La modifica dell’atto costitutivo di fondo patrimoniale e la sua preordinazione agli interessi della famiglia

09 Gennaio 2024

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, in primo luogo, la possibilità di modificare successivamente il regime giuridico di un fondo patrimoniale già costituito, al fine di inserire (ex post) la deroga pattizia ai vincoli previsti dalla norma per la commercialità dei beni vincolati, come consentito dall'art. 169 c.c. già in sede di costituzione, con particolare attenzione alla problematica relativa alla modificabilità di un fondo patrimoniale, costituito senza deroga espressa all'autorizzazione giudiziale in presenza in figli minori, da parte dei soli coniugi senza autorizzazione del giudice...

Massima

Stante la natura di convenzione matrimoniale dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale, con operatività conseguente dell'art. 163 c.c., la libertà negoziale consente di stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto da fondo patrimoniale, sia pure non senza limiti, non essendo consentite decisioni negoziali in contrasto con l'interesse della famiglia e per il bene della famiglia, in quanto ogni scelta negoziale per essere legittima deve essere coerente con gli interessi della famiglia.

Il caso

Conseguentemente ad atto notarile di modifica del fondo patrimoniale, costituito dai coniugi sull'immobile adibito a residenza familiare, al fine di prevedere la facoltà di concedere ipoteca su tale immobile, senza necessità dell'autorizzazione giudiziale prevista dall'art. 169 c.c. in presenza di figli minori, veniva iscritta dai coniugi ipoteca volontaria su detto bene al fine di ottenere un finanziamento bancario per risanare la società appartenente ad entrambi i coniugi e costituente fonte principale di sostentamento della famiglia.

Fallita la società ed escussa l'ipoteca, i coniugi proponevano giudizio nei confronti della banca, in qualità di creditore ipotecario, al fine di sentir dichiarare la nullità e/o annullamento e/o inefficacia del suddetto atto modificativo del fondo patrimoniale tra essi stessi intercorrente.

Sia in primo che in secondo grado la domanda veniva rigettata, sulla base della motivazione che la modifica, con atto pubblico, dell'atto di costituzione del fondo, finalizzata ad inserire la possibilità per i coniugi di concedere ipoteca sull'immobile compreso nel fondo patrimoniale, al fine di ottenere un nuovo finanziamento da parte delle banche per eliminare l'esposizione debitoria della società "unica o prevalente fonte di sostentamento della famiglia", anteriore alla costituzione del fondo patrimoniale, così anche evitando possibili azioni revocatorie, rispondeva all'interesse della famiglia, strettamente legato al risanamento dell'attività commerciale, e, inoltre, che se le parti possono sin dall'atto costitutivo derogare a quanto stabilito dall'art. 169 c.c., lo possono legittimamente fare anche successivamente, apportando modifiche alla convenzione, senza necessità di autorizzazione giudiziale.

Avverso la decisione della Corte di appello i soccombenti proponevano ricorso in Cassazione, lamentando, con unico motivo, la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 169 c.c., per avere la Corte d'appello erroneamente interpretato il precedente di legittimità n. 13622/2010, ritenendo similare la fattispecie a quella in esame nella quale, invece, poiché la costituzione del fondo patrimoniale non prevedeva alcuna deroga all'intervento autorizzativo del giudice in caso di atti dispositivi sul beni del fondo in presenza di figli minori, la modifica della regolamentazione del fondo, strettamente correlata all'ottenimento del finanziamento da parte delle banche ed alla iscrizione dell'ipoteca sull'unico bene del fondo, intervenuta dopo la costituzione del fondo, doveva essere autorizzata dal giudice.

La Corte di Cassazione respingeva il ricorso, ritenendo che la modifica, finalizzata ad inserire la previsione della possibilità per i coniugi di concedere ipoteca sull'immobile compreso nel fondo patrimoniale, pur in presenza di figli minori, senza autorizzazione del giudice, fosse giustificata dal fine di sostenere l'attività che costituiva la forma di sostentamento della famiglia e, in quanto tale, da ritenersi valida ed efficace.

