoneo ad interrompere il nesso di causalità tra l'evento dannoso e la cosa in custodia, non avendo efficacia liberatoria la dimostrazione della mera presenza di una recinzione, ancorché integra, in corrispondenza del tratto interessato dall'incidente, qualora tale circostanza non abbia in concreto impedito alla cosa di esplicare comunque la propria potenzialità dannosa, confermando l'inefficace esercizio dei poteri di sorveglianza su di essa (Cass. n. 11785/2017). La ricorrenza in concreto degli estremi del caso fortuito costituisce il risultato di un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, non sindacabile in cassazione se adeguatamente motivato (Cass. n. 10014/2017).

Concorso di colpa

L'art. 2051 non deroga ai principi del rapporto di causalità e del concorso di cause, per cui può sussistere, accanto alla responsabilità del custode, la colpa e la responsabilità solidale di altri soggetti, come il conduttore dell'immobile dal quale sia derivato il danno. La colpa del danneggiato che non abbia reciso il nesso causale diminuisce la responsabilità del custode ai sensi degli artt. 2056 e 1227, primo comma, c.c.

L'art. 1227, primo comma, c.c. non é espressione del principio di autoresponsabilità, é piuttosto un corollario del principio di causalità, per cui il danneggiante non può farsi carico di quella parte del danno che non é a lui causalmente imputabile. Ne discende che la colpa cui fa riferimento la predetta norma va intesa, non nel senso di criterio di imputazione del fatto, bensì come requisito legale della rilevanza causale del fatto del danneggiato (Cass. n. 8157/2009; Cass. n. 6988/2003; Cass. n. 3957/1994). Ora, la colpa sussiste, non solo in ipotesi di violazione da parte del creditore danneggiato di un obbligo giuridico, ma anche in caso di violazione di una norma comportamentale di diligenza, sotto il profilo della colpa generica. In questa ottica, la diligenza del comportamento dell'utente del bene va valutata anche in relazione all'affidamento che era ragionevole porre nell'utilizzo ordinario di quello specifico bene, con riguardo alle concrete condizioni di luogo e di tempo. Secondo il principio dell'affidamento, il fatto che una persona agisca come membro di un determinato gruppo sociale implica l'assunzione della responsabilità di saper riconoscere ed affrontare determinati pericoli secondo lo standard di diligenza e capacità del gruppo. Pertanto, deve escludersi alcun comportamento colposo del danneggiato, che sia connotato dall'affidamento, secondo criteri oggettivi, che lo stesso ha riposto nel fatto di ritenere esigibile da parte del custode una determinata condotta di manutenzione, in relazione allo specifico bene da custodire. Per converso, allorché venga accertato, anche in relazione alla mancanza di intrinseca pericolosità della cosa oggetto di custodia, che la situazione di possibile pericolo, comunque ingeneratasi, sarebbe stata superabile mediante l'adozione di un comportamento ordinariamente cauto da parte dello stesso danneggiato, deve escludersi che il danno sia stato cagionato dalla cosa, ridotta al rango di mera occasione dell'evento, e ritenersi, per contro, integrato il caso fortuito (Cass. n. 12895/2016; Cass. n. 20619/2014; Cass. n. 23584/2013; Cass. n. 22898/2012; Cass. n. 21727/2012). In applicazione di questo principio, la S.C. ha ritenuto che il sinistro subito dalla parte, rovinosamente caduta uscendo da un ascensore che si era arrestato con un dislivello di circa 20 cm. rispetto al piano, fosse causalmente attribuibile alla disattenzione della stessa vittima, in considerazione delle condizioni di illuminazione e della presenza di una doppia porta di apertura dell'ascensore, circostanza che avrebbe reso superabile il pericolo creato dal detto dislivello, tenendo un comportamento ordinariamente cauto (Cass. n. 12895/2016). Sicché la responsabilità del custode è esclusa in presenza di una scelta consapevole del danneggiato (c.d. rischio elettivo), il quale, pur potendo avvedersi con l'ordinaria diligenza della pericolosità della cosa, accetti di utilizzarla ugualmente (Cass. n. 13681/2012).

Responsabilità della P.A.

Già la dottrina aveva criticato l'orientamento originario della giurisprudenza, secondo cui l'art. 2051 non avrebbe potuto trovare applicazione verso la p.a., ritenendo che anche gli enti locali devono rispondere dei danni conseguenti all'omessa manutenzione dei beni pubblici di cui hanno la custodia esigibile (FRANZONI, 569).

