18 Marzo 2019

Nella categoria generale degli ausiliari del giudice si inquadrano collaboratori tipici, previsti ex lege, e atipici, ovverosia individuati dal magistrato secondo le necessità. Sono, in particolare, collaboratori tipici, ossia espressamente previsti dalla normativa primaria, il consulente tecnico (art. 61 c.p.c.) e il custode (art. 65 c.p.c.).
Inquadramento

Nei casi previsti dalla legge o quando ne sorga necessità, il giudice può farsi assistere da esperti in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al compimento di atti che non è in grado di compiere da solo (art. 68, comma 1, c.p.c.). I soggetti ai quali il giudice richiede collaborazione per le finalità di giustizia sono «ausiliari» del magistrato e devono agire secondo le istruzioni ricevute.

La figura dell'ausiliario è presente in altre discipline processualistiche: in quella amministrativa (v. artt. 66 e 67 d.lgs. n. 204/2010), in quella tributaria (v. art. 7, d.lgs. n. 546/1992), in quella penalistica (v., in primis, artt. 220 e ss. c.p.p.), in quella contabile (v. artt. 23 e ss., d.lgs.n. 174/2016).

Nella categoria generale degli ausiliari si inquadrano collaboratori tipici, previsti ex lege, e atipici, ovverosia individuati dal magistrato secondo le necessità. Sono, in particolare, collaboratori tipici, ossia espressamente previsti dalla normativa primaria, il consulente tecnico (art. 61 c.p.c.) e il custode (art. 65 c.p.c.).

Il custode è l'ausiliario a cui il giudice affida la conservazione e l'amministrazione dei beni pignorati o sequestrati (art. 65, comma 1, c.p.c.): questi, può sempre essere sostituito dal giudice, su istanza di parte o d'ufficio (art. 66 c.p.c.) ed è sottoposto ad uno specifico regime di responsabilità penale e civile. Sul versante civilistico, «il custode è tenuto al risarcimento dei danni cagionati alle parti, se non esercita la custodia da buon padre di famiglia» (art. 67, comma 2, c.p.c.). Gli artt. 66 e 67 c.p.c. possono essere ritenuti principi generali in materia e sono espressamente richiamati anche nel procedimento contabile dall'art. 26 d.lgs. n. 176/2015.

Il custode: tratti generali

Il custode è un organo ausiliario del giudice (Cass. civ., n. 8483/2013) nominato per gestire un patrimonio altrui allorché i beni che lo costituiscono siano pignorati o sequestrati e la legge non disponga altrimenti(art. 65, comma 1, c.p.c.): la gestione del patrimonio alieno può tradursi in un aspetto meramente statico (conservazione) o al contrario dinamico (amministrazione); ciò dipende principalmente dal tipo di bene sottoposto al vincolo custodiale.

La custodia risponde, infatti, all'esigenza di evitare che la res si logori o addirittura perisca durante il tempo necessario per definire il processo.

Nella custodia giudiziale si sommano fra loro effetti tipici di negozi giuridici diversi, in particolare l'effetto tipico del deposito, del quale l'attività di custodia in senso stretto costituisce l'essenza, e l'effetto tipico del mandato, nel quale si risolve la più ampia attività di gestione del bene. Ne deriva che il patrimonio gestito resta “estraneo” alla sfera giuridica patrimoniale propria della persona designata quale custode. E' consolidata, infatti, l'opinione che i beni gestiti dal custode giudiziario costituiscano un patrimonio separato (cfr. Cass. civ., n. 10252/2002 ed anche Cass. civ., n. 7354/1991).

In generale può affermarsi che il vincolo della custodia genera in capo al custode un potere di amministrazione “ordinaria”, potendo gli atti di straordinaria amministrazione essere posti in essere solo dietro espressa autorizzazione del giudice. Detta ottica conservativa, esclude dunque la possibilità che il custode svolga attività volta ad incrementare il valore del bene in funzione migliorativa dello stesso. Vi è tuttavia chi sposa una prospettiva “dinamica ed evolutiva” del concetto di conservazione facendo rientrare nei compiti e nelle funzioni della custodia ogni attività volta ad evitare la svalutazione del valore del bene, nonché ogni attività volta ad incrementarne le potenzialità e a sfruttarne meglio il valore. La diligenza che il custode deve seguire, nello svolgimento dell'incarico, è quella del “buon padre di famiglia”.

