Cause di estinzione della penaFonte: Cod. Pen Articolo 171
21 Luglio 2015
Inquadramento
Nel capo II del titolo VI del codice penale trovano disciplina le cause di estinzione della pena che, insieme alle cause di estinzione del reato, determinano l'estinzione della punibilità di un fatto integrante – sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo – un illecito penale. Le cause estintive della pena, a differenza di quelle che estinguono il reato, operano sulla punibilità in concreto, ovvero sulla pena effettivamente e concretamente con sentenza di condanna irrevocabile, non aggredendo il reato nella sua in intera dimensione giuridica che, anzi, continua a produrre taluni effetti. La distinzione tra le due cause di estinzione della punibilità è, perciò, fondata sulla sussistenza o meno di una sentenza di condanna passata in giudicato
Le singole cause di estinzione della pena in senso stretto
Le cause di estinzione della pena sono numerose: la maggioranza di esse sono contenute e disciplinate nel libro primo del codice penale; talune di esse, invece, sono regolate al di fuori di esso. Occorre precisare che tra di esse dovrebbero essere ricondotte numerose ipotesi estintive (amnistia impropria, art. 151 c.p.; il c.d. patteggiamento tradizionale, art. 445, comma 2, c.p.p.; il decreto penale di condanna, art. 460, comma 5, c.p.p.; l'esito positivo della pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità, artt. 186 e 187, d.lgs. 285/1992) che , invece, la legge formalmente qualifica come cause di estinzione del reato: in tutte queste ipotesi, infatti, a ben vedere l'effetto estintivo si produce dopo che la condanna è divenuta definitiva, essendo passata in giudicato la relativa sentenza. Morte del reo dopo la condanna
L'art. 171 c.p. ricollega alla morte del reo un effetto estintivo della pena. Lo stesso fatto naturale, ove intervenuto prima della condanna, determina, invece, l'estinzione del reato (art. 150 c.p.). Trattasi di due disposizioni che attuano il generale principio mors omnia solvit. Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che deve ritenersi “inesistente la decisione della Corte di cassazione deliberata dopo la morte del reo, intervenuta nelle more del giudizio di legittimità dopo condanna in sede di merito, e spetta alla stessa Corte di cassazione adita per la declaratoria d'estinzione del reato per morte del reo avvenuta prima della pronuncia, il potere-dovere di dichiarare tale inesistenza” (Cass. pen., Sez. I, 5 marzo 2009, n. 14509). In punto di irrevocabilità della sentenza, una risalente pronuncia della Corte di cassazione ha, però, precisato che qualora l'imputato sia deceduto dopo la sentenza di condanna pronunciata in sua contumacia, prima ancora della notifica dell'estratto contumaciale, e questa non sia impugnata neppure dal difensore o dalle altre parti legittimate, la sentenza diventa irrevocabile, in quanto con la morte si estingue anche il diritto spettante all'imputato di impugnare la sentenza e diventa inattuabile la pretesa punitiva in sede di esecuzione perché la morte estingue la pena (Cass. pen., Sez. II, n. 677/1984).
Prescrizione della pena
Gli articoli 172 e 173 c.p. disciplinano l'estinzione della pena per decorso del tempo, ovvero quella che viene comunemente definita “prescrizione della pena”. Analogamente alla prescrizione del reato disciplinata agli articoli 157 e ss. c.p., la presente causa di estinzione della punibilità rappresenta una rinuncia alla potestà punitiva dello Stato in ordine a fatti risalenti nel tempo, perdendosi in tali ipotesi il necessario collegamento tra essi e la sanzione, con inevitabile compromissione della funzione rieducativa della pena (art. 27, comma 3, Cost.), oltre che del generale principio di certezza dei rapporti giuridici. In ordine al quantum di tempo necessario ad estinguere la sanzione, il codice detta una disciplina differenziata a seconda della specie di pena concretamente inflitta al condannato. In caso di concorso di reati per l'estinzione della pena si deve avere riguardo a ciascuno di essi, anche se le pene sono state inflitte con la medesima sentenza (art. 172, comma 6, c.p., richiamato dall'art. 173, comma 3, c.p.). In particolare, con riferimento al tempo necessario a prescrivere, è previsto:
Eccezionalmente, non sono soggetti a prescrizione la pena dell'ergastolo, le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. La prescrizione della pena non è soggetta a sospensione, né ad interruzione, contrariamente a quanto previsto dal codice in materia di prescrizione del reato (artt. 159, 160 e 161 c.p.). La dottrina (Fiandaca-Musco) ritiene che la prescrizione della pena, al pari della omologa causa estintiva del reato, sia rinunciabile dal condannato, in forza dei principi consacrati da Corte cost. 31 maggio 1990, n. 275.