Nella più recente giurisprudenza di legittimità l'applicabilità di tale ipotesi di responsabilità anche verso la p.a., in relazione ai beni demaniali, con riguardo, tuttavia, alla causa concreta del danno, costituisce orientamento consolidato (Cass. n. 6703/2018; Cass. n. 7805/2017). Segnatamente, la presunzione sancita dall'art. 2051 non si applica le volte in cui non sussista la possibilità di esercitare sul bene la custodia (intesa come potere di fatto sulla cosa), possibilità da valutare non solo in base all'estensione dell'intero bene, ma anche alla luce di tutte le circostanze del caso concreto, assumendo, al riguardo, determinante rilievo la natura, la posizione e l'estensione della specifica area in cui si è verificato l'evento dannoso, le dotazioni e i sistemi di sicurezza e di segnalazione di pericoli disponibili (Cass. n. 1257/2018). In particolare, per i parchi naturali, l'oggettiva impossibilità della custodia non può affermarsi per i sentieri escursionistici segnati, in quanto destinati alla percorrenza da parte dei visitatori in condizioni di sicurezza, né per le zone immediatamente circostanti gli stessi, che costituiscono la ragione di interesse (turistico, naturale, storico o di altro tipo) della visita. Ne consegue che l'ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume responsabile, ai sensi dell'art. 2051, dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo immanente connesse alla struttura ed alla conformazione della strada e delle sue pertinenze, indipendentemente dalla loro riconducibilità a scelte discrezionali della p.a. (Cass. n. 4160/2019; Cass. n. 2481/2018; Cass. n. 2480/2018; Cass. n. 15761/2016; Cass. n. 21508/2011, in Danno e resp., 2012, 6, 615). Sul punto, si rileva che la custodia esercitata dal proprietario o gestore della strada non è limitata alla sola carreggiata, ma si estende anche agli altri elementi accessori o pertinenze, ivi comprese eventuali barriere laterali con funzione di contenimento e protezione della sede stradale, sicché ove si lamenti un danno, e in specie quello conseguente alla precipitazione di un veicolo in un burrone fiancheggiante una curva, derivante dalla loro assenza o inadeguatezza, la circostanza che alla causazione del sinistro abbia contribuito la condotta colposa dell'utente della strada non è idonea ad integrare il caso fortuito, occorrendo accertare giudizialmente la resistenza che la presenza di un'adeguata barriera avrebbe potuto opporre all'urto da parte del mezzo (Cass. n. 9547/2015). L'obbligo dell'ente custode di una strada di apprestare misure adeguate a neutralizzarne la pericolosità sussiste anche con riferimento alle strade di servizio (c.d. strade bianche) non interdette al passaggio delle autovetture e collegate a strade a scorrimento ordinario di automezzi (Cass. n. 5726/2019). Rientra tra le pertinenze, in ordine alle quali l'ente proprietario ha l'obbligo di esercitare la manutenzione, la vigilanza e il controllo, anche la banchina, ossia la zona posta tra i margini della carreggiata extraurbana e i limiti della sede stradale (Cass. n. 18325/2018; Cass. n. 22755/2013). Per contro, il gestore delle strade pubbliche non è tenuto ad apporre la recinzione sull'intera rete viaria, mediante guard-rail, anche nei tratti oggettivamente non pericolosi, al fine di neutralizzare qualsivoglia anomalia nella condotta di guida degli utenti (Cass. n. 15723/2011). In particolare, dalla proprietà pubblica del comune sulle strade ubicate all'interno dell'abitato ex art. 16, lett. b, l. n. 2248/1865, allegato F, discende, non solo l'obbligo, a cura dell'ente, della loro manutenzione ex art. 5 del r.d. n. 2056/1923, ma anche quello della loro custodia ai sensi dell'art. 2051 (Cass. n. 24428/2009; Cass. n. 24419/2009; Cass. n. 25140/2006; Cass. n. 16770/2006). Pertanto, è stata configurata la responsabilità della p.a. per omessa custodia di grate o caditoie o tombini (Cass. n. 11802/2016; Cass. n. 999/2014; Trib. Chieti 24 marzo 2009; App. Napoli 2 settembre 2008), per omessa riparazione di buche e rappezzi sul manto stradale, per la mancata rimozione dalla sede stradale del fango e dei detriti trasportati da piogge torrenziali (Cass. n. 18856/2017), per la presenza di macchie d'olio sulla sede stradale, per il dissesto o la sconnessione dei marciapiedi. Queste fattispecie possono essere chiaramente inquadrate nell'alveo della responsabilità da cose in custodia (Trib. Genova 28 luglio 2009; Trib. Benevento 11 maggio 2009). In base all'art. 14 del codice stradale, l'ente proprietario della strada ha l'obbligo di provvedere alla manutenzione, gestione e pulizia della sede stradale e delle sue pertinenze, per assicurare la sicurezza degli utenti della strada, ma tale obbligo non si estende alle zone estranee ad esse e circostanti, mentre, ai sensi dell'art. 31 del codice della strada, grava sui proprietari delle ripe dei fondi laterali alle strade l'obbligo di mantenerle in modo da impedire e prevenire situazioni di pericolo connesse a franamenti o scoscendimenti del terreno, o la caduta dei massi o altro materiale sulla strada, dove per ripe devono intendersi le zone immediatamente sovrastanti e sottostanti la scarpata del corpo stradale. Per l'effetto, la S.C. ha ritenuto insussistente alcuna responsabilità del comune proprietario della strada per i danni subiti da un automezzo a causa di alcuni massi che, staccatisi dalla parete rocciosa