Affidamento e diritto di visita: le SU si esprimono in tema di coordinamento tra fonti internazionali ed interne
07 Settembre 2023
Massima
Ove, in base all'art. 42 l. n. 218/1995, trovi applicazione la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996, le condizioni sostanziali di riconoscimento delle misure di protezione dei minori non sono disposte dall'art. 64 l. n. 218/1995 bensì dall'art. 23 della stessa Convenzione, laddove il procedimento del riconoscimento innanzi al giudice italiano è disciplinato, in forza dell'art. 24 della Convenzione, dalla legge italiana. Il caso
Con sentenza del 21 giugno 2021, la Corte d'Appello di Bologna, sul presupposto della incompetenza del giudice straniero, alla luce del criterio della residenza abituale del minore ex art. 8 Reg. n. 2201/2003, ha rigettato, in forza dell'art. 64 lettera a) l. n. 218/1995, la domanda di accertamento dei requisiti di riconoscimento della sentenza del 13 giugno 2019, emessa da un Tribunale della Federazione Russa, in tema di affidamento di figli minori e di diritto di visita. È stato proposto ricorso per Cassazione che, con ordinanza interlocutoria n. 34969 del 28 novembre 2022, è stato rimesso dalla Prima Sezione Civile al Primo Presidente per l'eventuale sua assegnazione alle Sezioni Unite ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 3. La questione
Il ricorso è stato assegnato alle Sezioni Unite affinché le stesse stabilissero “se, nell'ambito di un giudizio di riconoscimento, in Italia, dell'efficacia di una sentenza straniera, la parte ivi convenuta, che si sia ritualmente costituita nel giudizio svoltosi innanzi al giudice a quo senza sollevare, in quella sede, alcuna eccezione circa la carenza della “competenza giurisdizionale” di quest'ultimo, possa ancora formulare una siffatta eccezione innanzi al giudice della invocata delibazione oppure se la stessa possa essere sollevata di ufficio da quest'ultimo”. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso poiché, laddove alla luce dell'art. 42 l. n. 218/1995 trovi applicazione la Convenzione dell'Aja del 18 ottobre 1996, le condizioni sostanziali di riconoscimento sono statuite dall'art. 23 lettera a) della stessa Convenzione piuttosto che dall'art. 64 l. n. 218/1995. Nel caso all'esame, dunque, in sede di riconoscimento, il controllo sulla competenza giurisdizionale del giudice straniero deve concernere il difetto di giurisdizione sul presupposto dell'art. 23, lettera a), della Convenzione dell'Aja che nega il riconoscimento di un provvedimento in materia di responsabilità genitoriale e di protezione dei minori allorquando esso sia stato adottato «da un'autorità la cui competenza non era fondata ai sensi delle disposizioni del capitolo II».
Osservazioni
Le Sezioni Unite hanno statuito, nella fattispecie in commento, che il riconoscimento in Italia di una sentenza pronunciata in uno Stato extra UE in tema di affidamento alla madre dei figli minori e di diritto di visita da parte del padre, deve realizzarsi ai sensi della Convenzione dell'Aja del 1996 sulla competenza, la legge applicabile, il riconoscimento, l'esecuzione e la cooperazione in materia di responsabilità genitoriale e di misure di protezione dei minori e non già in forza dell'art. 64 l. 218/1995 come prospettato nella sentenza della Corte d'Appello. Il quesito sollevato nell'ordinanza di rimessione relativo al requisito della “competenza giurisdizionale” di cui alla lettera a) dell'art. 64, l. 218/1995 in caso di mancata eccezione nel giudizio svoltosi innanzi al giudice a quo è stato così superato. Il riconoscimento della sentenza straniera, infatti, deve essere negato poiché quest'ultima è stata emessa da autorità priva di competenza ai sensi dell'art. 23, par. 2, lettera a) della Convenzione dell'Aja ovvero non appartenente allo Stato contraente di residenza abituale dei minori. Vanno operate anche delle considerazioni con riferimento al terzo motivo di ricorso che richiama la problematica dell'integrazione del requisito di cui all'art. 64,lettera a) l. n. 218/1995, secondo cui, ai fini del riconoscimento, il giudice doveva conoscere della causa secondo i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento italiano, con l'art. 4, comma 1 della stessa legge, in base al quale quando non vi sia giurisdizione ex articolo 3, nondimeno essa sussiste se le parti l'abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto ovvero il convenuto compaia nel processo senza eccepire il difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo. Alla luce di quest'ultima