Tabelle millesimali (modifica e revisione)

Alberto Celeste
09 Novembre 2018

Per la modifica successiva delle tabelle millesimali - come, del resto, anche per la formazione ex novo - è stata molto discussa la questione se fosse o meno indispensabile il consenso unanime dei condomini; al riguardo, il risultato ermeneutico raggiunto nella magistratura di vertice è stato messo in discussione da un recente intervento delle Sezioni Unite...
Inquadramento

Fino all'intervento delle Sezioni Unite del 2010, la giurisprudenza di legittimità era abbastanza costante nell'affermare - come, peraltro, anche per l'approvazione - la necessità della deliberazione unanime di tutti i partecipanti al condominio per la modifica delle tabelle millesimali, sicché la decisione adottata a maggioranza, esorbitando dalle attribuzioni dell'assemblea - circoscritte, ai sensi dell'art. 1135 c.c., all'amministrazione dei beni comuni nel rispetto dei criteri fissati dalla legge o dalla volontà unanime dei condomini - era considerata invalida, sia pure con diverse sfumature (v., tra le tante, Cass. civ., sez. II, 5 novembre 2001, n. 13631; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 2001, n. 2301; Cass. civ., sez. II, 8 gennaio 2000, n. 126; Cass. civ., sez. II, 2 giugno 1999, n. 5399; Cass.civ., sez. II, 19 febbraio 1997, n. 1511; Cass. civ., sez. II, 9 febbraio 1995, n. 1455; Cass. civ., sez. II, 4 giugno 1993, n. 6231).

Del resto, la disciplina legale della ripartizione delle spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio era, in linea di principio, derogabile, con la conseguenza che doveva ritenersi legittima la convenzione modificatrice di tale disciplina, contenuta nella delibera dell'assemblea approvata, però, da tutti i condomini; al contempo, la natura delle disposizioni contenute, negli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c., non precludeva l'adozione di discipline convenzionali che differenziavano tra loro i diritti di ciascun condomino sulle parti comuni e, simmetricamente, gli oneri di gestione del condominio, attribuendoli in proporzione maggiore o minore rispetto a quella scaturente dalla rispettiva quota individuale di proprietà.

In quest'ordine di concetti, avevano introdotto un principio innovativo le più recenti affermazioni dei giudici di legittimità - a cominciare soprattutto da Cass. civ., sez. II, 28 giugno 2004, n. 11960, seguita, tra le altre, da Cass. civ., sez. II, 23 febbraio 2007, n. 4219 - secondo le quali, ove le tabelle millesimali avessero natura non convenzionale, ma “deliberativa” (perché approvate con delibera dell'assemblea dei condomini), potevano essere modificate dall'assemblea con la maggioranza stabilita dal comma 2 dell'art. 1136 c.c.

Sul punto, il supremo organo di nomofilachia (Cass. civ., sez. un., 9 agosto 2010, n. 18477) è intervenuto per affermare che - non solo per l'approvazione, ma anche - per la modifica delle tabelle millesimali sia sufficiente il quorum di cui al combinato disposto degli artt. 1136, comma 2, e 1138, comma 3, c.c. (la metà del valore dell'edificio), e non più l'unanimità del consenso dei condomini.

Le novità della Riforma

Tuttavia, a distanza di soli due anni, tale tesi sembra aver trovato una smentita dalla l. n. 220/2012, di riforma della normativa condominiale, la quale, innovando il disposto del comma 1 dell'art. 69 disp. att. c.c., ora prevede che: «i valori proporzionali delle singole unità immobiliari espressi nella tabella millesimale di cui all'articolo 68 possono essere rettificati o modificati all'unanimità».

Appare, in tal modo, sconfessato apertamente il diktat delle Sezioni Unite - le quali, peraltro, avevano aderito all'indirizzo minoritario - riprendendo vigore, dunque, la tesi tradizionale secondo cui l'approvazione delle tabelle millesimali non rientra nella competenza dell'assemblea, costituendo oggetto di un negozio di accertamento, che richiede il consenso di tutti i condomini; difettando tale consenso unanime, alla formazione delle medesime tabelle può provvedere il giudice, su istanza degli interessati, ma in contraddittorio con tutti i condomini (v., di recente, Cass. civ., sez. II, 13 maggio 2013, n. 11387, contraddittoriamente, e in maniera confusa, afferma che la l. n. 220/2010 ha “sostanzialmente recepito” l'insegnamento di cui alla sentenza n. 18477/2010 delle Sezioni Unite, “modificando e profondamente innovando” l'art. 69 disp. att. c.c.; parimenti consapevole del nuovo indirizzo, ma senza alcun richiamo alla novella, Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2014, n. 4569; cui adde, da ultimo, sia pure in modo tralatizio, Cass. civ., sez. II, 23 aprile 2014, n. 9232).

