Sequestro di beni

04 Maggio 2016

Il sequestro giudiziario è misura cautelare volta ad assicurare la fruttuosità e la concreta attuabilità di futuri provvedimenti giurisdizionali attinenti alla proprietà o al possesso di un bene.
Inquadramento

Possono costituire oggetto del sequestro giudiziario, ai sensi dell'art. 670 n. 1 c.p.c., beni mobili o immobili, aziende o altre universalità di beni.

In evidenza

Il sequestro giudiziario costituisce una misura cautelare rivolta ad assicurare, in via preventiva, la fruttuosità e la concreta attuabilità di futuri provvedimenti giurisdizionali comunque attinenti alla proprietà o al possesso di un bene.

Pertanto, ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del cespite, si può adottare siffatta misura cautelare che consente la gestione controllata del suddetto bene.

Il sequestro giudiziario può essere autorizzato non soltanto in relazione ad azioni di rivendicazione, reintegrazione o manutenzione, ma anche ad azioni di tipo personale che tendano a conseguire la restituzione o il rilascio di cosa pervenuta nella disponibilità altrui.

Ai fini della concessione della cautela in esame è, inoltre, richiesta la sussistenza della necessità di provvedere alla conservazione e alla custodia dei beni sui quali deve eseguirsi la misura cautelare, il che si verifica soltanto quando lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti il concreto pericolo che si verifichino deterioramenti, sottrazioni o alterazioni dei beni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso, con la conseguente necessità di sottrarre i beni stessi alla libera disponibilità del sequestrato (cfr. Cass. civ., sez. II, 27 settembre 1993, n. 9729).

Presupposti

La misura cautelare in esame presuppone che sussista una controversia sulla proprietà o sul possesso del bene e che all'esito del giudizio di merito vi sia una pronuncia restitutoria, avendo tuttavia la giurisprudenza di legittimità considerevolmente dilatato i confini della tutela ammettendola, non solo per le azioni reali (così come sembrerebbe suggerire il tenore letterale dell'art. 670 c.p.c.), ma anche per quelle personali che comportino comunque una restituzione del bene, ribadendo l'incompatibilità del sequestro giudiziario soltanto con le azioni meramente dichiarative.

Dunque, ai fini della concedibilità del sequestro giudiziario, si è in presenza di una controversia sulla proprietà o il possesso non soltanto quando siano o saranno esperite le caratteristiche azioni di rivendica, di manutenzione o di reintegrazione, ma anche nel caso in cui sia stata proposta o debba proporsi un'azione contrattuale che, se accolta, importi condanna alla restituzione di un bene, come nelle ipotesi di azioni personali aventi ad oggetto la restituzione della cosa da altri detenuta. Ciò in quanto, il termine "possesso", usato dall'art. 670 c.p.c. unitamente a quello di proprietà, non va inteso in senso strettamente letterale, rientrando in esso anche la detenzione (cfr. Cass. civ., S.U., 9 gennaio 1995 n. 215; Cass. civ., sez. II, 13 dicembre 1985, n.6301).

In conseguenza di ciò, deve ritenersi ammissibile il sequestro giudiziario in ogni ipotesi in cui risulti proposta, o debba proporsi, l'azione di risoluzione, rescissione, nullità o annullamento o accertamento della simulazione di un rapporto obbligatorio che si riferisca ad un bene suscettibile di formarne oggetto, sempre che a tali azioni sia collegata la pretesa di ottenere la riconsegna dello stesso bene. La misura cautelare di cui si pretende l'emanazione, essendo teleologicamente indirizzata ad assicurare nelle more del giudizio di merito la custodia e la gestione del bene, presuppone difatti che del medesimo bene venga necessariamente chiesta la restituzione (cfr. Cass. civ., sez. II, 19 ottobre 1993 n. 10333; Cass. civ., sez. II, 15 giugno 1981, n. 3885).

