Scale e pianerottoliFonte: Cod. Civ. Articolo 1124
27 Luglio 2017
Inquadramento
Mentre l'art. 1117, n. 1), c.c. chiarisce che le scale (inclusi i relativi pianerottoli o «ballatoi». Cass. civ., sez. II, 12 novembre 1998, n. 11405) rientrano - al pari delle altre parti dell'edificio necessarie all'uso comune - tra i beni condominiali, l'art. 1124 c.c., nuova formulazione, c.c. si preoccupa di individuare il relativo criterio di ripartizione delle spese (di manutenzione e sostituzione) chiarendo, da un lato, che esse gravano sui proprietari delle unità immobiliari a cui servono e, dall'altro, che tali esborsi sono ripartiti, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l'altra metà esclusivamente in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. Quanto al regime proprietario, è stato osservato che, trattandosi di elementi strutturali necessari all'edificazione di uno stabile condominiale e mezzo indispensabile per accedere al tetto e al terrazzo di copertura, le scale conservano, in assenza di titolo contrario (Cass. civ., sez. II, 12 febbraio 1998, n. 1498; Cass. civ., sez. II, 22 febbraio 1996, n. 1357), la qualità di parti comuni anche relativamente ai condomini proprietari di negozi, botteghe o locali con accesso dalla strada, poiché anche costoro ne fruiscono, quanto meno in ordine alla conservazione e manutenzione della copertura dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 20 aprile 2017, n. 9986; Cass. civ., sez. II, 10 luglio 2007, n. 15444): né osta a tale conclusione l'art. 1123, ultimo comma, c.c. che, proprio sul presupposto di tale comunione, disciplina soltanto la ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento di esse, ispirandosi al criterio della utilità che ciascun condomino o gruppo di condomini ne trae (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2015, n. 10483). La soluzione - proprietà comune a tutti i condomini - non muta neppure laddove si tratti di edificio diviso in più scale, facendosi anche in tal caso perno sulla natura delle scale quale elemento indispensabile per l'esistenza dell'edificio e non rilevando, in senso contrario, da un lato, la concreta utilizzazione che di esse viene fatto (Cass. civ., sez. II, 21 febbraio 2013, n. 4419) e, dall'altro, la pacifica configurabilità del «condominio parziale» ogni qualvolta un bene risulti, per obbiettive caratteristiche strutturali e funzionali, destinato al servizio e/o al godimento in modo esclusivo di una parte soltanto dell'edificio in condominio. A tale ultimo riguardo, infatti, è stato osservato che i presupposti per l'attribuzione della proprietà comune a vantaggio di tutti i partecipanti vengono meno soltanto se le cose, i servizi e gli impianti di uso comune, per oggettivi caratteri materiali e funzionali, sono necessari per l'esistenza e per l'uso, ovvero sono destinati all'uso o al servizio, non di tutto l'edificio, ma di una sola parte, o di alcune parti di esso, ricavandosi dall'art. 1123, comma 3, c.c., che le cose, i servizi, gli impianti, non appartengono necessariamente a tutti i partecipanti. Sicché la semplice presenza in un edificio di più scale non è di per sé sola sufficiente - in mancanza di più puntuali indicazioni circa le concreta conformazione e le caratteristiche strutturali del fabbricato - a far ritenere la piena autonomia e indipendenza strutturale e funzionale delle relative porzioni immobiliari rispetto alla rimanente parte dell'intera opera edilizia, ove solo si tenga conto che funzione della scala è anche quella di consentire l'accesso al tetto o al lastrico solare comuni all'intero edificio (Cass. civ., sez. II, 21 maggio 2015, n. 10483). Il vero problema interpretativo che si pone, allora, risiede proprio in tale ultima considerazione e, cioè, nella circostanza che il principio in questione viene giustificato sulla base del rilievo per cui la natura condominiale delle scale affonderebbe la propria ratio nella loro funzione, quale mezzo per raggiungere il tetto comune (sicché è stato osservato, in proposito, che il rapporto di «accessorietà» che interessa le scale-bene comune è divergente rispetto agli altri beni contenuti nell'elencazione di cui all'art. 1117 c.c. ovvero ad essa riconducibile, giacché essa riguarda due parti comuni e non una parte comune ed una di proprietà esclusiva): se ne è pertanto dedotto , in dottrina, che il principio varrebbe a condizione che il tetto (o lastrico) cui le scale danno accesso costituisca proprietà comune di tutti i condomini in quanto, in difetto di tale elemento, verrebbe meno il presupposto per il riconoscimento della proprietà comune (a tutti i condomini) delle scale. Lo stesso sarebbe da dirsi, poi, con riferimento a quelle scale che non conducano in alcun modo al tetto comune (si pensi agli edifici con piani sfalsati ovvero alle c.d. «scale di servizio», che si limitano a dare accesso solamente ad alcuni piani dell'edificio o comunque interessano solo una parte dell'edificio). Il principio della natura comune, infine, viene adottato anche per il caso di scale che servano edifici limitrofi, appartenenti a proprietari diversi.
