No alla restituzione delle spese per le nozze dopo la separazione
27 Ottobre 2023
Massima Le spese effettuate in vista del matrimonio sono irripetibili, dirette al soddisfacimento dei bisogni familiari e, di conseguenza, non sussiste alcun diritto al rimborso del coniuge a fronte di una donazione avvenuta in adempimento del dovere di contribuzione ex art. 143 c.c. Il caso Dopo l’intervenuta pronuncia giudiziale di separazione personale, l'ex moglie chiede al Tribunale territoriale la declaratoria di scioglimento della comunione dei beni attribuiti in donazione ai coniugi al momento del matrimonio nonché di vedersi restituire l'equivalente pecuniario della metà dei beni, del mobilio e degli arredi della casa coniugale, e la somma di oltre 11mila euro ricevuta in occasione del matrimonio, oltre che i 5mila euro spesi per l’acquisto delle porte della casa familiare. La donna chiede anche il riconoscimento di 6mila euro a titolo di ristoro per il mancato godimento, in conseguenza della separazione di fatto e dell'atteggiamento di chiusura del marito, dei beni ricevuti in donazione. Le domande sono respinte in primo grado, mentre la Corte d’appello di Palermo dichiara lo scioglimento della comunione dei beni ricevuti in donazione nuziale e attribuisce a entrambi rispettivamente la proprietà esclusiva dei beni come indicati nella relazione del consulente tecnico di ufficio, con condanna del convenuto a consegnare alla ex moglie i beni richiesti. Le ulteriori domande vengono respinte. L'ex moglie, pertanto, decide di ricorrere alla Corte di Cassazione che però non accoglie le domande della donna. La questione Può la separazione personale tra coniugi far sorgere il loro diritto al rimborso delle spese sostenute per la casa familiare in vista del matrimonio e, altresì, comportare la ripetizione della donazione obnuziale effettuata dal genitore di uno dei coniugi? Le soluzioni giuridiche Il tema delle spese sostenute da uno o entrambi i coniugi in vista o in costanza di matrimonio viene con sempre maggiore cadenza portato all'esame dei Tribunali, che si trovano a dirimere controversie in cui i coniugi – nel corso della separazione o del divorzio – rivendicano delle somme che ritengono a loro spettanti una volta venuta meno la comunione di intenti e progetti familiari. Ma quando i coniugi possono rivendicare ciò che hanno precedentemente investito nel corso della loro relazione? È possibile chiedere la restituzione delle somme sostenute quando il progetto di vita era comune? La vicenda oggetto del nostro approfondimento ha origine dalla richiesta di una moglie separata di vedersi restituita una somma di denaro per crediti maturati a titolo di comunione legale in costanza di matrimonio nei confronti del marito. L'ex marito si oppone alla richiesta evidenziando un'intervenuta compensazione per altri crediti a sua volta vantati, tra cui una spesa sostenuta in prima persona e legata a una serie di migliorie effettuate all'abitazione di esclusiva proprietà della moglie. La Corte di Cassazione, adita dopo che Tribunale territoriale e Corte d'Appello negano il diritto alla compensazione, chiarisce una volta per tutte che non può essere chiesta la restituzione delle somme imputabili alle migliorie apportate dal coniuge non proprietario all'interno dell'abitazione familiare, in quanto rientranti nei bisogni della famiglia. La Suprema Corte con la decisione qui in commento è ferma sul punto e ribadisce che i bisogni della famiglia, al cui soddisfacimento i coniugi sono tenuti a norma dell'art. 143 c.c., non si esauriscono in quelli, minimi, al di sotto dei quali verrebbero in gioco la stessa comunione di vita e la stessa sopravvivenza del gruppo, ma possono avere, nei singoli contesti familiari, un contenuto più ampio, soprattutto in quelle situazioni caratterizzate da ampie e diffuse disponibilità patrimoniali dei coniugi, situazioni le quali sono anch'esse riconducibili alla logica della solidarietà coniugale. Nel caso di specie, marito e moglie avevano contribuito entrambi ad apportare delle migliorie all'abitazione di famiglia, usufruendo delle stesse, e proporzionalmente alle proprie disponibilità. I Giudici di merito avevano opportunamente ritenuto che i lavori nell'immobile fossero stati intrapresi sulla base di una comunione di progetto, quale è quella matrimoniale, e che, pertanto, non fossero ripetibili al pari degli altri doveri coniugali rispetto ai quali avviene l'adempimento. Il provvedimento qui in commento, pertanto, ci guida alla conclusione che “le spese effettuate prima del matrimonio sono irripetibili, essendo state concepite e utilizzate in vista delle nozze e non potendo trovare applicazione l'art. 785 c.c.”