Responsabilità civile magistrati

Rosaria Giordano
07 Dicembre 2017

La normativa sulla responsabilità dello Stato per l'attività svolta dai Magistrati nell'esercizio delle funzioni è contenuta nella l. 13 aprile 1988, n. 117, significativamente modificata dalla l. 27 febbraio 2015, n. 18, che, tra l'altro, ha: eliminato il filtro di ammissibilità dell'azione; enucleato una serie di fattispecie di colpa grave nelle quali non opera la cd. clausola di salvaguardia rispetto all'attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove; aggravato in danno del magistrato la disciplina dell'azione di rivalsa.
Nozione

La normativa sulla responsabilità dello Stato per l'attività svolta dai magistrati nell'esercizio delle funzioni è contenuta nella l. 13 aprile 1988, n. 117, significativamente modificata dalla l. 27 febbraio 2015, n. 18 (sulla quale cfr. E. Scoditti, Quale responsabilità civile del Magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, in Giustiziacivile.com, 2015, n. 3) che, tra l'altro, ha:

  • eliminato il filtro di ammissibilità dell'azione;
  • enucleato una serie di fattispecie di colpa grave nelle quali non opera la c.d. clausola di salvaguardia rispetto all'attività di interpretazione di norme di diritto e di valutazione del fatto e delle prove;
  • aggravato in danno del Magistrato la disciplina dell'azione di rivalsa.

La nozione della responsabilità dello Stato per condotte rientranti nell'esercizio delle funzioni giudiziarie poste in essere dal Magistrato si ricava principalmente dall'art. 2, comma 1, l. 13 aprile 1988, n. 117, per il quale chi ha subito un danno ingiusto per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per diniego di giustizia può agire contro lo Stato per ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e di quelli non patrimoniali (tra i più importanti commenti alla l. n. 117/1988 v. A. Giuliani, N. Picardi, La responsabilità del Giudice, Giuffrè, 1987; A. Attardi, Note sulla nuova legge in tema di responsabilità dei Magistrati, in Giur. it., 1988, IV, 306; E. Fazzalari, Nuovi profili della responsabilità civile del Giudice, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1988, 10274).

Ferma la responsabilità penale del Magistrato alla medesima stregua di ogni altro cittadino, come autorevole dottrina che si è occupata a lungo e funditus della problematica non ha trascurato di evidenziare, le modalità attraverso le quali in un sistema giuridico viene disciplinata la responsabilità del giudice dipendono dal modello di Magistrato vigente in quel sistema. Invero, se il Giudice è un funzionario dello Stato, ne consegue che è lo Stato a dover rispondere direttamente nei confronti dei terzi degli eventuali illeciti civili posti in essere dal Giudice nell'esercizio delle proprie funzioni, Giudice che, peraltro, sarà assoggettato ad una responsabilità disciplinare e paradisciplinare. Diversamente, un modello di Giudice professionale postula un sistema di responsabilità prevalentemente civile (N. Picardi, Responsabilità civile del Giudice e dello Stato Giudice, in La giurisdizione nell'esperienza giurisdizionale contemporanea a cura di R. Martino, Giuffrè, 2008, 341 ss.; cfr. anche M. Chiavario, Indipendenza e responsabilità del Magistrato: il contributo del Giuliani “interdisciplinare”, in Riv. dir. proc., 2011, 668 ss).

In Italia ha dominato a lungo il modello di Giudice funzionario dello Stato “importato” dal sistema francese così come delineatosi all'interno dello stesso a partire dalla Rivoluzione francese. Nondimeno, accanto al correlato assetto di sanzioni disciplinari e para-disciplinari, nel codice di procedura civile del 1940 gli artt. 54, 55 e 56 avevano introdotto alcune disposizioni sulla responsabilità civile del Giudice, pur fortemente condizionata e limitata.

In un momento di forte crisi politico-istituzionale, un referendum popolare del 1987 portò all'abrogazione delle citate norme sulla responsabilità civile dei Giudici. Per superare il vuoto normativo determinato dall'abrogazione di tali disposizioni, fu emanata la l. n. 117/1988 che ancora attualmente regola la responsabilità civile dei Magistrati nel nostro ordinamento giuridico.

In realtà se gli esiti del referendum popolare erano probabilmente correlati alla volontà di una responsabilità del giudice persona fisica per gli illeciti commessi nell'esercizio delle proprie funzioni, la l. n. 117/1988 aveva, come noto, un sistema nel quale la responsabilità è, piuttosto, dello Stato-Giudice che può essere convenuto in giudizio, dinanzi all'ufficio giudiziario competente ex art. 11 c.p.p., in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Significativo è che, all'interno di tale procedimento, il Giudice possa soltanto spiegare intervento, espressamente definito “adesivo dipendente”.

