Amministrazione giudiziaria

Pasqualina Farina
22 Gennaio 2019

L'art. 591 c.p.c. affida interamente al giudice dell'esecuzione la scelta tra nuova vendita (in ribasso) e l'amministrazione giudiziaria. Trattasi di un'opzione rimessa al suo prudente apprezzamento, tenuto conto che la prima delle anzidette possibilità è finalizzata ad una liquidazione il più rapida possibile, mentre l'altra, l'amministrazione giudiziaria ex art. 592 c.p.c., tende a “congelare” la procedura in attesa di tempi migliori di mercato.
Inquadramento

«Se non vi sono domande di assegnazione o se decide di non accoglierle, il giudice dell'esecuzione dispone l'amministrazione giudiziaria a norma degli artt. 592 e ss., oppure pronuncia nuova ordinanza ai sensi dell'art. 576 perché si proceda a nuovo incanto»: così dispone l'art. 591 c.p.c., primo comma, dedicato al provvedimento di amministrazione giudiziaria o di nuovo incanto.

Dalla formulazione della norma emerge chiaramente che l'amministrazione giudiziaria non costituisce la fisiologica evoluzione della procedura esecutiva, risultando necessariamente preceduta da una vendita e/o assegnazione infruttuosa, sempre che il giudice non intenda disporre un nuovo tentativo di vendita. Ed infatti, il giudice a seguito di un esperimento di vendita andato deserto, può, a norma dell'art. 591 c.p.c.: a) in caso di mancato accoglimento o in assenza di istanze di assegnazione, ordinare l'amministrazione giudiziaria dei beni pignorati; b1) ovvero ordinare una nuova vendita alle precedenti condizioni; b2) ovvero a diverse condizioni e con decurtazione del prezzo fino ad un quarto (rispetto alla precedente vendita) o fino al limite della metà sempre che il quarto tentativo di vendita sia andato deserto.

In evidenza

L'art. 591 c.p.c. affida interamente al giudice dell'esecuzione la scelta tra nuova vendita (in ribasso) e l'amministrazione giudiziaria. Trattasi di una opzione rimessa al suo prudente apprezzamento, tenuto conto che la prima delle anzidette possibilità — vale a dire il successivo incanto a prezzo ribassato — è finalizzata ad una liquidazione il più rapida possibile, mentre l'altra, l'amministrazione giudiziaria ex art. 592 c.p.c., tende a “congelare” la procedura in attesa di tempi migliori di mercato (Cass. civ., 15 luglio 2009, n. 16453).

La possibilità di conservare ed amministrare il bene pignorato se ed in quanto la vendita sia risultata infruttuosa, risponde all'esigenza di espropriare e vendere il medesimo bene nel tempo più breve possibile. Di qui il rilievo - prospettato da autorevolissima dottrina - che la norma è mal formulata nella parte in cui non consente al giudice dell'esecuzione di disporre sin da subito l'amministrazione giudiziaria, anche quando è evidente che le rendite risultino sufficienti a soddisfare i creditori (F. Carnelutti, 79).

Occorre, per completare il quadro d'insieme, segnalare che l'amministrazione giudiziaria presenta struttura e funzione diverse dall'amministrazione controllata (abrogata dall'art. 146 del d.lgs. 6/2005) che era invece finalizzata a salvare un'impresa in una situazione di temporanea difficoltà. Più precisamente attraverso l'amministrazione controllata veniva accordata una dilazione al debitore, al fine di evitare la dichiarazione di fallimento, ed attuata una cautela quale il controllo della gestione dell'impresa e dell'amministrazione dei beni a tutela degli interessi dei creditori.

Né, stante la mancanza di un accordo tra le parti, l'amministrazione giudiziaria di cui all'art. 592 c.p.c. può essere assimilata ad un contratto di anticresi o di usufrutto forzato in forza del quale si priva il debitore del godimento del bene, fintanto che con i proventi delle rendite non siano stati pagati i creditori (Provinciali, 213).

Limiti temporali e regime applicabile

L'amministrazione giudiziaria costituisce un momento incidentale del processo esecutivo, in cui si soprassiede dalla liquidazione del bene, in attesa di tempi migliori. Ciò sia in ossequio dell'interesse del creditore di conseguire dalla liquidazione forzata la maggior soddisfazione possibile, sia dell'esigenza dell'esecutato di ridurre la propria esposizione debitoria, scongiurando il rischio di liquidare il bene a prezzo vile.

In evidenza

L'amministrazione giudiziaria dei beni non costituisce una forma autonoma di esecuzione, ma è una fase incidentale del procedimento di espropriazione, come tale meramente eventuale e sussidiaria, che ha la funzione di sospenderlo in presenza di una contingenza negativa in attesa di tempi in cui il mercato sia più favorevole.