Si è, tuttavia, registrata una diversa ipotesi ricostruttiva, nel senso di ritenere che la situazione, anche a seguito della novella, sia sostanzialmente la stessa delineata dalle Sezioni Unite; in pratica, si è dato atto che le innegabili incertezze che suscita la norma de qua non sembrano, peraltro, tali da indurre a smentire la più recente ricostruzione giurisprudenziale, ad avviso della quale la delibera che approva le tabelle non si pone come fonte diretta dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, che sono previsti nella legge, ma solo come parametro di misurazione degli stessi, determinato in base ad una valutazione tecnica.

Di conseguenza, le tabelle millesimali non dovrebbero essere in origine approvate con il consenso unanime, essendo a tale scopo sufficiente la maggioranza qualificata di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., mentre rivelerebbe comunque natura contrattuale la tabella da cui risulti espressamente che si sia inteso derogare al regime legale di ripartizione delle spese, ossia approvare quella “diversa convenzione”, di cui all'art. 1123, comma 1, c. c.; se una siffatta tabella meramente ricognitiva dei criteri di ripartizione legali sia stata approvata, e se essa non risulti viziata da errori originari o da sopravvenute sproporzioni - casi nei quali può rimediarvi la maggioranza del 1136, comma 2, c.c., per ripristinare la legalità violata - la modifica di quella necessita dell'unanimità, perché così si altererebbe ciò che è matematicamente corretto, e dunque si introdurrebbero inevitabilmente deroghe al regime codicistico, adottandosi una “convenzione” sulle spese.

In quest'ottica, il legislatore del 2013 sembra aver distinto due diverse tipologie di tabelle, in ordine alle quali intervenga la volontà assembleare di rettificare/modificare i valori millesimali; da un lato, le tabelle che rispettano esattamente i criteri posti a sostegno dell'accertamento dei valori millesimali delle rispettive unità immobiliari e, quindi, ossequiose dei principi di cui agli artt. 1118 e 1123, comma 1, c.c., per la cui approvazione è sufficiente il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c., e idem per la rettifica/modifica se ci si accorge che siano stati frutto di errore originario o nel tempo siano cambiate le condizioni delle unità immobiliari; dall'altro, le tabelle che si discostano dagli effettivi valori proporzionali di cui sopra, per la cui approvazione è, invece, necessaria l'approvazione con il consenso di tutti i partecipanti al condominio, unanimità richiesta, altresì, ogniqualvolta si intenda introdurre una “convenzione” derogatoria dei parametri legali (quale essa sia).

Tali tesi, indubbiamente suggestive, però, non appaiono in linea con quanto è emerso dai lavori parlamentari, in cui si è inteso volutamente superare il principio della (approvazione o) modifica con la mera maggioranza, in sintonia, d'altronde, con l'insegnamento tradizionale secondo cui a quest'ultima non è consentito interferire sulle situazioni soggettive correlate alla proprietà esclusiva, quale può ritenersi la quota di comproprietà delle cose comuni; va, invece, ribadita l'intangibilità, se non per effetto della volontà unanime della compagine condominiale, della tabella espressiva dei valori delle singole unità immobiliari rispetto all'intero edificio di cui all'art. 1118 c.c., mentre le tabelle determinate ai soli effetti del riparto delle spese possono essere modificate con il quorum di cui all'art. 1136, comma 2, c.c.

In altri termini, si ritiene che il legislatore riformatore - dimenticandosi dell'approvazione ex novo - ha voluto semplicemente dire che, per cambiare le tabelle millesimali, la regola è nel senso che sia necessaria l'unanimità, e l'eccezione è che basti la maggioranza qualificata solo in determinate tassative ipotesi, in cui si tratta semplicemente di adeguare le tabelle vigenti, frutto di un errore, per così dire, genetico o funzionale, al reale valore proporzionale unità immobiliare/edificio.

Le sopravvenienze edilizie

Lo sforzo interpretativo si era incentrato, non solo sulle modalità da adottare - consenso espresso o fatti concludenti, maggioranza o unanimità - per modificare le tabelle millesimali, ma anche sulla verifica della sussistenza dei presupposti per la relativa “revisione” ad opera dell'autorità giudiziaria.