. Ed ancora, con la presente pronuncia, la Corte di cassazione, in linea con i principi di diritto si qui esposti afferma che “poiché durante il matrimonio ciascun coniuge è tenuto a contribuire alle esigenze della famiglia in misura proporzionale alle proprie sostanze, secondo quanto previsto dagli artt. 143 e 316-bis, comma 1, c.c., a seguito della separazione non sussiste il diritto al rimborso di un coniuge nei confronti dell'altro per le spese sostenute in modo indifferenziato per i bisogni della famiglia durante il matrimonio” (Cass. civ., sez. VI, ord., 7 maggio 2018, n. 10927). Osservazioni Per essere maggiormente esaurienti nell'analisi dei temi toccati dal caso di specie, si ritiene opportuno approfondire passando anche da una breve analisi in punto di donazioni. La donazione, ai sensi dell'art. 769 c.c., è il contratto con il quale una parte arricchisce un'altra per spirito di liberalità, disponendo in suo favore di un diritto ovvero assumendo verso di essa un'obbligazione. Essa rientra nella classe dei negozi a titolo gratuito, ma non ne esaurisce la categoria. Da una parte, infatti, la gratuità, vale a dire l'assenza di corrispettivo, non implica necessariamente un arricchimento della controparte, che invece è elemento essenziale e strutturale nella donazione. D'altra parte, una prestazione eseguita senza corrispettivo non è necessariamente liberale. Costituisce, infatti, una liberalità soltanto l'atto con cui una parte arricchisce un'altra senza esservi tenuta in virtù di una obbligazione giuridica o naturale e per soddisfare un proprio interesse non patrimoniale. Sotto il profilo della natura giuridica, la donazione rappresenta un contratto tipico. In virtù della sua natura contrattuale, la sola volontà del donante di favorire il donatario mediante un'attribuzione patrimoniale è insufficiente al perfezionamento del negozio per il quale è necessaria l'accettazione del donatario nelle forme stabilite dalla legge (art. 782 c.c.). Sotto questo aspetto, la donazione in punto di matrimonio (donazione obnuziale) presenta una caratteristica: a norma dell'art. 785 c.c., essa si perfeziona senza bisogno di accettazione da parte del beneficiario. Secondo l'opinione maggiormente accreditata, tale tipo di donazione, considerato il suo perfezionamento in assenza di accettazione, non costituirebbe un contratto bensì un negozio unilaterale recettizio. Secondo altro orientamento, invece, la donazione obnuziale rappresenta un'ipotesi di contratto con obbligazioni a carico del solo preponente, ai sensi dell'art. 1333 c.c. In mancanza di un'esplicita indicazione normativa, parrebbe apprezzabile la tesi conservativa, che difende la struttura contrattuale della donazione obnuziale. Del resto, lo scambio di proposta e accettazione contemplato all'art. 1326 c.c. è soltanto uno dei modi di perfezionamento del contratto. L'art. 785 c.c., nell'affermare che la donazione a causa di matrimonio si perfeziona senza bisogno di accettazione, non esclude che essa possa concludersi in modo diverso, ad esempio in assenza del rifiuto del beneficiario nel termine richiesto dalla natura dell'affare, ai sensi dell'art. 1333, comma 2, c.c. La donazione obnuziale presenta peculiarità rispetto alla donazione non soltanto dal punto di vista strutturale, ma anche in punto di disciplina. Tali differenze stanno nella rilevanza attribuita, in questo particolare tipo di donazione, al motivo che giustifica l'arricchimento del donatario. La donazione obnuziale consiste, infatti, in un'attribuzione patrimoniale fatta da un futuro coniuge all'altro ovvero da un terzo verso uno o entrambi i futuri coniugi ovvero verso i nascituri, in vista del futuro matrimonio. Le nozze rappresentano, innanzitutto, il motivo oggetto di condizione sospensiva: il matrimonio è l'evento futuro al verificarsi del quale è subordinata l'efficacia del negozio. La