sovrastante alla ripa che costeggiava la strada, lo avevano colpito (Cass. n. 13087/2004, in Arch. giur. circ. sinistri, 2005, 3, 238). Per le autostrade, destinate alla percorrenza veloce in condizioni di sicurezza, l'apprezzamento relativo all'effettiva possibilità di controllo induce a ravvisare la configurabilità, in genere, di un rapporto di custodia per gli effetti di cui all'art. 2051 (Cass. n. 298/2003); e così, in relazione ad un sinistro occorso a seguito della manovra necessitata dall'attraversamento di un animale in autostrada, una volta dimostrata la presenza di un animale idoneo all'intralcio alla circolazione, non spetta all'attore provarne anche la specie, che semmai andrà dedotta e dimostrata dal convenuto, quale indice di ricorrenza di un caso fortuito (Cass. n. 11016/2011, in Danno e resp., 2012, 1, 27; Cass. n. 7763/2007; Cass. n. 2308/2007). La S.C. ha affermato la responsabilità ex art. 2051 del Ministero delle Infrastrutture e non del Comune per i danni cagionati da beni posti sull'alveo fluviale sito nel territorio urbano, ove la res appartenga al demanio idrico, e segnatamente in conseguenza del distacco di un ramo di platano posto sull'argine, e difetti la prova dell'affidamento degli oneri di manutenzione all'ente locale e, in particolare, al servizio comunale giardini (Cass. n. 20907/2018; Cass. n. 17204/2015). Inoltre, la Regione è custode delle acque fluviali e, a prescindere dalla delega delle funzioni di manutenzione e sistemazione dei bacini e della foce dei fiumi ai consorzi di bonifica o ai concessionari delle relative opere, essa, ove risulti che non abbia perso la materiale disponibilità dei beni, risponde dei danni causati dalle acque, salvo la prova del caso fortuito: pertanto, la Regione è responsabile, a tale titolo, dei danni derivanti ai proprietari fondiari limitrofi dallo straripamento dei fiumi (Cass. S.U., n. 25928/2011). Ricade sulla p.a. la prova di avere adottato, con lo sforzo diligente adeguato alla natura della cosa e alle circostanze del caso concreto, tutte le misure idonee a prevenire che il bene demaniale presentasse per l'utente una situazione di pericolo e arrecasse danno, al fine di far valere la propria mancanza di colpa nella custodia o, se del caso, il concorso di colpa del danneggiato (Cass. n. 4234/2009; Cass. n. 8847/2007). Indici sintomatici dell'impossibilità del controllo del bene demaniale sono la sua notevole estensione e il suo uso generalizzato da parte degli utenti; ma tali elementi non attestano in modo automatico l'impossibilità di custodia (Corte cost. n. 156/1999). Il relativo accertamento deve avvenire in concreto. D'altro canto, la zonizzazione della manutenzione delle strade implica un maggior grado di possibilità di sorveglianza e di controllo sui beni (Cass. n. 8377/2009; Cass. n. 1691/2009; Cass. n. 20823/2006). Così la responsabilità ricade sulla p.a., indipendentemente dalla sua estensione, qualora il sinistro sia derivato dall'inadeguatezza del guard-rail, danneggiato il giorno precedente da altro sinistro e non riparato dall'ente proprietario della strada, escludendo che le dimensioni di quest'ultimo impediscano un'adeguata sorveglianza (Cass. n. 24529/2009). Laddove l'oggettiva impossibilità di custodia renda inapplicabile la previsione dell'art. 2051, la tutela risarcitoria del danneggiato resta affidata alla disciplina di cui all'art. 2043 sub specie di insidia e trabocchetto, ove ne ricorrano i presupposti. L'amministrazione è altresì liberata dalla responsabilità suddetta ove dimostri che l'evento sia stato determinato da cause estrinseche ed estemporanee create da terzi, non conoscibili né eliminabili con immediatezza, neppure con la più diligente attività di manutenzione, ovvero da una situazione (nella specie, una macchia d'olio, presente sulla pavimentazione stradale, che aveva provocato un sinistro stradale), la quale imponga di qualificare come fortuito il fattore di pericolo, avendo esso esplicato la sua potenzialità offensiva prima che fosse ragionevolmente esigibile l'intervento riparatore dell'ente custode (Cass. n. 7805/2017; Cass. n. 6101/2013). La responsabilità della p.a. è ancora esclusa quando la situazione di pericolo connessa alla struttura o alle pertinenze del bene demaniale è suscettibile di essere prevista e superata dall'utente-danneggiato con l'adozione di normali cautele, assumendo concreta rilevanza l'efficienza del comportamento imprudente del medesimo nella produzione del danno, fino a rendere possibile che il suo contegno interrompa il nesso eziologico tra la condotta omissiva dell'ente proprietario della strada e l'evento dannoso (Cass. n. 287/2015). In applicazione di questo principio, la S.C. ha escluso la responsabilità dell'ente proprietario ex art. 2051, tenuto conto della natura interpoderale della strada, peraltro priva di pericoli sulla fascia centrale della carreggiata, della velocità non moderata tenuta dal conducente del ciclomotore, in discesa e in corrispondenza di una strettoia e di una semicurva, nonché dell'avvenuto trasporto di un passeggero su ciclomotore omologato per una sola persona. E così è stata esclusa la responsabilità nel caso di sinistro stradale causato da una buca presente sul manto stradale, atteso che il conducente danneggiato era a conoscenza dell'esistenza delle buche, per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarle (Cass. n. 23919/2013).