Al riguardo, la Riforma del 2013 non prevede più ex professo un intervento da parte del magistrato in tal senso - salvo contemplare una semplificazione a livello processuale sul versante della legittimazione passiva - disciplinando soltanto la “rettifica” e la “modifica”, che appaiono piuttosto prerogative dell'assemblea dei condomini; tuttavia, la medesima terminologia mutuata dalla precedente versione agevolerà la ricostruzione interpretativa delle ipotesi contemplate dalla legge, restando ferma l'impostazione secondo cui le tabelle costituiscono uno strumento sostanzialmente stabile, visto l'evidente disfavore per un loro frequente cambiamento alla luce dei “paletti” posti alla loro correzione.

Nello specifico, il nuovo testo dell'art. 69, comma 1, disp. att. c.c., dopo aver prescritto che le tabelle millesimali possono essere rettificate o modificate “all'unanimità”, stabilisce che: «Tali valori possono essere rettificati o modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, con la maggioranza prevista dall'articolo 1136, secondo comma, del codice, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza di sopraelevazione, di incremento di superfici o di incremento o diminuzione delle unità immobiliari, è alterato per più di un quinto il valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino».

La seconda ipotesi non ha creato significativi problemi applicativi: si tratta, in buona sostanza, di individuare con esattezza le tipologie delle sopravvenienze edilizie che giustificavano la revisione, e ora la modifica, sempre che sussista la suddetta alterazione del valore della singola unità immobiliare.

In precedenza, si consentiva l'azione giudiziaria «quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata», fosse «notevolmente alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano»; confrontando tale testo con la versione attuale, ci si accorge che le mutate condizioni di una parte dell'edificio vengono correlate soltanto alla sopraelevazione, all'incremento di superfici (e non stranamente al decremento) oppure all'incremento o diminuzione delle unità immobiliari, scomparendo, quindi, le “espropriazioni parziali” e le “innovazioni di vasta portata”, che ora ragionevolmente dovrebbero rientrare nel concetto di incremento/diminuzione di superficie - purché rilevante, v. appresso - rimanendo confermata la correlazione alle variazioni “volumetriche”, ossia della consistenza, delle unità immobiliari (si pensi alla trasformazione in locale abitabile del sottotetto, della veranda del balcone e della tavernetta della cantina).

Possono richiamarsi, in proposito, i principi elaborati dalla giurisprudenza in precedenza.

Circa la sopraelevazione, era evidente che questa venisse a mutare lo stato dei luoghi mediante un accrescimento reale, cui si poteva assimilare anche l'ipotesi di una sottocostruzione di notevole entità; la modifica delle tabelle si imponeva, altresì, in caso di sopralzo, quando chi aveva realizzato tale manufatto fosse il costruttore-venditore che si era riservato l'esercizio del diritto senza corrispondere alcuna indennità ai condomini (Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1967, n. 2943, secondo cui, nel caso di suddivisione orizzontale di un appartamento di notevole altezza, tale da ricavarne due parti, l'una sopra all'altra, collegate da una scala interna, tale modificazione non comportava un'automatica incidenza dell'opera sulle tabelle millesimali).

Parimenti, l'espropriazione (di un'ala, di un piano, ecc.) dello stabile comportava un mutamento dei valori reciproci delle singole proprietà, salvo che l'ente espropriante non partecipasse come condomino, in quanto la fattispecie contemplata dal vecchio testo del citato art. 69 riguardava un atto ablativo che comportasse la riduzione del condominio, potendosi annoverare in tale fenomeno anche il perimento parziale quando non si procedesse alla ricostruzione.

Relativamente alle innovazioni, si osservava che queste assumevano un significato diverso da quello indicato dall'art. 1120 c.c., riferendosi a quelle variazioni ingenti e cospicue, intervenute nei singoli appartamenti - si pensi alla realizzazione di locali abitabili da cantine site nel sottosuolo, con dotazione di impianti e servizi prima non esistenti - che arrecassero un'alterazione notevole negli elementi di valutazione delle proprietà esclusive, nel senso che vi fosse uno scarto ragguardevole nel raffronto tra i millesimi in atto e quelli che avrebbero dovuto scaturire dalla realizzazione (tale divario considerava, quindi, il danno che gli altri condomini avrebbero subìto qualora le carature millesimali fossero rimaste inalterate).

Il mutamento di destinazione

Ci si era chiesti se il mero mutamento di destinazione in concreto della singola unità immobiliare (con conseguente valorizzazione della stessa) potesse o meno comportare la revisione delle tabelle.