Tale sistema, nonostante alcuni progetti di riforma in tal senso (v. emendamento c.d. Pini) che prevedano l'ipotesi di una responsabilità c.d. diretta del Magistrato persona-fisica, non è stato intaccato dalla l. n. 18/2015.

Le disposizioni dettate dalla l. n. 117/1988 si applicano a tutti gli appartenenti alle magistrature ordinaria, amministrativa, contabile, militare e speciali, che esercitano l'attività giudiziaria, indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria. A quest'ultimo riguardo, è stato chiarito che l'art. 1, comma 1, l. 13 aprile 1988, n. 117, nell'estendere le previsioni dettate in tema di responsabilità civile dei magistrati agli «estranei che partecipano all'esercizio della funzione giudiziaria», intende per tali soltanto coloro che esercitano funzioni giudiziarie, sia inquirenti che giudicanti, in senso tipico, pur non essendo parte dell'ordine giudiziario, come nel caso dei giudici onorari o componenti non togati delle corti di assise (cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 5 agosto 2010, n. 18170, in Giust. Civ., 2011, n. 10, 2363, per la quale, di conseguenza, tra detti «estranei» non rientra l'appartenente alla polizia giudiziaria, il quale non esercita una funzione giudiziaria nel senso innanzi evidenziato, pur svolgendo un'attività di supporto ad essa; v. anche Cass. civ., sez. III, sent., 8 maggio 2008, n. 11229, in Giust. Civ., 2009, n. 1, 194, secondo cui la disciplina non trova applicazione per il curatore fallimentare).

Elemento oggettivo

Ai fini dell'affermazione della responsabilità dello Stato il danno lamentato deve correlarsi ad un comportamento, atto o provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle funzioni ovvero ad un diniego di giustizia (in arg. G. Scarselli, Brevi note sugli errori nel compimento di attività giudiziaria, in Foro.it, 2007, IV, 234 ss.).

Non rilevano, pertanto, le condotte del magistrato al di fuori dell'esercizio delle funzioni, ad esempio il comportamento del magistrato che, in una riunione di magistrati e avvocati informalmente convocata dal presidente del tribunale, esprima valutazioni critiche sulla persona di un avvocato (cfr. Cass. civ., sez. VI, 26 giugno 2012, n. 10596, in Giust. civ., 2013, n. 9, 1841).

Il secondo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988, prevede che nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove.

Tale clausola c.d. di salvaguardia si giustifica in ragione della peculiarità dell'attività interpretativa demandata al Magistrato, attività che, almeno all'interno di qualsivoglia significato semanticamente attribuibile ad una disposizione giuridica, è innegabilmente creativa,come attestato, storicamente, dal fallimento di ogni tentativo di ridurre l'attività del Giudice a quella di mera boiche de la loi.

Nella giurisprudenza di legittimità è stato chiarito, in ordine alla portata della clausola di salvaguardia, che la stessa:

  • non tollera letture riduttive, perché è giustificata dal carattere fortemente valutativo dell'attività giudiziaria ed attua l'indipendenza del giudice e, con essa, del giudizio (Cass., sez. VI, sent., 27 dicembre 2012, n. 23979);
  • esclude possa dare luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova, senza che possa ritenersi che il giudice sia obbligato a decidere conformemente all'interpretazione già effettuata precedentemente dallo stesso o da altro giudice in relazione ad un'altra controversia (Cass. civ., sez. III, sent., 31 maggio 2006, n. 13000).

La compatibilità del sistema di responsabilità civile del Magistrato nel nostro sistema processuale con il diritto comunitario è stata posta in discussione, proprio per l'operare della clausola in questione, da alcune decisioni della Corte di Giustizia. In particolare, già nella pronuncia Kobler (CGUE, 30 settembre 2003, causa C-224/01), la Corte del Lussemburgo aveva precisato che la responsabilità dello Stato per il mancato rispetto degli obblighi derivanti dal diritto comunitario può dipendere anche da una condotta di un Giudice. Una posizione ancora più netta è stata assunta dalla medesima Corte di Giustizia nella pronuncia resa nei confronti dell'Italia nel caso Traghetti del Mediterraneo (CGUE, 13 giugno 2006, causa C-173/03). Nella fattispecie esaminata veniva in rilievo la responsabilità di un Giudice di ultima istanza, quale la Corte Suprema di Cassazione, per non aver sollevato rinvio pregiudiziale interpretativo di una disposizione comunitaria in materia tributaria con conseguente disapplicazione della stessa in favore della norma interna incompatibile. In particolare, nel caso “Traghetti” la Corte comunitaria ha affermato il principio per il quale il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che limita la responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario da parte di un organo giurisdizionale di ultimo grado ai soli casi di dolo e colpa grave ove una tale restrizione conduca ad escludere la sussistenza della responsabilità nei casi di «violazione manifesta» del diritto applicabile. La Corte ha al contempo chiarito che per valutare la sussistenza di una «violazione manifesta» il giudice nazionale deve considerare tutti gli elementi che caratterizzano la situazione sottoposta al suo sindacato, e, in particolare, il grado di chiarezza e di precisione della norma violata, il carattere intenzionale della violazione, la scusabilità dell'errore di diritto, la posizione eventualmente adottata da un'istituzione comunitaria nonché la mancata osservanza, da parte dell'organo giurisdizionale di cui trattasi, del suo obbligo di rinvio pregiudiziale ai sensi dell'art. 234, comma 3, Trattato UE (CGUE, Grande Sezione, sent., 13 giugno 2006, n. 173, in Riv. dir. internaz., 2006, n. 4, 1155; sulle conseguenze di tale pronuncia, con ampi riferimenti storici e comparati, per tutti, N. Picardi, La responsabilità del Giudice: la storia continua, in Riv. dir. proc., 2007, 283 ss.).

