L’attività di direzione e coordinamento conseguente all’esercizio del controllo di fatto esterno richiede la prova del vincolo contrattuale

04 Ottobre 2023

Nell’ordinanza in commento la Cassazione esamina i presupposti per la sussistenza di un’attività di direzione e coordinamento di società, con particolare attenzione al relativo onere probatorio e all’esercizio di un controllo di fatto.

Massima

Ai fini dell'esercizio dell'azione di responsabilità nei confronti di soggetti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società, il ricorso al combinato disposto degli artt. 2497-sexies e 2359, comma 1, n. 3, c.c. richiede l'allegazione e la prova di un vincolo contrattuale, il quale non può ritenersi esistente in presenza di un mero vincolo di fatto, scaturente da una dipendenza economica e tecnologica e dall'erogazione del credito a lungo termine a favore delle società asseritamente eterodirette, con affrancamento della necessità del ricorso al finanziamento bancario.

Il caso

Un fallimento conveniva in giudizio una primaria società di telecomunicazioni, i suoi amministratori e sindaci, nonché la società di revisione contabile al fine di ottenere la loro condanna al risarcimento dei danni provocati alla procedura, imputando alla medesima società di aver abusato del potere di direzione e coordinamento, attraverso una gestione contraria ai principi di economicità, efficienza ed efficacia, funzionale al perseguimento di un interesse proprio in danno delle società ritenute eterodirette.

Nel giudizio così promosso intervenivano altri due fallimenti, proponendo a loro volta distinte domande risarcitorie, e si costituivano i convenuti, fatta eccezione per uno di essi, rimasto contumace, i quali, invece, chiedevano il rigetto delle domande proposte nei loro confronti e chiamavano in causa le compagnie assicuratrici, anch'esse successivamente costituite.

Il Tribunale rigettava le domande del fallimento attore e di quelli intervenuti, considerando insussistente l'attività di eterodirezione abusiva da parte della società di telecomunicazioni convenuta e rilevando che dal contratto di fornitura non emergevano specifiche disposizioni contrattuali idonee a generare una situazione di controllo esterno ai sensi dell'art. 2359, 1° comma, n. 3, c.c. ovvero tali da attribuire alla stessa società convenuta il potere di influire sulle attività delle società del gruppo e di indirizzarne le scelte strategiche ai sensi dell'art. 2497 c.c.

Il fallimento attore in primo grado proponeva appello in via principale, mentre gli altri due fallimenti, in precedenza intervenuti, proponevano appello incidentale, al pari di alcuni convenuti (parte dei quali proponeva appello incidentale in via condizionata); la società e le altre parti già costituite in primo grado resistevano, permanendo, invece, la contumacia di uno degli originari convenuti, non costituito anche nel precedente grado.

La Corte d'appello dichiarava la nullità della sentenza impugnata nella parte in cui aveva omesso la pronuncia sulla domanda avanzata a sensi dell'art. 2394 c.c. da uno dei due fallimenti intervenuti in primo grado e tuttavia, esaminata tale domanda, la respingeva nel merito; per il resto, la Corte rigettava l'appello principale e quelli incidentali, considerando assorbiti quelli proposti in via condizionata.

Il fallimento già attore in primo grado e uno dei due fallimenti intervenuti proponevano unitario ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi; la società, alcuni amministratori, la società di revisione e una compagnia assicuratrice proponevano controricorso, i sindaci proponevano controricorso e ricorso incidentale condizionato, articolando quattro motivi, mentre le altre parti non svolgevano attività difensiva.

Per ciò che qui maggiormente rileva, con il secondo motivo di impugnazione i fallimenti ricorrenti denunciavano ai sensi dell'art. 360, n. 3, c.p.c. la violazione o falsa applicazione di legge in relazione gli artt. 2395 e 2497sexies c.c. e, in subordine, ai sensi dell'art. 360, n. 5, c.p.c. l'omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti in relazione alla circostanza che la Corte d'appello avesse ritenuto che gli elementi di fatto dedotti non fossero tali da provare la sussistenza di una fattispecie di controllo di fatto rilevante ai sensi delle norme anzidette, in quanto avrebbero dovuto risultare dal contratto.

