Condominio e locazione

Perimento dell'edificio

22 Settembre 2017

In ordine al perimento dell'edificio, non si registrano molte pronunce della giurisprudenza e particolari attenzioni della dottrina, l'argomento ha acquistato una nuova linfa alla luce dei recenti fenomeni sismici; la fattispecie de qua si rivela laddove, a causa di eventi accidentali, l'immobile in regime di condominio subisce un crollo, nella totalità delle sue strutture o in una parte di esse, più o meno quantitativamente rilevante, e, in conseguenza di ciò, si attiva una particolare regolamentazione dei diritti dei comproprietari sui beni superstiti; in quest'ottica, si analizzano le diverse ipotesi di perimento parziale e totale dello stabile, nonché i diritti ed i doveri, anche sul versante economico, che da questo evento nascono in capo ai condomini.
Inquadramento

La fattispecie è regolata dall'art. 1128 c.c. - risultato invariato anche a seguito della l. n. 220/2012 - il quale testualmente dispone:

«1. Se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato diversamente convenuto.

2. Nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse.

3. L'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste.

4. Il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini».

Va sùbito evidenziato che, affinché possa operare la disciplina prevista dall'art. 1128 c.c., regolamentante la suddetta fattispecie, il crollo dell'edificio deve esser originato da cause non volontarie, ossia indipendenti dal comportamento dei partecipanti al condominio: infatti, la norma de qua non si applica a tutte le ipotesi di demolizione che sono poste in essere intenzionalmente - con lo scopo, ad esempio, di effettuare una successiva ricostruzione per migliorare lo stabile ed accrescerne il rendimento - ma solo per eventi oggettivi, come, ad esempio, dovuti a vetustà, terremoto, incendio, scoppio, ecc. (con particolare riguardo al concetto di vetustà dell'edificio, v. Cass. civ., sez. II, 28 giugno 1980, n. 4102; Cass. civ., sez. II, 6 giugno 1974, n. 1663; Cass. civ., sez. II, 17 aprile 1973, n. 1095, precisando che, tra gli artt. 1120 e 1128 c.c., concernenti, rispettivamente, le innovazioni e la ricostruzione dell'edificio in caso di perimento, non esiste alcun collegamento, sicché non si può applicare la disciplina dettata da una delle due norme alla situazione ipotizzata dall'altra; tra le pronunce di merito, v. App. Napoli 13 dicembre 1976).

Le cause del crollo del fabbricato

Dunque, quello che rileva, al fine dell'operatività della norma codicistica, è la ragione che ha determinato la distruzione (totale o parziale) dell'immobile: se tale ragione è individuabile in un evento accidentale, l'art. 1128 c.c. può applicarsi anche se, di fatto, si è intervenuti con una (più o meno integrale) demolizione volontaria, non di rado attuata per evitare maggiori pericoli o danni.

Ci si è chiesti se l'art. 1128 potesse applicarsi anche in caso di crollo dovuto a circostanze di guerra.

La risposta è stata sostanzialmente positiva, precisando, però, che, se sia applicabile la normativa speciale per la ricostruzione, quest'ultima prevale sulla norma codicistica, la quale va reputata incompatibile, specie laddove si prevede che anche un solo condomino possa eseguire legittimamente lavori «nell'interesse del condominio» e, quindi, ottenere i contributi statali per la ricostruzione di edifici destinati ad abitazione, distrutti o danneggiati a causa di eventi bellici, in deroga alla disciplina codicistica che contempla una delibera assembleare (Cass. civ., sez. II, 28 aprile 1956, n. 1340; nella magistratura di merito, v. Trib. Napoli, 16 marzo 1948, secondo cui il diritto di ciascun condomino di richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali deve escludersi, per effetto del d.l. 10 aprile 1947, n. 261, qualora il suolo dell'edificio distrutto per eventi bellici venga compreso fra le aree necessarie per la ricostruzione dell'aggregato urbano).

Pertanto, la legislazione speciale opera solo quando si segua la procedura per ottenere il contributo statale o per l'attuazione del piano di ricostruzione, mentre, se sia stata convocata l'assemblea per deliberare ai sensi dell'art. 1128 c.c., si applicheranno le norme del codice civile (v., altresì, Cass. civ., sez. II, 3 agosto 1964, n. 2209; Cass. civ., sez. II, 11 maggio 1952, n. 1155).