Poiché nonostante le numerose sollecitazioni pervenute a seguito di tale pronuncia il legislatore interno non era intervenuto sotto alcun profilo per modificare la l. n. 117/1988 la Commissione europea ha introdotto una procedura di infrazione nei confronti dello Stato italiano che si è conclusa con una pronuncia di condanna dello stesso. La Corte di Giustizia, infatti, ha aderito alle conclusioni contenute nell'analogo parere della Commissione nel quale si era evidenziato che, in realtà, a differenza di quanto ritenuto dalla difesa del nostro Stato, la violazione grave e manifesta non potesse essere ricondotta alla nozione di colpa grave che consente di affermare la sussistenza della responsabilità civile del Magistrato e, soprattutto, che tale responsabilità è comunque esclusa, in virtù della clausola c.d. di salvaguardia, rispetto all'attività di interpretazione delle disposizioni giuridiche, comprese quelle di origine comunitaria (CGUE, sez. III, sent., 24 novembre 2011, n. 379, in Giust. Civ., 2012, n. 10, 2221, con nota di I. Ferranti, La valutazione della legge 13 aprile 1988 n. 117 alla luce del diritto dell'Unione Europea; sulla portata di tale pronuncia v. anche A. Lamorgese, La responsabilità dello Stato e del giudice per l'esercizio dell'attività giurisdizionale, in Giur. it., 2012, 1272).

A fronte di tale decisione, assumendo una posizione coerente con la rilevanza degli assunti della Corte di Giustizia soltanto con riferimento ad una responsabilità del Magistrato derivante dall'omessa applicazione del diritto comunitario in considerazione dell'erronea attività di interpretazione, la Suprema Corte ha evidenziato che in tema di responsabilità civile dei magistrati, l'art. 2, l. 13 aprile 1988, n. 117, laddove esclude che possa dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto, ovvero di valutazione del fatto e della prova, è in contrasto con gli obblighi comunitari dello Stato italiano alla luce delle statuizioni contenute nella sentenza della CGUE del 24 novembre 2011, nella causa C-379/10, solo con riferimento alle violazioni manifeste del diritto dell'Unione europea imputabili ad un organo giurisdizionale nazionale di ultimo grado (Cass. civ., sez. III, sent., 22 febbraio 2012, n. 2560).

In sede applicativa si è evidenziato che nel caso di responsabilità dello Stato per asserita violazione comunitaria derivante da provvedimento giurisdizionale reso come nel caso in esame da giudici di ultima istanza, laddove la violazione «controversa risulta da un'interpretazione delle norme giuridiche o da una valutazione dei fatti e delle prove operate da tale organo giurisdizionale» non può più trovare applicazione la l. n. 117/1988, perché la fattispecie esula dal campo di applicazione della normativa predetta, stante la ritenuta incompatibilità con il diritto comunitario della clausola di salvaguardia di cui all'art. 2, comma 2,l. n. 117/1988, in mancanza di un'apposita disciplina sostanziale e processuale l'azione di responsabilità anche per illecito dello Stato Giudice trova quindi titolo nell'art. 2043 c.c. e pertanto la controversia può proseguire con le forme ordinarie (Trib. Genova, 31 marzo 2009, n. 1329, in Giur. Merito, 2010, n. 4, 991, con nota di Leonardi e Cordì).

