La sindrome depressiva non grave del figlio maggiorenne non comporta automaticamente l'obbligo di mantenimento

05 Ottobre 2023

Il figlio maggiorenne che soffre di sindrome depressiva definita come handicap non grave ha diritto al mantenimento?

Il figlio maggiorenne senza una occupazione lavorativa stabile, dipendente economicamente dai genitori divorziati ed affetto da una patologia di tipo depressivo che non integra la condizione di grave handicap, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso.

Massima

Il figlio maggiorenne senza una occupazione lavorativa stabile, dipendente economicamente dai genitori divorziati ed affetto da una patologia di tipo depressivo che non integra la condizione di grave handicap, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso.

Il caso

Il Tribunale di Tivoli, adito da Tizio in sede di modifica delle condizioni di divorzio, revocava l'assegno di € 500 posto a carico di quest'ultimo per il mantenimento del figlio maggiorenne Sempronio, ancora convivente con la madre.

Tale decisione era riformata dalla Corte d'Appello di Roma che non condivideva i rilievi dei giudici di primo grado, ovvero che Sempronio avesse maturato una significativa esperienza lavorativa ed adeguate capacità reddituali.

Le condizioni psicopatologiche di Sempronio, inoltre, erano documentate e avevano comportato la sua presa in carico riabilitativa da parte del servizio di salute mentale della ASL rendendo più difficile la sua ricerca e lo svolgimento di un'attività lavorativa.

Tizio ha proposto così ricorso per cassazione, articolando due motivi.

La questione

Il figlio maggiorenne che soffre di sindrome depressiva definita come handicap non grave ha diritto al mantenimento?

Le soluzioni giuridiche

Il Supremo Collegio ha cassato con rinvio il decreto impugnato, rimettendo la causa alla decisione della Corte d'Appello di Roma in diversa composizione.

In particolare, con il primo motivo il ricorrente lamenta la mancata valutazione delle seguenti circostanze:

- l'età di Sempronio, prossimo ai 30 anni;

- le dimissioni volontarie rassegnate dal figlio;

- l'assoluta inerzia di quest'ultimo nella ricerca di un nuovo lavoro.

Con il secondo motivo – ritenuto fondato – Tizio evidenzia che la sussistenza delle patologie del figlio idonee a ridurre temporaneamente la capacità di lavoro può trovare sussidio in appositi strumenti pubblici di sostegno e/o nell'obbligazione alimentare.

La fondatezza del motivo è data dal richiamato principio di diritto enunciato più volte dalla Corte di Cassazione per cui il “figlio di genitori divorziati, che abbia ampiamente superato la maggiore età, e non abbia reperito, pur spendendo il conseguito titolo professionale sul mercato del lavoro, una occupazione lavorativa stabile o che, comunque, lo remuneri in misura tale da renderlo economicamente autosufficiente, non può soddisfare l'esigenza ad una vita dignitosa, alla cui realizzazione ogni giovane adulto deve aspirare, mediante l'attuazione dell'obbligo di mantenimento del genitore, bensì attraverso i diversi strumenti di ausilio, ormai di dimensione sociale, che sono finalizzati ad assicurare sostegno al reddito, ferma restando l'obbligazione alimentare da azionarsi nell'ambito familiare per supplire ad ogni più essenziale esigenza di vita dell'individuo bisognoso” (v. Cass. civ., n. 29264/2022; Cass. civ., n. 38366/2021).

Il figlio maggiorenne, infatti, “ha diritto al mantenimento a carico dei genitori soltanto se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni” (v. Cass. civ., n. 27904/2021; Cass. civ., n. 17183/2020).

Nel caso in questione, Sempronio – più che maggiorenne – era affetto da una patologia di tipo depressivo che non integrava la condizione di grave handicap per cui non poteva configurarsi automaticamente l'obbligo di mantenimento.