La risposta è stata negativa, in quanto la determinazione dei valori proporzionali avveniva tenendo conto delle caratteristiche proprie degli immobili, e non da valutazioni puramente soggettive, cioè dalle personali necessità e dalla convenienza economica, salvo che l'eventuale uso più intenso della stessa comportasse una maggiorazione delle spese di esercizio, che poteva decidere la stessa assemblea a maggioranza, ad esempio, nel caso adibizione dell'appartamento ad uso ufficio, con conseguente alto afflusso di persone); in altri termini, la trasformazione richiesta ai fini della revisione delle tabelle doveva consistere non già in un semplice miglioramento dell'appartamento, ma nella creazione di un quid novi che alterasse il rapporto vigente tra le rispettive quote proporzionali.

In quest'ottica, è significativo il precedente art. 68, comma 2, disp. att. c.c., che priva di rilevanza, nell'accertamento dei valori, i miglioramenti e lo stato di manutenzione di ciascun appartamento, e, di converso, legittima la revisione se la tabella abbia erroneamente tenuto conto di tali circostanze (il “mutamento della destinazione”, come elemento giustificante la modifica tabellare, era stato inserito durante i lavori parlamentari della Riforma, ma poi è stato espunto in seconda lettura dalla Camera).

La consistenza dell'alterazione

Rimaneva, però, la valutazione della “notevole entità dell'alterazione”, che era stata intesa in senso relativo, ossia con riferimento alle dimensioni del condominio interessato, in quanto la stessa innovazione - si pensi alla trasformazione di un sottotetto in mansarda - avrebbe potuto determinare un rilevante squilibrio dei millesimi in uno stabile di piccole dimensioni e risultare insignificante in un palazzone di molti piani; il concetto di notevole entità avrebbe potuto, altresì, correlarsi non tanto al quantum speso, quanto alla posizione in cui veniva a trovarsi il bene iniziale in relazione allo stato attuale - ad esempio, nella trasformazione di locali terranei interni in botteghe esterne - purché tale modificazione accrescesse considerevolmente il valore di tali vani, specie sotto il profilo dell'utilizzabilità (rivelandosi, invece, ininfluente l'eventuale aggiornamento dei coefficienti catastali o/e concessione in sanatoria delle opere realizzate).

In evidenza

A seguito della l. n. 220/2012, l'alterazione delle condizioni di parte dell'edificio non deve essere più “notevole”, ma è quantificata oggettivamente con riferimento ad una soglia discrezionale adottata dal legislatore, ossia un quinto del valore proporzionale dell'unità immobiliare anche di un solo condomino: in effetti, l'aggettivo utilizzato in precedenza - pur volto a scoraggiare la litigiosità di quei condomini, i quali avrebbero invocato la revisione tabellare anche per modestissime variazioni dei valori - in assenza di sicuri parametri di riferimento, aveva dato àdito ad incertezze interpretative.

Attualmente, si fissa la soglia del 20%, oltre la quale la sopravvenienza edilizia si presume che muti considerevolmente una parte dell'edificio, alterando i valori proporzionali espressi nella tabella millesimale, e legittimando la modifica da parte dell'assemblea con il quorum qualificato o l'intervento revisionale del magistrato (in ciò supportato da una CTU); in questa nuova ottica, pertanto, non necessariamente tutti i cambiamenti denunciati ed accertati comportano la modifica delle tabelle millesimali, ma soltanto quelli di una certa consistenza (si pensi al caso di un'unità immobiliare, con una terrazza a livello di 15 mq. che, a seguito della trasformazione in veranda abitabile, comporti una variazione millesimale di solo il 5%).

Il costo dell'iniziativa

Molto opportuna, infine, si rivela l'aggiunta - introdotta nella seduta di Montecitorio del 27 settembre 2012 - secondo la quale il relativo costo è “sostenuto da chi ha dato luogo alla variazione”.

Invero, l'aver addossato al condomino responsabile, il quale ha provocato la suddetta variazione dell'edificio, le spese dell'eventuale perizia (stragiudiziale o giudiziale) necessaria al fine della redazione delle nuove tabelle, si giustifica per il fatto che, in caso di ampliamenti, spesso arbitrari - si pensi al classico balcone tamponato con una veranda - era proprio il condomino “furbetto” che non dava il suo consenso alla revisione alle tabelle millesimali, meglio rispecchiante il reale valore millesimale attribuito alla sua unità abitativa rispetto all'articolazione dell'intero fabbricato, costringendo i condomini “onesti” a sobbarcarsi l'onere di un lungo e costoso giudizio per far accertare l'effettiva situazione, salvo talvolta rinunciare all'azione considerando i tempi e le spese legali da affrontare.