Peraltro, il Legislatore, sebbene a seguito della richiamata pronuncia della Corte di Giustizia comunitaria fosse in realtà chiamato ad introdurre una modifica della responsabilità dello Stato per la violazione grave e manifesta del solo diritto dell'Unione europea da parte del Magistrato, ha effettuato una scelta politica diversa che si sostanzia sia nell'estensione anche all'attività di interpretazione e di applicazione del diritto interno delle medesime regole in punto di responsabilità (regole peraltro dettate in maniera estensiva di tale responsabilità rispetto a quanto richiesto dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia) sia in modificazioni processuali assolutamente esulanti le questioni rilevanti in sede europea (ad esempio, eliminazione del filtro di ammissibilità dell'azione giudiziaria e modifica dell'azione di rivalsa).

Elemento soggettivo

Ai fini della sussistenza della responsabilità dello Stato qualora il danno ingiusto subito dal cittadino derivi da un comportamento, un atto di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni è necessario che venga dimostrato il dolo o la colpa grave dello stesso.

In particolare, il secondo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988 nell'attuale formulazione, nel ribadire la clausola di salvaguardia precisa che la stessa non opera né nell'ipotesi di dolo né nei casi di cui ai commi 3 e 3-bis, ossia laddove ricorra una delle fattispecie di colpa grave ivi tipizzate.

Il comma 3 dell'art. 2, l. n. 117/1988, nella formulazione previgente, individuava invece quali condotte del Magistrato costituenti colpa grave:

  • la grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile;
  • l'affermazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
  • la negazione, determinata da negligenza inescusabile, di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento;
  • l'emissione di provvedimento concernente la libertà della persona fuori dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione.

Pertanto, limitandosi alla materia civile, per la sussistenza della colpa grave del Magistrato la risarcibilità del danno cagionato dal magistrato per grave violazione di legge, ai sensi dell'art. 2, comma 3, L. 13 aprile 1988, n. 117 postula che tale violazione sia ascrivibile a negligenza «inescusabile» e, quindi, esige un quid pluris rispetto alla negligenza, richiedendo che essa si presenti come non spiegabile, senza agganci con le particolarità della vicenda atti a rendere comprensibile, anche se non giustificato, l'errore del giudice (cfr., tra le altre, Cass. civ., sez. III, sent., 14 febbraio 2012, n. 2107; Cass. civ., sez. III, 5 luglio 2007, n. 15227). In altri termini, i presupposti della responsabilità dello Stato per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), l. n. 117/1988, devono ritenersi sussistenti allorquando nel corso dell'attività giurisdizionale si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero (v., ex ceteris, Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2011, n. 11593; Cass. civ., sez. III, 18 marzo 2008, n. 7272, in Foro it., 2009, n. 9, 2496).

In applicazione dei superiori e consolidati principi, deve essere ravvisato l'errore rilevante ove il giudice abbia posto a fondamento del suo giudizio elementi del tutto avulsi dal contesto probatorio di riferimento, mentre lo stesso errore deve essere escluso nell'ipotesi in cui il giudice abbia ritenuto sussistente una determinata situazione di fatto senza elementi pertinenti ovvero sulla scorta di elementi insufficienti che, però, abbiano formato oggetto di esame e valutazione, trattandosi in tal caso di errato apprezzamento dei dati acquisiti (Cass. civ., sez. III, sent., 27 novembre 2006, n. 25133).

Consideriamo adesso, invece, le ipotesi di colpa grave tipizzate dall'odierno terzo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988.

In primo luogo il terzo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988 stabilisce che costituisce colpa grave la violazione manifesta della legge nonché del diritto dell'Unione europea. Rispetto a tale ipotesi, il comma 3-bis precisa che ai fini della determinazione dei casi in cui sussiste tale violazione si tiene conto del grado di chiarezza e precisione delle norme violate nonché dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza. Nel solo caso di violazione del diritto dell'Unione europea assumerà rilevanza, ai fini della sussistenza della colpa grave, la mancata proposizione da parte del Giudice nazionale del rinvio pregiudiziale per interpretazione nonché il contrato dell'atto o del provvedimento con l'interpretazione espressa dalla Corte di Giustizia.

Orbene, questa nuova fattispecie di colpa grave non crea particolari problematiche con riferimento al diritto dell'Unione Europea sia in quanto doveva essere introdotta necessariamente a seguito della condanna dello Stato Italiano nell'ambito della relativa procedura di infrazione, sia perché l'interpretazione delle norme del diritto primario e derivato dell'Unione Europea compete in chiave “nomofilattica” alla Corte di Giustizia e non ai Giudici supremi interni agli ordinamenti dei singoli Stati Membri.

Più rilevanti questioni interpretative sorgono avendo riguardo alla violazione manifesta del diritto interno.