In conclusione, il secondo motivo era accolto ed il primo era assorbito con conseguente rinvio della causa alla Corte d'Appello di Roma per un nuovo esame della vicenda.

Osservazioni

Per prima cosa pare opportuno rammentare come il diritto al mantenimento dei figli maggiorenni in precedenza non avesse alcun riferimento normativo, bensì costituiva il risultato dell'interpretazione degli artt. 147 e 148 c.c., alla luce dell'art. 30 della Costituzione. La riforma introdotta con la l. n. 54/2006 ha confermato il principio già condiviso dalla dottrina dell'equiparazione della posizione del figlio maggiorenne che, non per sua colpa, sia ancora economicamente dipendente dai genitori a quella del figlio minore (v. Fortino, Diritto di famiglia. I valori, i principi, le regole, Milano, 1997; A. Finocchiaro-M. Finocchiaro, Matrimonio, cit., 395; Patti, Diritto al mantenimento e prestazione di lavoro nella riforma del diritto di famiglia, in Dir. famiglia, 1977).

Anche la giurisprudenza è conforme in tal senso prevedendo che l'obbligo di mantenere i figli “non viene meno con carattere di automaticità quando costoro abbiano raggiunto la maggiore età, ma è destinato a protrarsi oltre là dove i figli, senza colpa, siano ancora dipendenti dai genitori” (v. Cass. civ., n. 17380/2020; Cass. civ., n. 32529/2018).

Nel caso in cui il genitore voglia contestare la sussistenza del proprio obbligo di mantenimento è tenuto a fornire la prova che ciò dipenda da una condotta colpevole del figlio, che persista in un atteggiamento di inerzia nella ricerca di un lavoro compatibile con le sue inclinazioni e/o rifiuti le occasioni offerte (v. Cass. civ., n. 951/2005; Liuzzi, Mantenimento dei figli maggiorenni, onere probatorio e limiti temporali, Famiglia e dir., 2005) anche se non bisogna dimenticare che il figlio divenuto maggiorenne ha diritto al mantenimento “se, ultimato il prescelto percorso formativo scolastico, dimostri, con conseguente onere probatorio a suo carico, di essersi adoperato effettivamente per rendersi autonomo economicamente, impegnandosi attivamente per trovare un'occupazione in base alle opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, se del caso ridimensionando le proprie aspirazioni, senza indugiare nell'attesa di una opportunità lavorativa consona alle proprie ambizioni” (v. Cass. civ., n. 27904/2021).

Di fondamentale rilievo, dunque, il decorso del tempo, poiché più tempo passa e più il figlio “deve rendersi conto che le proprie aspettative occupazionali sono forse troppo alte rispetto alla realtà o che comunque si trova in un contesto economico-sociale in cui il mercato del lavoro richiede un adattamento delle aspirazioni iniziali, sicché l'impegno a ricercare, e ad accettare, occupazioni lavorative anche diverse da quelle rispondenti alle originarie aspirazioni assume rilievo sempre più pregnante con il passare degli anni” (v. Cass. civ., n. 22076/2022).

Occorre precisare poi che la valutazione delle circostanze che giustificano il permanere dell'obbligo dei genitori di provvedere a mantenimento dei figli maggiorenni, conviventi o no con i genitori o con uno di essi, deve essere effettuata dal giudice di merito caso per caso (v. Cass. civ., n. 12952/2016).

Giova precisare, infine, che il diritto al mantenimento non va confuso con l'obbligo alimentare di cui all'art. 433 c.c.: il primo concerne qualsiasi esigenza di vita, anche quelle che prescindono da uno stato di bisogno, mentre l'obbligo alimentare è limitato alle esigenze strettamente necessarie alla sopravvivenza. Dal punto di vista della legittimazione, però, l'art. 433 c.c. individua molteplici soggetti obbligati, e non è limitato alla sola famiglia «nucleare». (v. Gazzoni, Manuale di diritto privato, Napoli, 2006).

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