La diligenza del buon padre di famiglia, come richiesto per il debitore nell'adempimento dell'obbligazione in generale (art. 1176 c.c.), è richiesta anche per il depositario (art. 1768 c.c.) e per il mandatario (art. 1710 c.c.) ma, per tali soggetti, se l'incarico è gratuito, la responsabilità per colpa è valutata con minor rigore.

Sul piano processuale la custodia comporta, in favore del custode, la legittimazione attiva e passiva nelle azioni concernenti la conservazione e l'amministrazione dei beni fintanto che dura il vincolo giudiziale e limitatamente all'esercizio di tali attività gestorie, in quanto il custode ricopre il ruolo di “rappresentante d'ufficio” di un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi che fanno capo ad un bene o a più beni (Cass. civ., n. 8483/2013, Cass. civ., n. 10252/2002).

In particolare, avuto riguardo tale legittimazione processuale, si è detto che il custode è legittimato ad agire o resistere nei soli giudizi concernenti l'amministrazione di tali beni o la loro conservazione in relazione ai rapporti da lui posti in essere o che attengano a circostanze verificatesi in pendenza della custodia essendo detta legittimazione esclusa ove relativa ad azioni che riguardano fattipreesistenti alla custodia (Cass. civ., n. 11377/2011).

É stato, altresì, precisato che la posizione processuale del custode dei beni sottoposti a sequestro giudiziario, il quale agisca a tutela della conservazione del valore del patrimonio affidatogli, equivale a quella di un sostituto processuale (Cass. civ., n. 7693/2006).

Dal punto di vista sostanziale, secondo le teorie più datate, la custodia giudiziaria è stata ricondotta ad una mera figura di sostituzione, oppure ad una particolare forma di negotiorum gestio o, ancora, all'istituto della rappresentanza. Tuttavia tali impostazioni sono state superate e attualmente la teoria prevalente ritiene che il custode costituisce un munus publicum (e, pertanto, riveste carattere pubblicistico, che cessa con la realizzazione dello scopo per cui il vincolo fu imposto (Cass. civ., n. 1406/1971).

La custodia si sostanzia in attività di amministrazione conservativa e di amministrazione gestoria. Sono attività conservative svolte dal custode quelle dirette ad evitare danneggiamenti o deterioramenti del bene pignorato, mentre le attività di amministrazione gestoria sono la stipulazione di nuovi contratti di locazione, la regolarizzazione amministrativa del bene, il rendere informazioni ai terzi potenziali acquirenti, fare visitare l'immobile, la liberazione dell'immobile. In ordine ai poteri del custode, vi sono quelli diretti alla conservazione del bene che il custode esercita direttamente (incasso dei canoni, pagamento delle spese condominiali, interventi di manutenzione ordinaria) e poteri che il custode ricava da un provvedimento autorizzatorio del giudice (locazione immobile, azione di rilascio). Sul custode, in base al tipo di custodia, ben possono gravare anche adempimenti fiscali con i relativi profili consequenziali. Va, tuttavia, precisato che le spese di custodia delle cose rientrano fra quelle concernenti gli atti necessari del processo, in quanto l'attività del custode è svolta nell'interesse superiore della giustizia e in quello comune delle parti. L'art. 53 disp. att. c.p.c. prevede al riguardo che i decreti con i quali il giudice liquida i compensi dovuti al custode devono specificare la parte che è tenuta a corrisponderli. Tali decreti costituiscono titolo esecutivo contro la parte stessa. Trattandosi di atto necessario al processo, ai fini dell'individuazione della parte tenuta al pagamento non ha alcuna rilevanza se l'iniziativa della nomina del custode provenga da una parte oppure dall'altra, ma è il giudice che indica i soggetti tenuti al pagamento (Cass. civ., n. 4617/2013). Rimane fermo, tuttavia, il principio generale in base al quale le spese di custodia e il compenso del custode rientrano fra le spese di lite e devono essere poste a carico della parte soccombente anche d'ufficio (Cass. civ., n. 15198/2011 che richiama Cass. civ., n. 4733/1981 e Cass. civ., n. 2429/1988).

L'istituto del custode può essere declinato nelle sue principali figure applicative: il custode nel sequestro giudiziario e il custode le pignoramento: per entrambi, opera il divieto speciale di acquisto di cui all'art. 1471 c.c..