Il fumus boni iuris

Secondo una parte della giurisprudenza, la proposizione di un'azione di rivendicazione, reintegrazione o manutenzione o di tipo personale tendente a conseguire la restituzione o il rilascio di cosa pervenuta nella disponibilità altrui, non solo sostanzierebbe il requisito della strumentalità, ma esaurirebbe anche la verifica sulla ricorrenza del fumus boni iuris necessario per l'accoglimento dell'istanza cautelare (cfr. Trib. Monza, 17 aprile 2001, in GIUS, 2001, 2292; Trib. Trani, 28 settembre 2000, in Giur. Merito, 2001, 675; Trib. Torino, 14 gennaio 1989, in Foro it., 1990, I, 2655).

Si osserva, infatti, che il sequestro giudiziario sia funzionale ad assicurare, per la parte che risulti vittoriosa nella controversia sulla proprietà, l'utile esperimento della esecuzione per consegna o per rilascio del bene, mediante la custodia assicurata nelle more del giudizio di merito, con la conseguenza che sarebbe estranea alla cautela ogni indagine in ordine alla sussistenza del fumus boni juris, vale a dire l'accertamento in ordine alla probabilità che le ragioni della parte ricorrente siano fondate.

Sennonché, ad avviso di altra predominante parte della giurisprudenza, la probabile sussistenza del uno ius in re o di uno ius ad rem vantato dalla parte ricorrente, quantunque da indagare nella forma sommaria propria della tutela cautelare, costituirebbe anch'essa uno dei presupposti della cautela in questione.

Si evidenzia che, ove si accedesse alla prima tesi, oltre a professarsi un'indebita commistione tra i due requisiti della strumentalità e del fumus, - da sempre connotati, nella sistematica delle misure cautelari, da una specifica autonomia e da una ben definita portata - la concessione del sequestro giudiziario sarebbe pressoché automatica, ogni qual volta fosse instaurata o meramente prospettata una delle controversie indicate nell'art. 670 c.p.c., stante anche i consolidati approdi giurisprudenziali che hanno, per un verso, ampliato il novero dei giudizi rispetto ai quali la misura cautelare in esame può definirsi strumentale e, per l'altro, dilatato il concetto di periculum riconducendolo alla mera opportunità di custodia del bene (cfr. Cass. civ., sez. III, 23 giugno 1982, n. 3831; Trib. Rossano, 2 luglio 2011; Trib. Nola, 25 giugno 2010, in Giur. Merito, 2010, 2248; Trib. Napoli, 4 marzo 2003, in GIUS, 2003, 1907).

Il periculum in mora

L'art. 670, n. 1, richiede, per la concessione della misura cautelare, la sussistenza dell'opportunità di provvedere alla custodia o alla gestione dei beni di cui si chiede il sequestro.

Si ritiene possibile autorizzare il sequestro giudiziario, ove sussista il timore che la durata del processo possa incidere sulla conservazione del bene, precisandosi che la nozione di conservazione nel sequestro giudiziario, a differenza di quanto accade per il sequestro conservativo, non si sostanzia necessariamente nel pericolo, concreto ed attuale, di sottrazione od alterazione del bene, essendo invece sufficiente, ai fini dell'opportunità della cautela, che lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporti la mera possibilità, sia pure astratta, che si determini una situazione tale che, al termine della lite, la parte istante, ove risulti essere vittoriosa, non riuscirebbe ad ottenere il vantaggio spettante, vedendo così pregiudicata l'attuazione del diritto controverso (Trib. Bari, 16 novembre 2014, in www.GiustiziaCivile.com, 2015, con nota di Costabile; Trib. Savona, 30 ottobre 2013).

Inoltre, secondo una parte della giurisprudenza, il presupposto del periculum nel sequestro giudiziario deve essere letto alla luce della finalità della misura, ovvero nel rapporto di strumentalità esistente con la futura attività esecutiva e nell'interesse della parte istante ad ottenere che sia mantenuta o stimolata la produttività e l'integrità del bene e non vadano perduti i frutti che essa può concretamente rendere, con conseguente ammissibilità dell'opportunità di una conservazione non risolventesi unicamente nella custodia bensì estesa anche «alla gestione temporanea» del bene sulla scorta della previsione di cui al n. 1 dell'art. 670 c.p.c. (Trib. Nola, 11 gennaio 2011; Trib. Bari, 3 agosto 2006, in Giur. Merito, 2007, n. 2, 356, con nota di Amendolagine).