Appalto

La giurisprudenza ha affrontato il tema dell'individuazione del responsabile quando la cosa che cagiona il danno costituisca oggetto di appalto, sia con riferimento agli appalti pubblici sia con riferimento agli appalti privati. La soluzione non è univoca, poiché occorre valutare, in base alle circostanze del caso concreto, se i poteri di vigilanza e controllo, connessi alla custodia, spettino all'appaltante ovvero all'appaltatore. Al riguardo, si è affermato che l'autonomia dell'appaltatore, il quale esplica la sua attività nell'esecuzione dell'opera assunta con propria organizzazione e apprestandone i mezzi, nonché curandone le modalità ed obbligandosi verso il committente a prestargli il risultato della sua opera, comporta che, di regola, egli deve ritenersi unico responsabile dei danni derivati a terzi dall'esecuzione dell'opera, come, ad esempio, per i danni derivanti dall'occupazione con materiali di risulta di un terreno non di proprietà del committente (Cass. n. 11478/2004, in Foro it., 2004, 11, I, 3137; Cass. n. 8686/2000) ovvero per i danni subiti da un ufficiale di macchina addetto a un pontone marittimo, a causa del difettoso funzionamento di un verricello nel corso di lavori appaltati dall'Agip all'azienda proprietaria dei macchinari (Cass. n. 7499/2004, in Dir. marit., 2005, 2, 540). Una corresponsabilità del committente può configurarsi in caso di specifica violazione di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c., ovvero in caso di riferibilità dell'evento al committente stesso per culpa in eligendo per essere stata affidata l'opera ad un'impresa assolutamente inidonea ovvero quando l'appaltatore, in base a patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive. La possibilità che il committente risponda sulla base dell'art. 2043 c.c. per la violazione di regole di cautela non determina, peraltro, un obbligo generale di supervisione a suo carico sull'attività dell'appaltatore che il terzo danneggiato possa comunque far valere nei suoi confronti, poiché la funzione di controllo è assimilabile a un potere che può essere riconosciuto nei rapporti interni fra committente e appaltatore, in correlazione alla riduzione o eliminazione della sfera di autonomia decisionale dell'appaltatore, e solo eccezionalmente può assumere rilevanza nei confronti dei terzi. Un dovere di controllo di origine non contrattuale, gravante sul committente, al fine di evitare che dall'opera derivino lesioni del principio del neminem laedere, può essere, difatti, configurato solo con riferimento alla finalità di evitare specifiche violazioni di regole di cautela (Cass. n. 13131/2006). Pertanto, nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'intero immobile in relazione al quale deve essere eseguita l'opera appaltata, non viene meno, per il detentore dell'immobile stesso che continui ad esercitare siffatto potere, il dovere di custodia e, quindi, nemmeno la correlativa responsabilità ex art. 2051 (Cass. n. 19474/2005, in Danno e resp., 2006, 6, 642). Così vi è concorso della stessa committente con l'appaltatore nella determinazione dell'evento dannoso, in dipendenza dell'eventuale violazione dell'obbligo incombente a suo carico di manutenzione della strada - previo accertamento se sulla stessa aveva continuato ad esercitare comunque un potere di custodia e di vigilanza, in modo esclusivo o concorrente con quello dello stesso appaltatore -, per evitare danni a terzi in dipendenza della predisposizione di idonee opere di sbarramento e di canalizzazione, non previste nel progetto di appalto. La mancata consegna dell'opera alla stazione appaltante non esonera quest'ultima dalla responsabilità per la custodia del cantiere e per i danni arrecati a terzi ad essa riconducibili qualora, pur a conoscenza della situazione di abbandono del cantiere per il protrarsi del fermo dei lavori, nonché in possesso di specifici poteri di controllo ed ingerenza nella esecuzione dell'opus, abbia omesso di adottare, tramite il direttore a ciò preposto, misure idonee a prevenire il verificarsi di eventi lesivi (Cass. n. 18317/2015; Trib. Torre Annunziata 29 gennaio 2015). Infatti, gli specifici poteri di autorizzazione, controllo ed ingerenza del committente, specie con riferimento all'appalto di opere pubbliche, nell'esecuzione dei lavori, con la facoltà, a mezzo del direttore, di disporre varianti e di sospendere i lavori stessi, ove potenzialmente dannosi per i terzi, escludono ogni esenzione da responsabilità per l'ente committente (Cass. n. 1263/2012). Allo stesso modo, altro arresto giurisprudenziale fa riferimento alla responsabilità del committente per i danni causati a terzi laddove questi progetti l'opera ed eserciti ampi poteri di indirizzo e sorveglianza nella relativa esecuzione: pertanto, risponde l'appaltante in relazione ai danni causati ad un immobile per effetto delle opere di escavazione di una galleria dal predetto commissionate, qualora la convenzione stipulata tra l'ente committente e il concessionario-appaltatore preveda che l'attività di progettazione sia controllata e vigilata dall'ente committente e che a quest'ultimo facciano capo ampi poteri di verifica e di redazione degli elaborati progettuali, con condivisione, quindi, dell'errore progettuale che sia posto alla base del danno procurato nell'esecuzione dell'opera commissionata (Cass. n. 17697/2011). Ancora, qualora il dipendente di una società, appaltatrice di lavori da eseguire in un'area in proprietà dell'appaltante, riporti un infortunio, dei danni risponde la società medesima, a cui la consegna dell'area è di regola sufficiente a trasferirne la custodia esclusiva. Tale regola trova eccezione nell'ipotesi in cui l'area in questione continui ad essere destinata all'uso precedente durante l'esecuzione dell'appalto, ancorché in parte e/o con apposite precauzioni, ovvero quando i lavori effettuati siano estranei al dinamismo della cosa che ha determinato l'evento dannoso, sempre che, in questa seconda ipotesi, non sia dimostrato che per l'esecuzione dell'appalto la zona interessata fosse stata completamente enucleata ed affidata all'esclusiva custodia dell'appaltatore (Cass. n. 1146/2015). Nel caso di appalto che non implichi il totale trasferimento all'appaltatore del potere di fatto sull'immobile nel quale deve essere eseguita l'opera appaltata (nella specie, lavori idraulici all'interno dell'immobile), non viene meno per il committente e detentore del bene il dovere di custodia e di vigilanza e, con esso, la conseguente responsabilità ex art. 2051, che, essendo di natura oggettiva, sorge in ragione della sola sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha determinato l'evento lesivo (Cass. n. 11671/2018; Cass. n. 15734/2011; Cass. n. 16126/2009; Cass. n. 20825/2006). Con riferimento alla perdurante apertura al pubblico traffico di un'area interessata da lavori in corso, permane l'obbligo di custodia dell'ente pubblico proprietario del tratto stradale, con la conseguenza che è tale ente ad essere tenuto, in via esclusiva, ad apporre adeguata segnaletica stradale, trattandosi di adempimento non riconducibile agli obblighi dell'impresa appaltatrice, in assenza di prova che il comune abbia, nell'ambito del contratto di appalto, trasferito all'impresa l'obbligo di una corretta ed efficace installazione della segnaletica in questione (Cass. n. 19129/2011).