Si è osservato che la violazione manifesta della legge copre un'area nella quale l'interpretazione non viene né potrebbe venire in rilievo, afferendo a quelle ipotesi in cui, avendo riguardo alla nota distinzione tra disposizione e norma, si realizza una sorta di “travisamento linguistico” poiché alla previsione scritta viene attribuito un significato assolutamente estraneo alla portata linguista della stessa (ferme le differenti norme che potrebbero trarsi dalla medesima attraverso l'interpretazione: E. Scoditti, Quale responsabilità civile del Magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, cit.).

Tale orientamento appare ragionevole e potrebbe indurre a ritenere che, salve le dovute precisazioni del legislatore con riguardo alla responsabilità per violazione manifesta del diritto dell'Unione Europea, possa riproporsi rispetto a detta ipotesi di “travisamento linguistico” la giurisprudenza che si esprimeva, prima della riforma, nel senso che i presupposti della responsabilità dello Stato per grave violazione di legge determinata da negligenza inescusabile nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, ai sensi dell'art 2, comma 3, lett. a), l. n. 117/1988, devono ritenersi sussistenti allorquando nel corso dell'attività giurisdizionale si sia concretizzata una violazione evidente, grossolana e macroscopica della norma stessa ovvero una lettura di essa in termini contrastanti con ogni criterio logico o l'adozione di scelte aberranti nella ricostruzione della volontà del legislatore o la manipolazione assolutamente arbitraria del testo normativo o ancora lo sconfinamento dell'interpretazione nel diritto libero (Cass. civ., 18 marzo 2008, n. 7272, in Foro it., 2009, I, 2496; ma v., contra, F. P. Luiso, La responsabilità dei magistrati, cit., per il quale essendo stata sanzionata dalla Corte di Giustizia la pregressa disciplina contenuta nella l. n. 117/1988 proprio per tale ragione, potrebbe attraverso la violazione manifesta ritenersi sussistente la colpa grave del magistrato anche per aver optato per un'interpretazione possibile della disposizione che peraltro non sia la più plausibile avendo riguardo al grado di chiarezza e precisione delle norme violate e dell'inescusabilità e della gravità dell'inosservanza).

Alle fattispecie già previste nell'assetto previgente dalle lettere b) e c) del comma 3, dell'art. 2, l. n. 117/1988 (che, invero, sono equivalenti all'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontra stabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontra stabilmente dagli atti del procedimento), il nuovo comma 3 aggiunge la colpa grave costituita dal travisamento del fatto o delle prove.

Questa è senz'altro l'ipotesi più delicata, specie ove si abbia riguardo al travisamento del fatto.

Quanto alla nozione di travisamento delle prove può aversi riguardo, difatti, alla giurisprudenza di legittimità che si è pronunciata sull'art. 606, lettera e), c.p.p. e per la quale il travisamento della prova consiste nell'utilizzazione di un'informazione inesistente o nell'omissione della valutazione di una prova, accomunate dalla necessità che il dato probatorio, travisato od omesso, abbia il carattere della decisività nell'ambito dell'apparato motivazionale sottoposto a critica (v., tra le tante, Cass. pen., sez. II, 16 maggio 2013, n. 34890), sicché è evidente che tale nozione esula e precede il momento di valutazione della prova stessa il principio della sottoposizione della quale al libero convincimento del giudice resta, per la materia civile, salvaguardato (cfr. anche E. Scoditti, Quale responsabilità civile del Magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, cit.).

Assolutamente problematica è invece la fattispecie di travisamento del fatto.

La questione deriva dalla circostanza che siffatta nozione potrebbe ben coincidere, anche ove si abbia riguardo all'ipotesi di responsabilità disciplinare nell'esercizio delle funzioni giudiziarie prevista dall'art. 2, d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, con il travisamento dei fatti determinato da negligenza inescusabile, travisamento che, tuttavia, ricorre secondo quanto affermato dalla giurisprudenza in tema di responsabilità civile e disciplinare proprio avendo riguardo all'ipotesi, prevista in modo distinto dallo stesso odierno terzo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988, dell'affermazione di un fatto la cui esistenza è incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento o la negazione di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente dagli atti del procedimento.

La volontà del legislatore appare pertanto chiara nel senso di introdurre un'ulteriore fattispecie di travisamento del fatto, travisamento che, a questo punto, non giustificandosi altrimenti la differenziazione tra le due ipotesi nell'ambito peraltro del medesimo comma, finisce con il riguardare pienamente l'attività interpretazione della ricostruzione dei fatti, con conseguente illegittimità costituzionale, in parte qua, della disposizione (così E. Scoditti, Quale responsabilità civile del Magistrato dopo la legge n. 18 del 2015, cit.), la cui chiarezza in tal senso sembra precludere una diversa interpretazione costituzionalmente orientata (in questi termini v., invece, C. Castelli, Responsabilità civile dei Giudici: una legge con molte ombre).