Ne consegue che il suo scopo è proprio quello di mantenere inalterato il valore stimato dei beni e di evitare la diminuzione che una nuova vendita comporterebbe (Cass. civ., 2 marzo 2006, n. 4650).

Per tutta la durata dell'amministrazione giudiziaria possono essere proposte offerte d'acquisto ex art. 571 c.p.c..

Per tale ragione, dunque, sia al creditore procedente sia a quelli intervenuti è consentito chiedere che si ordini una nuova vendita ovvero l'assegnazione del bene, senza però vincolare il giudice che provvede secondo la propria discrezionalità (Provinciali, 212).

In evidenza

Qualora il giudice dell'esecuzione abbia disposto l'amministrazione giudiziaria dei beni staggiti dopo aver esperito negativamente la vendita, il prezzo di riferimento per presentare l'offerta è sempre quello determinato ai sensi dell'art. 568 c.p.c., anche nell'ipotesi di precedente esperimento infruttuoso di due incanti, e non tale prezzo due volte ribassato in conseguenza delle due aste andate deserte (Cass. civ., 2 marzo 2006, n. 4650).

In ogni caso, l'art. 592 c.p.c. prevede che l'amministrazione giudiziaria è disposta per un tempo non superiore a tre anni ed è affidata a uno o più creditori o a un istituto autorizzato, oppure allo stesso debitore se tutti i creditori vi consentono, inclusi gli iscritti non intervenuti.

In forza dell'art. 159 disp. att. c.p.c. gli Istituti cui è consentito affidare l'amministrazione giudiziaria degli immobili ex art. 592 c.p.c. sono autorizzati con decreto del Ministro della giustizia, che stabilisce modalità e controlli per l'esecuzione degli incarichi loro affidati e la misura dei compensi dovuti; il riferimento è all'Istituto Vendite Giudiziarie, regolato dai d.m. n. 109/1997 e d.m. n. 455/2001.

Il consenso di tutti i creditori, titolati e non – prescritto perché l'amministrazione giudiziaria venga legittimamente affidata allo stesso esecutato – tende a garantire gli interessi dei medesimi creditori, posto che il debitore pur potendo vantare maggiori competenze riguardo alle scelte gestionali più utili per la conservazione della redditività del bene, risulta – inevitabilmente – in una posizione di conflitto rispetto ai creditori medesimi.

Analogamente a quanto avviene per la custodia dell'immobile sottoposto a pignoramento, il giudice dell'esecuzione conserva il controllo dell'amministrazione per tutta la durata del triennio.

La cessazione dell'amministrazione ha luogo nel termine stabilito nell'ordinanza di cui all'art. 592 c.p.c.; ma prima della sua scadenza al giudice è consentito disporre una proroga, proroga che va proposta al giudice con ricorso da depositarsi in cancelleria con le forme di cui all'art. 486 c.p.c.. Qualora, invece, non sia stato fissato alcun termine, l'amministrazione viene meno allo scadere del triennio.

Conclusa la durata dell'amministrazione il giudice deve disporre una nuova vendita forzata.

Amministratore giudiziario

L'amministratore ha diritto ad un compenso, indipendentemente dalla circostanza che il soggetto incaricato sia un creditore, l'istituto autorizzato ovvero lo stesso debitore, poiché è da escludersi l'applicazione delle regole di cui all'ultimo comma dell'art. 522 c.p.c..

Il compenso viene liquidato dal giudice con apposito decreto, non impugnabile, come previsto per qualsiasi altro provvedimento pronunciato nel corso dell'amministrazione giudiziaria.

Ad eccezione dell'ipotesi che sia stato stabilito un termine diverso, l'amministratore è tenuto a presentare un rendiconto della gestione alla fine di ciascun trimestre; ad un tempo ha il dovere di depositare nella cancelleria del tribunale le rendite eccedenti i bisogni dell'attività di gestione e l'assegno alimentare concesso al debitore. A conclusione della gestione, unitamente a tutta la documentazione, deve essere depositato ilrendiconto finale.

L'amministratore è - dunque - un custode, come riprova il fatto che è tenuto a rendere il conto, e pertanto è assoggettato alla disciplina propria della custodia di cui agli artt. 65-67 c.p.c..

L'amministratore può, quindi, essere sostituito d'ufficio o su istanza di parte, può essere condannato dal giudice dell'esecuzione se non esegue l'incarico assunto ed è tenuto al risarcimento dei danni provocati al debitore ed ai creditori; incorre, inoltre, nella responsabilità penale di cui agli artt. 334 ss. c.p.

Resta da chiarire se in seguito alla nomina dell'amministratore giudiziario vengano meno le mansioni e le funzioni del custode: la risposta è in senso affermativo in considerazione del fatto che la funzione dell'amministratore contiene quella del custode: l'amministratore non si limita a conservare, occupandosi anche della gestione attiva dei beni pignorati (P. Castoro, 593).