I pianerottoli
Come anticipato, benché non espressamente contemplati nell'elencazione - di carattere esemplificativo - contenuta all'art. 1117 c.c., anche i pianerottoli rientrano tra i beni comuni, in quanto, salvo che l'atto costitutivo del condominio li sottragga al regime comune, riservandoli, in tutto o in parte, al dominio personale esclusivo dei proprietari delle unità abitative che su di essi affaccino (Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 1994, n. 1776). In mancanza di tale esclusione, dunque, il loro uso più intenso da parte del singolo condomino va contenuto entro i limiti di cui all'art. 1102 c.c.: con la conseguenza che mentre i pianerottoli non possono essere trasformati, dal proprietario dell'appartamento che su di essi si affacci, in modo da impedire l'uso comune, mediante l'incorporazione nello appartamento, determinandosi altrimenti un'alterazione della destinazione della cosa comune ed una utilizzazione esclusiva di essa, lesiva del concorrente diritto degli altri condomini (Cass. civ., sez. II, 2 agosto 1990, n. 7704), diversamente il singolo condomino può legittimamente aprire su di esso un secondo ingresso al proprio appartamento (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1981, n. 843).
Parzialmente diversi dai pianerottoli sono gli anditi lontani dalle scale, destinati esclusivamente a consentire l'accesso alle proprietà esclusive e, dunque, sottratti al regime di condominialità (Cass. civ., sez. II, 14 febbraio 2006, n. 3159). In senso contrario, invece, è stato osservato che il corridoio di accesso alle singole unità immobiliari si presume comune ex art. 1117, n. 1), c.c., sicché è onere del condomino che ne vanti la proprietà esclusiva indicare il titolo relativo nell'atto costitutivo del condominio (Cass. civ., sez. II, 30 giugno 2016, n. 13450). Non mancano, infine, ricostruzioni volte a configurare, nella specie, un'ipotesi di condominio parziale. In argomento, Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 2007, n. 21246, ha avuto modo di precisare, però, che, in tema di condominio, è da escludere la configurabilità di un condominio parziale con riferimento alla parte finale di un corridoio che si diparte dal pianerottolo di arrivo delle scale, ove tale parte non sia dotata di autonomia rispetto alla parte anteriore del corridoio quantomeno come volume di spazio e di aria, nonché dal punto di vista estetico, per cui non si può affermare che essa sia suscettibile di godimento esclusivo da parte dei soli proprietari degli appartamenti che su tale parte di corridoio si aprono, beneficiando del volume degli spazi, dell'aria, dell'estetica dell'ultimo tratto del corridoio anche i proprietari degli appartamenti che si aprono sul primo tratto di esso. Il riparto delle spese
È escluso dal criterio di riparto ex art. 1124 c.c. il sottoscala - le cui spese, ove di proprietà esclusiva di un condomino, gravano unicamente su costui mentre, laddove si tratti di uno spazio in comproprietà fra tutti i condomini, il conseguente regime è quello dettato dall'art. 1123 c.c.; quanto, invece, ai condomini i cui appartamenti siano siti al piano terra: in maniera non dissimile da quanto concluso in relazione ai proprietari di unità immobiliari con accesso dall'esterno dell'edificio condominiale, è stata affermata l'estensione, anche a questi ultimi, degli obblighi contributivi in questione, rappresentando le scale un elemento imprescindibile per l'esistenza stessa del condominio come insieme di proprietà individuali divise per piano o porzione di piano (Cass. n. 761/1977; Cass. n. 2328/1977; App. Milano 9 ottobre 1987; Trib. Monza 12 novembre 1985). Recentemente, inoltre, è stato chiarito che, quand'anche le scale (con i relativi pianerottoli) che servano da accesso al lastrico solare comune siano state materialmente realizzate da uno solo degli originari comproprietari, non mutano, per ciò solo, né il regime proprietario (comune) né quello di contribuzione alle spese (ex art. 1124 c.c.), valendo tale circostanza solo a giustificare la pretesa del costruttore a vedersi riconoscere dagli altri condomini un contributo per le spese di installazione e manutenzione dei manufatti, e non quale titolo idoneo ad attribuirsene la proprietà esclusiva (Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2015, n. 4372). L'art. 1124, comma 2, c.c., specifica, quanto al criterio di calcolo della tabella millesimale relativa alle spese di manutenzione e ricostruzione delle scale, che «al fine del concorso nella metà della spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune». A tale riguardo, si è osservato che dal combinato disposto di entrambi i commi dell'art. 1124 c.c. emerge che il valore da attribuire ai beni elencati al comma 2, c.c. va calcolato avuto riguardo esclusivamente al valore del piano o porzione di piano, essendo escluso, invece, il concorso dell'ulteriore parametro dell'altezza: chiara, poi, è, nel senso predetto, la Relazione del Guardasigilli al Re, per cui «sarebbe eccessivo che i proprietari delle soffitte o camere a tetto e dei palchi morti contribuissero in ragione dell'altezza, perché in questi casi vien meno la presunzione del maggior logorio in conseguenza dell'uso, trattandosi di locali non destinati ad abitazione; perciò ho stabilito che questi proprietari, come quelli delle cantine, concorrano soltanto nella metà delle spese stesse che è ripartita in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano». Al pari delle altre disposizioni che disciplinano il regime delle spese nel condominio, anche l'art. 1124 c.c. è derogabile, anche se è discusso il quorum deliberativo all'uopo necessario. Se, infatti, non sorgono problemi in presenza di un regolamento di natura contrattuale che contenga tale deroga (Cass. civ., sez. II, n. 28679/2011; Cass. civ., sez. II, 16 luglio 1981, n. 4646), ove la decisione venga assunta in sede assembleare si registrano orientamenti oscillanti, tra chi richiede l'adozione di una deliberazione all'unanimità dei millesimi (Cass. civ., sez. II, 23 luglio 1986, n. 4699) e chi, al contrario, fondando sulla considerazione per cui che le spese disciplinate dall'art. 1124 c.c., attenendo alla organizzazione ed al funzionamento delle cose comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, hanno natura tipicamente regolamentare, afferma che la relativa ripartizione può essere modificata a maggioranza (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2001, n. 971).
