Il rapporto di lavoro subordinato dei soci accomandanti

07 Febbraio 2024

Nelle società in accomandita semplice, la presenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed uno dei soci è configurabile a due condizioni: che la prestazione del socio non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e che l’attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia.

Nelle società in accomandita semplice è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed uno dei soci?

La caratteristica principale delle società in accomandita semplice è che i soci accomandatari rispondono solidalmente e illimitatamente per le obbligazioni sociali mentre i soci accomandanti rispondono limitatamente alla quota conferita (art. 2313 c.c.). Viepiù, l'art. 2318 c.c. prevede espressamente che l'amministrazione della società può essere conferita soltanto a soci accomandatari. Normalmente, quindi, i soci accomandanti sono esclusi dalla gestione della società, sebbene con le eccezioni previste dall'art. 2320 c.c. il quale prevede, appunto, che i soci accomandanti non possono compiere atti di amministrazione, né trattare o concludere affari in nome della società, se non in forza di procura speciale per singoli affari. Tuttavia i soci accomandanti possono prestare la loro opera sotto la direzione degli amministratori e, se l'atto costitutivo lo consente, possono dare autorizzazioni e pareri per determinate operazioni e compiere atti di ispezione e di sorveglianza.

Orbene, da tali norme se ne deduce che, nei limiti prima detti, il rapporto di lavoro subordinato non sia incompatibile con il ruolo di socio accomandante. La Corte di Cassazione (Cass. Civ., Sez. lav., 22 gennaio 2020 n. 1396) ha, a tal proposito, chiarito che, con riguardo alle società di persone, è configurabile un rapporto di lavoro subordinato tra la società e uno dei soci sempre che la prestazione del socio non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e l'attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia. La Suprema Corte ha anche sottolineato come  il compimento di atti di gestione o la partecipazione alle scelte più o meno importanti per la vita della società non siano, in linea di principio, incompatibili con la suddetta configurabilità, sicché, anche quando essi ricorrano, è comunque necessario verificare la sussistenza delle suddette due condizioni. Tale orientamento può dirsi ormai consolidato vista la costante giurisprudenza di legittimità sul punto (tra le altre, Cass. Civ.,  16 novembre 2010, n. 23129; Cass. Civ., 4 febbraio 1987, n. 1099).

La Corte di Cassazione ha anche ritenuto ammissibile l'attività dirigenziale del socio accomandante, purchè il lavoro non consista in un'attività di gestione dell'impresa (Cass. Civ., 13 marzo 1982, n. 1632; Trib. Torino 14 marzo 1984) mentre la giurisprudenza di merito ha escluso che il socio accomandante possa svolgere il ruolo di direttore generale, posto che tale ruolo comporta l'assunzione di poteri di rappresentanza generale (Trib. Salerno 10 dicembre 2009), o che possa assumere la qualifica di institore (App. Bologna, 3 novembre 1981).

In conclusione, è possibile affermare la configurabilità, nelle società in accomandita semplice, di un rapporto di lavoro subordinato tra la società ed uno dei soci. A condizione, però, che la prestazione del socio non integri un conferimento previsto dal contratto sociale e che l'attività lavorativa sia prestata sotto il controllo gerarchico di un altro socio munito di poteri di supremazia.