L'amministratore giudiziario (analogamente al custode) è legittimato ad esperire tutte le azioni inerenti alle proprie funzioni: può, così, agire o resistere in giudizio, previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione, per le controversie relative alla conservazione e amministrazione in senso stretto del bene immobile, alla riscossione dei canoni di locazione ecc. Di contro per tutti i giudizi che hanno ad oggetto un diritto reale sul bene, la legittimazione processuale è esclusiva del debitore.

In evidenza

Il custode può stare in giudizio come attore o convenuto nelle controversie concernenti l'amministrazione dei beni, ma non in quelle che attengono alla proprietà o ad altro diritto reale degli stessi (Cass. civ., 21 maggio 1984, n. 3127).

Rendiconto

Il giudice dell'esecuzione, con ordinanza non impugnabile, approva i conti parziali e quello finale, anche alla luce della documentazione prodotta dall'amministratore, pur in difetto di contestazioni, ex art. 178, comma 1, disp. att., c.p.c. L'ordinanza, previa audizione delle parti, è adottata in apposita udienza.

In evidenza

É inammissibile il ricorso straordinario in Cassazione nei confronti del provvedimento del giudice dell'esecuzione che ordina di rendere il conto in un termine prefissato, difettando del carattere della definitività e della decisorietà (Cass. civ., 24 maggio 1993, n. 5824).

Il provvedimento del giudice dell'esecuzione che risolve contestazioni sul rendiconto può essere direttamente impugnato con ricorso ai sensi dell'art. 111 Cost. se incide su diritti soggettivi, poiché, secondo il disposto dell'art. 593 c.p.c., i provvedimenti che il suddetto giudice adotta in sede di approvazione del conto non sono altrimenti impugnabili (Cass. civ., 7 ottobre 2005, n. 19652).

Il rendiconto deve specificare – in maniera chiara ed analitica – sia il saldo contabile dell'amministrazione, sia le poste (attive come pure quelle passive), nonché le istanze ed i relativi provvedimenti adottati. Si ritiene che il rendiconto debba essere presentato anche quando l'immobile non abbia determinato rendite, né vi siano stati costi di gestione: costituisce, difatti, un'attività necessaria per rendere edotto il giudice dell'esecuzione delle attività compiute e per eventuali spese già anticipate o ancora da affrontare (B. Quatraro – E. Pansini, 92 ss.).

In caso di contestazioni operano gli artt. 263 ss. c.p.c.; tuttavia alla figura del giudice istruttore si sostituisce quella del giudice dell'esecuzione.

Assegnazione delle rendite

Dopo l'approvazione dei rendiconti parziali, le rendite, al netto delle somme (in prededuzione) necessarie all'amministrazione, possono essere ripartite tra i creditori, nel rispetto delle regole sulla distribuzione del ricavato (G. Bongiorno, 69). Ed infatti, l'art. 594 c.p.c. stabilisce che l'amministratore giudiziario, nello stesso termine imposto dall'art. 593 c.p.c. per il deposito dei conti, deve depositare le rendite disponibili nei modi stabiliti dal giudice.

Con ordinanza non impugnabile il giudice dell'esecuzione può disporre che le rendite, al netto delle somme (in prededuzione) necessarie all'amministrazione, siano ripartite tra i creditori, nel rispetto delle regole sulla distribuzione del ricavato.

L'opportunità della distribuzione parziale o anticipata è, dunque, rimessa all'insindacabile discrezionalità del giudice dell'esecuzione, ma deve essere chiaro che l'ordinanza rimane comunque censurabile per tutte quelle ragioni che possono fondare un'opposizione distributiva ex art. 512 c.p.c..

Riferimenti
  • G. Bongiorno, Espropriazione mobiliare, in Digesto disc. priv. - sez. civ., Torino 1992, VIII, 69;
  • F. Carnelutti, Istituzioni del nuovo processo civile italiano, Roma 1951, III, 79);
  • P. Castoro, Il processo d'esecuzione nel suo aspetto pratico, Milano 2010, 593;
  • R. Provinciali, Amministrazione giudiziaria, in Enc. dir., Milano 1958, II, 213;
  • Id., L'amministrazione giudiziaria dell'immobile soggetto ad espropriazione, in Studi in onore di Redenti, II, Milano, 1958, 212;
  • B. Quatraro – E. Pansini, La custodia dei beni pignorati nell'espropriazione immobiliare, in REF, 2009, 92 ss.;
  • B. Schepis, L'amministrazione giudiziaria, in Processo di esecuzione, (a cura di A. Cardino, S. Romeo), Milano 2018, 969 ss..

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