Amministratori di fattoFonte: Cod. Civ. Articolo 2392
02 Dicembre 2015
Inquadramento
L'amministratore di fatto è il soggetto che, pur non essendo stato investito formalmente della carica di amministratore della società, svolge in modo continuativo l'attività gestoria ed esercita i poteri relativi alla qualifica o alle funzioni dell'amministratore di diritto. La conseguenza principale del riconoscimento della figura dell'amministratore di fatto consiste nel suo assoggettamento al rispetto dei doveri previsti dall'ordinamento con riferimento all'amministratore di diritto, la cui violazione comporta la configurabilità di una fattispecie di responsabilità, con i conseguenti obblighi risarcitori nei confronti della società, dei soci, dei creditori sociali e del singolo socio o terzo, ai sensi degli articoli, rispettivamente, 2392, 2393-bis, 2394 e 2395 c.c. La responsabilità dell'amministratore di fatto, peraltro, non esclude di per sé quella dell'amministratore di diritto, potendosi riscontrare in capo a quest'ultimo la violazione, autonoma o in concorso, dei generali obblighi di vigilanza e controllo sulla gestione della società. In ambito civilistico, la figura dell'amministratore di fatto è stata elaborata prima in via ermeneutica dalla dottrina e successivamente riconosciuta in via generale anche dalla giurisprudenza. Il tradizionale orientamento formalistico
Tradizionalmente la giurisprudenza civile (cfr. Cass., sentenza n. 6493/1985) ha negato l'ammissibilità della generale figura dell'amministratore di fatto, ammettendone la configurabilità solo nei casi in cui vi fosse stata una investitura formale, ma irregolare, in caso, cioè, di deliberazione di nomina nulla o invalida, o implicita, ove, in quest'ultimo caso, la nomina costituisce un presupposto non espresso, ma indefettibile, di una deliberazione avente un oggetto diverso, come, ad esempio, quella di approvazione del bilancio. Su questa problematica la giurisprudenza civile si discostava dagli approdi a cui era già giunta la giurisprudenza penale che ne riconosceva in via generale l'ammissibilità, indirizzo poi recepito dall'art. 2639 c.c. che letteralmente estende la responsabilità per i reati disciplinati dal titolo XI del libro V del codice civile anche all'amministratore di fatto. Nelle motivazioni della giurisprudenza civile, tuttavia, si puó evincere che la stessa effettuava un'inversione logica, desumendo l'esistenza di un'investitura almeno implicita dal fatto che fosse stata in concreto esercitata l'attività di amministrazione, per concludere, quindi, nel senso del riconoscimento della responsabilità in capo all'amministratore di fatto. In tal modo, quindi, si finiva per ampliare sostanzialmente i casi in cui fosse possibile riconoscere la responsabilità dell'amministratore di fatto (Cassazione, sentenza n. 234/1984). Le ipotesi in cui era esclusa la configurabilità dell'amministrazione di fatto, non riconoscendosi nemmeno una implicita investitura del soggetto, erano essenzialmente quelli in cui in concreto l'attività svolta fosse stata di esigua importanza: in tali ipotesi rimaneva solo l'applicabilità della generale responsabilità aquiliana ex art. 2043 c.c. La giurisprudenza di merito, a partire dalla prima metà degli anni ‘90 (ad esempio, Corte d'Appello di Milano, sentenza del 9 dicembre 1994: la qualifica di amministratore di fatto è attribuibile anche a prescindere da una investitura formale, sol che si verifichi una effettiva ingerenza nell'attività gestoria della società controllata che si protragga per un rilevante arco di tempo e che si manifesti attraverso il ripetuto compimento di atti tipici dell'amministratore), e, poi, quella di legittimità, hanno riconosciuto la generale configurabilità della figura dell'amministratore di fatto, anche in assenza di una investitura irregolare o implicita.