donazione obnuziale costituisce, infatti, una figura ad hoc di donazione sottoposta a condizione, insieme alla donazione di riversibilità, di cui all'art. 791 c.c., nonché alla donazione con riserva di cui all'art. 790 c.c. D'altro canto, il matrimonio, quale motivo della donazione, non rappresenta soltanto l'evento futuro (e incerto) dedotto in condizione, ma contribuisce a definire la causa tipica della fattispecie. Mentre nella donazione ex art. 769 c.c. il motivo della liberalità resta nascosto e, dunque, giuridicamente irrilevante, nella donazione obnuziale il motivo della disposizione inerisce al piano causale, in quanto l'attribuzione patrimoniale viene effettuata, per spirito di liberalità, non solo in vista ma anche a causa delle nozze. Quanto appena affermato trova conferma all'art. 785, comma 2, c.c. secondo cui l'annullamento del matrimonio importa nullità della donazione, per assenza di causa. Ne consegue che, laddove l'attribuzione sia consistita nel trasferimento della proprietà di un bene, per effetto dell'annullamento del matrimonio, il donante viene automaticamente ripristinato nella titolarità del bene ceduto, per riottenere la disponibilità materiale del quale potrà esperire l'azione personale di restituzione ovvero le azioni reali a tutela della proprietà, di rivendicazione o di mero accertamento (Cass. civ., sez. II, 4 aprile 1973, n. 945). La rilevanza causale attribuita al motivo nella donazione obnuziale spiega, in particolare, il diverso regime giuridico rispetto alla donazione ex art. 769 c.c.: a differenza di quest'ultima, infatti, la donazione obnuziale non può essere revocata dal donante per ingratitudine o per sopravvenienza di figli (art. 805 c.c.) e non obbliga il donatario a prestare gli alimenti al donante (art. 437 c.c.). Per il resto, la donazione obnuziale è un negozio assoggettato allo stesso regime di forma previsto per la donazione. Sicché, per aversi donazione in riguardo di matrimonio anziché donazione ai sensi dell'art. 769 c.c., è necessaria la forma dell'atto pubblico ed è indispensabile che l'atto faccia espresso riferimento ad un matrimonio individuato (Cass. civ., sez. II, 7 dicembre 1989, n. 5410). La donazione non esaurisce, come detto, il novero degli atti liberali. Nella categoria delle liberalità, la legge prevede il contratto di donazione, distinguendo da quest'ultimo la liberalità d'uso di cui all'art. 770, co. 2, c.c. Le liberalità diverse dalla donazione, le c.d. liberalità atipiche, comprendono due tipologie di atti. Innanzitutto, gli atti che procurano al beneficiario un arricchimento di contenuto diverso rispetto alla donazione. Se la donazione consiste nella disposizione di un diritto ovvero nella assunzione di un'obbligazione, la liberalità atipica per contenuto consiste, ad esempio, nella rinuncia a un diritto a favore del beneficiario (a esempio, si pensi alla rinuncia per spirito di liberalità dell'usufruttuario al relativo diritto in favore del nudo proprietario). In secondo luogo, rappresenta una liberalità atipica la donazione indiretta. La donazione indiretta consiste in un atto con cui è attribuito ad un soggetto un arricchimento di contenuto identico a quella della donazione ma attraverso l'utilizzo di uno strumento giuridico diverso dal contratto di donazione. La donazione indiretta è caratterizzata, come ogni altro contratto indiretto, dall'utilizzo di un mezzo non tipicamente rivolto a quello scopo che viene raggiunto, pertanto, indirettamente. In relazione alle figure della donazione obnuziale e della donazione indiretta, la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi sulla compatibilità tra i due istituti. L'orientamento confermato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione sembra, ormai, pacifico. Il Collegio ha, infatti, escluso a più riprese la compatibilità tra le due affermando che la donazione obnuziale è un negozio formale e tipico, caratterizzato dalla espressa menzione nell'atto pubblico della ragione della attribuzione patrimoniale. Proprio l'espressa menzione nell'atto pubblico della ragione della liberalità, che aderisce al piano causale, giustifica le rilevanti deroghe in tema di disciplina, quali, come detto, la non revocabilità del contratto e l'estraneità del donatario all'obbligo alimentare. |