Di contro, altra parte della giurisprudenziale tende a porre in secondo piano il requisito «gestionale» sopra rimarcato, affermando che, ai fini dell'autorizzazione del sequestro giudiziario, la necessità di provvedere alla conservazione e alla custodia dei beni sui quali deve eseguirsi la misura cautelare, sussiste quando lo stato di fatto esistente in pendenza del giudizio comporta la possibilità che si determino situazioni tali da pregiudicare l'attuazione del diritto controverso, senza che possa diversamente rilevare la mera capacità di gestione dei beni della parte che li possiede (Trib. Rossano, 2 luglio 2011, cit.; Trib. Torino, 2 luglio 2005, in Giur. Merito, 2006, n. 11, 2409).

Il sequestro di titoli di credito

Risulta assolutamente discusso in dottrina e in giurisprudenza se il sequestro giudiziario possa avere ad oggetto titoli di credito: i noti dogmi dell'autonomia, letteralità ed astrattezza del rapporto cartolare, infatti, vengono ad intrecciarsi con le delicate tematiche sollevate dall'art. 670, n. 1, c.p.c.

È chiaro, peraltro, che l'obbligato cartolare, intervenuto il presunto inadempimento della controparte, ha interesse affinché, nelle more della risoluzione contrattuale, i titoli non siano fatti circolare e siano evitate le relative conseguenze: per cui, il rischio che si vuole scongiurare tramite il sequestro giudiziario in siffatte ipotesi è sostanzialmente unitario: da un lato, il debitore non intende privarsi delle eccezioni personali nei confronti del primo prenditore; dall'altro, lo stesso desidera evitare di rimanere sotto la spada di Damocle dell'azione cartolare, che ha carattere documentario, da parte di eventuali terzi, essendo il possesso del titolo condicio sine qua non per il suo inizio.

Secondo un primo orientamento, il sequestro giudiziario nella fattispecie sarebbe inammissibile, in quanto - si afferma - lo stesso sarebbe richiesto al fine di conservare le eccezioni personali proponibili dall'emittente nei confronti del prenditore e tale finalità esulerebbe completamente dagli scopi istituzionali della misura, perché, in tal modo, non si tratterebbe di provvedere, a fini conservativi, alla custodia di un bene (il titolo di credito) per il pericolo che esso si deteriori o venga addirittura distrutto (v. Cass. civ.,sez. I, 23 novembre 1991, n. 12595). Si sottolinea, altresì, che tale provvedimento, ove emesso, si risolverebbe nell'inibizione della girata ovvero della efficacia esecutiva del titolo, con un'evidente alterazione del regime di circolazione del documento (cfr. Trib. Napoli, 3 marzo 2000, in Giur. napoletana, 2000, 334).

Secondo un diverso orientamento, viceversa, i titoli di credito trasmissibili per girata sono suscettibili di essere sequestrati ai sensi dell'art. 670 c.p.c. – potendo essi essere oggetto di proprietà e di possesso - laddove possano risultare emessi sine causa per il venir meno del rapporto fondamentale, sotteso al loro rilascio, in forza di una pronuncia risolutoria ex art. 1453 c.c., sempreché sia certo che i titoli stessi si trovino nella disponibilità del prenditore diretto (cfr. Trib. Latina, 27 ottobre 2009; Trib. Nola, 1 aprile 2007, in Giur. Merito, 2008, n. 3, 695, con nota di Lombardi).

Ciò in quanto ai sensi dell'art. 1994 c.c., il terzo portatore di un titolo di credito in conformità delle norme che ne disciplinano la circolazione non è soggetto a rivendicazione, per cui nei suoi confronti non può essere invocato quello ius ad rem che riposa soltanto in un rapporto diretto sottostante all'emissione o al trasferimento e che costituisce il presupposto della misura cautelare fondata sulla possibilità di una controversia sulla proprietà o sul possesso (cfr. Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 1985, n. 106).