La nuova impostazione accolta dalla giurisprudenza, pertanto, individua l'area di applicabilità della responsabilità degli amministratori, così come disciplinata dagli artt. 2392 c.c. e ss., facendo riferimento non alla qualifica formale del soggetto ma all'attività oggettivamente posta in essere, tanto da poter ridefinire la responsabilità stessa in termini funzionali come “responsabilità per l'amministrazione della società”. La figura dell'amministratore di fatto, pertanto, prescinde dall'esistenza di una qualsiasi investitura formale del soggetto e puó essere inserita nell'ambito della più ampia categoria dei rapporti contrattuali di fatto, nei quali i relativi obblighi non discendono da un atto giuridico formale ma dalla concreta situazione realizzata, rientrante tra “gli altri atti o fatti idonei a produrre obbligazioni secondo l'ordinamento giuridico”, ai sensi dell'art. 1173 c.c. che elenca le fonti del rapporto obbligatorio. I requisiti per desumere la sussistenza di un amministratore di fatto
Una volta riconosciuta l'ammissibilità in via generale della figura dell'amministratore di fatto, la giurisprudenza si è impegnata nello stabilire quali siano gli elementi caratterizzanti la fattispecie e li ha individuati, in primo luogo, nell'assenza originaria o sopravvenuta di una investitura formale del soggetto; in secondo luogo, nell'esercizio di funzioni riservate alla competenza dell'amministratore di diritto; in terzo luogo, nella sua autonomia decisionale, la quale non deve necessariamente essere surrogatoria rispetto a quella dell'amministratore di diritto e, infine, nel fatto che le funzioni gestorie svolte in via di fatto abbiano carattere sistematico e continuativo e non si esauriscano, quindi, nel compimento di solo alcuni atti di natura eterogenea e occasionale (Cassazione, sentenza n. 9795/1999; Tribunale di Roma, sentenza n. 12474/2015) e sempre che detto esercizio non sia giustificabile in base ad un rapporto lavorativo subordinato e/o autonomo con la società, per cui l'interessato verta in una posizione di subordinazione o soggiaccia a poteri di direttiva dell'amministratore di diritto (Tribunale di Napoli, sentenza del 5 agosto 2015).
Peraltro, in talune ipotesi, è possibile che la figura dell'amministratore di fatto sia ritenuta sussistente, pur in assenza dell'elemento della sistematicità dell'attività di gestione quando siano compiuti anche singoli atti gestori ma di assoluta rilevanza per la vita dell'impresa, i quali, pertanto, ancorché occasionali, possono giustificarsi soltanto in virtù di un effettivo inserimento del soggetto nella gestione (Cassazione, sentenza n. 2952/2015).
La figura dell'amministratore di fatto è da tenere distinta da quella dell'amministratore occulto o indiretto, il quale gestisce la società per il tramite degli amministratori di diritto, e, quindi, appunto, indirettamente. Si distingue, infine, dall'istituto in esame, pur presentando delle analogie, la gestione di affari altrui, ex art. 2028 c.c., in cui un soggetto indipendentemente dall'investitura formale della carica di amministratore, è soggetto agli obblighi relativi previsti dalla legge per averne esercitato di fatto l'attività (Cassazione, sentenza n. 1925/1999). Questa fattispecie, tuttavia, potrebbe effettivamente configurarsi nei soli casi in cui il gestore sia estraneo alla compagine societaria e abbia operato in effettiva assenza della figura dell'amministratore, potendosi solo in tal caso ritenere sussistente il requisito dell'absentia domini, necessario per l'integrazione della gestione di affari altrui, ancorché, a differenza della fattispecie dell'amministrazione di fatto, possa trattarsi di ingerenze meramente episodiche (Abriani, Dalle nebbie della finzione al nitore della realtà: una svolta nell'amministrazione civile in tema di amministratore di fatto, in Giur. Comm., 2000, 3, 167).
La giurisprudenza anche più recente ha confermato gli approdi giurisprudenziali a cui sono giunte le Corti di merito e di legittimità fino al 2015.
Le conseguenze applicative
La qualificazione del soggetto alla stregua di amministratore di fatto determina la sottoposizione dello stesso alle norme civilistiche fondanti la responsabilità degli amministratori di diritto, di cui agli artt. 2392 e ss. c.c. La responsabilità dell'amministratore di fatto, peraltro, non esclude quella dell'amministratore di diritto, il quale rimane titolare dell'obbligo di diligente gestione che comprende anche quello di vigilanza sull'operato dell'amministratore di fatto.
Nel caso in cui, invece, il soggetto non sia qualificabile come amministratore di fatto, non sussistendo tutte le caratteristiche concrete necessarie all'integrazione della figura stessa, potrà comunque configurarsi in capo allo stesso una responsabilità extracontrattuale, ex art. 2043 c.c., ad esempio per il compimento di singoli atti di illegittima interferenza nella gestione dell'ente, al ricorrere di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie.
Alcune ipotesi applicative e di figure limitrofe
Dall'analisi della casistica giurisprudenziale è possibile osservare che l'istituto in esame ha trovato applicazione in particolare nelle società di piccole dimensioni, spesso a carattere familiare, nelle quali la figura dell'amministratore di fatto viene assunta dal socio di maggioranza. L'amministrazione di fattoin questi contesti puó consistere sia in direttive impartite informalmente agli amministratori di diritto e da questi ultimi rispettate, sia nell'intervento diretto nella gestione della società, spesso preceduto dal rilascio di procure generali da parte dell'amministratore di diritto a favore di quello di fatto.