La questione

La questione sottoposta al vaglio della Suprema Corte concerne, in primo luogo, la possibilità di modificare successivamente il regime giuridico di un fondo patrimoniale già costituito, al fine di inserire (ex post) la deroga pattizia ai vincoli previsti dalla norma per la commercialità dei beni vincolati, come consentito dall'art. 169 c.c. già in sede di costituzione, con particolare attenzione alla problematica relativa alla modificabilità di un fondo patrimoniale, costituito senza deroga espressa all'autorizzazione giudiziale in presenza in figli minori, da parte dei soli coniugi senza autorizzazione del giudice; in secondo luogo, il regime di circolazione dei beni costituiti in fondo patrimoniale in presenza di un'espressa deroga al consenso congiunto dei coniugi e, in caso di figli minori, all'autorizzazione del Tribunale ordinario (art 38 dist. att. c.c.).

Le soluzioni giuridiche

Alla prima questione emergente dalla controversia la Corte di Cassazione risponde positivamente, in quanto, stante la natura di convenzione matrimoniale dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale, per esso deve ritenersi operante la norma dei cui all'art. 163 c.c., che consente alla libertà negoziale di stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto da fondo patrimoniale, introducendo, pertanto, anche ex post, deroghe pattizie al consenso congiunto dei coniugi e, in presenza di figli minori, all'autorizzazione del giudice.

Con riguardo alla seconda questione, la Corte di legittimità precisa che, anche in presenza di una deroga ad entrambi vincoli previsti dall'art. 169 c.c., la commerciabilità dei beni costituiti in fondo non è assoluta, non essendo consentite decisioni negoziali in contrasto con l'interesse della famiglia, restando in ogni caso ferma la disposizione contenuta nell'ultima frase dell'articolo stesso, secondo cui gli atti in questione possono essere presi “nei soli casi di necessità od utilità evidente”.

Ciò detto, nella fattispecie in esame, tali esigenze di rispetto degli interessi della famiglia sono state adeguatamente considerate nell'atto pubblico di modifica (con introduzione della deroga alla disposizione dell'art. 169 c.c.), essendosi espressamente previsto che, essendo stata la costituzione del fondo patrimoniale preceduta da prestazione di fideiussioni da parte del coniuge nei confronti di una banca, con potenziale inefficacia del fondo patrimoniale e pregiudizio degli interessi patrimoniali della famiglia, vi era la necessità di modificare la convenzione matrimoniale costitutiva, anche al fine di tutelare gli interessi patrimoniali familiari da azioni di creditori preesistenti alla costituzione del fondo, ampliando le potenzialità di credito nei riguardi dei coniugi, al fine di assicurare adeguati proventi reddituali alla famiglia, cosicché la modifica, finalizzata a inserire la previsione della possibilità per i coniugi di concedere ipoteca sull'immobile compreso nel fondo patrimoniale, veniva giustificata con il fine “di sostenere l'attività che costituisce la forma di sostentamento della famiglia”.

I principi che emergono dalla sentenza in commento sono i seguenti: 1) è sempre possibile per i coniugi la modifica successiva dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale (in quanto convenzione matrimoniale ai sensi dell'art. 163 c.c.), anche in presenza di figli minori, senza autorizzazione del giudice, al fine di inserire la deroga pattizia ai vincoli stabiliti dall'art. 169 c.c. per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione sui beni costituititi in fondo; 2) i beni costituiti in fondo patrimoniale non possono essere distolti dalla loro destinazione ai bisogni della famiglia, di guisa che, anche in presenza di deroga pattizia (successiva) ai vincoli previsti dall'art. 169 c.c. per la loro disponibilità, gli stessi non potranno essere aggrediti dai creditori particolari dei coniugi, se non per obbligazioni assunte dai medesimi nell'interesse della famiglia. Ne consegue che, ove il debito sia stato assunto nell'interesse della famiglia, potrà validamente procedersi ad iscrizione ipotecaria sugli immobili vincolati al fondo patrimoniali e alla conseguente eventuale esecuzione sugli stessi.

