Interrogatorio libero

25 Febbraio 2019

Nel disegno sistematico del legislatore del 1940, l'interrogatorio libero o informale, di cui all'art. 117 c.p.c., assurge a strumento avente funzione chiarificatoria e di «ricerca ufficiale della verità», ma anche repressiva della mala fede processuale, prestandosi a fungere da strumento di prevenzione di possibili violazioni del dovere di lealtà e probità sancito dall'art. 88 c.p.c. (cfr. parr. n. 29, comma 6, e 17, comma 7 della Relazione del Ministro Guardasigilli al Re sul c.p.c.), pur senza escluderne una collaterale funzione probatoria, potendo il giudice desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., dalle risposte date dalle parti e più in generale dal contegno tenuto nel processo.
Inquadramento

Nel disegno sistematico del legislatore del 1940, l'interrogatorio libero o informale, di cui all'art. 117 c.p.c., assurge a strumento avente funzione chiarificatoria e di «ricerca ufficiale della verità», ma anche repressiva della mala fede processuale, prestandosi a fungere da strumento di prevenzione di possibili violazioni del dovere di lealtà e probità sancito dall'art. 88 c.p.c. (cfr. parr. n. 29, comma 6 e 17, comma 7 della Relazione del Ministro Guardasigilli al Re sul c.p.c.), pur senza escluderne una collaterale funzione probatoria, potendo il giudice desumere argomenti di prova, ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., dalle risposte date dalle parti e più in generale dal contegno tenuto nel processo.

Emerge, dunque, con evidenza come l'istituto in esame rientri a pieno titolo tra gli strumenti che il legislatore del 1940 ha inteso fornire al giudice per valorizzarne quel ruolo attivo nella direzione formale e sostanziale del procedimento, che costituisce una delle principali innovazioni dell'attuale codice di rito, ove per l'appunto è collocato nel titolo V del Libro I, intitolato “Dei poteri del giudice”.

E proprio la valorizzazione del ruolo attivo del giudice spiega sia la scarnezza della disciplina contenuta nell'art. 117 c.p.c., interamente incentrata sul potere discrezionale dell'istruttore di disporre la comparizione personale delle parti «in qualunque stato e grado del processo», sia l'ampiezza dell'ambito di applicazione dell'istituto, che è richiamato, direttamente o indirettamente da numerose altre norme, tra cui gli artt. 183 e 185 c.p.c., che ne integrano la disciplina generale, l'art. 350, ult. comma, c.p.c. per l'appello ordinario; gli artt. 420 e 447-bis c.p.c. rispettivamente per il processo del lavoro e per il procedimento locatizio, l'art. 485c.p.c. per l'esecuzione forzata e l'art. 707 c.p.c. per il procedimento di separazione personale dei coniugi.

Sebbene l'art. 117 c.p.c. prescriva che il giudice può disporre d'ufficio la comparizione personale delle parti «in qualunque stato e grado del processo», il ricorso a tale strumento in grado di appello, stante la tendenziale collegialità del procedimento, è fortemente limitato; inoltre, l'interrogatorio libero non può trovare ingresso nel giudizio di Cassazione, per evidenti motivi di incompatibilità strutturale, mentre nulla vi osta nel giudizio di rinvio.

In evidenza

Il divieto per il giudice di rinvio di assumere nuove prove (salvo che la relativa necessità insorga dalla sentenza di annullamento) non riguarda l'interrogatorio non formale delle parti, il quale non integra un mezzo di prova e può essere disposto in qualunque stato e grado del processo (art. 117 c.p.c.), con la funzione di fornire elementi sussidiari per la valutazione delle prove già acquisite (Cass. civ., sez. I, 30 marzo 1988, n. 2698).

Nonostante il manifesto intento del legislatore del 1940 di massima valorizzazione dell'istituto in esame, la reiterata ed oscillante novellazione dell'art. 183 c.p.c. ha negativamente inciso sulla centralità dell'interrogatorio informale come momento di primo contatto tra le parti ed il giudice nel rito ordinario, posto che alla obbligatorietà della comparizione personale delle parti in prima udienza, disposta dalla legge di riforma n. 353/1990 in vigore dal 30 aprile 1995, il legislatore della novella del 2005 (operata con d.l. n. 35/2005, conv. in legge n. 80/2005) ha sostituito la facoltatività, fatta salva l'ipotesi di richiesta congiunta delle parti e sebbene permangano la facoltà officiosa del giudice di disporre ai sensi dell'art. 117 c.p.c. e la rinnovabilità del tentativo di conciliazione in qualunque momento dell'istruzione.