Ulteriore fattispecie in cui puó ravvisarsi un'ipotesi di responsabilità dell'amministratore di fatto è quella espressamente prevista dall'art. 2476, settimo comma, c.c., in materia di s.r.l. che estende la responsabilità degli amministratori anche ai soci che abbiano intenzionatamente deciso o autorizzato il compimento di atti dannosi per la società, i soci o i terzi, potendo essere qualificati, così, i soci stessi alla stregua di gestori di fatto. In questo caso è necessario che il socio o abbia posto in essere l'atto intenzionalmente e concorrendo con l'operazione realizzata dagli amministratori, oppure, abbia autorizzato l'operazione, avendone i poteri, senza tuttavia partecipare alla stessa. La responsabilità del socio-gestore, nell'ipotesi in esame, rientra nell'ambito della responsabilità extracontrattuale, ai sensi dell'art. 2043 c.c., di cui l'art. 2476 c.c. è, infatti, una specificazione e, secondo alcuni autori, puó trovare applicazione anche nei confronti della s.p.a. nel caso in cui la società sia una sorta di longa manus del socio (V. Meli, La responsabilità dei soci nelle s.r.l., in Abbadessa-Portale (diretto da), Il nuovo diritto delle società, Liber amicorum Gianfranco Campobasso, III, Torino, 2006, 684).
Infine, è opportuno rilevare che la recente giurisprudenza, nel riconoscere la possibilità che una società di capitali sia amministratrice di diritto di altra società, ha escluso che la stessa possa essere qualificata alla stregua di amministratrice di fatto di una società, pervenendo così a una conclusione non condivisa da una parte della dottrina (G. Pescatore, Prossima fermata: persona giuridica amministratore di fatto, in Giur. Comm., fascicolo 4, 2014, p. 647).
Un'ulteriore ipotesi applicativa della responsabilità dell'amministratore di fatto è quella che la giurisprudenza di merito e di legittimità hanno individuato nel contesto della responsabilità da attività di direzione e coordinamento, ex art. 2497 c.c. I giudici, in particolare, hanno chiarito che l'attività di direzione e coordinamento e, di conseguenza, la relativa responsabilità in caso di violazione dei principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società eterodirette, non esclude l'applicabilità della disciplina relativa all'amministratore di fatto, qualora la persona fisica si sia comportata in concreto come se fosse l'amministratore della società controllata. Tale evenienza, infatti, non puó escludersi solo perché vengano apparentemente utilizzati strumenti propri della direzione unitaria da parte della società controllante.
Questo orientamento è stato recentemente confermato anche dal Tribunale di Milano (ordinanza del 20 febbraio 2015) che ha sottolineato, infatti, la configurabilità in concreto della figura dell'amministratore di fatto anche nel caso in cui sussista un'attività di direzione e coordinamento, non essendo, dunque, le due fattispecie incompatibili. La prima, in particolare, puó considerarsi integrata quando l'attività gestoria sia svolta da una o più persone fisiche qualificabili alla stregua di amministratori di fatto, comportando l'applicazione delle disposizioni sulla responsabilità degli amministratori di diritto, di cui agli artt. 2392 e ss. c.c. L'attività di direzione e coordinamento, invece, sussiste quando la holding eserciti un'attività di direzione unitaria della controllata, con conseguente applicazione della disciplina di cui agli artt. 2497 e ss. c.c., senza imputare direttamente alla holding stessa l'attività posta in essere che resta, infatti, imputata alla società controllata. Conclusioni
La figura dell'amministratore di fatto rientra nell'ambito delle fattispecie di obbligazioni che sorgono dalla sussistenza di situazioni di fatto indipendentemente dalla volontà negoziale delle parti, di cui all'art. 1173 c.c. (ogni altro atto o fatto idoneo a produrre obbligazioni in conformità dell'ordinamento giuridico), ed il riconoscimento in via generale della stessa ha consentito, da un lato, di rafforzare l'obbligo avente ad oggetto il rispetto delle regole che delineano la struttura organizzativa delle società e, dall'altro, qualora queste siano in concreto violate, di evitare la possibilità di eludere gli obblighi di corretta amministrazione della società attraverso l'esercizio della stessa in via di fatto da parte di soggetti non formalmente legittimati a rivestirne la carica. Gli approdi della giurisprudenza italiana sono, d'altra parte, in linea con quelli dei principali ordinamenti stranieri europei ed extraeuropei. Grazie all'attuale interpretazione, si delineano i confini della responsabilità degli amministratori di società come legati e dipendenti non più esclusivamente dalla carica rivestita dal soggetto, ma, piuttosto, dall'esercizio dell'attività amministrativa a cui la legge di per sé collega peculiari obblighi di diligenza e corretta gestione. Trattandosi di un istituto che si delinea in via di fatto è centrale il ruolo dell'interprete che di volta in vota dovrà valutare se la fattispecie concreta abbia le caratteristiche proprie dell'istituto stesso, estendendone, eventualmente, l'applicazione, così come è avvenuto nel caso della responsabilità da esercizio di attività di direzione e coordinamento, di cui all'art. 2497 c.c. Riferimenti
Normativi
Bibliografia
Giurisprudenza
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