Indulto e grazia
L'indulto e la grazia sono due cause di estinzione della pena di natura clemenziale. Entrambe hanno un fondamento costituzionale: l'indulto, nell'art. 79 Cost.; la grazia, nell'art. 87 Cost., secondo cui il Presidente della Repubblica, quale Capo dello Stato, può concedere la grazia e commutare le pene. L'indulto è un provvedimento di clemenza generale di competenza parlamentare, la cui applicazione nella fase esecutiva della pena è regolata dall'art. 672 c.p.p. L'ultimo provvedimento di indulto è stato approvato dal parlamento con l. 31 luglio 2006, n. 241. Per quanto attiene al rapporto tra la revoca dell'indulto e la prescrizione della pena deve essere segnalata la pronuncia delle Sezioni Unite che ha affermato il seguente principio di diritto: “Nel caso in cui l'esecuzione della pena sia subordinata alla revoca dell'indulto, il termine di prescrizione della pena decorre dalla data d'irrevocabilità della sentenza di condanna, quale presupposto della revoca del beneficio” (Cass. pen., Sez. un., 30 ottobre 2014, n. 2).
La grazia, invece, rappresenta un potere riconosciuto al presidente della Repubblica, quale Capo dello Stato, a fronte di esigenze eccezionali, riferibili a specifici casi concreti, che non possono essere soddisfatte o realizzate attraverso gli strumenti e gli istituti previsti dalle norme sull'ordinamento penitenziario: si tratta, invero, di un provvedimento di clemenza personale e singolare, da riconoscersi in forza di un principio di giustizia ed equità, da concedersi qualora la pena debba essere interrotta per intervenuta risocializzazione del condannato ovvero, secondo una certa impostazione, per porre rimedio ad eventuali errori giudiziari non altrimenti riparabili. Con sentenza della Corte costituzionale 18 maggio 2006, n. 200, si è riconosciuto in via esclusiva al capo dello Stato il potere discrezionale di concessione del provvedimento di clemenza, dovendosi escludere un potere interdittivo in capo al Ministro guardasigilli. Il procedimento di concessione della grazia è disciplinato dall'art. 681 c.p.p. Il decreto di concessione della grazia deve essere annotato sull'originale della sentenza (art. 192 disp. att. c.p.p.). La presentazione della domanda di grazia è individuata dall'art. 147 c.p. quale ipotesi di rinvio facoltativo dell'esecuzione della pena (Cass. pen., Sez. I, 1° luglio 2010, n. 26862). Il rinvio dell'esecuzione, in base all'art. 147, comma 2, c.p. non può superare il periodo massimo complessivo di 6 mesi, anche nell'ipotesi in cui la decisione sulla domanda non sia stata assunta in questo lasso di tempo (Cass. pen., Sez. I, 14 novembre 2007, n. 43304). Gli effetti dei due provvedimenti/cause estintive sono regolati in via generale dall'art. 174 c.p.; la revoca dei benefici conseguenti ai provvedimenti di grazia e indulto sono regolati da un punto di vista processuale dall'art. 674 c.p.p.; una disciplina speciale dell'indulto e della grazia è prevista, poi, dal codice penale militare di pace (art. 73 r.d. 303/1941). Liberazione condizionale
L'art. 176 c.p., così come riformato dalla l. 1634/1962, prevede una causa di estinzione anticipata della pena detentiva collegata alla buona condotta del detenuto e all'esecuzione di una parte cospicua della pena inflitta. Più in particolare, per il riconoscimento dell'effetto estintivo della pena sono richiesti congiuntamente i seguenti requisiti e condizioni: a) il condannato abbia tenuto, durante il tempo di esecuzione della pena, “un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento”, dovendosi intendere con tale termine “la realizzazione, da parte del condannato, di comportamenti oggettivi dai quali desumere la netta scelta di revisione critica operata rispetto al proprio passato, che parta dal riconoscimento degli errori commessi e aderisca a nuovi modelli di vita socialmente accettati” (Cass. pen., Sez. I, 11 luglio 2014, n. 45042; in senso parzialmente contrario: Cass. pen., Sez. I, 27 giugno 2013, n. 33302, secondo cui non sarebbe necessario un riconoscimento della propria colpevolezza); b) il condannato abbia scontato una buona parte della pena detentiva applicata (almeno 30 mesi di pena detentiva e, comunque, almeno metà della pena inflittagli, qualora il rimanente della pena non superi i cinque anni, art. 176, comma 1, c.p.; se si tratta soggetto caratterizzato da recidiva qualificata ai sensi dell'art. 99, commi 2 e ss., c.p., almeno quattro anni di pena e non meno di ¾ della pena inflittagli, art.176, comma 2, c.p.; se si tratta condannato all'ergastolo, invece, quando abbia scontato almeno 26 anni di reclusione, art. 176, comma 3,c.p.); c) l'avvenuto adempimento delle obbligazioni civili derivanti da reato, salvo che il condannato dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle. In caso di mancata concessione del beneficio a causa del difetto del requisito del ravvedimento, la richiesta non può essere riproposta prima di sei mesi dal giorno del provvedimento irrevocabile di rigetto (art. 682 c.p.p.). Per i minori degli anni 18 al momento della commissione del reato, la liberazione condizionale può essere concessa al di fuori degli stretti limiti indicati dal codice penale, ovvero in qualunque momento dell'esecuzione, qualunque sia la durata della pena detentiva inflitta (art. 21 r.d.l. 1404/1934). Un'ipotesi di liberazione condizionale speciale è prevista, poi, dal codice penale militare di pace (art. 71 r.d. 303/1941). L'effetto principale della liberazione condizionale è quello di sospendere l'esecuzione della pena detentiva (con applicazione della misura di sicurezza della libertà vigilata assistita dal servizio sociale) e di determinarne l'estinzione, decorso un determinato periodo (art. 177, comma 2 c.p.); a ciò si aggiunga che “Nei confronti del condannato ammesso alla liberazione condizionale resta sospesa l'esecuzione della misura di sicurezza detentiva cui il condannato stesso sia stato sottoposto con la sentenza di condanna o con un provvedimento successivo” (art. 177, comma 1, primo periodo c.p.) e che, in caso di esito positivo della liberazione condizionale, sono revocate le misure di sicurezza personali, ordinate dal giudice con la sentenza di condanna o con provvedimento successivo (art. 177, comma 2, c.p.). L'estinzione della pena, conseguente alla liberazione condizionale non fa venir meno, invece, gli altri effetti penali della condanna, non potendo accedersi ad un'interpretazione analogica, sia pure in bonam partem, di altri istituti clemenziali (Cass. pen., Sez. I, 29 febbraio 2012, n. 11771). L'art. 177 c.p. disciplina, invece, le ipotesi di revoca del beneficio. La norma è stata oggetto di plurimi interventi manipolativi della Consulta. Si segnalano in particolare le seguenti sentenze: - Corte Cost. 25 maggio 1989, n. 282,che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 177,comma 1, c.p. nella parte in cui, nel caso di revoca della liberazione condizionale, non consente al tribunale di sorveglianza di determinare la pena detentiva ancora da espiare, tenendo conto del tempo trascorso in libertà condizionale nonché delle restrizioni di libertà subite dal condannato e del suo comportamento durante tale periodo. - Corte Cost. 4 giugno 1997, n. 161 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 177, comma 1 c.p. nella parte in cui non prevede non prevede che il condannato alla pena dell'ergastolo, cui sia stata revocata la liberazione condizionale, possa essere nuovamente ammesso a fruire del beneficio ove ne sussistano i relativi presupposti. - Corte Cost. 23 dicembre 1998, n. 418 che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 177, comma 1, c.p. nella parte in cui prevede la revoca della liberazione condizionale nel caso di condanna per qualsiasi delitto o contravvenzione della stessa indole, anziché stabilire che la liberazione condizionale revocata se la condotta del soggetto, in relazione alla condanna subita, appare incompatibile con il mantenimento del beneficio. Un'ulteriore ipotesi di revoca del beneficio è previsto dall'art. 9 l. 304/1982qualora la persona liberata commetta successivamente un delitto non colposo per il quale è prevista la pena della reclusione superiore nel massimo quattro anni, ovvero se risulti che la liberazione condizionale è stata ottenuta a mezzo di dichiarazioni di cui sia stata accertata giudizialmente la falsità. Il procedimento di concessione di revoca della liberazione condizionale è disciplinato dal dall'articolo 682 c.p.p., che attribuisce la competenza al tribunale di sorveglianza.