Sotto un distinto profilo, con riguardo alla nozione di dolo cui fa riferimento l'art. 2, l. n. 117/1988 (non dissimile da quella cui faceva riferimento in precedenza l'art. 55, comma 1, n. 1, c.p.c., deve essere intesa nel senso non della semplice volontarietà dell'azione che si assume dannosa, bensì della diretta consapevolezza di compiere un atto giudiziario formalmente e sostanzialmente illegittimo con il deliberato proposito di nuocere ingiustamente ad altri e, segnatamente, in un processo penale, di ledere i diritti dell'imputato; pertanto, affinché possa ritenersi la sussistenza della responsabilità dei giudici, l'attore deve offrire la prova di una simile consapevolezza, ovvero del fatto che, nel caso di specie, l'apertura dell'indagine penale e la richiesta di custodia cautelare a carico dell'imputato fossero state determinate da fini estranei alle esigenze dell'amministrazione della giustizia (cfr. Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2006, n. 24370).

Dalla formulazione del primo comma dell'art. 2, l. n. 117/1988 è invece evidente che in tema di responsabilità civile dei magistrati, non è configurabile neppure in astratto una responsabilità per colpa lieve, perché non è prevista dall'ordinamento, e non è di conseguenza proponibile l'azione di risarcimento del danno nei confronti del Ministero della giustizia per asserita responsabilità del magistrato per colpa lieve (in arg. cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 6 dicembre 2006, n. 26060).

Nesso di causalità

Presupposto per l'accoglimento della domanda risarcitoria proposta ai sensi dell'art. 2, comma 3, lett. a), l. n. 117/1988 è l'accertamento del nesso di causalità giuridica tra l'evento e le conseguenze pregiudizievoli lamentate dall'attore.

Peraltro, a riguardo, non è sufficiente al riguardo la valutazione prognostica della discrasia tra la pronuncia di rigetto del ricorso e la fondatezza del motivo non esaminato, nel senso che, in mancanza dell'errore omissivo, la decisione sarebbe stata con certezza di segno opposto, occorrendo dimostrare altresì che nella serie causale dalla quale è derivato il pregiudizio patrimoniale lamentato dall'attore non sia intervenuto un fattore eziologico diverso dalla omissione colposa del collegio al quale sia possibile ricollegare in via esclusiva (causa efficiente) l'eventum damni (cfr. Trib. Roma, sez. II, 6 febbraio 2006, in dejure.giuffre.it).

Onere della prova

Il riparto dell'onere probatorio segue le regole ordinarie.

Spetterà quindi al ricorrente la dimostrazione:

  1. della sussistenza dei presupposti dell'illecito, i.e. sotto il profilo oggettivo, un comportamento, atto o provvedimento del Magistrato emanato nell'esercizio delle funzioni ovvero una fattispecie di denegata giustizia, con esclusione, laddove non venga in rilievo una norma di diritto comunitario, dell'attività di interpretazione della legge e di valutazione delle prove e, sotto il profilo soggettivo, lo stato di dolo o colpa grave del Magistrato;
  2. del nesso di causalità tra il fatto e l'evento dannoso;
  3. della sussistenza del danno.
Criteri di liquidazione

Il danno patrimoniale, conseguenza immediata e diretta della condotta gravemente colposa del Magistrato nell'esercizio delle funzioni dello stesso, dovrà essere commisurato, mediante un giudizio prognostico, all'utilità giuridica compromessa per il soggetto leso a seguito dell'illecito.

Trovano invece applicazione gli ordinari criteri di liquidazione per il risarcimento del danno non patrimoniale derivante dalla condotta illecita del Magistrato.

Aspetti processuali

Ai sensi dell'art. 4, l. n. 117/1988 l'azione di risarcimento del danno contro lo Stato può essere esercitata soltanto quando siano stati esperiti i mezzi ordinari di impugnazione o gli altri rimedi previsti avverso i provvedimenti cautelari e sommari, e comunque quando non siano più possibili la modifica o la revoca del provvedimento ovvero, se tali rimedi non sono previsti, quando sia esaurito il grado del procedimento nell'ambito del quale si è verificato il fatto che ha cagionato il danno (sottolinea che tali fondamentali regole restano ferme dopo la novella di cui alla l. n. 18/2015, sicché la parte non potrà prestare acquiescenza al provvedimento e riservarsi in seguito la proposizione dell'azione di responsabilità, C. Castelli, Responsabilità civile dei Giudici: una legge con molte ombre, cit.).