Senza contare, poi, che la giurisprudenza è concorde nel ritenere che l'efficacia esecutiva della sentenza costitutiva (e non dichiarativa) di revisione delle tabelle millesimali operi soltanto a decorrere dal suo passaggio in giudicato (e non dalla domanda, né dalla realizzazione delle opere innovatrici dello stabile).

Ne consegue che l'efficacia ex nunc (e non ex tunc) di tale decisione, peraltro giunta a notevole distanza di tempo dall'incardinazione dell'azione - sovente proprio a causa della condotta ostruzionistica o dilatoria del soggetto controinteressato alla stessa revisione - comportava, nel frattempo, in capo ai condomini un'ingiusta partecipazione economica alle spese superiore al dovuto, a fronte del vantaggio medio tempore lucrato dal soggetto che aveva alterato abusivamente la consistenza dell'edificio.

L'errore rilevante

Un acceso dibattito giurisprudenziale si è registrato in ordine al significato da attribuire alla nozione di “errore”adoperata dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. (al riguardo, la Camera, nella seduta del 27 settembre 2012, ha eliminato l'aggiunta “di calcolo materiale”, riproponendo, quindi, la problematica relativa all'esatta individuazione di tale concetto).

Sul punto, il giudice della nomofilachia sembrava avere imboccato una ben delineata linea interpretativa, con l'avallo delle Sezioni Unite, ma evidentemente quel dettato tuttora trova resistenze e tarda ad affermarsi.

Passando in rassegna la giurisprudenza che si era occupata dell'argomento, si rileva che l'istituto della revisione per errore della tabella millesimale è stato posto per la prima volta al vaglio dei giudici di legittimità nella metà degli anni sessanta (Cass. civ., sez. II, 8 luglio 1964, n. 1801), ed i primi commenti si sono rivelati alquanto critici per la soluzione adottata.

In quell'occasione, la Suprema Corte è partita dalla premessa che, per la formazione delle tabelle, occorresse l'accordo di tutti i condomini, trattandosi di negozio avente natura contrattuale, sprovvisto “normalmente”di carattere dispositivo, e da inquadrare nella categoria dei negozi di accertamento - conforme, v., peraltro, anche le successive Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 1980, n. 5593, e Cass. civ., sez. II, 24 novembre 1983, n. 7040 - o la statuizione giudiziale, ad istanza degli interessati, con sentenza di accertamento.

In ordine alla natura dell'errore che potesse dar luogo alla revisione delle tabelle, sulla base del suaccennato carattere negoziale delle stesse, era esclusa l'assimilazione dottrinale con l'errore di calcolo disciplinato dall'art. 1430 c.c., giacché - osservavano i giudici di legittimità - un'interpretazione così restrittiva renderebbe l'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. un'inutile ripetizione della norma sulla rettifica del contratto; si precisava così che, con l'istituto della revisione, non si era inteso introdurre una grave deroga ai principi sull'azione di annullamento, ma solo apprestare un rimedio che, alla luce della funzione necessaria esplicata dalla tabella, comprendesse in un unico procedimento l'eliminazione della tabella viziata da errore e la contestuale determinazione della nuova tabella.

Ciò premesso, si affermava che la revisione dovesse applicarsi, oltre quando vi fosse l'errore di calcolo, in ogni caso di errore rilevante come vizio del contratto ex art. 1428 c.c., e perciò allorché l'errore fosse essenziale (e riconoscibile dall'altro contraente) secondo la nozione contenuta nell'art. 1429 c.c.; restava escluso il semplice errore sul valore, il che, oltre che rispondente all'invocato criterio di essenzialità, appariva opportuno stante l'inevitabilesoggettivitàdelle valutazioni compiute nelle tabelle.

Dopo quasi venti anni, il Supremo Collegio (Cass. civ., sez. II, 11 gennaio 1982, n. 116) è ritornato sull'interpretazione dell'errore contemplato dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c.: si ribadiva la ponderazione in termini di essenzialità, ex art. 1429 c.c., degli errori che dovessero condurre alla revisione delle tabelle millesimali, e si privava così di rilievo le discordanze imputabili ai criteri di valutazione; diversamente si stimavano essenziali gli errori, di fatto o di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti; in quest'ottica, non potevano, invece, qualificarsi essenziali gli errori determinati soltanto dai criteri, più o meno soggettivi, con cui la valutazione dei singoli elementi necessari per la stima fosse stata compiuta, poiché l'errore di valutazione, in sé considerato, non poteva mai essere ritenuto essenziale, non costituendo un errore sulla qualità della cosa a norma dell'art. 1429, n. 2), c.c.

In seguito, però, la Corte di Cassazione ha operato un drastico revirement.