Nella medesima prospettiva, la demolizione parziale dell'immobile cagionata da un provvedimento di espropriazione per pubblica utilità da parte della Pubblica Amministrazione esula dall'àmbito di applicazione della norma codicistica, non potendo essere assimilata al perimento parziale dell'edificio (Cass. civ., sez. I, 19 settembre 1968, n. 2964).

Qualora, infine, il perimento dell'edificio sia imputabile al fatto illecito del terzo, potrebbe essere chiesto il risarcimento in forma specifica consistente nella ricostruzione dell'edificio, che, però, non è conciliabile con il diritto di ciascun condomino di chiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali (secondo la dottrina, il conflitto dovrebbe risolversi in favore della ricostruzione, poiché vi sarebbe comunque la possibilità, con la condanna del terzo, di ricostituzione del condominio e prevarrebbe il favor verso di esso).

In evidenza

L'art. 1128 c.c., nel regolare le conseguenze del perimento dell'edificio in condominio, prende in esame due differenti ipotesi che possono essere così schematizzate: da un lato, il perimento totale dell'edificio, o di una parte di esso che rappresenti almeno i tre quarti del valore dell'intero immobile, e, dall'altro, il perimento di parte dell'edificio avente un valore inferiore a tale soglia; tali ipotesi vanno esaminate partitamente in ragione delle diverse conseguenze giuridiche previste dalla norma in esame, evidenziando, sin d'ora, un trend verso un equo bilanciamento tra il favor alla ricostruzione dell'edificio e la tutela della posizione dei condomini dissenzienti.

Il perimento totale dell'edificio

Nel caso di perimento totale dell'edificio, o di una parte di esso il cui valore non sia inferiore ai tre quarti del totale - ipotesi equiparate dal codice civile quanto agli effetti - ad ogni condomino è attribuito il diritto di chiedere la vendita all'asta del suolo (comune) e dei materiali generati dal perimento, fatta salva l'eventuale presenza di un titolo contrario che, in esplicazione dell'autonomia contrattuale riconosciuta dall'ordinamento, abbia preventivamente regolato le conseguenze di un eventuale crollo dello stabile.

In applicazione dei principi generali, il titolo contrario potrebbe consistere sia in una convenzione ad hoc, sia in un regolamento condominiale, di origine contrattuale esterna o approvato all'unanimità dei partecipanti, che disciplini, in una delle sue clausole, l'ipotesi del perimento e della successiva ricostruzione (ad avviso di una parte della dottrina, invece, la deroga varrebbe anche nell'ipotesi di regolamento non approvato all'unanimità, almeno per i condomini che l'hanno approvato).

La suddetta eventuale regolamentazione pattizia potrebbe alternativamente disporre sia l'obbligatorietà della ricostruzione dell'edificio, sia diverse modalità di vendita (per esempio, vendita a trattativa privata), sia l'obbligatorietà della divisione, sia diritti di prelazione a favore di taluno dei compartecipanti, o quant'altro ritenuto lecito convenire contrattualmente.

A questo punto, ci è posta la questione, nel caso si verifichi il perimento totale o parziale dell'edificio, se si registra una «reviviscenza» del condominio oppure opera il regime della comunione.

La risposta è articolata e presuppone un'analisi delle singole fattispecie.

La conseguenza del perimento totale dell'edificio è che il condominio viene meno, estinguendosi per mancanza del suo oggetto, e parimenti vengono meno anche i diritti reali esclusivi sulle singole porzioni immobiliari nonché il rapporto di servizio tra le parti comuni e le porzioni di proprietà esclusiva, non più esistenti: è evidente che, in tanto può sussistere un regime di condominio, in quanto sussista una relazione di accessorietà o strumentalità tra parti comuni e unità immobiliari esclusive.

Per effetto del crollo, residua e sopravvive soltanto un regime di comunione pro indiviso tra gli ex condomini sull'area e sui materiali di risulta, in ragione dell'entità della quota a ciascuno di essi appartenente sull'edificio distrutto (nella giurisprudenza di merito, si segnala App. Firenze 18 giugno 1960).