La domanda deve essere proposta a pena di decadenza entro tre anni (due, prima delle modifiche introdotte dalla l. n. 18/2015), che decorrono dal momento in cui l'azione è esperibile, senza che trovi applicazione la sospensione feriale dei termini processuali, in quanto l'ampiezza di tale termine porta ad escludere che l'inapplicabilità della sospensione feriale determini un effettivo nocumento alla tutelabilità della situazione giuridica sostanziale posta a base della domanda (Cass. civ., sez. III, sent., 3 maggio 2011, n. 9681).

L'azione di risarcimento del danno non deve essere promossa contro il Magistrato, bensì contro lo Stato e deve essere esercitata nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri. Competente è il tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p., criterio che trova applicazione anche per i magistrati delle giurisdizioni speciali o per quelli appartenenti alle istituzioni di vertice, come il Consiglio di Stato (Cass. civ., sez. VI, sent., 11 gennaio 2013, n. 668, in Giust. civ., 2013, n. 5-6, 984), non ostandovi, sul piano lessicale, il termine «distretto», adoperato nell'art. 4 cit., atteso che tutti i magistrati, anche quelli che non hanno un «distretto» di appartenenza, operano comunque in una sede, rispetto alla quale può individuarsi la sede diversa ex art. 11 c.p.p., al fine di assicurare che i giudici competenti a decidere sulla responsabilità non siano prossimi ai giudici cui la responsabilità è ascritta (Cass. civ., sez. VI, sent., 5 giugno 2012, n. 8997).

Peraltro, in tema di foro per le cause di risarcimento dei danni cagionati nell'esercizio delle funzioni giudiziarie, in relazione alla disciplina recata dall'art. 4, l. 13 aprile 1988, n. 117 - per cui la competenza su dette controversie è del tribunale del capoluogo del distretto della corte d'appello, da determinarsi a norma dell'art. 11 c.p.p. e dell'art. 1 disp. att. trans. c.p.p. - trova applicazione, in via di interpretazione sistematica, la regola, dettata in materia di foro per le cause in cui sono parti i magistrati, posta dall'art. 30-bis, comma 2, c.p.c., derogatoria della disciplina normale sulla cd. perpetuatio della competenza prevista dall'art. 5 c.p.c. e volta ad assicurare, anche all'apparenza, il massimo grado di imparzialità della giurisdizione - per cui la potestas iudicandi dell'ufficio giudiziario adito originariamente in primo grado, ma anche di quello adito in sede di impugnazione di merito (sia essa l'appello o la revocazione o, ancora, l'opposizione di terzo), viene meno se il magistrato, del cui operato si discuta, sia esso intervenuto o meno nel giudizio, viene ad esercitare le funzioni nel distretto in cui si situa l'ufficio di merito che in quel momento tratta il processo (Cass. civ., sez. III, sent. 30 dicembre 2009, n. 27666).

L'art. 5 della legge n. 117/1988 prevedeva un vaglio preliminare in camera di consiglio del Tribunale sull'ammissibilità della domanda risarcitoria promossa nei confronti dello Stato-Giudice.

Era stato chiarito che nella fase di ammissibilità dell'azione risarcitoria in dipendenza di responsabilità civile del magistrato, di cui all'art. 5, l. n. 117/1988, la valutazione va compiuta esclusivamente ex actis, essendo l'infondatezza ragione di inammissibilità della domanda quando sia manifesta e, cioè, emerga dagli atti senza necessità di indagini o accertamenti ulteriori, con la precisazione che, ove la valutazione così compiuta conduca il giudice a ritenere l'insussistenza dei presupposti di cui all'art. 2 della stessa legge in termini di certezza e definitività, tale valutazione non concreta violazione dei limiti istituzionali del controllo demandato al giudice (Cass. civ., sez. III, sent., 27 novembre 2006, n. 25133).

Il procedimento preliminare riguardante l'ammissibilità dell'azione risarcitoria rivestiva natura delibativa relativamente alla sussistenza degli elementi addotti a sostegno della contestazione, mentre ha carattere di cognizione piena e definitiva in ordine alla configurabilità dei dati contestati, dei requisiti e delle condizioni cui la legge subordina la suddetta responsabilità (cfr. Cass. civ., sez. III, sent. 27 novembre 2006, n. 25123, in Giur. it., 2007, n. 4, 846).

La Suprema Corte aveva inoltre osservato che la previsione di una verifica camerale della ammissibilità dell'azione per risarcimento dei danni cagionati nell'espletamento della funzione giudiziaria non costituisca un limite al suo esperimento e sia giustificata dalla esigenza di ragionevole tutela del corretto ed indipendente esercizio della giurisdizione, di talché la stessa non si pone in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost. (Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2006, n. 22540, in Giust. Civ., 2007, n. 1, 89).