Condominio negli edifici

Ulteriore questione esaminata dalla giurisprudenza concerne la responsabilità da cose in custodia quando il bene che causa il danno sia di natura condominiale. Innanzitutto, si è posto il problema di individuare i soggetti giuridici tenuti a risarcire il danno. Sul punto, si è ritenuto che il risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà condominiale soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, primo comma, c.c., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota, anche quando il danneggiato sia un condomino, equiparato a tali effetti ad un terzo, sicché devono individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili, poiché la custodia, presupposta dalla struttura della responsabilità per danni prevista dall'art. 2051, non può essere imputata né al condominio, quale ente di sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore, quale mandatario dei condomini (Cass. n. 1674/2015). Custode della cosa, in ordine alle parti comuni di un condominio, è il condominio medesimo, nei confronti del quale anche il condomino che abbia sofferto un danno collegato a tali parti può proporre azione di risarcimento ai sensi dell'art. 2051 (Cass. n. 255/1989; Cass. n. 3405/1988; Cass. n. 1500/1987). Così il condominio risponde dei danni riportati dal singolo condomino per le infiltrazioni di acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale (Cass. n. 15291/2011). Al dovere di custodia è collegato l'obbligo di compiere le opere comportanti l'impiego di mezzi ordinari e non anche quelle per le quali sia necessario l'impiego di mezzi straordinari in relazione alla natura, al valore ed alla destinazione economica della cosa (Cass. n. 4124/1975). Il condominio risponde, ai sensi dell'art. 2051, dei danni subiti da terzi estranei ed originati da parti comuni dell'edificio, mentre l'amministratore, in quanto tenuto a provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia delle stesse, è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c.c., solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati (Cass. n. 17983/2014). Così si è ritenuta la responsabilità del condominio con riferimento ai danni provocati da un cortile condominiale che funge da copertura di un locale interrato di un terzo, se la cattiva manutenzione del cortile determini infiltrazioni d'acqua nel sottostante locale (Cass. n. 1477/1999; Cass. n. 2861/1995). Ancora sono riparabili ai sensi dell'art. 2051, a carico del condominio, i danni reclamati dal condomino per il cattivo funzionamento di un impianto comune o per la difettosità di parti comuni dell'edificio (Cass. n. 1500/1987). In specie, non integra il caso fortuito il vizio costruttivo che abbia causato l'improvvisa rottura del dispositivo di rallentamento e la conseguente caduta della cabina di un ascensore condominiale all'interno della quale si trovino delle persone; infatti, il fatto del terzo integra il fortuito nell'ipotesi in cui la condotta di quest'ultimo, estranea al custode, sia di per sé idonea a provocare il danno, a prescindere dall'uso della cosa in custodia; ne consegue che non ricorre caso fortuito quando il vizio costruttivo abbia provocato il danno durante l'utilizzo della cosa in custodia (Cass. n. 26533/2017). Secondo un primo orientamento, il condominio risponde anche dei danni a terzi, cagionati dall'omessa esecuzione di lavori di manutenzione straordinaria su lastrico solare in edificio condominiale (Cass. n. 12606/1995). Ma secondo la più recente tesi, in tal caso, il proprietario o l'usuario esclusivo, quale custode del bene, risponde ai sensi dell'art. 2051 mentre il condominio, in forza degli obblighi inerenti all'adozione dei controlli necessari alla conservazione delle parti comuni, risponde ai sensi degli artt. 1130, primo comma, n. 4, e 1135, primo comma, n. 4, c.c. (Cass. n. 3239/2017; Cass. n. 9449/2016; Cass. n. 18164/2014). Altro arresto distingue tra riparazioni del lastrico solare di uso esclusivo dovute a vetustà e riparazioni riconducibili a difetti originari di progettazione o di esecuzione dell'opera, tollerati dall'usuario esclusivo; ove, in conseguenza di tali mancate riparazioni, il lastrico cagioni danni a terzi, nella prima ipotesi risponderà, ai sensi dell'art. 2051, il condominio, in concorso con il proprietario o usuario esclusivo, mentre nella seconda ipotesi risponderà, sempre ai sensi dell'art. 2051, il solo proprietario o usuario esclusivo (Cass. n. 9084/2010). Del danno patito da persona il cui appartamento sia stato svaligiato da ladri, introdottivisi attraverso ponteggi installati per il restauro del fabbricato e privi sia di illuminazione che di misure di sicurezza, possono essere chiamati a rispondere non solo l'impresa che ha realizzato i ponteggi stessi, ma anche il condominio, per un duplice titolo: sia quale custode del fabbricato, ai sensi dell'art. 2051, sia per culpa in vigilando od in eligendo, allorché risulti che abbia omesso di sorvegliare l'operato dell'impresa appaltatrice, ovvero ne abbia scelta una manifestamente inadeguata per l'esecuzione dell'opera (Cass. n. 6435/2009; Cass. n. 9707/1997; Cass. n. 913/1980). Salvo che non si determini un'ipotesi di utilizzazione impropria - da parte del terzo o del danneggiato -, la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché siffatta impropria utilizzazione esclude il nesso di causalità (Cass. n. 25029/2008; Cass. n. 24804/2008; Cass. n. 8106/2006). L'amministratore del condominio ha il compito di provvedere non solo alla gestione delle cose comuni, ma anche alla custodia di esse, col conseguente obbligo di vigilare affinché non rechino danni a terzi od agli stessi condomini. Quest'obbligo non viene meno neanche nell'ipotesi in cui il condominio appalti a terzi lavori riguardanti le parti comuni dell'edificio condominiale, a meno che il compito di vigilare su tali lavori non venga affidato a persona diversa dall'amministratore. Ne consegue che l'amministratore stesso è responsabile del danno alla persona patito da uno dei condomini, in conseguenza dell'inciampo in una insidia (nella specie, buca nel cortile condominiale) creata dall'impresa cui erano stati appaltati lavori di manutenzione dell'immobile condominiale (Cass. n. 25251/2008).