L'unico limite sarebbe, dunque, costituito dalla necessità che emerga con certezza che i titoli da sottoporre al vincolo cautelare si trovino nella disponibilità del prenditore diretto dei titoli.

Tale certezza può ricorrere in due casi: o quando il prenditore non contesti di essere nella disponibilità dei titoli; o quando si tratti di titoli su cui è apposta la clausola di "non trasferibilità", che renderebbe inefficace una eventuale girata.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO

inammissibilità del sequestro di titoli d credito

Cass. civ., sez. I, 23 novembre 1991, n. 12595

Trib. Napoli, 3 marzo 2000, in Giur. napoletana, 2000, 334

ammissibilità del sequestro di titoli di credito

Trib. Latina, 27 ottobre 2009

Trib. Nola, 1 aprile 2007, in Giur. Merito, 2008, n. 3, 695, con nota di LOMBARDI

Cass. civ., sez. I, 17 gennaio 1985, n. 106

Il sequestro di azienda

In presenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora si ritiene possibile l'emissione della misura cautelare del sequestro giudiziario dell'azienda con conferimento al custode dei poteri di amministrazione e gestione della stessa (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2004, n. 877; Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2000, n. 8429).

È stato, inoltre, evidenziato che l'azienda, quale complesso di beni organizzati dall'imprenditore per l'esercizio dell'impresa, è compiutamente identificata mediante la specificazione del tipo di attività svolta e dei locali nei quali essa è esercitata, trattandosi di indicazioni idonee a comprendere tutti i beni presenti in detti locali e destinati allo svolgimento dell'attività, mentre la analitica individuazione di detti beni rileva al solo scopo di prevenire eventuali contestazioni in ordine alla riconducibilità degli stessi alla azienda: pertanto il sequestro giudiziario dell'azienda è validamente eseguito indicando nei relativi atti gli elementi indispensabili a permetterne l'individuazione, non occorrendo la specifica elencazione di tutti i beni che la compongono (cfr. Cass. civ,sez. I, 21 gennaio 2004, n. 877). Invero, la mancata indicazione dei singoli componenti l'azienda destinati a formare specifico oggetto del sequestro giudiziario non è causa di invalidità od inefficacia di esso, a differenza che nel caso di sequestro conservativo, in cui la puntuale individuazione e descrizione dei beni assume la funzione di render noto lo specifico oggetto della garanzia patrimoniale riconosciuta al creditore procedente (cfr. Cass. civ., sez. I, 21 giugno 2000, n. 8429).

Posizione del custode

Il custode di beni sottoposti a sequestro giudiziario, in quanto rappresentante di ufficio, nella sua qualità di ausiliario del giudice, di un patrimonio separato, costituente centro di imputazione di rapporti giuridici attivi e passivi, risponde direttamente degli atti compiuti in siffatta veste, quand'anche in esecuzione di provvedimenti del giudice ai sensi dell'art. 676 c.p.c., e, pertanto, è legittimato a stare in giudizio, attivamente e passivamente, limitatamente alle azioni relative a tali rapporti, attinenti alla custodia ed amministrazione dei beni sequestrati (Cass. civ., sez. lav., 8 aprile 2013, n. 8384).

In particolare il custode è legittimato all'azione diretta ad assicurarsi la disponibilità del bene funzionale all'incarico da assolvere nell'ipotesi in cui l'atto contestato, per le modalità con cui è attuato, sia suscettibile di pregiudicare l'esercizio delle funzioni e gli interessi alla cui tutela è preposto (Cass. civ., sez. I, 17 luglio 2001, n. 9692).