Il custode nel sequestro giudiziario

Il custode può essere designato per la custodia di beni sottoposti a sequestro giudiziario (art. 676 c.p.c.). Nell'ambito di tale procedimento, infatti, è previsto che il giudice nomini il custode, stabilendo altresì criteri, limiti e cautele dell'amministrazione delle cose sequestrate. Il custode della cosa sequestrata ha gli obblighi e i diritti previsti negli artt. 521, 522 e 560 c.p.c.. La Suprema Corte ha avuto modo di precisare che il custode sequestratario giudiziario va qualificato come ausiliario del giudice, sotto il controllo e la direzione del quale egli svolge la propria attività, la quale presuppone lo spossessamento del bene in capo al possessore o detentore, al fine della relativa attribuzione al custode sequestratario, e può compiere tutti gli atti di ordinaria e, con l'autorizzazione del giudice, di straordinaria amministrazione (Cass. civ.,n. 22860/2007).

Anche con particolare riferimento alla figura del custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, la Suprema Corte ha affermato che costui, in quanto rappresentante d'ufficio di un patrimonio separato, risponde direttamente degli atti posti in essere anche in esecuzione di provvedimenti del giudice ai sensi dell'art. 676 c.p.c., detenendo legittimazione processuale limitatamente le azioni inerenti alla custodia (Cass. civ., n. 8483/2013; Cass. civ., n. 10252/2002 che richiama: Cass. civ.,n. 7147/2000, Cass. civ.,n. 7354/1991, Cass. civ.,n. 2232/1987, Cass. civ., n. 381/1974).

Va precisato che, in tema di sequestro giudiziario e nella ipotesi in cui il giudice imponga al custode l'obbligo di rendiconto, l'ordinanza di approvazione del rendiconto non è impugnabile e non è neppure ricorribile per cassazione ex art. 111 Cost., difettando del requisito della decisorietà e definitività, giacché priva di statuizioni dirette a dirimere un contenzioso tra le parti, trattandosi in sostanza di atto di amministrazione nell'ambito dei poteri di verifica e di controllo del giudice sull'opera del custode (Cass. civ., n. 23465/2004).

Il custode nel pignoramento

Il custode può essere designato per la custodia di beni sottoposti a pignoramento. Il custode giudiziario dei beni pignorati assume un ruolo centrale nella procedura giurisdizionale in cui è nominato, attesa la sua precipua funzione liquidatoria ossia di soggetto nominato non solo per la gestione del bene pignorato, ma anche per realizzare la miglior vendita dell'oggetto del vincolo.

Vengono in rilievo, quanto alla figura del custode nel pignoramento, in particolar modo per le espropriazioni mobiliari, gli artt. 520-522 c.p.c.: la nomina del custode è eventuale, potendo avvenire solo su richiesta del creditore ed in relazione a beni diversi dal denaro, dai titoli di credito o dagli oggetti preziosi, ed è operata dall'ufficiale giudiziario. Quanto alla nomina ed ai relativi obblighi, l'art. 521 c.p.c. prevede che il custode debba sottoscrivere il processo verbale dal quale deriva la sua nomina, nonché seguire le direttive impartite dall'ufficiale giudiziario per la conservazione dei beni pignorati; inoltre, non può utilizzare le cose pignorate senza l'autorizzazione del giudice e deve rendere il conto in caso di beni fruttiferi. L'art. 521-bis c.p.c. (inserito dall'art. 19, comma 1, d.l. 12 settembre 2014 n. 132, conv. con modif. in l. 10 novembre 2014, n. 162) prevede norme particolari per il pignoramento e la custodia di autoveicoli, motoveicoli e rimorchi (col pignoramento il debitore è nominato custode, ma ha 10 giorni per la consegna del bene all'Istituto Vendite Giudiziarie, che ne assume la custodia).

Sostituzione del custode

Il custode, secondo quanto previsto dall'art. 66 c.p.c., può essere sostituito, in ogni tempo, ad opera del giudice che l'ha nominato (o dal giudice dell'esecuzione in caso di nomina effettuata dall'ufficiale giudiziario), d'ufficio o su istanza di parte, mediante ordinanza non impugnabile di cui all'art. 177, comma 2, c.p.c.; per tale provvedimento non è previsto obbligo di motivazione. Secondo l'opinione prevalente, la non impugnabilità dell'ordinanza di sostituzione è radicale in quanto la stessa non può essere oggetto nemmeno di ricorso per Cassazione ex art. 111 Cost. (Cass. civ., n. 9968/1992, che richiama Cass. civ., n. 2699/1976; Cass. civ.,n. 5801/1988; Cass. civ., n. 2417/1970).

Il custode stesso, a sua volta, può, in ogni tempo, chiedere di essere sostituito laddove non abbia diritto al compenso; diversamente, può chiederlo soltanto ove ricorrano giusti motivi.