Locazione

Qualora il danno sia prodotto dalla cosa locata, occorre stabilire se la responsabilità ricada sul locatore o sul conduttore o su entrambi. I primi interventi sul punto oscillavano tra una responsabilità del conduttore, in quanto detentore del bene, e una responsabilità del locatore, in quanto suo proprietario. Così si era affermato che nel caso di locazione una responsabilità da cose in custodia fosse configurabile a carico del conduttore, non già del locatore, in quanto il contatto diretto con la cosa competeva al detentore (Cass. n. 1458/1976). Alla stregua di questa ricostruzione, la locazione comporterebbe il passaggio al conduttore della custodia dell'immobile locato, con la conseguenza che la responsabilità per i danni derivati da tale immobile sarebbe di regola ipotizzabile a carico del solo conduttore, mentre il locatore potrebbe rispondere degli stessi danni, in concorso con il conduttore, in base alla diversa disposizione dell'art. 2043 c.c., con il conseguente onere probatorio a carico del danneggiato, soltanto qualora, avvertito dal conduttore o comunque consapevole della necessità di riparazioni eccedenti la piccola manutenzione, abbia trascurato di provvedervi (Cass. n. 7727/1986). Nel senso opposto si era ritenuto che la responsabilità sarebbe gravata, invece, sul proprietario, che aveva la disponibilità giuridica del bene (Cass. n. 1868/1983). Secondo altra pronuncia, la concessione di un immobile in locazione non avrebbe fatto venire meno l'obbligo del proprietario di effettuarvi visite periodiche e di compiere opportuni interventi, con la conseguenza che, verso i terzi, poteva darsi una responsabilità concorrente del proprietario e del conduttore, salva la facoltà di rivalsa del primo nei confronti del secondo (Cass. n. 1589/1985). Pertanto, la responsabilità nei confronti dei terzi per danni derivanti dall'omessa riparazione della cosa locata sarebbe gravata, ancorché si fosse trattato di lavori di piccola manutenzione da effettuarsi a cura del conduttore ai sensi dell'art. 1576, sul proprietario, al quale, in base al principio previsto dall'art. 2051, incomberebbe l'obbligo della custodia e che, quale possessore dell'immobile, conserverebbe i suoi poteri di ingerenza e vigilanza sulla cosa locata e dovrebbe impedire che dalla stessa i terzi subiscano nocumento, a nulla rilevando la sua facoltà di rivalsa nei confronti del conduttore ovvero la circostanza che questi abbia omesso di dargli avviso della necessità delle riparazioni, incidendo siffatta omissione nell'ambito dei soli rapporti interni fra le parti del contratto di locazione e non potendo essere opposta dal proprietario locatore ai terzi che abbiano, in conseguenza dell'omessa manutenzione, subito danni (Cass. n. 433/1987; Cass. n. 6785/1986). Gli indirizzi più recenti hanno fornito un quadro più lineare della spettanza della responsabilità, sulla scorta di criteri di riferimento che attengono propriamente alla discriminazione delle componenti dell'immobile che hanno cagionato il pregiudizio. Poiché la responsabilità ex art. 2051 implica la disponibilità giuridica e materiale del bene che dà luogo all'evento lesivo, al proprietario dell'immobile locato sono riconducibili in via esclusiva i danni arrecati a terzi dalle strutture murarie e dagli impianti in esse conglobati, di cui conserva la custodia anche dopo la locazione, mentre grava sul solo conduttore la responsabilità per i danni provocati a terzi dagli accessori e dalle altre parti dell'immobile, che sono acquisiti alla sua disponibilità (Cass. n. 21788/2015; Cass. n. 13881/2010; Cass. n. 5245/2004; Cass. n. 2422/2004; Cass. n. 4994/1996; Cass. n. 7578/1995). In particolare, i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettano al proprietario-locatore, il quale conserva un effettivo potere fisico sull'entità immobiliare locata - ancorché in un ambito in parte diverso da quello in cui si esplica il potere di custodia del conduttore -, con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle strutture edilizie e sull'efficienza degli impianti (Cass. n. 16422/2011). In applicazione di questa regola di ripartizione degli oneri tra locatore e conduttore, è stata riconosciuta la responsabilità del proprietario dell'immobile locato che, conservando, per l'appunto, la custodia delle strutture murarie e degli impianti in esse conglobati, era tenuto a consentire l'accesso al condominio attore negli immobili stessi, in considerazione della necessità ed urgenza di eseguire i lavori di consolidamento dell'intero stabile (Cass. n. 16231/2005, in Foro it., 2006, 3, I, 762). Pertanto, qualora i danni da cose in custodia siano originati da un bene immobile condotto in locazione, sussiste la responsabilità sia del proprietario dell'immobile sia del conduttore ove i pregiudizi siano derivati non solo dal difetto di costruzione dell'impianto (nella specie, idraulico) conglobato nelle strutture murarie, ma anche da una negligente utilizzazione di esso (nella specie, della caldaia) da parte del conduttore (Cass. n. 11815/2016). È, invece, esclusa la responsabilità del proprietario qualora il bene sul quale il fatto dannoso è accaduto sia accessibile solo attraverso altro bene dato in locazione a terzi e, per l'effetto, in concreto sottratto al suo controllo, evenienza che inibisce l'accesso a quel bene contiguo e rende impossibile, materialmente e giuridicamente, ogni attività atta a prevenire ed evitare il rischio di danni (Cass. n. 19657/2014). Al contempo, il proprietario di un immobile concesso in locazione non può essere chiamato a rispondere, ex art. 2051, dei danni a terzi causati da macchinari utilizzati dal conduttore, quando non abbia avuto alcuna possibilità concreta di controllo sull'uso di essi, non potendo detta responsabilità sorgere per il solo fatto che il proprietario medesimo ometta di rivolgere al conduttore una formale diffida ad adottare gli interventi del caso al fine di impedire il verificarsi di danni a terzi, giacché essi costituirebbero atti idonei ad incidere sul funzionamento della cosa dannosa (Cass. n. 8006/2010; Cass. n. 18188/2009). Pertanto, non può essere affermata la responsabilità del proprietario di un immobile adibito a ristorante, gestito dal conduttore dell'immobile stesso, per i danni causati all'appartamento sottostante, di proprietà di un terzo, dalle infiltrazioni d'acqua provocate dall'impianto di condensa dei frigoriferi e dall'idrante per la pulizia dei pavimenti in uso al gestore del ristorante medesimo. Né può rispondere il proprietario di un immobile adibito ad officina per i danni causati a terzi dall'impianto di espulsione dei gas utilizzato dal conduttore e gestore dell'officina stessa. Inoltre, il proprietario locatore può rispondere ai sensi dell'art. 2051 nei confronti del conduttore: in tema di danni prodotti dalla struttura originaria della cosa locata, poiché il proprietario locatore ha l'obbligo, imposto dall'art. 1575 c.c., di consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione e di conservarla in condizioni che la rendano idonea all'uso convenuto, grava su di lui una presunzione di responsabilità che può essere vinta mediante la prova, offerta dal locatore medesimo, dell'imputabilità dell'evento al caso fortuito ovvero dal fatto illecito del terzo (Cass. n. 10389/2005, in Vita notar., 2005, 3, I, 1538). Così è stata esclusa la responsabilità del locatore perché le infiltrazioni d'acqua, causa di danno al conduttore, provenivano da proprietà di terzi e in particolare da un terrazzino condominiale e da strada pubblica. In ultimo, la S.C. ha evidenziato che la violazione da parte del conduttore dell'obbligo di custodire la cosa locata, per impedirne la perdita o il deterioramento, comporta responsabilità del medesimo ai sensi del combinato disposto degli artt. 1590 e 1177 c.c., e non dell'art. 2051, perché detta norma disciplina l'ipotesi di responsabilità per danni provocati a terzi dalla cosa in custodia e non per danni alla stessa cosa custodita (Cass. n. 15721/2015).

