Whistleblowing: riconoscibile la tutela cautelare per la natura oggettivamente lesiva degli atti datoriali e per la durata dell'inattività lavorativa
31 Agosto 2023
Il caso
A pochi giorni dall'importante ordinanza cautelare emessa dalla sezione lavoro del Tribunale di Milano in un noto caso di whistleblowing (su cui si rimanda al contributo di D. TAMBASCO, Whistleblower: l'evidente difficoltà della situazione economica e psico-fisica giustifica la tutela cautelare ex art. 700 c.p.c., in IUS Lavoro (ius.giuffrefl.it), 25 agosto 2023), una nuova pronuncia d'urgenza interviene in un'altra annosa vicenda, questa volta relativa alla denuncia operata dal responsabile dell'unità di vigilanza di un istituto bancario relativamente alla cosiddetta “truffa dei diamanti”.
Nel caso di specie il whistleblower adiva in prima battuta il TAR del Lazio (rientrando il rapporto lavorativo nella disciplina del pubblico impiego non privatizzato ai sensi dell'art. 3 d.lgs. 165/2001, e quindi nella competenza esclusiva della giurisdizione amministrativa), per la sospensione della sanzione disciplinare della destituzione dal servizio, nonché della correlativa sospensione cautelare dalla retribuzione e dal lavoro.
Il collegio di primo grado rigettava l'istanza cautelare con ordinanza del 19 luglio 2023, n. 4008, sostenendo che il danno paventato dal ricorrente non presentasse i caratteri della gravità e dell'irreparabilità, attesa la mancata prova dello stesso e la natura patrimoniale del pregiudizio, in quanto tale ristorabile.
Il dipendente ricorreva pertanto al Consiglio di Stato che, con ordinanza del 25 agosto 2023 n. 3381, accoglieva la domanda cautelare ai soli fini tuttavia della sollecita fissazione dell'udienza per la trattazione del merito, tenuto conto della natura oggettivamente lesiva degli atti impugnati nonché del significativo lasso di tempo trascorso dal whistleblower senza poter prestare l'attività lavorativa.
Sebbene priva di effettivo rilievo pratico (l'ordinanza infatti non ha sospeso gli atti impugnati, limitandosi unicamente a richiedere al giudice di prime cure la sollecita fissazione dell'udienza per la trattazione del merito), il provvedimento in esame si distingue per l'importante principio di diritto enunciato, in conformità con la più recente giurisprudenza di merito intervenuta in materia. Il principio di diritto e il contesto sistematico
Dalla pur breve motivazione dell'ordinanza in commento è possibile desumere con chiarezza il principio su cui si fonda la decisione di accoglimento dell'istanza cautelare.
In particolare il Consiglio di Stato si basa su due pacifiche circostanze di fatto, ovvero la natura oggettivamente lesiva degli atti impugnati (destituzione dal servizio e sospensione cautelare) e la durata dell'inattività lavorativa forzosa di cui è stato vittima il dipendente, per inferire la sussistenza del pericolo di un pregiudizio grave e irreparabile nelle more del giudizio di merito, richiesto dall'art. 55 c.p.a. (analogamente all'art. 700 c.p.c. in ambito civile) per il conseguimento della tutela cautelare amministrativa.
La decisione pare ispirarsi, come accennato, all'ordinanza emessa pochi giorni prima dal Tribunale di Milano (Trib. Milano, sez. lav., 20 agosto 2023) in un analogo caso di whistleblowing, in cui il giudice del lavoro ricorrendo in modo implicito alle massime di comune esperienza (art. 115, secondo comma c.p.c.), ha dedotto in via presuntiva la sussistenza del periculum in mora da una serie di plurime circostanze obiettive quali:
i) la percezione di un reddito medio; ii) il coinvolgimento in una vicenda giudiziaria della durata di cinque anni e mezzo; iii) la privazione del lavoro e della retribuzione per oltre quattro anni e mezzo; iv) l'irrogazione di un precedente provvedimento di destituzione dal servizio accertato come illegittimo in sede giudiziaria.