La posizione processuale del custode dei beni sottoposti a sequestro giudiziario in siffatte ipotesi equivale a quella di un sostituto processuale: conseguentemente l'eventuale cessazione del suo potere di stare in giudizio per conto di altri non fa venir meno automaticamente la legittimazione sostitutiva, né, conseguentemente, i relativi poteri d'impulso processuale conferiti al suo difensore, ove (come accade nel giudizio di Cassazione) non sia possibile attuare un idoneo meccanismo d'interruzione e riassunzione del giudizio in capo al nuovo legittimato processuale (Cass. civ., sez. I, 31 marzo 2006, n. 7693).

Casistica

CASISTICA

Partecipazioni societarie

In presenza di una seria controversia in merito alla proprietà delle quote di una s.r.l., di cui entrambe le parti si affermano titolari, qualora si profili il rischio di compromettere la funzionalità della società, può essere disposto, ai sensi dell'art. 670 comma 1 n. 1 c.p.c., il sequestro giudiziario delle quote con nomina di un custode, per fare fronte alle indifferibili necessità gestionali della società, dal momento che i due originari soci paritari non sono più in grado di arrivare ad una gestione concorde (Trib. Milano, 15 gennaio 2014).

È inammissibile il ricorso volto ad ottenere il provvedimento di sequestro giudiziario di partecipazioni azionarie di società per azioni ai sensi dell'art. 670 c.p.c. con nomina di custode al fine dell'esercizio del diritto di voto in assemblea in conformità ad un (asseritamente stipulato) patto parasociale di voto qualora non si controverta del diritto di proprietà delle azioni o delle situazioni di cui all'art. 1140 c.c. quanto piuttosto dell'esecuzione in forma coattiva del patto a seguito di (preteso) inadempimento dell'obbligo di voto di cui al patto medesimo (Trib. Belluno, 23 gennaio 2010, in Giur. comm., 2011, n. 6, 1490, con nota di Pinelli).

La controversia sulla proprietà o il possesso di cui all'art. 670 c.p.c. è pienamente configurabile anche con riferimento ai beni immateriali (equiparati ai beni mobili materiali non iscritti in pubblici registri), quali sono le quote di partecipazione in società di persone o irregolari, ed è cautelativamente tutelabile con il sequestro giudiziario, poiché le società di persone, pur non avendo personalità giuridica nel senso di “autonomia patrimoniale perfetta”, hanno comunque una propria soggettività e capacità di agire, distinta da quella dei propri soci e poiché le «quote» in società di persone non rappresentano un mero “diritto di credito”, ma piuttosto un "rapporto contrattuale", sicché alla titolarità di una quota fa capo una serie di diritti e doveri del socio nel suo complesso (Trib. Torino, 29 ottobre 2008).

È ammissibile il sequestro giudiziario, ad istanza di uno dei coniugi in regime di comunione legale, della quota di s.r.l. che sia stata alienata dall'altro coniuge (Trib. Roma, 31 ottobre 2007, in Foro it. 2008, 12, I, 3675).

Bene concesso in godimento ad un terzo da parte di uno dei comproprietari

Il sequestro giudiziario può essere concesso anche quando il bene sul quale è destinata a ricadere la misura cautelare sia oggetto di diritto di godimento da parte di un terzo, in virtù di un titolo detentivo, trasmessogli da una delle parti contendenti, purché vi sia un conflitto relativo alla proprietà o al possesso, producendosi, nei confronti del terzo, titolare di un diritto di natura personale, soltanto il subentro del custode nella posizione del concedente (Cass. civ., sez. II, 11 aprile 2008, n. 9692).

Casa coniugale

Deve ritenersi non ammissibile, nelle more fra la proposizione del ricorso di separazione e l'udienza di comparizione davanti al Presidente del tribunale, il sequestro giudiziario della casa coniugale di proprietà esclusiva dell'altro coniuge, fondato sul timore dell'istante di rimanere senza l'abitazione familiare (a seguito di alienazione) di cui chiede l'assegnazione nel ricorso medesimo (Trib. Salerno, 8 maggio 2007).