Ambigua natura del mezzo

Il legislatore del 1940 ha individuato nell'interrogatorio libero uno strumento esplicativo, attraverso cui ciascuna delle parti può chiarire direttamente al giudice le rispettive allegazioni di fatto e le relative conclusioni, fornendo una versione dei fatti ed una prospettazione delle proprie ragioni più lineare e completa.

In tal modo, il giudice mira ad ottenere quei chiarimenti necessari non solo per la definizione del thema decidendum e del thema probandum ma anche per la verifica della conciliabilità della controversia.

Ciò nondimeno, l'art. 116 comma 2 c.p.c. consente al giudice di desumere proprio dalle risposte date dalle parti nell'interrogatorio libero, argomenti di prova, attribuendo giocoforza a tale strumento una collaterale funzione probatoria, che, per vero, mal si concilia con la natura di strumento di massima collaborazione tra il giudice e le parti, cui queste ultime dovrebbero accostarsi riponendo piena fiducia nella momentanea irrilevanza probatoria delle proprie asserzioni e nel principio per cui nemo contra se edere tenetur.

Ne consegue che l'interrogatorio informale, oltre ad assolvere a due diverse finalità (l'una processuale in senso stretto e l'altra strumentale alla conciliazione) si appalesa di difficile ricostruzione sistematica.

Ed invero, in dottrina si dibatte sulla possibilità di qualificare l'interrogatorio informale in termini di strumento chiarificatorio non istruttorio, sottolineandone l'esigenza esplicativa dei fatti di causa (per tutti, Taruffo, Interrogatorio, 68) o di annoverarlo tra i mezzi istruttori in senso lato, posta la tendenziale prevalenza della funzione probatoria su quella chiarificatoria, soprattutto quando disposto in limine litis (Della Pietra, 1117).

Né mancano posizioni di compromesso, che, muovendo dalla impossibilità di distinguerne, anche solo in termini di cadenza cronologica, l'esperimento in funzione chiarificatrice dall'impiego a fini prevalentemente istruttori, ne postulano una natura ambigua (Balena, 126 e ss.).

L'orientamento giurisprudenziale consolidato (Cass. civ.,15 luglio 2005, n. 15019; Cass. civ., 26 maggio 2000, n. 7002;Cass. civ., 26 marzo 1997, n. 2700; Cass. civ., 30 marzo 1988, n. 2698, cit.), a sua volta, considera pacifica l'esclusione dell'interrogatorio libero di cui all'art. 117 c.p.c. dal novero dei mezzi di prova in senso stretto, pur avendo concluso un percorso evolutivo di ridimensionamento della funzione chiarificatoria e di accentuazione di quella probatoria, anche e soprattutto alla luce della crescente valorizzazione degli argomenti di prova, non più relegati a probatio inferior, bensì assurti ad elementi idonei a costituire ex se una sufficiente fonte di prova su cui fondare il convincimento del giudice.

Duplice finalità dell'istituto

Dunque, come accennato, l'interrogatorio libero assolve due diverse finalità: una processuale in senso stretto ed una strumentale al tentativo di conciliazione.

La finalità processuale in senso stretto viene in rilievo innanzitutto con riguardo alla definizione del thema decidendum, in quanto il giudice, chiedendo alle parti direttamente (ovvero alla presenza – ma senza la mediazione – dei difensori) chiarimenti sui fatti allegati, perviene ad una chiarificazione dell'oggetto della causa scevra dai tecnicismi propri dei procuratori costituiti.

L'interrogatorio informale concorre, inoltre, alla definizione del thema probandum, posto che il giudice, oltre a poter desumere dalle risposte argomenti di prova ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c., è posto in grado di enucleare i fatti non contestati o pacifici, eliminandoli dal novero dei fatti bisognosi di prova.