Va, tuttavia, registrata una valutazione parzialmente differente della fattispecie, la quale pone l'attenzione sull'influenza spiegata, nella situazione conseguente al perimento, dall'antecedente situazione di condominialità (Cass. civ., sez. II, 5 marzo 1979, n. 1375, ad avviso della quale la situazione giuridica degli ex condomini, nei rapporti fra loro e riguardo al suolo condominiale ed ai materiali di risulta, è condizionata dal preesistente diritto di proprietà condominiale, suscettibile di reviviscenza ove l'edificio venga ricostruito).

Dunque, dal venir meno del condominio discende conseguentemente l'inapplicabilità (sull'area e sui materiali di risulta) di tutta la relativa normativa (artt. 1117 ss. c.c.) e l'attrazione della situazione giuridica nell'àmbito della disciplina della comunione ordinaria (artt. 1110 ss. c.c.): in altri termini, l'area di risulta ed i materiali cadono in comunione ordinaria tra i comproprietari (già condomini) e qualsiasi operazione gestionale va compiuta applicando le relative norme.

Nel caso, invece, di perimento parziale - v. appresso - il condominio persiste, seppur in parte, relativamente alle strutture sopravvissute, e qualsiasi decisione riguardo alla loro gestione rimane di integrale competenza dell'assemblea condominiale.

Il comma 1 dell'art. 1128 c.c. pone una regolamentazione delle conseguenze del perimento totale (o di parte rilevante) dell'edificio in condominio, sostanzialmente, su tre piani concorrenti: in primo luogo, attribuisce a ciascun condomino la facoltà di chiedere la vendita all'asta dell'area e dei materiali di risulta; inoltre, impedisce, specularmente all'attribuzione di cui sopra, l'esercizio del diritto di chiedere la divisione dell'area e dei materiali (come previsto, invece, in via generale per ogni situazione di comunione ordinaria, dall'art. 1111 c.c.); consente, infine, ad un titolo contrario, vale a dire ad una convenzione stipulata dall'unanimità dei condomini, di regolare diversamente gli esiti del perimento.

La ratio di tale impostazione deriva, probabilmente, dalla considerazione dei maggiori vantaggi che i condomini riceverebbero da una vendita all'asta dell'intero: quest'ultima (e non la divisione in natura) costituisce, dunque, l'esito principale al quale la norma intende far confluire la regolamentazione dei diritti dei condomini (secondo alcuni, la divisione è esclusa perché i materiali sono l'avanzo di cose che erano in parte proprietà comune ed in parte esclusiva dei condomini, mentre ad avviso di altri la ragione della vendita all'asta va rinvenuta nella considerazione dell'aggravio economico della ricostruzione, ciò che non accade, invece, per le rovine inferiori ai tre quarti).

Qualora la parte residua, ossia inferiore ai tre quarti, consenta il permanere del condominio, continuando a sussistere parti comuni e porzioni esclusive - ad esempio, per il crollo solo di alcuni piani - appare ragionevole escludere il diritto del condomino a far vendere all'asta il suolo ed i materiali anche di tali parti, essendo contraddittorio costringere ad una vendita all'asta della parte residua, che è ancora utilizzabile, senza contare che la norma parla soltanto di vendita del suolo e dei materiali (aggiungendo che, delle parti comuni, continuerebbero ad essere condomini anche i proprietari delle parti crollate, ma essi non dovrebbero essere obbligati alla ricostruzione, e anzi potrebbero richiedere la vendita delle macerie ed eventualmente del suolo non occupato della parte rimasta).

Va precisato, però, che, nel caso in cui l'area, ove era edificato il condominio, sia oggetto di una riserva di proprietà a favore di un singolo soggetto, tale vendita all'asta potrebbe riguardare solo i materiali di risulta, restando l'area di edificazione in proprietà esclusiva del soggetto riservatario (svincolata, in conseguenza del crollo, dal vincolo di pertinenza a servizio delle unità immobiliari esclusive).

Gli stessi condomini, ovviamente, possono partecipare all'asta in veste di acquirenti; una volta effettuata la vendita all'asta, il ricavato dovrà essere diviso in ragione delle singole proprietà, pur distrutte, e non della differenza tra i rispettivi relitti.

L'esercizio del diritto di chiedere la vendita all'asta dei materiali, inoltre, costituendo facoltà rientrante nella sfera giuridica esclusiva del singolo, ed importando lo scioglimento della comunione, esorbita dalle competenze dell'amministratore e deve essere attuato autonomamente dall'ex condomino (Trib. Napoli 20 febbraio 1948); tale diritto non dovrebbe venir meno per il mancato esercizio, essendo il condominio cessato e sussistendo soltanto una comunione particolare (di contrario avviso una parte della dottrina, secondo la quale, permanendo il condominio, se nessuno dei condomini esercitasse il diritto de quo, vi sarebbe rinuncia tacita ad esso, ed i condomini sarebbero obbligati a ricostruire o a cedere i loro diritti).

Resta inteso che, a seguito dell'omissione per un tempo ragionevole, ogni condomino potrebbe ricostruire l'intero stabile o, quantomeno, della parte di sua proprietà esclusiva unitamente a quelle comuni o di proprietà degli altri condomini, se ciò risultasse necessario per il godimento di essa.

Dunque, il diritto di chiedere la vendita all'asta (del suolo e dei materiali) è derogabile convenzionalmente e può essere del tutto impedito, nel senso che sussiste sempre che non sia stato diversamente pattuito.

Il diritto di invocare la vendita all'asta del suolo e dei materiali è attribuito a ciascun singolo condomino ed è esercitato direttamente mediante richiesta all'autorità giudiziaria - essendo competente territorialmente il giudice del luogo dove si trovava l'immobile perito - senza bisogno di collaborazione o consenso da parte dei restanti condomini, ed addirittura anche in opposizione ad essi (trattandosi pur sempre di uno scioglimento forzoso della comunione dei beni, troveranno applicazione gli artt. 784 ss. c.p.c.); e ciò diversamente per quanto riguarda la divisione di tali beni (area e materiali), la quale può essere attuata solo a condizione che sia raggiunta l'unanimità dei consensi.

La fattispecie di divisione consensuale dell'area e dei materiali risultanti dal perimento dell'edificio condominiale non si distingue, infatti, dall'ordinaria ipotesi di divisione dei beni in comunione, la quale, a norma degli artt. 1111 ss. c.c., può avvenire, appunto, solo con il consenso di tutti i comproprietari; la particolarità dell'ipotesi de qua risiede nel solo fatto che la divisione non è più un diritto attribuito a ciascun comunista ex art. 1111, comma 1, c.c., persistendo, per il resto, la medesima disciplina (per una peculiare fattispecie, v. Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 1979, n. 506).

Va, incidentalmente, osservato che la facoltà di chiedere la vendita all'incanto è già prevista, sebbene come alternativa, nella disciplina della divisione (art. 720, ultima parte, c.c.); in conseguenza di ciò, la divisione consensuale può essere effettuata sia in natura ai sensi dell'art. 1114 c.c., sia, nel caso di immobili non divisibili, con attribuzione dell'intero ed addebito dell'eccedenza ex art. 720 c.c., applicabile in forza del richiamo di cui all'art. 1116 c.c. (Cass. civ., sez. II, 19 gennaio 1994, n. 446).

Il perimento di parte non rilevante dell'edificio

Qualora il perimento dell'edificio interessi una parte non rilevante dello stesso (di valore inferiore ai tre quarti del totale), l'assemblea, nel rispetto dell'ordinario procedimento di formazione della volontà condominiale ed adempiendo alle formalità cronologicamente ordinate - convocazione, discussione, votazione, verbalizzazione, comunicazione del verbale - può deliberare la ricostruzione del condominio.

In questo caso, il condominio non cessa di esistere, come nell'ipotesi di perimento totale, nella quale si configura esclusivamente una comunione ordinaria pro indiviso sull'area - v. supra - ma si concentra sulle strutture sopravvissute; del resto, se residua una parte dell'edificio, trattandosi di alcune cose comuni e, seppur parzialmente, di alcune proprietà individuali, rispetto a tale parte permane il condominio ed i titolari delle cose comuni continuano ad essere anche i proprietari della parte distrutta.

Sopravvivendo il condominio, seppur ristretto ad un complesso di porzioni immobiliari di inferiore consistenza, l'assemblea condominiale conserva la sua competenza sulla gestione dei beni ed impianti comuni e, di conseguenza, è in grado di deliberare validamente sulla ricostruzione delle parti comuni.

Anche in tale ipotesi, tuttavia, lo strumento maggioritario non può incidere sui diritti esclusivi dei singoli e, pertanto, nessuna delibera vincolante può essere presa in ordine alla ricostruzione delle parti esclusive, la quale può essere effettuata solo spontaneamente, ed in conformità alla precedente estensione e conformazione della porzione di piano perita, da parte del singolo proprietario esclusivo, nonché a tutta sua cura e spese (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1955, n. 3102, la quale, peraltro, sostiene che un eventuale obbligo di ricostruzione in capo al singolo condomino è difficilmente giustificabile, atteso che l'obbligatorietà della ricostruzione deliberata dall'assemblea riguarda, di norma, solo le parti comuni dell'edificio, ed importa per il condomino l'obbligo di ricostruire anche il proprio appartamento solo se, in mancanza, si rendesse impossibile la riedificazione delle suddette parti comuni).

Insoluto è il problema se esista o meno un obbligo alla ricostruzione a carico dell'assemblea.

La giurisprudenza, in alcune remote pronunce, ha ravvisato la sussistenza di tale obbligo a carico dell'organo gestorio: infatti, qualora il perimento di un edificio non raggiunga i tre quarti del suo valore, ciascun condomino può esigere che le parti comuni crollate siano ricostruite e, in tal caso, l'assemblea, anche se in essa si rinvenga il voto favorevole della maggioranza qualificata ex art. 1136 c.c., non può decidere, salvo che tutti i condomini siano d'accordo, la totale demolizione dell'edificio e la sua ricostruzione ex novo, oppure la vendita al suolo e dei materiali, ma deve deliberare la riedificazione delle parti comuni (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1968, n. 2767; tra le pronunce di merito, si segnala Trib. Napoli 29 ottobre 1947, secondo il quale, se l'assemblea decidesse la demolizione, la delibera sarebbe nulla, ma il giudice non potrebbe comunque ordinare la ricostruzione e fissare un termine per l'esecuzione); secondo alcuni, non si potrebbe obbligare il condomino a ricostruire il proprio appartamento, a meno che, in mancanza, si renda impossibile la ricostruzione delle parti comuni, non escludendo la possibilità che, deliberando la riedificazione, l'assemblea possa disporre innovazioni, cui si applicherebbe la relativa disciplina.

Una parte della dottrina ritiene, invece, che, dalla lettera della legge, non possa essere desunta con certezza la sussistenza a carico dell'assemblea di un obbligo di ricostruzione (ad avviso di alcuni, l'assemblea è libera di decidere di ricostruire o meno l'edificio, altrimenti, se l'assemblea fosse sempre «tenuta» alla ricostruzione, non sarebbe affatto necessaria una deliberazione e, per giunta, a maggioranza qualificata); tra l'altro, dall'intero sistema normativo condominiale, si evince la regola che l'assemblea non è vincolata nel merito della gestione della cosa comune, e, per di più, lo stabilire una maggioranza qualificata per la riedificazione (art. 1128, comma 2, c.c.) equivale ad affermare, implicitamente, la possibilità che tale maggioranza non sia raggiunta e che, quindi, non sia deliberata alcuna ricostruzione.

Peraltro, in mancanza di una decisione dell'organo gestorio in tal senso, ciascun condomino potrebbe ricostruire il proprio piano a sue spese, come pure le parti comuni necessarie al godimento della sua proprietà esclusiva, ovviamente nel rispetto delle preesistenti caratteristiche statico-estetiche, in modo che ciascun altro condomino possa fare altrettanto e, comunque, far uso delle medesime parti comuni; se, poi, il singolo intraprendesse la ricostruzione dell'edificio senza la preventiva autorizzazione assembleare, gli altri condomini e, in particolare, il proprietario del piano sottostante a quello del condomino «ricostruttore», non potrebbero opporsi, ma semmai cedere i propri diritti o partecipare alla spesa, ma soltanto, essendo mancati i consensi e l'autorizzazione, nei limiti del puro valore dell'opera (alcuni sostengono che ciascun condomino possa opporsi, altrimenti non avrebbe alcun senso la previsione di una delibera assembleare, mentre, solo qualora l'opera fosse eseguita senza opposizione, i condomini dovrebbero rimborsare, nei limiti del loro arricchimento, le spese del costruttore; nel senso che la ricostruzione, effettuata da un condomino, non comporta alcun trasferimento automatico di proprietà, v. Cass. civ., sez. II, 14 giugno 1976, n. 2206).