Osservazioni

Il legislatore, con la riforma del diritto di famiglia del 1975, ha introdotto nel Capo dedicato al regime patrimoniale della famiglia, una sezione intitolata «Del fondo patrimoniale», senza fornire una specifica definizione dell'istituto. Ai sensi dell'art. 167 c.c. “Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia”.

In assenza di una definizione normativa, il fondo patrimoniale viene comunemente definito come un complesso di beni determinati destinati dal loro titolare a far fronte ai bisogni della famiglia. La creazione di un patrimonio separato, destinato a far fronte ai bisogni della famiglia, si attua mediante l'apposizione di un vincolo reale d'indisponibilità sui beni facenti parte dello stesso.

Trattasi, quindi, di un patrimonio di destinazione, volto a garantire le obbligazioni contratte per il soddisfacimento dei bisogni familiari, senza tuttavia assurgere ad autonomo centro di imputazione di diritti, in quanto i beni (e/o i diritti sui beni) che lo compongono restano, pur sempre, in titolarità del costituente o dei coniugi. Tale circostanza lo differenzia dalle fondazioni, ove, anche se lo scopo è destinato a vantaggio di una famiglia determinata (art. 28 c.c.), i beni diventano di titolarità esclusiva dell'ente-fondazione.

Come confermato dalla sentenza in commento, si ritiene che il fondo patrimoniale costituisca uno dei regimi patrimoniali della famiglia, caratterizzato dalla specificità dei beni che lo compongono e, in quanto tale, disciplinato da un regime complementare, da affiancare a quello generale di separazione, comunione legale e/o convenzionale.

Circa la natura giuridica del fondo patrimoniale costituito da un solo coniuge si parla genericamente di atto a titolo gratuito, donazione obnuziale o, infine e preferibilmente, di liberalità non donativa.

In caso di costituzione da parte di un terzo, essa potrà avvenire per atto tra vivi (art. 167 comma 2 c.c.), sotto forma di liberalità non donativa e accettazione da parte di entrambi i coniugi, ovvero per testamento, preferibilmente sotto forma di legato.

In caso di costituzione per atto tra vivi, a differenza della donazione obnuziale (art. 785 c.c.), l'accettazione dei coniugi è requisito perfezionativo della fattispecie, sino al quale i beni restano nella disponibilità del terzo costituente (art. 167 comma 2 c.c.).

Ci si interroga sulla necessità dell'accettazione da parte dei coniugi anche in caso di fondo patrimoniale costituito per testamento, in quanto il testo di legge prevede espressamente la necessità dell'accettazione solo in caso di costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi (art. 167 comma 2 c.c.). Diversamente da coloro che lo ricostruiscono come atto a struttura unilaterale, la dottrina preferibile considera pur sempre necessaria l'accettazione dei coniugi, non essendo concepibile un'ingerenza esterna nella regolamentazione del regime patrimoniale della famiglia, considerato anche che dalla costituzione del fondo derivano obblighi per gli stessi coniugi.

Il terzo comma dell'art. 167 c.c. dispone che la costituzione del fondo può essere fatta anche durante il matrimonio, lasciando, quindi, desumere che essa possa avvenire anche prima della celebrazione del matrimonio, sotto la condizione legale sospensiva della celebrazione del matrimonio tra le persone specificatamente indicate nell'atto di costituzione.

La costituzione da parte di entrambi ovvero di un solo coniuge è sicuramente la fattispecie più frequente. Quanto all'accettazione del coniuge non costituente, secondo una prima teoria, essa non sarebbe necessaria, dal momento che la costituzione del fondo gli arrecherebbe soltanto un vantaggio (seppur indiretto), anche in analogia a quanto previsto dall'art. 177 c.c. in tema di acquisto automatico dei beni in comunione. Sul piano letterale si cita, a sostegno, la lettera della legge (art. 167, comma 2, c.c.), richiedente l'accettazione solo in caso di costituzione ad opera del terzo per atto inter vivos. Una variante di tale impostazione richiede l'accettazione solo in caso di trasferimento di proprietà in favore dell'altro coniuge. La dottrina prevalente, in ossequio alla natura di convenzione matrimoniale del fondo patrimoniale, ritiene sempre necessaria l'accettazione dell'altro coniuge, anche ove non venga attuato un trasferimento reale in suo favore.

Ai sensi dell'art. 168 c.c. la proprietà dei beni costituiti in fondo spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell'atto di costituzione.

Sarà pertanto possibile che, non solo i coniugi, ma anche terzi, destinino ai bisogni familiari il solo diritto di godimento: in tale ipotesi il potere di disposizione dei coniugi e quello di esecuzione dei creditori potranno essere esercitati solo nei limiti del diritto conferito al fondo sui beni stessi.

Quanto ai beni che possono costituirne oggetto, ai sensi dell'art. 167 c.c., il fondo patrimoniale può essere costituito solo con beni immobili, beni mobili registrati o titoli di credito; si ammette, quindi, la riconduzione in fondo dei singoli beni aziendali ed ereditari, nonché di titoli di credito, azioni e quote di società a responsabilità illimitata, escludendosi l'azienda e l'eredità.

Si ritengono includibili nel fondo patrimoniale i diritti di proprietà, usufrutto, nuda proprietà, superficie, anche uso e abitazione costituiti per la prima volta. Discusso appare il diritto di enfiteusi, mentre si esclude la servitù.

Ove con la costituzione del fondo si attui un trasferimento della proprietà o di altro diritto reale, dovranno essere rispettate le prescrizioni imposte dalla normativa urbanistica (legge n. 47/1985 e successive modifiche) sulle menzioni da inserire in atto. Nel caso in cui il costituente si riservi la proprietà dei beni, dal momento che il diritto di cui divengono titolari i coniugi viene assimilato ad un diritto reale, sembra preferibile, anche in tale ipotesi, l'inserimento di tali menzioni.

Ai sensi dell'art. 169 c.c. “Se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l'autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente”

La norma dell'art. 169 c.c. sancisce la regola che i beni del fondo possono essere alienati o vincolati solo con il consenso di entrambi i coniugi e, se ci sono figli minori, anche con l'autorizzazione giudiziale (il Tribunale ordinario del luogo del domicilio del minore ex art. 38 disp. att. c.c.).

La regola generale in caso di assenza di figli minori è, quindi, quella della libera alienazione dei beni con il consenso di entrambi i coniugi. In presenza di figli minori, oltre al consenso congiunto dei coniugi, è richiesta l'autorizzazione del Tribunale ordinario, nei soli casi di necessità ed utilità evidente.

L'inciso iniziale “se non è stato espressamente consentito nell'atto di costituzione” si presta all'ambiguità di determinare se l'atto costitutivo consenta di derogare alla necessità del consenso congiunto dei coniugi ovvero anche all'autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori.

Sul punto sono state espresse differenti opinioni. Secondo una tesi, la deroga sarebbe consentita al solo consenso congiunto dei coniugi, non anche all'autorizzazione del giudice in presenza di figli minori. Tale interpretazione si fonda sulla prevalente ed inderogabile tutela degli interessi dei minori a discapito dell'autonomia privata. Ne consegue che, anche in costanza di deroga, la presenza di figli minori imporrà, in ogni caso, al coniuge disponente di munirsi della preventiva autorizzazione giudiziale. A tale interpretazione potrebbe obiettarsi che il nostro ordinamento già conosce un'ipotesi di sacrificio degli interessi dei minori allorquando la norma dell'art. 356 c.c. prevede che il donante possa donare un bene a un minore, nominargli un curatore speciale per l'amministrazione del bene donato e disporre altresì che tale curatore non debba chiedere l'autorizzazione giudiziaria per il compimento degli atti di straordinaria amministrazione.

Secondo altra teoria, la deroga sarebbe, invece, consentita solo per l'autorizzazione giudiziale, non anche per il consenso congiunto dei coniugi, in quanto l'art. 168 comma 3 c.c. prevede che l'amministrazione del fondo patrimoniale sia regolata dalle norme in tema di amministrazione dei beni in comunione legale. Il rinvio alle norme della comunione comprende l'art. 180 c.c., secondo il quale per il compimento degli atti accedenti l'ordinaria amministrazione è richiesto il consenso di entrambi i coniugi. Poiché l'art. 169 c.c. riguarda proprio gli atti di straordinaria amministrazione, in ragione del rinvio alla norma dell'art. 180 c.c. in tema di comunione, non sarebbe possibile prescindere, nemmeno per il fondo patrimoniale, dal consenso congiunto dei coniugi. Potrebbe obiettarsi che la deroga contenuta nell'art. 169 c.c. costituisce norma speciale prevalente sulla disciplina generale della comunione, di cui agli artt. 168 e 180 c.c. Inoltre, l'inderogabilità del consenso congiunto conduce a ritenere necessariamente derogabile l'autorizzazione giudiziale, finendo per sbilanciare la tutela dell'ordinamento in favore degli interessi privati dei coniugi piuttosto che di quelli indisponibili dei minori.

Appare oggi prevalente la tesi della libera derogabilità, secondo cui l'atto costitutivo del fondo può derogare ad entrambe le condizioni previste dalla norma (rectius: il consenso congiunto dei coniugi e l'autorizzazione giudiziale in presenza di figli minori), con la conseguenza che, in presenza di una tale deroga, un solo coniuge (il titolare) potrebbe alienare i beni del fondo, anche in presenza di figli minori, e senza autorizzazione giudiziale. Sul punto va precisato come autorevole dottrina abbia sottolineato che la possibilità di deroga al consenso di entrambi i coniugi presuppone che il bene non sia soggetto al regime di comunione legale, ove vige la regola dell'inderogabilità dell'amministrazione congiunta per gli atti di gestione straordinaria (art. 180 comma 2 c.c.), riferendosi quindi solo ai diritti che sono nella titolarità del disponente.

Anche la giurisprudenza si è assestata nel consentire entrambe le deroghe; in particolare, come evidenziato nella sentenza in commento, è ormai pacifica la possibilità di deroga all'autorizzazione giudiziale: “in tema di fondo patrimoniale, pur in presenza di figli minori, la preventiva autorizzazione del giudice al compimento di atti di disposizione, indicati nell'art. 169 c.c., è applicabile solo in mancanza di un'espressa pattuizione in deroga contenuta nell'atto di costituzione del fondo" (Cass. civ., sez. I, ord., 4 settembre 2019, n. 22069).

La natura giuridica di convenzione matrimoniale del fondo patrimoniale consente, come anticipato, anche una sua modificabilità ai sensi dell'art. 163 c.c. La dottrina ammette che possano essere apportate al fondo patrimoniale tutte le modifiche relative al funzionamento del fondo, consentite dalla legge, senza che possa sussistere dubbio in ordine alla possibilità di modificare anche l'atto costitutivo del fondo patrimoniale. Restando ferma, come detto, l'inderogabilità delle norme sulla comunione legale espressamente richiamate in tema di fondo patrimoniale (art. 168 c.c.).

Ciò comporta, come confermato dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, che i coniugi sono sempre liberi di stipulare un patto contrario a quello stabilito nella fase costitutiva del rapporto da fondo patrimoniale. È stato, tuttavia, chiarito dalla medesima giurisprudenza che tale liberalizzazione non può considerarsi assoluta, in quanto, nonostante la norma dell'art. 169 c.c. consenta ai costitutori del fondo patrimoniale (anche in un momento successivo con la modifica del fondo) la possibilità di alienare, ipotecare o vincolare i beni costituiti in fondo patrimoniale, discostandosi dai vincoli stabiliti in proposito dall'articolo stesso, tale eliminazione pattizia delle limitazioni di cui all'art. 169 c.c. varrebbe solo per i coniugi ma non anche per i terzi, ai quali non verrebbe comunque riconosciuto il diritto di imporre vincoli sui beni in questione, restando in ogni caso ferma la disposizione contenuta nell'ultima frase dell'articolo, secondo cui gli atti in questione possono essere compiuti “nei soli casi di necessità od utilità evidente” (Cass. n. 13622/2010).

A sostegno si richiama il disposto dall'art. 170 c.c., che vieta l'esecuzione sui beni e sui frutti del fondo se non per debiti contratti per i bisogni della famiglia, con esclusione di quelli che il creditore sapeva estranei a detti scopi, di guisa che, in una necessaria lettura combinata degli artt. 169 e 170 c.c., gli atti di disposizione dei beni del fondo possono essere assunti solo a vantaggio della famiglia e una iscrizione ipotecaria è possibile solo in quanto prodromica ad una esecuzione sui beni in questione in virtù di un credito acquisito per soddisfare i bisogni della famiglia del debitore, non essendo comunque consentite decisioni negoziali in contrasto con l'interesse della famiglia e per il bene della famiglia, in quanto ogni scelta negoziale per essere legittima deve essere coerente con gli interessi della famiglia.

L'assunto espresso dalla Corte di Cassazione trova conferma nella dottrina di settore secondo cui è legittima una modificazione successiva della disciplina prevista nell'atto costitutivo del fondo patrimoniale in relazione alle ipotesi previste dall'art. 169 c.c., purché nelle forme stabilite dall'art. 163 c.c., con la precisazione fondamentale che la deroga alla necessità dell'autorizzazione giudiziale non implica l'instaurarsi di un regime di libera commerciabilità per i beni costituiti in fondo, potendo gli atti di disposizione, in ogni caso, essere compiuti dai coniugi “nei soli casi di necessità o utilità evidente”. La mancanza di un controllo preventivo lascia, pertanto, impregiudicato il dovere dei coniugi di compiere atti non contrastanti con l'interesse dei figli, pena l'applicabilità delle sanzioni previste in caso di cattiva amministrazione.

In particolare, si è confermato nella sentenza in commento che la modifica ai sensi dell'art. 163 c.c. di un fondo patrimoniale costituito senza previsione della deroga all'autorizzazione giudiziaria in presenza di figli minori, al precipuo fine di inserire tale deroga pattizia (rectius: all'autorizzazione giudiziaria in presenza di figli minori), possa essere disposta dai coniugi senza autorizzazione del giudice, rientrando nella libertà negoziale degli stessi stabilire autonomamente tale deroga, sia in fase costitutiva, che in fase modificativa, senza alcuna autorizzazione.

Come detto, ai sensi dell'art. 168, comma 3, c.c. “l'amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all'amministrazione della comunione legale”. Ne consegue che, anche in caso proprietà riservata in capo ad un solo coniuge, l'amministrazione dei beni deve svolgersi secondo le modalità previste per l'amministrazione dei beni in comunione legale.

Al riguardo deve osservarsi che la legge non consente deroghe, e che quindi non sembra consentito all'autonomia privata dettare, in sede di costituzione del fondo, norme particolari per l'amministrazione, salvo che per gli atti, sopra esaminati, di cui alla norma dell'art. 169 c.c.

In assenza di clausole derogatorie, in caso di disposizione di beni in fondo da parte di un solo coniuge, le corti di merito hanno più volte sancito la nullità dell'atto dispositivo, sostenendo che l'art. 169 c.c. configuri una norma imperativa destinata alla tutela di un interesse pubblico, con la conseguenza che il negozio dispositivo di un bene rientrante nel fondo patrimoniale, compiuto da uno dei coniugi in assenza del consenso dell'altro, deve considerarsi nullo per illiceità. In tal senso, a un atto di compravendita avente ad oggetto un immobile del fondo, in quanto non consentito dalla legge, non si applicherebbe la sanzione dell'annullabilità sancita dall'art. 184 c.c. per i beni in comunione legale - in forza del dichiamo operato dall'art. 168 c.c. agli artt. 180 ss c.c. - ma, in quanto violazione di norma imperativa (art. 169 c.c.), della nullità.

Secondo la dottrina, invece, non prevedendo la norma una specifica sanzione e, non rinvenendosi nel sistema un principio di annullabilità virtuale, dovrebbe necessariamente concludersi per l'inefficacia dell'atto e non per l'invalidità dello stesso.

La cessazione del fondo patrimoniale è disciplinata dall'art. 171 c.c., secondo il quale: “La destinazione del fondo termina a seguito dell'annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l'amministrazione del fondo. Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo. Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale”.

Tra le ipotesi contemplate non ricorre lo scioglimento convenzionale del fondo patrimoniale da parte dei coniugi. Secondo l'interpretazione più restrittiva e garantista i coniugi non potrebbero sciogliere convenzionalmente il fondo, in quanto ipotesi non contemplata nell'elencazione tassativa di cui all'art. 171 c.c.

Altra parte della dottrina ritiene immediatamente efficace lo scioglimento convenzionale solo in assenza di figli minori, in presenza dei quali esso produrrebbe effetto solo al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio minore, secondo quanto disposto dall'art. 171 c.c.: “Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell'ultimo figlio.

Per la giurisprudenza di legittimità "Lo scioglimento del fondo patrimoniale può intervenire sulla base del solo consenso dei coniugi solo nell'ipotesi di mancanza di figli minori, in capo ai quali, anche se solo concepiti e non ancora nati, va ravvisata una posizione giuridicamente tutelata in ordine agli atti di disposizione del fondo" (Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2014, n. 17811).

La tesi preferibile di dottrina e giurisprudenza è nel senso di ritenere sempre ammissibile lo scioglimento convenzionale del fondo, anche in presenza di figli minori, ai sensi dell'art. 163 c.c., trattandosi di modifica di una convenzione matrimoniale.

In caso di alienazione dell'unico bene del fondo, occorre chiedersi se debba applicarsi l'art. 169 c.c. ovvero l'art. 171 c.c. Appare preferibile propendere, con dottrina e giurisprudenza, per l'applicazione dell'art. 169 c.c., con conseguente competenza autorizzatoria in capo al Tribunale ordinario, in presenza di figli minori.

Infine, quanto al regime di pubblicità, come per le altre convenzioni matrimoniali, il fondo patrimoniale diventa opponibile ai terzi solo con l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio, avente efficacia di pubblicità dichiarativa; mentre la trascrizione nei registri immobiliari, in presenza di beni immobili, costituisce solo un'ipotesi di pubblicità notizia.

L'annotazione di cui all'art. 162 comma 4 c.c. è, difatti, l'unica forma di pubblicità idonea ad assicurare l'opponibilità della convezione matrimoniale ai terzi, mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. ha funzione di mera pubblicità notizia. L'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione di fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili è, quindi, subordinata all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio, a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposto dall'art. 2647 c.c.

(Cass. n. 21658/2009).

In caso di modifica dell'atto costitutivo del fondo patrimoniale secondo le forme dell'art. 163 c.c., trattandosi di un mutamento di regime, che in quanto tale non incide sul vincolo di destinazione imposto al singolo bene, si potrebbe considerare adempiuta la funzione pubblicitaria di regime del fondo con la sola annotazione della modificazione della convenzione al Registro dello Stato Civile, restando superflua la trascrizione nei pubblici registri in cui, a suo tempo, furono trascritti i vincoli di destinazione sui beni segregati, ai quali, per quanto riguarda i creditori, tale ulteriore pubblicità nulla aggiungerebbe.

Riferimenti

A. Auciello, F. Badiali, C. Iodice, S. Matteo, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia, Milano, 2000;

G. Cian – G. Casarotto, Fondo patrimoniale della famiglia, In Novissimo Digesto Italiano, Torino, 1982;

CNN risposta a quesito n. 539/2008/C del 23 luglio 2008;

Commissione Civile 2 del Consiglio Notarile del Triveneto, massima n. 2 ed 8;

V. De Paola – A. Macrì, In Il nuovo regime patrimoniale della famiglia, Milano, 1978;

A. Finocchiaro – M. Finocchiaro, In Diritto di famiglia, Milano, 1985;

L. Genghini, La volontaria giurisdizione e il regime patrimoniale della famiglia;

V. Mazzacane, La volontaria giurisdizione nell’attività notarile, Roma, 2002;

G. Santarcangelo, La volontaria giurisdizione, Milano 1985.

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