Casistica

CASISTICA

Danni da cose in custodia

La responsabilità ex art. 2051 derivante dalla custodia di un bene destinato all'attività di culto, anche se per consuetudine asservito ad un uso pubblico, grava sul proprietario del bene e non sull'ente territoriale sul quale il bene insiste, a meno che non siano dimostrati una detenzione o un potere di fatto di tale ultimo ente sulla cosa (Cass. n. 5841/2019).

In relazione ad un incendio di un immobile, risponde del danno, ai sensi dell'art. 2051, il proprietario di altro locale del medesimo edificio andato a fuoco, qualora la causa dell'incendio si possa individuare in un fenomeno di autocombustione del fieno ammassato nel locale adiacente, come poteva desumersi, nell'immediatezza del fatto, dagli accertamenti condotti sia dai carabinieri sia dal comandante dei vigili del fuoco, relativi alla presenza, subito dopo lo spegnimento delle fiamme, di fenomeni fermentativi ancora in atto (Cass. n. 23201/2015).

Sempre ai sensi dell'art. 2051 è responsabile il proprietario o gestore di un campo da gioco per gli infortuni occorsi ai fruitori di quest'ultimo, ove non alleghi e non provi l'elisione del nesso causale tra la cosa e l'evento, quale può aversi, in un contesto di rigoroso rispetto delle normative esistenti o comunque di concreta configurazione della cosa in condizioni tali da non essere in grado di nuocere normalmente ai suoi fruitori, nell'eventualità di accadimenti imprevedibili ed ascrivili al fatto del danneggiato stesso, tra i quali una sua imperizia o imprudenza, o al fatto di terzi (Cass. n. 19998/2013).

Risponde altresì ai sensi dell'art. 2051 il soggetto gravato dall'obbligo di manutenzione e pulizia dei locali in caso di caduta determinata dalla presenza di grasso sul pavimento (Cass. n. 19606/2013).

Integra la fattispecie regolata dall'art. 2051 anche l'ipotesi dei danni patiti da una cliente scivolata sul pavimento insaponato di un supermercato, poiché il mancato avvistamento della chiazza di detersivo, da parte della cliente, non costituisce elemento idoneo ad interrompere il nesso di causalità, essendo massima di comune esperienza che chi frequenta un supermercato ha la ragionevole aspettativa di circolare in un posto sicuro, soprattutto con riferimento alla manutenzione del pavimento, in quanto è interesse del gestore che l'attenzione degli avventori sia catturata esclusivamente dai prodotti esposti (Cass. n. 4476/2011; Cass. n. 10015/1996).

Inoltre, se il proprietario di un fondo a monte, pur non alterando un tracciato stradale ivi esistente, ne incrementa i detriti - nella specie terra, sassi, foglie, a seguito dell'impianto di un frutteto - senza eseguire altresì le opere necessarie ad evitare che gli agenti atmosferici naturali, pur se di entità considerevole, ma non eccezionale, li convoglino e trascinino con forza nella proprietà sottostante, allagandola, è obbligato a risarcire i prevedibili danni ad essa derivatine. In conseguenza, la S.C. ha ritenuto che il giudice di merito avesse fatto corretta applicazione di tale principio, avendo accertato che, pur trattandosi di terreno instabile e franoso, ciò non giustificava una condotta omissiva da parte del custode dell'area, e che le opere di protezione poste a carico del proprietario del fondo a monte non consistevano in un'integrale bonifica della rupe su cui era collocato il fondo, ma si esaurivano nella costruzione di un muro di contenimento idoneo a porre una naturale difesa all'immobile sottostante (Cass. n. 10649/2004).

Anche il consorzio turistico residenziale è custode degli impianti compresi nell'area consortile, la cui realizzazione sia pertinente allo scopo della sua attività, con specifico riferimento agli impianti di canalizzazione elettrica e alla rete fognaria, per cui esso risponde, ai sensi dell'art. 2051, dei danni cagionati dall'omessa custodia di essi (Cass. n. 1026/2013).