disposizione, in assenza di competenza del giudice italiano ex art. 3 l. 218/1995, la mancata eccezione del difetto di giurisdizione nel primo atto difensivo, includerebbe l'art. 4, comma 1 fra i principi sulla competenza giurisdizionale propri dell'ordinamento giuridico ex art. 64,lettera a) l. n. 218/1995. Tuttavia, anche per questo motivo, l'applicazione della l. n. 218/1995 cede il passo al criterio della residenza abituale del minore contemplato dalla Convenzione dell'Aja, trovando applicazione la legge italiana solo limitatamente alla procedura, in forza di quanto previsto dalla medesima Convenzione. La sentenza della Corte d'Appello, dunque, benché sia conforme a diritto in punto di dispositivo, va corretta nelle motivazioni poiché ha assunto quale base per la decisione, sia pure ravvisandone l'assenza di applicabilità nel caso specifico, la mancata eccezione dell'incompetenza giurisdizionale dinnanzi al giudice straniero. La Convenzione dell'Aja, come è noto, si occupa del riconoscimento e dell'esecuzione, negli Stati contraenti, delle misure di protezione straniere nel Capitolo IV. In particolare, la questione del riconoscimento è regolata dall'art. 23 che sancisce al par. 1 il carattere automatico del medesimo, in assenza di qualsiasi procedura ad hoc, ed enuncia al par. 2 i vari casi in cui esso possa essere rifiutato. Le condizioni che attengono al tradizionale coordinamento in materia di riconoscimento di sentenze straniere sono la lettera a), che richiede che la misura di protezione straniera sia stata assunta da una autorità competente ai sensi dei criteri fissati dalla Convenzione che divengono dunque esclusivi, e la lettera d) che richiama la non contrarietà all'ordine pubblico. La Convenzione regola inoltre le due ipotesi in cui una procedura è invece possibile o addirittura necessaria. La prima ipotesi è quella regolata dall'art. 24, che prevede la possibilità per ogni persona interessata di domandare alle autorità competenti di uno Stato contraente di statuire in via principale sul riconoscimento o meno di una misura di protezione emanata in un altro Stato contraente. L'art. 24 prevede che in tali casi la procedura sia regolata dalla legge dello Stato richiesto. La seconda ipotesi è invece quella regolata dall'art. 26, che rinvia nuovamente alla legge interna dello Stato contraente per la procedura da seguire nei casi in cui una misura di protezione assunta in un altro Stato contraente comporti degli atti d'esecuzione nel primo Stato e divenga dunque oggetto di una istanza di exequatur. In entrambe le ipotesi, le condizioni per procedere rispetto ad una misura di protezione assunta in un altro Stato contraente sono le condizioni relative al riconoscimento previste dall'art. 23, par. 2. La pronuncia in commento richiama uno dei principali problemi del diritto internazionale privato moderno rappresentato dal coordinamento tra fonti. Il rapporto tra la Convenzione dell'Aja del 1996 e la legge 218/1995 va inquadrato in particolare nel modello della nazionalizzazione più che della prevalenza. Nella legge n. 218/1995 infatti l'art 42 dispone che la protezione dei minori sia regolata in ogni caso dalla Convenzione dell'Aja del 1961. La tecnica della nazionalizzazione consente di unificare la disciplina applicabile in una determinata materia eliminando i disagi legati dai diversi presupposti di applicazione di due normative. Tuttavia, tale modello pone problemi nel caso in cui all'atto nazionalizzato se ne sostituisca un altro come è il nostro caso in cui la Convenzione dell'Aja del 1961 è stata sostituita dalla Convenzione del 1996. Sebbene la dottrina sia favorevole a ritenere che il richiamo debba estendersi anche agli atti che hanno sostituito i testi originari, la giurisprudenza, con riguardo alla Convenzione di Bruxelles, si è espressa in senso contrario (ad esempio Cass. civ., sez. un., 4 novembre 2011 n. 22883). La definizione di questo modello è comunque contemplata nell'art. 2 l. 218/1995 ove statuendosi che l'applicazione della stessa legge non pregiudica l'applicazione delle convenzioni internazionali in vigore per l'Italia, menziona la sola fonte internazionale. Va segnalato infatti che l'UE si è occupata di diritto internazionale privato solo in epoca successiva. Va infine sottolineato che nel modello esaminato ed applicato dalle Sezioni Unite non rileva un problema di contrasto, che andrebbe risolto ai sensi dell'art 117 comma 1 Cost., bensì di mero coordinamento tra fonti che disciplinano differentemente alcune categorie di fattispecie. |