In dottrina, poi, sono inclusi negli esborsi riconducibili all'art. 1124 c.c. quelli afferenti ringhiere, passamani, pianerottoli, finestre, soffitti e lucernari. L'art. 1124 c.c. trova, poi, applicazione analogica anzitutto per quanto concerne la ripartizione della spesa per la pulizia e l'illuminazione delle scale, dovendosi tuttavia applicare integralmente - quale criterio - quello dell'altezza di piano (Cass. civ. sez. II, 12 gennaio 2007, n. 432). Siffatta questione, in realtà, è stata oggetto di diversi orientamenti in sede di legittimità: secondo una prima impostazione, i condomini sarebbero tenuti a contribuire a tale spesa in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno (Cass. civ., sez. II, 3 ottobre 1999, n. 8655); per altro orientamento, l'art. 1124 c.c., riguarderebbe le spese relative alla conservazione della cosa comune che si rendono necessarie a causa della naturale deteriorabilità della stessa per consentirne l'uso ed il godimento e che attengono a lavori periodici indispensabili per mantenere la cosa in efficienza, mentre esulerebbero da suo ambito applicativo le spese di pulizia delle scale, cui i condomini sarebbero tenuti a contribuire in ragione dell'utilità che la cosa comune è destinata a dare a ciascuno (Cass. civ., sez. II, 19 febbraio 1993, n. 2018); per una terza opinione, infine, i condomini sarebbero tenuti a contribuire non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in relazione all'uso che ciascuno di essi può fare della detta parte comune, secondo il criterio fissato dal comma 2 dell'art. 1123 c.c. (Cass. civ., sez. II, 24 gennaio 2001, n. 971). Le tre soluzioni predette peccavano, tuttavia, per difetto, non indicando quale fosse il criterio di ripartizione della spesa in questione da adottare in concreto; il vuoto è stato colmato dalla Suprema Corte che ha optato per l'applicazione analogica dell'art. 1124 c.c., osservando come si tratti di norma di carattere speciale e non eccezionale, il cui adattamento al caso di specie è conforme alla ratio di tale disposizione (da individuare nel fatto che, a parità di uso, i proprietari dei piani alti logorano di più le scale rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui contribuiscono in misura maggiore alla spese di ricostruzione e manutenzione), giacché, a parità di uso, i proprietari di piani più alti sporcano le scale in misura maggiore rispetto ai proprietari dei piani più bassi, per cui devono contribuire in misura maggiore alle spese di pulizia. Il medesimo criterio veniva adottato, anteriormente alla novella introdotta con la l. 11 dicembre 2012, n. 220, anche per quanto riguardava l'impianto di ascensore coevo alla realizzazione dell'edificio, allorquando mancasse una diversa tabella e per ciò che concerne le spese relative alla conservazione e alla manutenzione dello stesso (Cass. civ., 25 marzo 2004, n. 5975); la giurisprudenza di legittimità aveva tuttavia chiarito che il criterio in questione andava applicato anche nel caso di impianto realizzato successivamente, ma con il consenso di tutti i condomini, sia pure con il contributo finanziario differenziato degli stessi (Cass. civ., sez. II, 17 febbraio 2005, n. 3264). A seguito della novella n. 220/2012, invece, l'art. 1124 c.c. trova ormai applicazione, in via diretta, per quanto concerne gli impianti di elevazione.
Attademo, Pluralità di scale e condominio parziale, in Giur. it., 2015, 2076; De Tilla, Le scale e i pianerottoli sono comuni ai negozi con accesso dalla strada, in Immob. & diritto, 2008, fasc. 8, 27; Grassi, Le spese per il funzionamento, la conservazione e l'adeguamento degli ascensori e le spese per le scale ed il vano scale: soggetti obbligati e criteri di riparto, in Arch. loc. e cond., 2008, 145; Cimatti, La ripartizione della spesa di pulizia ed illuminazione delle scale, in Il Civilista, 2008, fasc. 2, 22. |