Al contempo, il consorzio di bonifica, che provveda di fatto, pur non essendovi tenuto, alla manutenzione di un canale, nella specie colatore di bonifica, assume la custodia e la gestione del corso d'acqua e ne risponde, a seconda della concreta situazione, ai sensi dell'art. 2051 o dell'art. 2043 c.c., dovendo, a tale titolo, risarcire i danni cagionati da difetto di manutenzione, nella specie dei danni per esondazione derivante da intasamento del canale (Cass. S.U., n. 9591/2012).

Anche la responsabilità dell'albergatore per i danni causati ad un cliente dalle dotazioni di una camera della struttura ricettiva si inquadra nella responsabilità da custodia prevista dall'art. 2051, con la conseguenza che, ai fini della sua configurabilità, è sufficiente che il danneggiato fornisca la prova della sussistenza del nesso causale tra la cosa che ha provocato l'incidente e l'evento dannoso, indipendentemente dalla pericolosità attuale o potenziale degli oggetti e della condotta dell'albergatore, sul quale incombe, ai fini dell'esclusione di detta responsabilità, l'onere di provare il caso fortuito. Sulla scorta del principio enunciato, la S.C. ha cassato con rinvio l'impugnata sentenza con la quale era stata esclusa la responsabilità dell'albergatore per i danni conseguiti ad un cliente, in dipendenza della caduta nella vasca da bagno, priva di congegni antiscivolo e di maniglie di appoggio, mentre stava facendo la doccia, malgrado la riconducibilità del fatto all'ipotesi prevista dall'art. 2051, in relazione al quale il danneggiato aveva provato il nesso causale mentre l'albergatore non aveva fornito la prova del caso fortuito (Cass. n. 24739/2007, in Resp. civ. e prev., 2008, 3, II, 573).

E così è stato confermato l'accoglimento della domanda di risarcimento danni proposta da una cliente di un albergo nei confronti del legale rappresentante della società titolare dell'hotel, in relazione al disposto dell'art. 2051, sulla scorta della rilevata sussistenza del nesso eziologico tra la cosa in custodia e l'evento, sufficiente a far scattare la presunzione di colpa in capo al custode emergente dal fatto, incontestato, che la cliente era caduta inciampando in una soglia posta sulla sommità di una delle scale dell'albergo, risultata lievemente rialzata rispetto al livello, di colore uniforme, della restante superficie, spettando alla convenuta società alberghiera provare - come, invece, non era avvenuto nel caso de quo - che l'evento si era verificato per la condotta dell'attrice, idonea ad integrare il caso fortuito (Cass. n. 21684/2005, in Foro it., 2006, 6, I, 1807).

L'applicabilità della presunzione di responsabilità di cui all'art. 2051 per omessa custodia può operare anche a carico della società concessionaria del servizio di smaltimento rifiuti, per i danni provocati a terzi dai contenitori per la raccolta, qualora dall'accertamento in fatto operato dal giudice di merito emerga che, nonostante la numerosità dei beni sui quali esercitare la custodia e la loro utilizzabilità diretta da parte dei cittadini, la concessionaria avesse la possibilità in concreto di esercitare un'attività di vigilanza e controllo sui beni in custodia (Cass. n. 14606/2004, in Giust. civ., 2005, 7-8, I, 1870).

Per contro, è stata esclusa la responsabilità ex art. 2051 del proprietario di un albero (nella specie, di un fico) per i lamentati danni provocati dalla caduta delle foglie sul pavimento del terrazzo posto nel fondo confinante, non ricorrendo né il carattere lesivo dell'evento (caduta delle foglie), trattandosi di fenomeno del tutto naturale e inoffensivo (tranne nel caso in cui le foglie siano lasciate esposte per lungo tempo alle intemperie, per la totale incuria del proprietario della superficie interessata dalla caduta), né la pericolosità della cosa (pianta) in relazione all'evento dedotto e neanche la possibilità di prevenzione dello stesso ad opera del proprietario della pianta, potendo, se mai, essere assoggettata la riferita condotta alla disciplina prevista per i rapporti di vicinato (Cass. n. 17493/2007).

Riferimenti di dottrina: ;Alpa-Bessone, I fatti illeciti, in Tr. Res., 1982; Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, Milano, 1997; Bigliazzi Geri-Breccia-Busnelli-Natoli, Diritto civile, 3, Obbligazioni e contratti, Torino, 1990; Bonvicini, La responsabilità civile per fatto altrui, Milano, 1976; Comporti, Esposizione al pericolo e responsabilità civile, Napoli, 1965; De Cupis, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., sub artt. 2043-2059, 1971; De Martini, I fatti produttivi di danno risarcibile, Padova, 1983; Devoto, L'imputabilità e le sue forme nel diritto civile, Milano, 1964; Di Giovine, La responsabilità civile per danni cagionati da cose, in Cendon (a cura di), La responsabilità civile, Torino, 1998; Franzoni, Dei fatti illeciti, in Comm. S.B., sub artt. 2043-2059, 1993; Geri, La responsabilità civile da cose in custodia, animali e rovina di edificio, Milano, 1974; Monateri, La responsabilità civile, in Tr. Sac., 1998; Rodotà, Il problema della responsabilità civile, Milano, 1964; Salvi, La responsabilità civile, in Tr. I.Z., 1998; Scognamiglio, voce Responsabilità civile, in Nss. Dig. it., Torino, 1968; Spallarossa, Danno cagionato da cose in custodia, in Alpa-Bessone, La responsabilità civile, II, 2, Milano, 1980; Trimarchi, Rischio e responsabilità oggettiva, Milano, 1961; Visintini, La responsabilità civile nella giurisprudenza, Padova, 1967; Visintini, Trattato breve della responsabilità civile, Padova, 1996; Ziviz, Il danno cagionato dalle cose in custodia, in Nuova giur. civ. comm., II, 1989.

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