Come evidenziato da un'autorevole dottrina (1), affinché il ragionamento presuntivo possa avere un saldo fondamento, le massime di comune esperienza su cui si basa l'inferenza logica devono essere sussumibili entro leggi scientifiche o, comunque, nell'ambito di regolarità probabilistiche credibili e prevalenti (nella misura almeno del più probabile che no) (2).
Tornando alle citate ordinanze, possiamo rilevare l'esistenza di un denominatore comune: la considerazione, ai fini dell'inferenza, sia dell'obiettiva idoneità lesiva degli atti datoriali sia della durata delle condotte. Se si analizza con maggiore attenzione il contesto teorico entro cui si collocano le due pronunce, pare evidente l'implicito richiamo ad alcuni dei parametri costitutivi del modello creato dalle scienze psicologiche per l'individuazione delle condotte persecutorie sul posto di lavoro: il modello ECCO (Ege Conflict Code Organization) (3) per l'accertamento della conflittualità lavorativa, infatti, ha proprio nella durata oltre i sei mesi (parametro 3) e nel tipo di azioni (parametro 4) i suoi elementi costitutivi.
Se la durata di oltre sei mesi coincide con un criterio classico della psicologia clinica, volto a distinguere i disturbi acuti da quelli cronici (4), la tipologia di azioni riprende invece l'elaborazione teorica volta a convalidare a livello scientifico l'esistenza di categorie di condotte oggettivamente dotate di idoneità lesiva. Si tratta, in particolare, delle 5 categorie di azioni violente di Wieners e Hellbernd (5), utilizzate per l'accertamento delle condotte persecutorie sul lavoro, che presumono l'idoneità lesiva degli atti ricompresi nella relativa lista. Più precisamente, la prolungata privazione del lavoro e della retribuzione corrisponde alla categoria della violenza economica, consistente in atti violenti che mirano ad ostacolare l'accesso alle risorse economiche (divieto o obbligo al lavoro, privazione della possibilità di costruirsi l'indipendenza economica).
Tornando all'esame dell'ordinanza in commento, si può quindi affermare come le massime di comune esperienza di fatto utilizzate nel ragionamento presuntivo dai giudici di Palazzo Spada abbiano un saldo fondamento in leggi scientifiche, che consentono di convalidare l'inferenza secondo uno standard di probabilità prevalente, in conformità peraltro con i dettami degli artt. 2727 e 2729 c.c., che per il corretto utilizzo della prova presuntiva richiedono la sussistenza di indici gravi, precisi e concordanti. Note
(1) M. TARUFFO, Verso la decisione giusta, Torino, 2020, p. 258, secondo cui la qualità delle massime di comune esperienza e il loro effettivo fondamento conoscitivo può essere apprezzata «se vengono impiegate massime che corrispondono a leggi scientifiche o generalizzazioni conoscitivamente valide». Diversamente, si tratterà di massime fondate su generalizzazioni spurie che «corrispondono semplicemente a pregiudizi dello stesso giudice», non essendo pertanto la giustificazione fornita idonea a conferire un fondamento di razionalità all'accertamento di fatto operato dal giudice.
(2) Sulla centralità della regola d'inferenza utilizzata nel processo presuntivo, al fine di integrare il requisito della gravità, cfr. M. TARUFFO, Verso la decisione giusta, cit., p. 266 e ss.; sempre secondo l'autore, «le generalizzazioni valide sono quelle che trovano fondamento in conoscenze scientificamente confermate», p. 250.
(3) Si rimanda a H. EGE, D. TAMBASCO, Il Lavoro molesto, Milano, 2021, p. 7 e ss.; H. EGE, La valutazione peritale del danno da mobbing e da straining, Milano, 2019, p. 67 e ss.
(4) Si veda da ultimo il DSM V (manuale dei criteri diagnostici di accertamento dei disturbi psichici e psicosomatici), secondo cui un disturbo è acuto se si è manifestato da meno di sei mesi mentre è cronico se è presente da oltre sei mesi.
(5) Si rimanda a H. EGE, Oltre il mobbing, Milano, 2005, p. 122; si veda anche H. EGE, D. TAMBASCO, Il Lavoro molesto, Milano, 2021, cit., p. 11. |