Le questioni giuridiche e la soluzione

La questione giuridica di maggior interesse affrontata e decisa dall'ordinanza in commento è rappresentata dalla possibilità di desumere l'esercizio dell'attività di direzione e coordinamento di società in presenza di un controllo di fatto, non conseguente a specifici vincoli contrattuali, quale quello derivante da una dipendenza economica e tecnologica e dall'erogazione del credito a lungo termine a favore delle società asseritamente eterodirette, tale da consentire loro di evitare di far ricorso al finanziamento bancario; si tratta di questione che il provvedimento affronta dopo l'esame e il rigetto delle eccezioni preliminari sollevate dalle parti resistenti – eccezioni di violazione del principio di autosufficienza del ricorso principale, di giudicato e di inammissibilità del medesimo ricorso per conflitto di interessi – nonché dopo il rigetto del primo motivo del ricorso principale, ritenuto inammissibile, riguardante la decisione del giudice di appello di escludere la responsabilità, ai sensi dell'art. 2394 c.c., degli amministratori, dei sindaci e della società di revisione in ragione del mancato raggiungimento della prova del danno conseguente ai comportamenti loro addebitati.

Nella trattazione di tale rilevante questione, il provvedimento in esame muove, innanzitutto, dalla previsione contenuta nell'art. 2497-sexies c.c., secondo cui, com'è noto, si presume, salvo prova contraria, che l'attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o dall'ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci o che comunque le controlla ai sensi dell'art. 2359 c.c.; quindi, richiamate le ipotesi di controllo previste dall'art. 2359 c.c., ritiene che il giudice di appello, nell'escludere la sussistenza, nel caso deciso, delle condizioni per applicare le presunzioni scaturenti dal combinato disposto di dette disposizioni, non sia incorso nella violazione o falsa applicazione di legge denunziata dai ricorrenti. Secondo l'ordinanza in esame, infatti, l'art. 2359, comma 1, n. 3, c.c. esige inequivocabilmente un vincolo contrattuale, la cui esistenza non sarebbe stata assunta nel caso concreto dai ricorrenti, i quali avrebbero invece dedotto un mero vincolo di fatto derivante, appunto, da una dipendenza economica e tecnologica delle società ritenute eterodirette e dall'erogazione a loro favore di credito a lungo termine, con affrancamento della necessità del ricorso al finanziamento bancario.

La Suprema Corte, in particolare, non esclude che l'attività di direzione e coordinamento, esercitata attraverso un controllo esterno, possa sussistere di fatto, anche in casi non riconducibili alle presunzioni di cui al combinato disposto degli artt. 2497-sexies e 2359 c.c.: a tal fine, essa richiama i precedenti di Cass. 11.05.2022, n. 14876, riguardante la disciplina precedente l'introduzione dell'art. 2497 c.c. ad opera del d.lgs. 17.1.2003, n. 6, secondo cui la tutela del ceto creditorio della società eterodiretta, che abbia patito la diminuzione del proprio patrimonio a causa dell'attività di abuso di direzione e coordinamento, poteva passare dall'art. 2043 c.c. e dalla clausola generale del neminem laedere, nonché di Cass. 7.10.2019, n. 24943, secondo cui gli artt. 2497 e ss. c.c. sono norme ispirate al principio di effettività, nel senso che esse devono ritenersi tese a disciplinare la dinamica di un fatto, rappresentato dall'abuso di attività di direzione e coordinamento ottenuto mediante l'esercizio effettivo della corrispondente influenza sulle società assoggettate. Tuttavia, essa precisa che l'accertamento di tale fatto è devoluto al giudice del merito e, quindi, sottratto al sindacato di legittimità e che, comunque, nello specifico, il giudice di merito vi aveva provveduto con ampia motivazione, spiegando le ragioni per le quali gli elementi addotti dal fallimento ricorrente, dedotti tanto singolarmente quanto nel loro complesso, non avrebbero potuto assumere valore probatorio in ordine alla sussistenza di una fattispecie di controllo esterno rilevante ai sensi gli artt. 2359, comma 1, e 2497, comma 1, c.c..