In aperto contrasto con la tesi sostenuta nelle prime decisioni, attribuendo all'approvazione delle tabelle valore negoziale, o non piuttosto quello di riconoscimento dell'esattezza di un'operazione puramente tecnica - di calcolo di valori proporzionali dei piani o porzioni di piano dell'edificio condominiale - si concludeva nel senso che l'errore postulato dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. per motivare la revisione delle tabelle millesimali non coincidesse con l'errore vizio del consenso disciplinato dagli artt. 1428 ss. c.c., e consistesse, invece, nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle (Cass. civ., sez. II, 21 luglio 1988, n. 4734).

A sostegno del mutato intendimento, si evidenziava che: a) se l'art. 69 disp. att. c.c. avesse inteso ribadire la rilevanza dell'errore nei limiti fissati dagli artt. 1428 ss. c.c., tale norma sarebbe stata superflua; b) nell'art. 69 citato, l'errore veniva riferito non al consenso del condomino, che aveva approvato la tabella millesimale, ma obiettivamente ai valori proporzionali in essa contenuti; c) in base al medesimo art. 69, l'errore delle tabelle comportava la revisione delle stesse e non l'annullamento del negozio di approvazione, come, invece, sarebbe stato logico in base agli artt. 1428 ss. c.c.

In tal modo, i giudici di legittimità si dimostravano persuasi dell'ammonimento secondo cui la natura ed i requisiti dell'errore dovessero desumersi dall'espressa sanzione ricollegata al suo verificarsi, disponendosi la revisione delle tabelle e non l'annullamento delle stesse; alle considerazioni di carattere pratico poste a base della superata impostazione, veniva opposto che adducere inconveniens non est solvere argumentum; nondimeno, ci si preoccupava che, esclusa la revisione in ipotesi di errore non rilevante quale vizio del consenso, pur non essendo le tabelle conformi ai valori reali delle singole unità immobiliari, dalla validità (o, comunque, dall'acquisita inoppugnabilità) dell'atto sarebbe discesa la conseguenza iniqua dell'obbligo in perpetuo dei condomini di contribuire alle spese in misura maggiore di quanto ad essi effettivamente dovuto.

Successivamente, nella stessa linea interpretativa, la Cassazione ha ritenuto di negare l'effetto dell'incontestabilità - proprio sotto il profilo dell'errore ex art. 69, n. 1), disp. att. c.c. - della tabella millesimale predisposta dal venditore-costruttore ed allegata ai contratti di vendita degli alloggi, e perciò accettata dai condomini; per pervenire a questo risultato, veniva ancora una volta argomentato che la causa petendi dell'azione di revisione non consisteva in un vizio del volere che inficiasse la formulazione della volontà contrattuale, ma solo in un errore oggettivo delle tabelle ed il relativo petitum si sostanziava nella sola revisione delle stesse (Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1998, n. 5942; Cass. civ., sez. II, 21 maggio 1991, n. 5722).

Il nuovo orientamento sopra delineato ha, poi, trovato conferma in altre decisioni della giurisprudenza.

In pratica, l'accettazione delle tabelle millesimali non ne precludeva l'impugnabilità per obiettiva divergenza del valore considerato rispetto a quello reale, imputabile ad errori di fatto, in ordine alle caratteristiche degli elementi necessari per la valutazione ai sensi dell'art. 68 disp. att. c.c., o ad errori di diritto riguardanti l'identificazione di tali elementi (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 1994, n. 1367).

Si escludeva, in altri termini, che l'accettazione delle tabelle millesimali impedisse al condomino la possibilità di contestarle giudizialmente per l'obiettiva divergenza tra valore considerato e valore reale dei singoli appartamenti, ma, al tempo stesso, si affermava che non poteva considerarsi errore rilevante ex art. 69, n. 1), disp. att. c.c., l'avere attribuito, ad esempio, alle unità immobiliari site al piano terreno dell'edificio, obiettivamente destinate - in ragione della loro conformazione strutturale - ad attività commerciali, un valore più elevato rispetto a quello risultante dal mero calcolo della superficie e della cubatura.

L'affermazione, secondo cui l'errore in grado di inficiare le tabelle millesimali è quello essenziale che, a norma degli artt. 1427 ss. c.c., poteva determinare l'invalidità del contratto, peraltro, era respinta da quella parte della dottrina, che non condivideva il suddetto presupposto della natura negoziale dell'atto di determinazione delle tabelle; essa aveva, infatti, posto in evidenza l'estrema genericità della formulazione dell'art. 69, n. 1), disp. att. c.c., che sembrava alludere ad una nozione più “familiare” che tecnica dell'errore, nonché la diversità delle sanzioni che l'ordinamento ricollegava ai due tipi di errore, quello previsto dagli artt. 1427 ss. c.c., cui conseguiva l'annullamento, o, nell'ipotesi dell'art. 1430 c.c., la rettifica, e quello contemplato al suddetto art. 69, cui conseguiva la mera revisione della tabella; di qui la conclusione che l'errore, che poteva inficiare le tabelle millesimali, non era quello essenziale di cui agli artt. 1427 ss. c.c., ma qualunque errore e, quindi, anche quello direttamente incidente sulla valutazione degli elementi di stima.