Un'ulteriore causa di estinzione della pena è prevista, poi, dalla legge sull'ordinamento penitenziario in caso di esito positivo dell'affidamento in prova ai servizi sociali (art. 47, comma 12, l. 354/1975), misura alternativa che può essere applicata, in via generale, a chi debba scontare una pena detentiva (anche residua) non superiore a 3 anni ove essa contribuisca alla rieducazione del reo e assicuri la prevenzione del pericolo che egli commetta altri reati o, eccezionalmente, debba scontare una pena detentiva non superiore a quattro anni, quando abbia serbato, quantomeno nell'anno precedente alla presentazione della richiesta, trascorso in espiazione di pena, in esecuzione di una misura cautelare ovvero in libertà, un comportamento corretto. La giurisprudenza, in merito, ha chiarito che in tema di affidamento in prova al servizio sociale, l'estinzione della pena detentiva può conseguire, solo ed esclusivamente, all'esito positivo della prova sperimentata dal condannato, e non anche alla mera presentazione dell'istanza, pure quando quest'ultima non sia stata valutata per intervenuta scarcerazione dell'interessato (Cass. pen., Sez. I, 26 marzo 2015, n. 16658). Circa i suoi effetti, l'esito positivo della misura alternativa:
Tale effetto estintivo della pena e degli effetti penali è riconosciuta solo in relazione a questa peculiare misura alternativa, mentre analoghi effetti non sono riconosciuti in caso di detenzione domiciliare: la diversità di trattamento dei soggetti sottoposti ai due diversi tipi di misura è stata ritenuta ragionevole e, perciò, costituzionalmente conforme (Cass. pen., Sez. VI, 30 gennaio 2013, n. 7508). Liberazione anticipata
Anche l'istituto della liberazione anticipata (art. 54, l. 354/1975) può essere ricondotto alle cause di estinzione della pena, determinando una detrazione della pena detentiva in favore del detenuto, anche ergastolano (Corte Cost. 27 settembre 1983, n. 274), che abbia “dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione […] quale riconoscimento di tale partecipazione, e ai fini del suo più efficace reinserimento nella società”. Il quantum di “sconto” della pena detentiva è pari a 45 giorni ogni semestre.
Con il d.l. 146/2013, conv. con mod. dalla l. 10/2014 si è introdotta la c.d. liberazione anticipata speciale con detrazione di un periodo di pena pari a 75 giorni ogni semestre, per un periodo transitorio di 2 anni dall'entrata in vigore della legge. In relazione alla forma speciale di liberazione anticipata si è sostenuto:
La non menzione della condanna nel casellario giudiziale
L'art. 175 c.p. disciplina l'istituto della non menzione della condanna nel casellario giudiziale spedito a richiesta dei privati. Come notato da autorevole dottrina (Mantovani, diritto penale, parte generale), nonostante la collocazione topografica della disposizione tra quelle destinate a regolare le cause di estinzione della pena, essa non estingue la pena, ma limita un particolare effetto della condanna, mirando (come la riabilitazione) a favorire il reinserimento sociale del condannato, evitandogli difficoltà soprattutto nella ricerca di un lavoro dopo l'espiazione della pena.