Atti di disposizione giuridica del bene

L'esigenza cautelare contro gli atti di disposizione giuridica del bene, volta ad evitare che il promissario alienante - nel tempo occorrente per ottenere una sentenza costitutiva che produca gli effetti del contratto definitivo non concluso - possa trasferire a terzi l'immobile promesso in vendita, è salvaguardata con la trascrizione della domanda giudiziale di esecuzione in forma specifica dell'obbligo a contrarre (art. 2652 n. 2 c.c.), non già attraverso il sequestro giudiziario la cui funzione cautelare è diretta contro gli atti di disposizione materiale del bene (Trib. Nocera Inferiore, 26 giugno 2006, in Giur. Merito, 2007, n. 9, 2261, con nota di Lombardi).

Azione revocatoria

ordinaria

Ragioni di tutela sostanziale del creditore portano a preferire la tesi che ammette l'esperimento del rimedio del sequestro giudiziario ex 670 c.p.c. anche con riguardo all'azione revocatoria ordinaria. La giurisprudenza prevalente sostiene che il termine proprietà o possesso non va inteso in senso letterale rientrandovi anche le controversie come l'azione revocatoria, inerenti la dichiarazione di inefficacia relativa, e comunque le azioni inerenti uno ius ad rem, nelle quali, cioè, venga in rilievo l'esistenza di un diritto alla restituzione di un bene a qualsiasi titolo detenuto da altri. Inoltre non sembra che, con l'art. 2905, comma 2, c.c., il legislatore abbia voluto precludere al creditore che agisce in revocatoria ordinaria il rimedio cautelare dell'art. 670, comma 1, c.p.c. (Trib. Nola, 4 gennaio 2013).

L'azione revocatoria ordinaria ha solo la funzione di ricostituire la garanzia generica assicurata al creditore dal patrimonio del debitore la cui consistenza, per effetto dell'atto di disposizione posto in essere dal debitore, si sia ridotta in guisa da pregiudicare il diritto del creditore con l'azione espropriativa. In coerenza con tale sua unica funzione l'azione predetta, ove esperita vittoriosamente, non travolge l'atto di disposizione posto in essere dal debitore, ma semplicemente determina l'inefficacia di esso nei soli confronti del creditore che l'abbia esperita per consentire allo stesso di esercitare sul bene oggetto dell'atto, l'azione esecutiva per la realizzazione del credito. Ne consegue che detta azione non può essere posta a fondamento della richiesta del sequestro giudiziario (Trib. Savona, 5 febbraio 2007).

Azione revocatoria fallimentare

È ammissibile il sequestro giudiziario del bene quando debba instaurarsi un giudizio avente per oggetto l'azione revocatoria fallimentare in quanto tale azione, ove utilmente invocata, implica il recupero del bene medesimo (Trib. Torre Annunziata, 24 giugno 2005).

Nel giudizio avente per oggetto l'azione revocatoria fallimentare è ammissibile il sequestro giudiziario, in quanto essa presuppone ed impone ai fini dell'attuazione dei suoi effetti il recupero del bene sottratto alla garanzia patrimoniale del debitore (Trib. Rimini, 30 marzo 2001, in Fall., 2002, 2008, con nota di Gallone).

In conseguenza della revocatoria fallimentare, il bene non rientra nella proprietà o nel possesso dell'ufficio fallimentare, sicché è escluso che il curatore possa chiedere sequestro giudiziario ex art. 670 c.p.c. del bene (nella specie, cessione d'azienda), poiché - ove il trasferimento del bene abbia avuto luogo effettivamente, non può discutersi di controversia sulla proprietà o sul possesso del bene (Trib. Napoli, 14 luglio 1998, in Dir. fall., 1999, II, 393).

Competenza del tribunale fallimentare

Rientrano nella competenza del tribunale fallimentare domande di sequestro giudiziario e conservativo proposte dalla curatela del fallimento di una società di fatto, prodromiche alla proposizione di azioni di merito volte al recupero di beni dismessi dai falliti, anche attraverso la costituzione di trust cui sono state intestate partecipazioni societarie, e di risarcimento danni (Trib. Torre Annunziata, 3 dicembre 2014, in Foro it., 2015, n. 4, 1386, con nota di Palmieri).

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