La responsabilità del custode

Il custode risponde secondo la previsione di cui all'art. 67 c.p.c.: tale norma configura in capo al custode una responsabilità di natura penalistica, mediante un generico richiamo al codice penale (nel quale vengono in rilievo principalmente gli artt. 388 e 388-bis c.p.), con possibilità per il giudice di comminare una pena pecuniaria da € 250,00 ad € 500,00 in caso di mancato espletamento dell'incarico, nonché una propria ed autonoma forma di responsabilità di tipo civilistico, di natura extracontrattuale (Cass. civ., n. 4635/1997), che consiste nell'obbligo di risarcire i danni cagionati alle parti ove non svolga il proprio incarico con la diligenza del buon padre di famiglia (Cass. civ., n. 6115/1984), criterio quest'ultimo che comprende anche il rispetto delle direttive impartite dal giudice.

Data la natura extracontrattuale della responsabilità, l'onere di provare che il custode ha male adempiuto ai suoi doveri di conservazione e gestione spetta al soggetto che instaura il giudizio risarcitorio.

Dei debiti legittimamente assunti dal custode nei confronti di terzi per effetto dell'attività negoziale connessa all'espletamento delle sue funzioni risponderà, invece, in primo luogo, il patrimonio separato da lui rappresentato, nonché il proprietario del bene.

Sotto il profilo penale, come accennato supra, il custode è responsabile, ai sensi degli artt. 388 e 388-bis c.p., nel caso in cui indebitamente rifiuti, ometta e ritardi un atto del proprio ufficio (art. 388 c.p.) ovvero per dolo o per colpa, cagioni o agevoli la distruzione, la sottrazione, la dispersione o il deterioramento dei beni affidatigli (art. 388-bis c.p.). Occorrerà, però, la querela della persona offesa, da individuarsi, di norma, durante la procedura esecutiva, in ciascuna delle parti o nel custode eventualmente nominato in sostituzione e, una volta conclusa la procedura esecutiva, nella parte cui sono stati attribuiti o restituiti i beni pignorati, salva l'eventuale legittimazione di altri soggetti.

Il custode: divieto speciale di comprare

Il custode, per atto dell'autorità giudiziaria, amministra beni altrui: ne consegue che opera il divieto speciale di acquisto sancito dall'art. 1471, comma 1, n. 3, c.c. («non possono essere compratori nemmeno all'asta pubblica, né direttamente né per interposta persona (…) coloro che per legge o per atto della pubblica autorità amministrano beni altrui, rispetto ai beni medesimi». La violazione del divieto comporta annullabilità del contratto (art. 1471, comma 2, c.c.): al contrario, nei casi in cui il divieto riguardi amministratori pubblici, la sanzione invalidatoria è quella della nullità (v. art. 1471, comma 1, nn. 1 e 2, c.c.). La ragione di tale differenza viene spiegata nella relazione del Guardasigilli: «per gli amministratori di enti pubblici e per gli ufficiali pubblici, il divieto vuole evitare abusi nell'esercizio della rispettiva funzione, perciò la sanzione doveva essere la nullità dell'acquisto. Per gli amministratori e per i mandatari privati la norma tutela privati interessi, donde la sanzione della semplice annullabilità». La Suprema Corte ha avuto occasione di affermare espressamente che detto divieto si applica anche al custode dei beni pignorati o sequestrati il quale, pur non essendo espressamente menzionato, è inquadrabile nella più generale categoria contemplata al n. 2 di detta norma poiché, essendo un soggetto al quale viene affidato l'esercizio di una funzione pubblica temporanea, da svolgere quale longa manus degli organi giudiziari, proprio in tale veste partecipa alla procedura esecutiva, provvedendo alla conservazione dei beni sottoposti a vincolo ed alla relativa amministrazione, eventualmente necessaria (Cass. civ., n. 4464/1985).

Il compenso del custode giudiziario

Il custode ha diritto a un compenso per l'attività prestata. Nell'ambito della custodia giudiziaria, l'attività svolta non deriva da un rapporto di diritto privato ma da un incarico di natura pubblicistica poiché origina dall'attribuzione di un ufficio mediante una nomina con atto processuale e non negoziale (Cass. civ., 3 luglio 2018, n. 17375); ha, dunque, ritenuto la Suprema Corte (seppur in ambito di sequestro in procedimento penale) che il diritto al compenso sia soggetto a prescrizione decennale decorrente da ogni singolo giorno, a meno che nel provvedimento di conferimento sia stabilita una determinata periodicità nella corresponsione del compenso, dovendosi, in tal caso, ritenere configurabile una prestazione periodica, con conseguente applicazione del termine quinquennale di prescrizione di cui all'art. 2948, n. 4, c.c. (Cass. civ., 13 settembre 2018, n. 22362; così anche Cass. civ., n. 3070/2017).