Comunque, in caso di perimento dell'edificio per una parte inferiore ai tre quarti del suo valore, la delibera che approva la ricostruzione è vincolante per tutti i condomini - consenzienti, dissenzienti, astenuti e assenti, in proporzione ai loro diritti sulle parti comuni - obbligandoli a partecipare alle relative spese, dalle quali possono sottrarsi cedendo i loro diritti; del resto, permane il regime di condominio anche per i condomini le cui parti sono andate distrutte (Trib. Firenze 13 maggio 1957).

Ovviamente, la delibera si rende necessaria anche per la determinazione delle concrete modalità attuative della ricostruzione: infatti, l'assemblea, mentre è tenuta a deliberare la ricostruzione, rimane pur sempre libera di decidere, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, «circa» la ricostruzione - come testualmente si esprime il comma 2 dell'art. 1128 c.c. - ossia sulle modalità (tecniche, statiche, estetiche), sui tempi e sulle spese della riedificazione, tanto che l'art. 1136 c.c. richiede all'uopo espressamente una maggioranza qualificata, senza che il giudice possa ordinare la ricostruzione delle parti comuni perite, sindacando il merito, l'opportunità e l'equità della deliberazione (Cass. n. 2767/1968, cit.; tra le pronunce di merito, v. Trib. Termini Imerese-Corleone 13 febbraio 2007; Trib. Milano 14 settembre 1992).

La suddetta delibera deve essere assunta - non con il consenso di tutti i condomini, bensì - con la maggioranza prevista dal comma 2 dell'art. 1136 c.c. (almeno la metà del valore dell'edificio e la maggioranza degli intervenuti), giusta l'esplicita indicazione testuale contenuta nel comma 4 dello stesso articolo, che richiama appunto le decisioni assembleari attinenti alla ricostruzione dell'edificio; sul punto, la dottrina è concorde nel ritenere che il calcolo della maggioranza debba essere effettuato secondo la quota millesimale originariamente spettante ai condomini e non, quindi, secondo una quota millesimale rapportata all'attuale consistenza dell'immobile.

Premesso quanto sopra, la ricostruzione dell'edificio, nell'ipotesi di perimento di parte non rilevante ex art. 1128, comma 2, c.c., comporta le stesse conseguenze giuridiche illustrate a proposito della ricostruzione volontaria, ad opera dei condomini, dell'intero edificio o di parte rilevante di esso; ne deriva, anche in tale ipotesi che:

a) la ricostruzione della porzione di piano esclusiva non può essere imposta al singolo condomino, essendo la delibera assembleare vincolante esclusivamente riguardo alla riedificazione dei beni ed impianti comuni;

b) nel caso di mancata ricostruzione da parte di taluni condomini della porzione esclusiva di loro proprietà esclusiva, costoro sono tenuti a cedere i loro diritti agli altri condomini ricostruenti, con facoltà, da parte dei cedenti, sia di scegliere gli eventuali cessionari, sia di cedere a terzi, sia di cedere parzialmente, a seguito, per esempio, della riedificazione di uno solo dei due piani precedentemente posseduti;

c) il diritto di chiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali di risulta è compatibile (e può coesistere) con la ricostruzione dell'edificio, quando quest'ultima sia limitata ad una parte soltanto dello stabile e non strettamente dipendente dall'utilizzo dell'intera area e dei materiali derivanti dal crollo;

d) il valore dei diritti ceduti da parte dei condomini non partecipanti alla ricostruzione dovrà essere valutato in aumento rispetto all'ipotesi di perimento totale dell'immobile, o di sua parte rilevante; in tal caso, infatti, la quota-parte dei beni sopravvissuti non riguarderà soltanto l'area su cui sorgeva l'edificio ed i materiali di risulta, ma anche la quota-parte (millesimale) sui beni e impianti comuni sopravvissuti;

e) se l'immobile ricostruito è strutturalmente corrispondente allo stabile preesistente si dà luogo alla reviviscenza del condominio, mentre se, invece, viene ricostruito un edificio con caratteristiche costruttive differenti - per esempio, con un piano in più - il condominio non rivive, ma si configura, operando il fenomeno dell'accessione, una comunione ordinaria pro indiviso tra i condomini ricostruenti avente ad oggetto l'intero bene ricostruito (in quest'ultimo caso, per far rivivere il condominio, gli aventi diritto dovranno stipulare un formale atto di divisione, con assegnazione in proprietà separata dei piani o porzioni di piano).