Il preventivo controllo di ammissibilità della domanda risarcitoria era peraltro escluso, sin dall'origine, dall'art. 13, l. 13 aprile 1988, n. 117, nell'ipotesi di fatto costituente reato commesso dal magistrato nell'esercizio delle sue funzioni. Tale disposizione deve essere interpretata nel senso che tale esclusione sia circoscritta all'ipotesi in cui sia intervenuta sentenza di condanna del magistrato passata in giudicato, ovvero all'ipotesi in cui la domanda stessa, in quanto inserita nel processo penale mediante costituzione di parte civile, possa essere oggetto di decisione (del giudice penale) solo contestualmente all'accertamento del verificarsi del reato. L'estensione della deroga al di fuori di dette ipotesi, sulla scorta della sola circostanza che la parte istante deduca la configurabilità come reato del contegno ascritto al magistrato, vanificherebbe, infatti, le finalità perseguite con detto controllo di ammissibilità, in quanto si affiderebbe alla mera prospettazione del soggetto in tesi danneggiato l'effetto di autorizzare il contraddittorio immediato e diretto con il magistrato, così eludendo un istituto di garanzia approntato a difesa della funzione giurisdizionale, non del singolo soggetto che la esercita (Cass. civ., sez. III, 16 novembre 2006, n. 24387 In senso conforme cfr. Cass. civ., 29 aprile 2003, n. 6697).

Una delle più rilevanti modifiche apportate dalla l. n. 18/2015 è l'abrogazione dell'art. 5, l. n. 117/1988 e, quindi, il venir meno del filtro di ammissibilità.

Tale innovazione è stata pressocchè unanimemente criticata dai primi commentatori della riforma in quanto apre la strada ad azioni giudiziarie intimidatorie e pretestuose (cfr. I. Ferranti, Prime riflessioni sulla riforma della legge 13.4.1988, n. 117, cit.) e non tiene conto della giurisprudenza della Corte Costituzionale che aveva giustificato la previsione del filtro di ammissibilità dell'azione in esame, sottolineando che la stessa era volta a garantire il giudice di fronte alla proposizione di azioni manifestamente infondate, che possono turbarne la serenità, impedendo al tempo stesso, di creare con malizia i presupposti per l'astensione e la ricusazione (v., ad esempio, Corte Cost., 22 ottobre 1990, n. 468; in arg. cfr. C. Castelli, Responsabilità civile dei Giudici: una legge con molte ombre, cit.).

Casistica

RESPONSABILITA' DEL MAGISTRATO

Sulla condotta gravemente colposa del Magistrato

Sussiste ai sensi della l. n. 117/1988 una condotta gravemente colposa del magistrato, consistente nell'aver concesso la provvisoria esecuzione di un decreto ingiuntivo nel giudizio di opposizione, con un provvedimento nel quale da un lato si è negata l'esistenza del fumus boni juris, e dall'altro si è accolta comunque l'istanza di provvisoria esecutorietà, imponendo una cauzione (Cass. civ., sez. III, sent., 5 novembre 2013, n. 24798)

In tema di diniego di giustizia

Il provvedimento col quale il magistrato, investito d'un ricorso per sequestro conservativo, decida di fissare l'udienza per la comparizione delle parti, anziché provvedere inaudita altera parte, è frutto di una scelta discrezionale del giudicante, e, come tale, se tempestivamente adottato, non può dar luogo a responsabilità del medesimo sotto il profilo del "diniego di giustizia" ex art. 3, comma 1, della l. n. 117/ 1988, ove il debitore, nelle more tra la notifica del ricorso e la concessione del sequestro, disperda od occulti i beni, che avrebbero dovuto formarne oggetto (Cass. civ., sez. III, sent. 9 maggio 2012, n. 7038)

Sull'oggetto del vaglio preventivo di ammissibilità della domanda

Rientra nella fase di delibazione sull'ammissibilità dell'azione, ai sensi dell'art. 5, l. 13 aprile 1988, n. 117, anche l'indagine sul carattere non interpretativo della violazione di legge o sulla natura puramente percettiva dell'errore di fatto che la parte prospetti come causativo di danno, atteso che, in base alla comma 2 della norma citata, l'attività cognitiva del giudice in sede di esame dell'ammissibilità della domanda comprende la verifica dei presupposti di cui al precedente art. 2, e che il comma 2 di tale articolo stabilisce che nell'esercizio delle funzioni giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività di interpretazione di norme di diritto né quella di valutazione del fatto e delle prove, avendo, per contro, il legislatore inteso limitare le ipotesi in cui è ravvisabile la responsabilità del magistrato a quelle delineate e descritte nel successivo comma 3 del medesimo art. 2 (Cass. civ., sez. III, sent. 20 ottobre 2006, n. 22539)

*Fonte: www.ridare.it

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