In tema di compenso, è pacifico che, essendo il custode un ausiliario del giudice, la relativa richiesta di liquidazione è assoggettata al termine di decadenza previsto dall'art. 71 del d.P.R. n. 115/2002, che consiste in cento giorni dalla data di “completamento delle operazioni” (Cass. civ., n. 11577/2017). Inoltre la determinazione del compenso non è affidata alla contrattazione, ma è prerogativa dell'autorità giudiziaria, la quale non è vincolata ad eventuali accordi tra il medesimo custode e le parti private (Cass. civ. n. 17375/2018 cit.) e si esercita con decreto di liquidazione impugnabile ex art. 170 del d.P.R. n. 115/2002, ma non revocabile d'ufficio dall'autorità giudiziaria emittente, in quanto questa, salvo i casi espressamente previsti, ha definitivamente consumato il proprio potere decisionale e non ha un generale potere di autotutela, tipico dell'azione amministrativa (Cass. civ., n. 20640/2017).

Il Ministero della Giustizia, con decreto n. 80 del 15 maggio 2009, (Gazzetta Ufficiale n. 150 del 1° luglio 2009) ha determinato i compensi spettanti ai custodi dei beni pignorati, nominati in sostituzione del debitore, nei processi di espropriazione forzata. Il compenso del custode è individuato sulla base di parametri individuati dal prezzo di aggiudicazione o di assegnazione di ciascun lotto. In particolare, si prevede che al custode, se diverso dal debitore, spetta un compenso (comunque non inferiore ad € 250,00) a percentuale calcolato per scaglioni sul valore di aggiudicazione (o assegnazione) di ciascun lotto immobiliare:

  • 3% fino a € 25.000,00;
  • 1% da € 25.000,01 e fino a € 100.000,00;
  • 0,8% da € 100.000,01 e fino a € 200.000,00;
  • 0,7% da € 200.000,01 e fino a € 300.000,00;
  • 0,5% da € 300.000,01 e fino a € 500.000,00;
  • 0,3% da € 500.000,01 e oltre.

In caso di attività particolarmente limitata, il giudice dell'esecuzione può congruamente ridurre gli importi indicati dalle tabelle: la riduzione è pari al 15% in caso di immobile non occupato. Se invece le attività di custodia hanno presentato particolare difficoltà, il compenso può essere maggiorato, adottando analitica motivazione, sino ad un massimo del 20%. Al custode è dovuto il rimborso forfetario, in ragione del 10% del compenso liquidato, per le spese generali di organizzazione e studio, nonchè per quelle di corrispondenza, viaggi e comunicazioni, anche telefoniche. Al custode sono altresì rimborsate le spese vive documentate. In caso di svolgimento di attività particolari (si pensi a: riscossione di canoni di locazione o occupazione dell'immobile, azioni di convalida di licenza o sfratto, interventi di manutenzione, regolarizzazione catastale, urbanistica o edilizia degli immobili, ecc.), il giudice dell'esecuzione può applicare una maggiorazione del compenso da determinarsi in ragione delle peculiarità della fattispecie secondo i criteri indicati nel d.m.. Anche quando la vendita non sia andata a buon fine (conversione di pignoramento, rinuncia del creditore ecc.), il compenso viene calcolato tenendo presente l'attività concretamente svolta e la durata dell'incarico, indipendentemente dalla circostanza che il creditore procedente abbia versato l'acconto. Sono, infine, previsti particolari criteri di liquidazione in caso di attività di custodia presso i locali del debitore.

Riferimenti
  • Caradonna L., Custodia (nell'espropriazione forzata), in www.ilProcessoCivile.it, 2016;
  • Celentano P., Il custode degli immobili pignorati: tutte le innovazioni normative, in www.dirittoegiustizia.it, 2005;
  • Fontana R., Romeo S., Il nuovo processo di esecuzione, Padova, 2015;
  • Crescenzi A., La custodia del bene pignorato, Manuale Degli Ausiliari dell'esecuzione immobiliare- stima, custodia e delega nelle operazioni di vendita, a cura di De Stefano F. e Giordano R., Giuffrè Francis Lefebvre, 2018;
  • Mereu A., Il custode giudiziario nelle procedure esecutive immobiliari, in www.inexecutivis.it, 2018;
  • Schepis B., Il custode giudiziario: compiti e responsabilità nella gestione dell'immobile pignorato, Frosinone, 2018.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario