Vendita forzata immobiliareFonte: Cod. Proc. Civ. Articolo 503
30 Marzo 2016
Inquadramento IN FASE DI AGGIORNAMENTO AUTORALE DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE Le riforme del 2014 e del 2015 hanno profondamente innovato la disciplina della vendita forzata immobiliare. Ed infatti, l'art. 15 del d.l. n. 83 del 2015 ha introdotto il portale delle vendite pubbliche che dovrebbe contenere gli avvisi di tutte le vendite forzate, per assicurare la massima informazione dei potenziali offerenti, con accesso ad un'unica area web gestita dal Ministero della giustizia. Il condizionale è d'obbligo perché l'art. 13, comma 1, lett. b), n. 1, del d.l. 83 del 2015, modificato dalla l. di conversione n. 132 del 6 agosto 2015, prevede che la nuova disciplina troverà applicazione dopo trenta giorni dalla pubblicazione in G.U. delle «specifiche tecniche» di cui all'art. 161-quater disp. att. c.p.c., adottate dal responsabile per il sistemi informativi automatizzati del Ministero della giustizia «entro sei mesi dall'entrata in vigore della presente disposizione». La nuova formulazione dell'art. 490 c.p.c. da un lato preclude ai singoli tribunali la pubblicazione degli avvisi di vendita su siti autonomamente individuati e/o diversi da quelli adottati da altri uffici giudiziari; ad un tempo supera, per le vendite immobiliari, l'anacronistica previsione di pubblicizzare l'avviso di vendita nell'albo del tribunale. Ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 490 c.p.c. la divulgazione a mezzo stampa diventa, inoltre, una forma di pubblicità eventuale poiché presuppone un'apposita istanza da parte del creditore procedente o di altro creditore intervenuto munito di titolo esecutivo; rimane fermo il potere del giudice dell'esecuzione di disporre d'ufficio forme di pubblicità cartacea, in seguito alle modifiche apportate dalla legge di conversione all'incipit del comma 3 dell'art. 490 c.p.c. Viene anche introdotto l'art. 631-bis c.p.c. dove si prevede una nuova ipotesi di estinzione del processo esecutivo per omessa o irregolare pubblicità sul portale delle vendite pubbliche. Se la pubblicazione - per causa imputabile al creditore pignorante (o ad altro intervenuto munito di titolo esecutivo) - non è effettuata nel termine stabilito, il giudice dichiara l'estinzione del processo. Il legislatore recepisce ed attua in via preventiva l'insegnamento della Suprema Corte secondo il quale i vizi in materia di pubblicità si ripercuotono direttamente sulla stabilità della vendita forzata, invalidando il trasferimento a favore dell'aggiudicatario.
L'estinzione non opera se l'omissione (o la tardività) della pubblicità è stata determinata da cause riconducibili ai sistemi informatici del dominio giustizia, sempre che il disservizio sia attestato a norma dell'ultimo comma dell'art. 161-quater disp. att. c.p.c. Pur in difetto di un'esplicita previsione normativa, alla stessa conclusione si deve pervenire quando l'omissione o le irregolarità sono imputabili al professionista delegato. Per completezza va segnalato che la pubblicità sul portale delle vendite pubbliche è imposta anche al curatore fallimentare che deve attuarla almeno trenta giorni prima dell'inizio delle operazioni di vendita, ai sensi del nuovo comma 2 dell'art. 107 l. fall. La modifica è quanto mai opportuna perché mancava nella legge fallimentare una disciplina completa ed esaustiva su tali tematiche: il primo comma dell'art. 107 si limita(va), infatti, il dovere del curatore di adottare “adeguate forme di pubblicità”, per assicurare la massima informazione e partecipazione degli interessati. Con il richiamo esplicito all'art. 490, comma 1, c.p.c. viene, dunque, colmata una grave lacuna che finiva per lasciare al curatore un'ampia discrezionalità sui modi e sulle forme per la pubblicità nella liquidazione dei beni del fallito. In forza delle modifiche apportate all'art. 503 ed all'art. 569 c.p.c., la vendita forzata segue le forme di cui agli artt. 571 -574 c.p.c. Ad eccezione del debitore e dei soggetti contemplati dall'art. 1471 c.c., chiunque è ammesso ad offrire per acquistare l'immobile a norma dell'art. 571 c.p.c. La disposizione lascia intendere che possono presentare offerte non solo i creditori, ma anche i terzi datori di ipoteca, l'acquirente assoggettato a revocatoria ordinaria ed il coniuge dell'esecutato (Cass., sez. III, 2 febbraio 1982, n. 605; Cass., sez. II, 23 luglio 1979, n. 4407). L'offerta può essere presentata personalmente, a mezzo di procuratore legale ovvero, nella sola vendita all'incanto, a mezzo di mandatario munito di procura speciale, ai sensi dell'ultimo comma dell'art. 579 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 12 aprile 1988, n. 2871, in FI, 1989, I, 1923, con nota di VACCARELLA, Orientamenti e disorientamenti giurisprudenziali in tema di aumento di sesto). Le offerte vanno depositate nella cancelleria (o nel luogo indicato dal professionista delegato) nel termine stabilito nell'ordinanza di vendita, con la specificazione del prezzo, del tempo e delle condizioni di pagamento e di ogni elemento utile alla valutazione della convenienza della proposta di acquisto (come alla disponibilità dell'offerente all'accollo del mutuo già concesso all'esecutato). L'offerente ha l'obbligo di prestare cauzione, nel rispetto delle modalità stabilite nell'ordinanza di vendita e, comunque, in misura non inferiore ad un decimo del prezzo proposto; se la cauzione deve essere versata tramite assegno circolare è necessario sia inserito nella busta da depositare. A scongiurare il rischio di turbative d'asta, l'ult. comma dell'art. 571 c.p.c. contiene una serie di accorgimenti sulle modalità di proposizione e raccolta delle offerte. L'offerta deve depositarsi in busta chiusa ed anonima, sulla quale va annotato – previa identificazione – il nome del soggetto che esegue materialmente il deposito, oltre a quello del giudice dell'esecuzione e la data della vendita. L'offerta, proposta ai sensi dell'art. 571 c.p.c., è inefficace se inferiore di oltre un quarto al prezzo base indicato nell'ordinanza di vendita; o se non è stata versata la cauzione nella misura e con le modalità specificate dal giudice nel medesimo provvedimento.
Il comma 3 dell'art. 571 c.p.c. qualifica l'offerta «espressamente irrevocabile» per la durata di centoventi giorni dalla data di «presentazione». Sicché una volta depositata in cancelleria (o presso lo studio del professionista se le operazioni di vendita sono state delegate), la busta chiusa non può più essere ritirata fino a quando l'offerta è stata dichiarata nulla o inefficace; ovvero la vendita si è conclusa con l'aggiudicazione a favore di altro offerente Nel precedente regime, l'offerta unica - superiore al prezzo base dell'immobile aumentato di un quinto - non lasciava spazi alla discrezionalità del giudice che, ai sensi dell'art. 572, comma 2, c.p.c., avrebbe aggiudicato il bene. L'attuale formulazione della norma segna indiscutibilmente un'inversione di rotta a beneficio della celere definizione dell'espropriazione forzata. Il giudice (o il professionista) aggiudica “senz'altro” il bene ogni volta che l'offerta è pari o superiore al prezzo base; di contro se l'offerta unica è inferiore a tale importo nei limiti di un quarto (recte non è inferiore al 75%) il giudice può aggiudicare il bene solo se ritiene che non vi sia seria possibilità di conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita, sempre che non siano state presentate istanze di assegnazione ex art. 588 c.p.c. L'aggiudicazione non costituisce una scelta obbligata ma presuppone il convincimento del giudice di non potere conseguire un prezzo superiore con una nuova vendita. Tuttavia, se la pubblicità è stata eseguita regolarmente, non si vede perché un nuovo tentativo di vendita dovrebbe condurre ad un prezzo migliore. Né il giudice potrebbe rifiutare l'aggiudicazione e indire una nuova vendita solo perché è pervenuta un'offerta invalida. Se così fosse si finirebbe per legittimare interferenze indebite da parte del debitore o di soggetti a questi collegati che, con il deposito di offerte c.d. “civetta” tentano di ottenere un rinvio dell'aggiudicazione. A conferma della limitata discrezionalità del giudice va rilevato che in caso di mancata aggiudicazione, il prezzo base del successivo tentativo di vendita viene ridotto di un quarto: esso pertanto corrisponde all'offerta minima del precedente tentativo di vendita per la quale il giudice ha negato l'aggiudicazione. Se così è, non sembra che il giudice possa ragionevolmente disporre un tentativo di vendita per un prezzo base che coincide con l'offerta minima rifiutata, salvo disattendere la scelta legislativa di accelerare la definizione del processo esecutivo. Di contro sembra che il giudice possa non aggiudicare l'immobile qualora sopraggiunga un fatto nuovo o si verifichi un mutamento della situazione sostanziale che rende non più attuale la determinazione del prezzo base contenuta nell'ordinanza di cui all'art. 569 c.p.c. (si pensi, ad es., ad un mutamento del piano regolatore; all'estinzione dell'usufrutto durante l'espropriazione della nuda proprietà). Gara tra gli offerenti
In presenza di più offerte, il giudice invita «in ogni caso» gli offerenti a una gara sull'offerta più alta: l'art. 573, comma 1, c.p.c. esclude che il giudice possa aggiudicare direttamente il bene a favore del migliore offerente, perché tenuto a disporre la gara anche quando tutte le offerte pervenute siano inferiori al prezzo base (nei limiti di un quarto). A ritenere diversamente si impedirebbe il rilancio sull'offerta più elevata, pregiudicando la migliore fruttuosità della vendita. Se gli offerenti non aderiscono all'invito alla gara, il giudice non può disporre una nuova vendita e l'aggiudicazione ha luogo automaticamente a favore del migliore offerente (anche laddove tutte le offerte siano inferiori, nel limite di un quarto, al prezzo base), sempre che non siano state presentate istanze di assegnazione ex art. 589 c.p.c. Laddove gli offerenti aderiscano alla gara, l'immobile è aggiudicato a favore del soggetto che ha effettuato il rilancio più alto; tuttavia se il miglior prezzo offerto è inferiore (nei limiti di un quarto) a quello base ed è stata depositata istanza di assegnazione, opera la regola di carattere generale che impone agli offerenti una gara al rialzo che ha come base l'importo dell'assegnazione ex art. 589 c.p.c. Diversamente da quanto prevede l'art. 572, comma 3, c.p.c. il giudice non può disporre una nuova vendita se la migliore offerta non supera il prezzo base, ma è tenuto ad aggiudicare (o assegnare) l'immobile. Tale conclusione rappresenta una scelta obbligata perché manca la previsione normativa del potere del giudice di rinviare l'aggiudicazione, e perché la gara assicura la sostanziale affidabilità ed equità della vendita. Dopo la deliberazione sull'offerta o dopo la gara il giudice aggiudica il bene con decreto dove specifica le modalità per versare il saldo ed il termine entro il quale il pagamento deve essere compiuto. Versamento del prezzo
L'aggiudicatario è tenuto a versare il saldo nel rispetto delle modalità specificate nell'ordinanza di vendita. Anche se nulla dice la legge, ai termini per il versamento del saldo del prezzo deve riconoscersi natura perentoria, anche laddove l'aggiudicatario si sia avvalso dell'istituto della rateizzazione: il giudice non può, dunque, prorogarli, a causa della necessaria immutabilità delle iniziali condizioni di vendita (Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2015, n. 11171). L'importo da versare è pari al prezzo di aggiudicazione dal quale detrarre le somme già depositate a titolo di cauzione. Questa regola di carattere generale patisce, però, alcune eccezioni regolate dall'art. 585 c.p.c. In primo luogo va considerata l'ipotesi che l'aggiudicatario, autorizzato dal giudice ad assumere un debito garantito da ipoteca, corrisponda soltanto quanto occorre per coprire le spese della procedura e per soddisfare gli altri creditori. La medesima situazione si verifica quando l'immobile viene aggiudicato ad un creditore ipotecario poiché, anche in questo caso, il giudice deve autorizzare il creditore-aggiudicatario a corrispondere parte della somma e a trattenere il resto. L'importo versato entra a far parte del progetto di distribuzione, con la conseguenza che il debito nei confronti del creditore-aggiudicatario può dirsi saldato solo dopo l'approvazione del suddetto progetto. L'aggiudicatario può, inoltre, acquistare l'immobile attraverso un contratto di finanziamento garantito da ipoteca: le somme vengono erogate dall'ente finanziatore, mediante emissione di assegno circolare ovvero con bonifico o accredito su conto corrente intestato alla procedura. A garanzia delle ragioni dell'ente che ha concesso il mutuo è contestualmente iscritta ipoteca sull'immobile, azzerando così il rischio che tra la trascrizione del decreto e l'iscrizione dell'ipoteca vengano effettuate annotazioni pregiudizievoli per il mutuante. Ciò è possibile in quanto nel decreto di trasferimento sono espressamente riportati sia il contratto di finanziamento, sia l'ipoteca; di qui l'obbligo per il conservatore dei registri immobiliari di eseguire la trascrizione del decreto unitamente all'iscrizione dell'ipoteca. Il decreto di trasferimento
Dopo il versamento del saldo, il giudice pronuncia il decreto di trasferimento, sempre che l'aggiudicatario abbia consegnato al cancelliere la documentazione comprovante l'avvenuto pagamento. Proprio gli elementi contenuti nel decreto di trasferimento individuano, anche grazie agli estremi richiesti dall'art. 2826 c.c. (dati catastali e confini), l'oggetto dell'alienazione (Cass. civ., sez. III, 4 ottobre 1994, n. 8079). Per l'esatta identificazione del diritto trasferito il provvedimento deve, inoltre, riportare l'analitica descrizione dell'immobile, del diritto espropriato (piena proprietà, usufrutto, nuda proprietà etc.) e della relativa entità (per l'intero o pro quota), conformemente ai dati dell'ordinanza di vendita. Oltre agli estremi identificativi della procedura e le generalità delle parti, il decreto di trasferimento contiene molteplici riferimenti al verbale di vendita, alle modalità con le quali quest'ultima è stata eseguita, alla data, al numero identificativo del lotto, alle agevolazioni fiscali, nonché al tempestivo ed integrale versamento del saldo del prezzo. Se l'esecuzione è stata intrapresa per soddisfare un creditore fondiario, nel decreto di trasferimento va precisato che l'aggiudicatario ha versato il prezzo direttamente a questo creditore. Nella diversa ipotesi di accollo del debito da parte dell'aggiudicatario, occorre specificarne l'importo, richiamando anche l'ordinanza del giudice che ha concesso l'autorizzazione, a norma dell'art. 508 c.p.c. Il decreto di trasferimento contiene l'ordine del giudice al conservatore di cancellare tutti i vincoli sull'immobile: la diretta conseguenza di tale ordine, definito dalla dottrina come un provvedimento di carattere meramente esecutivo, è costituita dal c.d. effetto purgativo della vendita forzata: il bene viene, infatti, acquistato dal terzo libero dai vincoli pregiudizievoli iscritti o trascritti in precedenza contro il debitore. Un'eccezione a tale principio si verifica nell'ipotesi di accordo sull'assunzione del debito da parte dell'aggiudicatario ex art. 508 c.p.c. Come anticipato, in seguito all'accollo, il creditore (titolare di una causa legittima di prelazione sull'immobile pignorato) conserva la propria garanzia, di grado anteriore rispetto a quella di altri eventuali creditori dell'aggiudicatario (o dell'assegnatario), con conseguente parziale rinuncia all'effetto purgativo della vendita forzata. L'effetto purgativo o estintivo della vendita travolge ogni iscrizione ipotecaria indipendentemente dalla circostanza che il creditore iscritto o privilegiato sia intervenuto nella procedura. Tuttavia se non è stato avvertito dell'espropriazione, in dispregio di quanto stabilito dall'art. 498 c.p.c., questi può agire - ai sensi dell'art. 2043 c.c. - nei confronti del creditore procedente L'esercizio di tale azione trae origine dall'assunto che la mancata notifica dell'avviso di cui all'art. 498 c.p.c. costituisce un fatto illecito, conseguente alla violazione di un obbligo imposto da una norma del codice di rito (Cass. civ., sez. III, 27agosto 2014, n. 18336). Il decreto di cui all'art. 586 c.p.c., ancorché abbia ad oggetto un bene in tutto (o in parte) diverso da quello pignorato, non è inesistente, ma affetto da invalidità, da denunciare con l'opposizione agli atti esecutivi nei termini di cui all'art. 617 c.p.c. Resta ferma la possibilità per i terzi, lesi da tale errore nella loro sfera giuridica, di avvalersi, nel rispetto delle regole previste dall'art. 2929 c.c. dei rimedi, diversi dall'opposizione agli atti esecutivi, endoesecutivi o esterni al processo esecutivo (Cass. civ., 13 marzo 2014, n. 5796). Il giudice sospende la vendita se, anche dopo il saldo del prezzo, ritiene che l'importo offerto sia notevolmente inferiore al prezzo giusto. Secondo la Suprema Corte la sospensione della vendita è legittimamente disposta quando il prezzo di aggiudicazione è notevolmente inferiore al valore di mercato dell'immobile (Cass. civ., 18 aprile 2003 n. 6269). Tuttavia più di recente, la Corte ha stabilito che il potere di sospensione ex art. 586 c.p.c. può esercitarsi laddove: a) siano sopravvenuti fatti nuovi successivi all'aggiudicazione; b) interferenze di natura criminale abbiano influito sul processo di vendita; c) il prezzo del bene sia stato determinato in forza di dolo, scoperto dopo l'aggiudicazione; d) vengano prospettati al giudice fatti noti ad una parte già prima dell'aggiudicazione, con il consenso delle altre parti (Cass.civ., sez. III, 21 settembre 2015, n. 18451). Decorso il termine stabilito per versare il saldo, il giudice verifica che tale adempimento sia stato ritualmente eseguito e, se riscontra il mancato versamento, dichiara d'ufficio la decadenza dell'aggiudicatario, disponendo, a titolo di multa, la perdita della cauzione pari ad un decimo della base d'asta. Il provvedimento di decadenza assume le forme del decreto e, a differenza della successiva condanna, non ha carattere costitutivo ma meramente esecutivo. Per tali ragioni il decreto di decadenza viene pronunciato senza la preventiva audizione dell'aggiudicatario e non può essere censurato con il ricorso straordinario per Cassazione, ai sensi del comma 7 dell'art. 111 Cost., ma soltanto con l'opposizione ex art. 617 c.p.c. (Cass. civ., sez. III, 31 agosto 2011, n. 17861). Dichiarata la decadenza dell'aggiudicatario ed ordinato l'immediato incameramento della cauzione, il giudice fissa apposita udienza della quale il cancelliere dà comunicazione all'aggiudicatario inadempiente, al creditore che ha chiesto la vendita, nonché a quelli iscritti non ancora intervenuti, a norma dell'art. 176 disp. att. c.p.c. Il decreto di condanna dell'aggiudicatario svolge la funzione di risarcimento del danno quantificato dall'art. 177 disp. att. c.p.c. nella differenza tra l'importo ricavato in sede di rivendita ed il prezzo di aggiudicazione. Tali somme, unitamente alla cauzione già confiscata, confluiscono nella massa attiva da distribuire ai creditori ovvero da restituire al debitore (o al terzo che ha subito l'espropriazione), qualora residui parte della somma ricavata. Sempre stando alla lettera dell'art. 177 disp. att. c.p.c., l'importo da distribuire ai creditori non viene incrementato di un'ulteriore somma di denaro pari alla differenza di prezzo tra le due vendite, ma il creditore acquisisce soltanto un diritto di credito da far valere nei confronti del primo aggiudicatario, con un'autonoma azione al di fuori dell'esecuzione. Laddove poi il prezzo ricavato dall'aggiudicazione del bene in sede di rivendita, unito a quello della cauzione confiscata, risulti superiore o pari a quanto offerto dall'aggiudicatario inadempiente, questi non può essere chiamato a rispondere della differenza di cui al comma 2 dell'art. 587 c.p.c. Ne segue allora che il giudice può condannare l'aggiudicatario inadempiente solo quando le somme ottenute in sede di rivendita siano inferiori all'offerta di quest'ultimo. Inadempimento e rateizzazione
La disciplina sulla rateizzazione del saldo che - a norma dell'art. 569 c.p.c. non può eccedere i 12 mesi - va integrata dalle modifiche apportate all'art. 574 c.p.c. sulle modalità di versamento del saldo e all'art. 587 c.p.c. sulla decadenza dell'aggiudicatario. Dal primo comma dell'art. 574 c.p.c. emerge che l'immissione dell'aggiudicatario nel possesso dell'immobile, prima del versamento integrale del saldo, espone la procedura a rischi notevoli. Per questa ragione l'aggiudicatario può conseguire il possesso se ne abbia fatto richiesta e sia stato autorizzato dal giudice al momento della pronuncia del decreto (che stabilisce il modo e il termine del versamento del prezzo) ex art. 574 c.p.c. L'istanza deve essere corredata da una fideiussione, autonoma, irrevocabile e a prima richiesta, per un importo non inferiore al trenta per cento del prezzo di vendita; deve, inoltre, essere prestata da un operatore professionale (istituto di credito, compagnia di assicurazione o intermediario finanziario sottoposto a vigilanza) individuato dal giudice. La fideiussione - che rappresenta la condicio sine qua non perché l'aggiudicatario consegua il possesso - è escussa dal custode o dal professionista delegato, previa autorizzazione del giudice. Posto che le caratteristiche e l'importo della fideiussione non rientrano nella discrezionalità del giudice, sembra opponibile, ai sensi dell'art. 617 c.p.c., il provvedimento che autorizza l'immissione dell'aggiudicatario nel possesso del bene, laddove la fideiussione non sia stata prestata ovvero differisca dalle prescrizioni normative. Si aggiunga che la concessione dell'autorizzazione e la valutazione della conformità della fideiussione ai requisiti richiesti dall'art. 574 c.p.c. sono attività esclusive del giudice: il novellato art. 591-bis c.p.c., sui compiti del professionista delegato, nulla dice al riguardo. La fideiussione è prestata a titolo di risarcimento dei danni, eventualmente arrecati, e garantisce il rilascio dell'immobile da liberare entro trenta giorni dall'adozione del decreto di decadenza pronunciato ex art. 587 c.p.c., che costituisce titolo esecutivo per il rilascio. Sulla falsariga di quanto previsto dall'art. 560, comma 4, c.p.c., si deve ritenere che l'ordine di liberazione vada eseguito dal custode anche dopo la pronuncia del decreto di trasferimento a favore di un nuovo aggiudicatario, che potrà esentare il medesimo custode dal proseguire l'azione, sempre che tale volontà risulti da atto scritto. Nulla si dispone riguardo all'ipotesi che l'immobile sia occupato da un soggetto diverso dall'aggiudicatario inadempiente. In queste situazioni, l'ordine di rilascio sembra possa eseguirsi anche nei confronti del terzo occupante, senza necessità di un giudizio ordinario (ed eventualmente cautelare a norma degli artt. 700 e 447 -bis c.p.c.), posto che il terzo possiede l'immobile pignorato in forza di un titolo non opponibile alla procedura. La nuova normativa sembra destinata a trovare marginale applicazione, se si considera che la prestazione della fideiussione non scongiura il rischio del mancato rilascio e di una conseguente azione per la liberazione dell'immobile. L'inutilità della rateizzazione – che impedisce al giudice la pronuncia del decreto di trasferimento prima del saldo della rata finale – è pure confermata dall'art. 585 c.p.c. che consente all'aggiudicatario di avvalersi di un contratto di mutuo per il versamento del saldo, con contestuale pronuncia del decreto di trasferimento. Il d. l. n. 132 del 2014 (convertito con la l. n. 162 del 2014) ha modificato l'art. 503 c.p.c. che, quale norma di carattere generale sui modi della vendita forzata, ha subordinato l'incanto alla circostanza che «il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità abbia luogo ad un prezzo superiore alla metà rispetto al valore del bene, determinato a norma dell'art. 568». Tra le altre disposizione che prevedono la sopravvivenza dell'incanto nell'espropriazione immobiliare va segnalato l'art. 569, comma 3, c.p.c. laddove attribuisce al giudice il potere di adottare le forme di cui all'art. 576 c.p.c. al momento della pronuncia della ordinanza, anche in alternativa alle forme della vendita senza incanto. Tale previsione viene però coordinata con il contenuto dell'art. 503 c.p.c., espressamente richiamato e lascia intendere che: a) l'incanto non presuppone più un tentativo di vendita dall'esito negativo, ma la convinzione del giudice che possa essere economicamente più vantaggioso; b) il provvedimento di vendita emesso ai sensi dell'art. 569 c.p.c. non disciplina più, oltre alla vendita senza incanto, anche la fase (eventuale) con incanto. Qualora il bene non sia stato aggiudicato al primo esperimento di vendita senza incanto, segue una nuova vendita ai sensi dell'art. 571 c.p.c., salvo che il giudice non ritenga probabile un'aggiudicazione particolarmente vantaggiosa con la modalità della vendita all'incanto, specificando le ragioni. Discorso in parte diverso va fatto per il terzo ed ultimo comma dell'art. 587, c.p.c. ove si stabilisce che, in caso di inadempienza dell'aggiudicatario, «per il nuovo incanto si procede a norma degli artt. 576 e ss.». Che si tratti di una svista del legislatore del 2015 e di un mancato coordinamento con la disciplina previgente lo riprova la stessa formulazione normativa quando dà per scontato che la precedente vendita si sia svolta con le forme dell'incanto. Si deve pertanto concludere che il giudice, in caso di inadempimento dell'aggiudicatario, dispone una nuova vendita ai sensi dell'art. 571 c.p.c., salvo che ritenga probabile che con l'incanto il bene possa essere aggiudicato per un importo superiore alla metà rispetto al prezzo base del bene, nel rispetto dell'art. 503 c.p.c. Ulteriori tentativi di vendita ed amministrazione giudiziaria
Se il bene non è stato aggiudicato o assegnato, il giudice dell'esecuzione può, ai sensi dell'art. 591 c.p.c.: disporre l'amministrazione giudiziaria; porre in vendita l'immobile all'incanto, sempre che – come detto - sussistano presupposti di cui all'art. 503 c.p.c.; stabilire una nuova vendita, fissando un prezzo base inferiore al precedente nel limite di un quarto.
Quest'ultima ipotesi, senza dubbio, è quella più frequente; con la precisazione che, nella prassi, il giudice autorizza in via preventiva il professionista delegato ad eseguire una nuova vendita con un brezzo base diminuito di un quarto rispetto al precedente. Si aggiunga che il secondo tentativo vendita segue, salvo ipotesi eccezionali, le forme stabilite dagli artt. 571 ss. c.p.c. con indicazione del prezzo base (eventualmente ridotto nei limiti di un quarto o del 25%) e l'offerta minima (vale a dire il nuovo prezzo base necessariamente decurtato di un quarto o del 25%); e che, rispetto al passato, la falcidia sia sul prezzo base, sia sull'offerta minima dovrebbe facilitare l'aggiudicazione. Sembra però necessario che il giudice (o il professionista delegato) non decurti automaticamente il prezzo base di un quarto, perché destinato a subire un'ulteriore ed inevitabile riduzione di un quarto per la determinazione dell'offerta minima. In altre parole, per contenere il rischio di un'aggiudicazione a prezzo vile, determinata dalla doppia falcidia (sul prezzo base e sull'offerta minima, il giudice (o il professionista delegato) deve valutare attentamente le circostanze del caso e ridurre il prezzo base nei valori massimi previsti dall'art. 591 quando si tratta di beni che non molto richiesti sul mercato immobiliare, riservando a quelli di pregio o particolarmente appetibili una decurtazione inferiore al 25%. In ogni caso, per evitare poi che il bene possa essere venduto a prezzo vile, il secondo comma dell'art. 591 c.p.c. – modificato dal d.l. 3 maggio 2016, n. 59 – stabilisce che dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto, il ribasso non può superare la metà del prezzo base. Con riferimento ai provvedimenti di cui all'art. 591 c.p.c., l'ultimo comma di questa disposizione continua a prevedere che se l'immobile non viene aggiudicato neanche il secondo esperimento di vendita, il giudice ha il dovere di accogliere un'eventuale istanza di assegnazione, fissando il termine per il versamento del conguaglio. Si tratta, a ben guardare, di una novità introdotta dal d.l. 27 giugno 2015, n. 83, che non è stata coordinata con le successive modifiche (apportate dalla legge di conversione del 2015 all'art. 573 c.p.c.) che vincolano il giudice ad accogliere – sin dal primo tentativo di vendita - l'istanza di assegnazione ex art. 589 c.p.c. quando le offerte presentate sono inferiori al prezzo base dell'immobile. Ed infatti, in tale fattispecie la domanda del creditore è ostativa all'aggiudicazione, in quanto maggiormente conveniente. Sembra, dunque, corretto ritenere che l'art. 591 c.p.c. rimette alla discrezionalità del giudice la scelta tra una ulteriore vendita con un ribasso del prezzo base (eventualmente inferiore al 25%) finalizzato alla ricerca di una rapida modalità di liquidazione e l'amministrazione giudiziaria dell'immobile, diretta a congelare la procedura in attesa di tempi in cui il mercato sia più favorevole (Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2009, n. 16453). In altri termini se un ennesimo tentativo di vendita non sembra destinato a concludersi con l'aggiudicazione, né sono state proposte (o accolte) istanze di assegnazione, il giudice può d'ufficio disporre l'amministrazione giudiziaria del bene, per un periodo non superiore a tre anni. Resta da dire che l'amministrazione giudiziaria costituisce una scelta esclusiva del giudice dell'esecuzione che non può mai essere rimessa al professionista delegato. Riferimenti
BONGIORNO, voce Espropriazione immobiliare, in Digesto disc. priv. - sez. civ., Torino 1992, VIII, 41 ss.; FARINA, L'aggiudicazione nel sistema delle vendite forzate, Napoli 2012, 19 ss.; ID., L'ennesima espropriazione immobiliare efficiente (ovvero accelerata, conveniente, rateizzata e cameralizzata, in Riv. dir. proc., 2016, 127 ss.; MERLIN, La vendita forzata immobiliare e la custodia dell'immobile pignorato, in AA.VV., Il processo civile di riforma in riforma, Le monografie del Corriere giuridico, collana diretta da V. Carbone, Milano 2006, 130; MICCOLIS, Le modifiche alla disciplina dell'esecuzione forzata. Quadro generale, in Foro it., 2015, c. 79; SALETTI, Cumulo ed eccesso di espropriazione forzata, in Riv. dir. proc., 1984, 506 ss.; SATTA, L'esecuzione forzata, Milano 1937, 186 ss.; TEDOLDI, voce Vendita ed assegnazione forzata, in Dig. disc. priv., sez. civ., Torino 1999, XIX, 665 |