Sussiste un obbligo di motivazione, da parte del giudice d'appello, del diniego del beneficio della non menzione solo laddove, con i motivi di impugnazione, siano state dedotte circostanze specifiche che, in base all'art. 133 c.p., legittimino la concessione del beneficio stesso (Cass. pen., Sez. III, 4 luglio 2012, n. 3431).L'ingiustificata rigetto del beneficio da parte del giudice, nonostante la esplicita istanza dell'imputato, costituisce vizio censurabile in cassazione. Al pari della sospensione condizionale della pena, anche il beneficio della non menzione della condanna è suscettibile di revoca se il condannato commette successivamente un delitto (art. 175, comma 3, c.p.). La revoca può essere disposta indifferentemente dal giudice che ha la cognizione sul reato successivamente commesso, ovvero dal giudice dell'esecuzione secondo la procedura descritta e disciplinata dall'art. 674 c.p.p. La revoca può, pertanto, intervenire: a) solo a fronte della commissione di un delitto e non di una contravvenzione; b) senza alcun limite di tempo, non essendo previsto dalla norma. Per la disciplina delle iscrizioni nel casellario giudiziale in merito alla mancata indicazione nei certificati richiesti dai privati delle sentenze per cui è concesso il beneficio della non menzione, si vedano gli artt. 23-26 d.P.R. 115/2002 (disposizioni che hanno sostituito l'art. 689 c.p.p., oggi non più vigente in quanto abrogato ex art. 52 d.P.R. 115/2002). Una disciplina speciale della non menzione è prevista, poi, dal codice penale militare di pace (art. 70 r.d. 303/1941). La riabilitazione del condannato
In base all'art. 178 c.p. la riabilitazione costituisce una causa di estinzione delle pene accessorie e di ogni altro effetto penale della condanna, “salvo che la legge disponga diversamente”. Con essa, dunque, il condannato riacquisisce la capacità giuridica perduta a seguito della condanna e viene messo ex novo in condizioni di poter partecipare pienamente alla vita sociale e politica. Egli godrà in particolare dei seguenti effetti:
La riabilitazione non ha, invece, effetti in ordine alla concessione della sospensione condizionale della pena (art. 164, comma 2, n. 1 c.p.) Gli effetti della riabilitazione non sono retroattivi ma valgono solo a rimettere in condizioni il condannato di esercitare i propri diritti e facoltà per il futuro. Le condizioni per la sua concessione sono disciplinate in via generale dall'art. 179 c.p.: a) il passaggio di un determinato periodo minimo di tempo dal giorno in cui la pena principale sia stata eseguita o si sia in altro modo estinta; in particolare:
b) il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta;
Rappresentano condizioni ostative alla concessione della riabilitazione le seguenti circostanze (art. 179, comma 6, c.p.): 1) che il condannato sia stato sottoposto a misura di sicurezza, tranne che si tratti di espulsione dello straniero dallo Stato, ovvero di confisca, e il provvedimento non sia stato revocato; 2) che il condannato non abbia adempiuto le obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che dimostri di trovarsi nell'impossibilità di adempierle (in tale nozione, secondo la pacifica giurisprudenza, rientrano anche le spese processuali; ex multis, Cass. pen., Sez. I, 9 dicembre 2008, n. 1844). La riabilitazione, per espressa previsione di legge (art. 181 c.p.), può essere concessa anche con riferimento ad una condanna pronunciata dal giudice estero, purché riconosciuta in Italia a norma dell'art. 12 c.p. Il procedimento per la concessione della riabilitazione è disciplinato dall'art. 683 c.p.p. Competenza del tribunale di sorveglianza che decide con sentenza (così come si desume indirettamente dall'art. 180 c.p.).
La revoca della riabilitazione è disciplinata dall'art. 180 c.p., che dispone: “la sentenza di riabilitazione è revocata di diritto se la persona riabilitata commette entro sette anni un delitto non colposo, per il quale sia inflitta la pena della reclusione per un tempo non inferiore a due anni od un'altra pena più grave”. La definitiva revoca della riabilitazione fa rivivere le pene accessorie e gli altri effetti penali della condanna. Il provvedimento di revoca della riabilitazione – a differenza di quello di concessione del beneficio, che ha pacificamente carattere costitutivo con effetti ex nunc – ha natura di pronuncia dichiarativa con effetti ex tunc che retroagiscono al momento del fatto che ha dato corso alla revoca (Cass. pen., Sez. V, n. 3244/1986). Sulla revoca decide il Tribunale di sorveglianza, ove non vi abbia provveduto il giudice della cognizione (art. 683 c.p.p.). Sia la sentenza di riabilitazione che il provvedimento di revoca della stessa, devono essere annotati sull'originale della sentenza di condanna (art. 193 disp. att. c.p.p.).
Gli effetti sostanziali e processuali connessi all'estinzione della pena e i limiti alla loro applicabilità
La legge determina disciplina i molteplici effetti sostanziali e processuali consequenziali alla declaratoria di estinzione della pena con diverse disposizioni collocate in varie parti del codice. A tal fine rilevano:
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