Quanto, poi, alla finalità strumentale dell'interrogatorio informale rispetto al tentativo di conciliazione, essa si è rafforzata con la novella del 2005 (operata con d.l. n. 35/2005, conv. in legge n. 80/2005), che ha ricondotto nell'alveo del potere dispositivo delle parti la richiesta di tentare la conciliazione, sicché il giudice in via primaria è tenuto ad esperire il tentativo su istanza congiunta delle parti, residuando allo stesso in via secondaria la facoltà di provvedervi, quando lo ritenga opportuno, a norma dell'art. 117 c.p.c. e di rinnovare il tentativo in qualunque momento dell'istruzione ai sensi dell'art. 185, comma 2, c.p.c..

In proposito, è bene rammentare che, sebbene l'art. 185 c.p.c. preveda che in ipotesi di richiesta congiunta (rectius, concorde seppur non necessariamente contestuale) formulata dalle parti nel corso della prima udienza di comparizione e trattazione il giudice sia vincolato a disporre la comparizione personale delle parti per interrogarle liberamente e tentarne la conciliazione, la richiesta congiunta ben può sopraggiungere oltre l'udienza ex art. 183 c.p.c., ma non oltre l'udienza di precisazione delle conclusioni.

Poteri del giudice, modalità di interrogatorio e valore probatorio delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero

Le modalità di assunzione dell'interrogatorio libero, la sua officiosità e l'efficacia probatoria da attribuire alle dichiarazioni in esso rese nettamente distinguono l'istituto in esame dall'interrogatorio formale, che, come noto, è previsto nel nostro ordinamento quale vero e proprio mezzo istruttorio costituendo, finalizzato a provocare la confessione della controparte.

Quanto alle modalità di assunzione, non vi è dubbio che il giudice possa condurlo nel modo che ritiene più opportuno, formulando liberamente le domande alle parti, ossia al di fuori di una preventiva articolazione di capitoli separati e specifici, e senza necessità di motivare espressamente sulle modalità adottate (Cass. civ., 2 luglio 2009, n. 15502), in maniera diametralmente opposta a quanto previsto nell'art. 230 c.p.c., che prescrive che l'interrogatorio formale sia dedotto per articoli separati e specifici, senza possibilità di formulare domandi ultronee a quelle articolate in capitoli, e che si proceda alla sua assunzione nei modi e nei termini stabiliti preventivamente nell'ordinanza di ammissione.

Ed ancora, l'interrogatorio libero non soggiace ai limiti di ammissibilità propri dell'interrogatorio formale, né al principio della infrazionabilità delle dichiarazioni rese, posto dall'art. 2734 c.c. con specifico riferimento alla sola confessione provocata in sede di interrogatorio formale.

Tuttavia, deve sottolinearsi la necessità che l'interrogatorio libero debba essere disposto nel contraddittorio delle parti: il che presuppone che tutte le parti siano costituite o che la parte contumace si presenti spontaneamente a renderlo, in modo che ciascuna parte possa immediatamente contraddire le affermazioni dell'altra, senza però che il contraddittorio si tramuti nel coinvolgimento delle parti in un diretto scambio di domande e risposte.

Eppure, deve rimarcarsi che non determina violazione del principio del contraddittorio la mancata notificazione al contumace dell'ordinanza che dispone la comparizione delle parti al fine di procedere al loro libero interrogatorio, posta la tassatività degli atti di cui all'art. 292 c.p.c..

Il carattere officioso dell'interrogatorio libero, che lo contrappone apertamente all'interrogatorio formale rimesso alla esclusiva disponibilità delle parti, si evince agevolmente dalla lettura dell'art. 117 c.p.c.: il giudice può, infatti, disporlo d'ufficio «in qualunque stato e grado del processo», sicché l'esercizio o meno del corrispondente potere, della cui natura discrezionale non è dato dubitare, è del tutto incensurabile in sede di legittimità e l'istanza di una o più parti in causa, ma non di tutte, assurge a mera sollecitazione non vincolante.