Al tempo stesso, la Corte di Cassazione evidenzia come l'accertamento di fatto in questione, conseguente alla valutazione delle prove, sia sindacabile in sede di legittimità solo per vizio motivazionale, nei ristretti limiti attualmente consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. ossia per omesso esame di un fatto decisivo discusso fra le parti; nel caso concreto, tuttavia, ne esclude l'ammissibilità ai sensi dell'art. 348ter, comma 5, c.p.c., in presenza di una doppia decisione conforme sul punto.

Osservazioni

L'ordinanza in commento merita di essere segnalata per alcuni interessanti spunti in ordine all'attività di direzione e coordinamento di società e alla relativa prova.

Il provvedimento chiarisce, innanzitutto, che nell'ipotesi in cui si intenda dimostrare la sussistenza dell'attività di direzione e coordinamento attraverso il ricorso alle presunzioni di cui al combinato disposto degli artt. 2497-sexies e 2359 c.c. è necessario dar prova dei fatti su cui le stesse presunzioni si fondano; in particolare, qualora si intenda dimostrare tale attività muovendo dalla fattispecie del controllo di fatto esterno prevista dall'art. 2359, comma 1, n. 3, c.c., sarà necessario allegare e provare i «particolari vincoli contrattuali» in virtù dei quali è esercitata l'influenza dominante. Vincoli contrattuali, quelli richiesti da detta ipotesi di controllo, che, da quanto è dato comprendere, non sarebbero stati allegati nel caso deciso.

Di sicuro interesse è anche l'ulteriore affermazione contenuta nel provvedimento in commento, secondo cui non deve escludersi che l'attività di direzione e coordinamento, esercitata anche attraverso un controllo esterno, possa sussistere di fatto, anche in casi non riconducibili alle presunzioni di cui al combinato disposto degli artt. 2497-sexies e 2359 c.c. Sembra così trovare conferma l'opinione secondo cui l'art. 2497-sexies c.c. ammette la possibilità che l'attività di direzione e coordinamento sussista anche al di fuori del controllo codicistico e del consolidamento (cfr. Galgano - Sbisà, Direzione e coordinamento di società, in Commentario Scialoja - Branca, Bologna, 2014, 343; Niutta, Sulla presunzione di esercizio dell'attività di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497-sexies e 2497-septies c.c.: brevi considerazioni di sistema, in Giur. comm., 2004, I, 993; Cariello, Commento agli artt. 2497-sexies e 2497-septies, in Società di capitali, a cura di Niccolini-Stagno d'Alcontres, Napoli, 2004, 1894). Il controllo codicistico e il consolidamento, pertanto, agevolano la prova dell'attività di direzione e coordinamento, ma non esauriscono le ipotesi di un suo effettivo esercizio, la cui sussistenza potrà essere dimostrata con ogni mezzo di prova e, verosimilmente, con il ricorso ad elementi indiziari fondanti un ragionamento presuntivo (per un esame degli elementi indiziari si vedano, tra gli altri, Cariello, op. cit., 1896, Corso, La pubblicità dell'attività di direzione e coordinamento di società, Milano, 2008, 69): scelta probatoria, quest'ultima, quasi imposta dalle difficoltà connesse alla dimostrazione di un'attività non soggetta a particolari forme di estrinsecazione e che, comunque, potrebbe risultare insoddisfacente per chi – come il socio “esterno” o il creditore della società eterodiretta – non sia nelle condizioni di acquisire anche solo informazioni sugli stessi elementi indiziari.

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