Su queste premesse, si è innestata la sentenza delle Sezioni Unite intervenuta verso la fine del secolo scorso, che ha fatto propri i rilievi argomentativi posti a fondamento dell'ultimo orientamento (Cass. civ., sez. un., 9 luglio 1997, n. 6222): pertanto, gli errori rilevanti agli effetti della revisione giudiziale prevista dall'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. (vecchio testo) dovevano intendersi - non quei vizi del consenso contemplati dall'art. 1428 c.c. come causa di annullamento del contratto, ma - tutti quelli obiettivamente verificabili, causa di apprezzabile discrasia tra il valore attribuito nella tabella alle unità immobiliari ed il valore effettivo delle stesse.

La soluzione del problema - si è sottolineato - non dipendeva, peraltro, dal carattere negoziale, o meno, della determinazione delle tabelle millesimali; invero, anche riconoscendo carattere negoziale all'approvazione delle tabelle, e non piuttosto quello di riconoscimento dell'esattezza di un'operazione puramente tecnica - di calcolo dei valori proporzionali dei piani o delle porzioni di piano dell'edificio condominiale - della revisione prevista dall'art. 69 citato non faceva da presupposto l'annullamento, non essendo ciò desumibile dalla formulazione della norma in esame, che accennava semplicemente ai valori da rettificare in quanto conseguenza di un errore, con riferimento, quindi, non già all'errore quale vizio del consenso, ma all'oggettiva presenza di difformità tra i valori di cui sopra.

Pertanto, gli errori rilevanti ai fini della revisione risultavano quelli obiettivamente verificabili, restando, di conseguenza, esclusa la rilevanza, ai fini dell'errore, dei criteri soggettivi - ad esempio, di ordine estetico - nella stima degli elementi necessari per la valutazione ex art. 68 disp. att. c.c.

In altri termini, davano luogo alla revisione giudiziale delle tabelle solo gli errori che attenessero alla determinazione degli elementi necessari per il calcolo del valore dei singoli appartamenti (quali l'estensione, l'altezza, l'ubicazione, l'esposizione, ecc.), sia errori di fatto - si pensi all'erronea convinzione che un singolo appartamento avesse un'estensione diversa da quella effettiva - sia errori di diritto - ad esempio, l'erronea convinzione che, nell'accertamento dei valori, dovesse tenersi conto di alcuni degli elementi che, ex art. 68, comma 2, disp. att. c.c., erano irrilevanti a tale effetto - in quanto l'errore contemplato nel successivo art. 69 non si riferiva al consenso dato all'approvazione delle tabelle, bensì obiettivamente ai valori in esso contenuti, comportando la revisione e non l'annullamento dell'atto di approvazione.

La questione sembrava, dunque, risolta, ma purtroppo il contrasto interpretativo, concernente l'errore di cui all'art. 69, n. 1), disp. att. c.c. e il relativo àmbito di utilizzabilità del rimedio contemplato da tale disposto, è emerso anche nelle pronunce di legittimità successive.

ERRORE RILEVANTE PER LA REVISIONE: ORIENTAMENTI A CONFRONTO

Vizio del consenso

In tema di condominio in edifici, qualora la tabella millesimale abbia natura contrattuale, la sua revisione ai sensi dell'art. 69 n. 1, disp. att. c.c. non è possibile, rilevando in tal caso l'errore nella predisposizione della tabella non nella sua oggettività (inteso, cioè, quale oggettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari ed il valore proporzionale ad esse attribuito), ma soltanto quando abbia determinato un vizio del consenso (Cass. civ., sez. II, 1 marzo 2000, n. 2253).

Discrasia tra i valori

In tema di condominio negli edifici, l'errore che giustifica, ai sensi dell'art. 69, n. 1), disp. att. c.c., la revisione delle tabelle millesimali non coincide con l'errore vizio del consenso, di cui agli artt. 1428 ss. c.c., ma consiste nell'obiettiva divergenza tra il valore effettivo delle singole unità immobiliari dell'edificio e il valore proporzionale ad esse attribuito nelle tabelle, senza che in proposito rilevi il carattere negoziale della formazione delle tabelle (Cass. civ., sez. II, 28 marzo 2001, n. 4528).