Parimenti non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità la facoltà di trarre argomenti sfavorevoli alla parte dalla sua mancata comparizione al fine di rendere interrogatorio libero, e di ritenere o meno valido il motivo dedotto a giustificazione della mancata comparizione, trattandosi di valutazioni che rientrano de plano nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass. civ., 15 aprile 2004, n. 7208; Cass. civ., 5 maggio 1997, n. 3910).

In evidenza

L'interrogatorio libero va disposto ad iniziativa del giudice, per cui alla richiesta formulata da una parte deve attribuirsi il mero valore di sollecitazione dell'attività discrezionale del giudice stesso; consegue che il mancato esercizio di tale facoltà, anche dopo l'introduzione del nuovo rito del lavoro, non può formare oggetto di censura in sede di legittimità (Cass. civ.,sez. III, 4 giugno 1988, n. 3797).

L'ultimo periodo dell'art. 117 c.p.c. prevede, poi, che le parti possano farsi assistere dai difensori. Si tratta di una mera facoltà, rimessa esclusivamente alla volontà delle parti interrogande (Cass. civ., 28 gennaio 1983, n. 801).

Ciò nondimeno, merita di essere segnalata la peculiare disciplina della comparizione personale dei coniugi nel procedimento di separazione personale: gli artt. 707-709-bis c.p.c. prevedono che le parti debbano comparire personalmente con l'assistenza di un difensore per essere sentite prima separatamente e poi congiuntamente.

L'interrogatorio informale deve essere reso dalla parte personalmente o in sua vece da un suo procuratore generale o speciale, in ossequio alla riforma del 2005, che all'art. 185 del codice di rito ha recepito integralmente il consolidato orientamento dei giudici di legittimità (Cass. civ., 30 agosto 1991, n. 9316).

Tali procuratori generali o speciali debbono essere muniti di apposita procura conferita per atto pubblico o scrittura privata autenticata: di talché deve escludersi che l'atto in forza del quale viene conferita la procura ed il potere di conciliare e transigere possa essere il mandato alle liti, ma non anche che l'apposita procura sia conferita, in via separata rispetto al mandato alle liti, al medesimo procuratore costituito.

La mancata conoscenza dei fatti di causa, senza giustificato motivo, da parte del procuratore è valutabile dal giudice ai sensi dell'art. 116, comma 2, c.p.c. ed analogo regime deve riferirsi, pur nel silenzio degli artt. 117 e 185 c.p.c., alla mancata comparizione senza giustificato motivo, posto che essa costituisce certamente contegno processuale (Cass. civ.,sez. III, 15 luglio 2005, n. 15019).

La maggiore differenza tra l'interrogatorio libero e quello formale, tuttavia, si rinviene nell'efficacia probatoria attribuita ex lege alle dichiarazioni rese dalla parte interrogata: nel primo caso, infatti, la legge conferisce alle risposte date il valore di argomenti di prova, liberamente e discrezionalmente valorizzabili dal giudice, mentre nel secondo caso la risposta confessoria può dar luogo ad una prova legale.

Più precisamente, la parte, che liberamente interrogata, risponde affermando un fatto a sé sfavorevole e favorevole all'altra parte, non rende una dichiarazione confessoria, posto che la confessione giudiziale provocata discende unicamente dall'interrogatorio formale, e soprattutto che vi osta il disposto di cui all'art. 229, ultimo inciso, c.p.c., a mente del quale la confessione spontanea può essere contenuta in qualsiasi atto processuale sottoscritto dalla parte personalmente, eccetto il verbale dell'interrogatorio informale ex art. 117 c.p.c..

Ciò nondimeno, come più volte ribadito, l'interrogatorio libero non è del tutto privo di rilevanza sul piano istruttorio, ben potendo il giudice valutarne le risultanze in termini di argomenti di prova, ossia di elementi di convincimento sussidiari ai fini del riscontro e della valutazione delle prove acquisende o già acquisite, ma anche, secondo il più recente orientamento giurisprudenziale, di convincimento unici su cui il giudice può fondare la propria decisione, a condizione che se ne dia una adeguata e corretta motivazione.