Casistica

CASISTICA

Costruzione incidente sull'area di risulta

Qualora un comproprietario effettui una costruzione incidente sull'area di risulta, si configura un'innovazione rientrante nel disposto dell'art. 1108 c.c., da adottarsi solo con la maggioranza ivi prescritta; se, a seguito della distruzione quasi totale di un edificio, uno dei condomini inizi la costruzione di un manufatto che utilizzi uno dei muri perimetrali e le fondazioni del vecchio edificio, non si tratta né di conservazione, che presuppone l'esistenza almeno parziale della cosa, né di modificazione necessaria per il miglior godimento della cosa comune, che postula il rispetto dell'attuale destinazione della stessa (Cass. civ., sez. II, 23 settembre 1970, n. 1681).

Necessità del giudizio contenzioso

Nel caso in cui sia impossibile acquisire una delibera della assemblea dei condomini - da adottarsi con la maggioranza qualificata prescritta dal comma 2 dell'art. 1136 c.c. - che autorizzi, ai sensi del comma 2 dell'art. 1128 c.c., la ricostruzione delle parti comuni dell'edificio perito per meno di tre quarti del suo valore, non é consentito il ricorso all'autorità giudiziaria in sede di volontaria giurisdizione ai sensi del comma 4 dell'art. 1105 c.c., trattandosi di controversia sull'esistenza e sulla estensione di diritti soggettivi, necessariamente coinvolti dal contrasto in ordine alla ricostruzione delle parti comuni, la quale deve essere decisa in sede contenziosa (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 1980, n. 5762).

Rifiuto del condomino a partecipare alla ricostruzione

Nell'ipotesi di perimento dell'edificio in condominio, il rifiuto del condomino a partecipare alla ricostruzione, quale presupposto per ottenere, da parte degli altri condomini, la cessione coattiva della sua quota, ai sensi dell'art. 1128, comma 4, c.c. - norma applicabile non solo all'ipotesi di perimento totale, ma anche a quella di perimento parziale - deve manifestarsi o nella richiesta di vendita del suolo o in una netta opposizione a ricostruire l'edificio ed a sopportare la relativa spesa, non essendo sufficiente, a tal fine, un comportamento meramente inerte o una semplice divergenza in ordine alle caratteristiche del nuovo edificio (nella specie, si era confermata la sentenza, la quale aveva escluso che la volontà del condomino di procedere alla ricostruzione soltanto a condizione che essa fosse conforme all'edificio preesistente e sulla base di un preciso preventivo di spesa integrasse un rifiuto alla ricostruzione, tale da legittimare gli altri condomini alla richiesta di cessione coattiva) (Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2006, n. 23333).

Guida all'approfondimento

Nicolini, Il perimento dell'edificio estingue il rapporto di condominio, in Immob. & diritto, 2011, fasc. 6, 21;

Apicella, Perimento totale o parziale dell'edificio condominiale e quote di comproprietà sull'opera ricostruita, in Il Civilista, 2010, fasc. 10, 37;

Celeste - Salciarini, I beni comuni. L'individuazione e l'utilizzo, Milano, 2009, 363;

De Tilla, Condominio e perimento dell'edificio, in Riv. giur. edil., 1994, I, 704;

Criscuolo, Demolizione di edificio in procinto di crollare e scioglimento del condominio ex art. 1128 c.c., in Dir. e giur., 1977, 591;

Calbi, Modalità di attuazione della vendita all'asta di cui all'art. 1128 primo comma cod. civ., in Giust. civ., 1976, I, 1206;

Branca, Perimento parziale e poteri dell'assemblea condominiale, in Foro it., 1968, I, 2727.

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