Si attende, pertanto, che la vexata questio sia nuovamente posta al vaglio delle Sezioni Unite affinché queste ultime tornino - si spera definitivamente - a comporre il contrasto interpretativo, anche se, almeno di recente, sembra che l'orientamento della II Sezione si stia assestando al diktat del supremo organo di nomofilachia (nel senso di errore come oggettiva discrepanza, v., infatti, Cass. civ., sez. II, 14 dicembre 2016, n. 25790; Cass. civ., sez. II, 26 marzo 2010, n. 7300; Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 3001).

Casistica

CASISTICA

Sopraelevazione

In materia di condominio negli edifici, la sussistenza di una sopraelevazione non implica necessariamente la revisione delle tabelle millesimali, le quali ex art. 69, n. 2), disp. att. c.c., possono essere rivedute e modificate (anche nell'interesse di un solo condomino) solo se è notevolmente alterato il rapporto originario dei valori dei singoli piani o porzioni di piano (Cass. civ., sez. II, 27 luglio 2007, n. 11644).

Mutamenti dei criteri di stima

I valori delle unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini e il loro proporzionale ragguaglio in millesimi al valore dell'edificio vanno individuati con riferimento al momento dell'adozione del regolamento e la tabella che li esprime è soggetta ad emenda solo in relazione ad errori, di fatto e di diritto, attinenti alla determinazione degli elementi necessari al calcolo del valore delle singole unità immobiliari ovvero a circostanze sopravvenute relative alla consistenza dell'edificio o delle sue porzioni, che incidano in modo rilevante sull'originaria proporzione dei valori; pertanto, in ragione dell'esigenza di certezza dei diritti e degli obblighi dei singoli condomini, fissati nelle tabelle millesimali, non comportano la revisione o la modifica di tali tabelle né gli errori nella determinazione del valore, che non siano indotti da quelli sugli elementi necessari al suo calcolo, né i mutamenti successivi dei criteri di stima della proprietà immobiliare, pur se abbiano determinato una rivalutazione disomogenea delle singole unità dell'edificio o alterato, comunque, il rapporto originario fra il valore delle singole unità e tra queste e l'edificio (Cass. civ., sez. II, 10 febbraio 2010, n. 3001).

Onere probatorio

L'errore determinante la revisione delle tabelle millesimali, a norma dell'art. 69 disp. att. c.c., è costituito dalla obiettiva divergenza fra il valore effettivo delle unità immobiliari e quello tabellarmente previsto; la parte che chiede la revisione delle tabelle millesimali non ha, tuttavia, l'onere di provare la reale divergenza tra i valori effettivi e quelli accertati in tabella, potendo limitarsi a fornire la prova anche implicita di siffatta divergenza, dimostrando in giudizio l'esistenza di errori, obiettivamente verificabili, che comportano necessariamente una diversa valutazione dei propri immobili rispetto al resto del condominio; il giudice, a sua volta, sia per revisionare o modificare le tabelle millesimali di alcune unità immobiliari, sia per la prima caratura delle stesse, deve verificare i valori di tutte le porzioni, tenendo conto di tutti gli elementi oggettivi - quali la superficie, l'altezza di piano, la luminosità, l'esposizione - incidenti sul valore effettivo di esse e, quindi, adeguarvi le tabelle, eliminando gli errori riscontrati (Cass. civ., sez. II, 25 settembre 2013, n. 21950).

Guida all'approfondimento

Ginesi, Commento all'art. 23 della legge n. 220/2012, in Approfondimento sulla riforma del condominio, numero speciale di Amministrare immobili, 2013, 72;

Calevi, Ancora in tema di revisione delle tabelle millesimali, in Giust. civ., 2011, I, 1579;

Nasini, Alcune considerazioni in tema di revisione o modificabilità a maggioranza delle tabelle dei valori millesimali, in Arch. loc. e cond., 2011, 774;

Salciarini, Il mutamento della destinazione d'uso e la revisione delle tabelle millesimali, in Immob. & proprietà, 2011, 285;

Coscetti, L'errore come causa di revisione delle tabelle millesimali, in Riv. giur. edil., 2010, I, 792;

Gallucci, Il concetto di errore rilevante ai fini della revisione delle tabelle millesimali: un contrasto giurisprudenziale senza fine, in Diritto e giustizia, 2010, 196;

De Tilla, Sulla revisione delle tabelle millesimali, in Riv. giur. edil., 2010, I, 789.

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