Tuttavia, ad onta del richiamato disposto di cui all'art. 229, ultimo inciso, c.p.c., parte della dottrina (Satta, 221; Della Pietra, 1118), concordemente con la giurisprudenza (Cass. civ., 16 maggio 2006, n. 11403; Cass. civ., 14 dicembre 2001, n. 15849; Cass. civ., 26 maggio 2000, n. 7002, cit.), ritiene che le dichiarazioni rese in sede di interrogatorio libero relativamente ai soli diritti disponibili possano avere efficacia di confessione spontanea, a condizione che siano rese al di fuori delle domande poste dal giudice o dalla controparte, e quindi in piena autonomia, che sia verbalizzata espressamente la spontaneità della risposta e che la parte abbia sottoscritto il verbale.

Si tratta, ovviamente, di ipotesi rarissima, che continua a destare forti perplessità posta la difficoltà di verificare a posteriori che la parte abbia reso le dichiarazioni confessorie in sede di libero interrogatorio con animus confitenti.

Brevi cenni sul rapporto tra dichiarazioni mendaci e lite temeraria: casistica

Sebbene nel nostro ordinamento, secondo l'opinione dominante in dottrina (Della Pietra, sub art. 88, 686; Zucconi Galli Fonseca, 253) ed in giurisprudenza (Cass. civ., 21 giugno 1971, n. 1931, cui le successive si sono conformate), non sussista alcun obbligo in capo alla parte ed al suo difensore di dire la verità nel corso dell'attività giurisdizionale, tanto con riguardo al contenuto degli atti processuali, quanto alle dichiarazioni che le parti personalmente sono chiamate a rendere nel corso dell'interrogatorio libero e di quello formale, applicandosi il principio per cui nemo contra se edere tenetur, deve darsi cenno del recente orientamento della giurisprudenza di merito, secondo cui le dichiarazioni mendaci, pur non costituendo di per sé fonte di responsabilità, possono nondimeno costituire elemento da cui il giudice può trarre il suo convincimento circa la sussistenza della mala fede della parte che le ha rese, ossia della circostanza che la stessa abbia agito o resistito in giudizio nella consapevolezza dell'infondatezza delle sue ragioni, costituendo così il presupposto per la condanna, su richiesta della parte vittoriosa, al risarcimento del danno ex art. 96 c.p.c. (Cass. civ., 26 maggio 2000, n. 7002; Cass. civ., 22 ottobre 1998, n. 10497).

CASISTICA

Si è ritenuto giustificativa dell'accoglimento della domanda di condanna del convenuto al risarcimento del danno per lite temeraria la condotta processuale del convenuto che aveva resistito in giudizio nella consapevolezza della temerarietà della sua opposizione all'accoglimento della domanda di parte attrice, dichiarando al giudice in sede di libero interrogatorio non solo di non saper nulla in ordine ad uno o più specifici fatti di causa ma, addirittura rendendo dichiarazioni mendaci.

Trib. Padova, 30 marzo 2006

Parimenti è stata condannata al risarcimento dei danni ex art. 96 c.p.c. la parte che aveva proposto opposizione alla convalida di sfratto per morosità deducendo «un vizio di notifica rilevatosi inesistente», per essere stata fornita in giudizio la prova che l'opponente medesimo avesse avuto piena conoscenza dell'ordinanza di sfratto.

Trib. Modena 24 aprile 2009

Ed ancora, è stata accolta la domanda risarcitoria per lite temeraria nel caso di «positivo riconoscimento della falsità delle circostanze di fatto», indicate da parte attrice a fondamento della pretesa avanzata.

Trib. Milano 13 marzo 2012

Guida all'approfondimento
  • Balena, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Bari, 2014, 126 e ss.;
  • Della Pietra, Codice di procedura civile commentato, a cura di Vaccarella e Verde, I, Torino, 1997, sub art. 88, 686;
  • Della Pietra, L'interrogatorio della parte: interrogatorio libero e interrogatorio formale, in GM, 2002, 1117;
  • Satta, Commentario al codice di procedura civile, II, Milano, 1966, 221;
  • Taruffo, voce “Interrogatorio”, in Dig. disc. priv., Sez. civ., X, Torino, 1993, 59 ss.;
  • Zucconi Galli Fonseca, Commentario breve al c.p.c., a cura di Carpi e Taruffo, Padova, 2006, sub art. 88, 253.
Sommario