Relazione investigativa: prova l'adulterio
19 Febbraio 2024
Il Tribunale ha accolto la domanda di addebito della separazione presentata dal marito contro la moglie, stabilendo l'obbligo di mantenimento a carico del padre per le due figlie minori e ha condannato la moglie a pagare un quarto delle spese legali, mentre i restanti tre quarti sono stati compensati fra le parti. In seguito, la moglie ha presentato appello contro la sentenza davanti alla Corte competente, che ha parzialmente accolto l'impugnazione aumentando il contributo di mantenimento per le figlie, respingendo le altre obiezioni e condannando la moglie a rimborsare il 50% delle spese dell'appello. Conseguentemente la moglie ricorreva per cassazione. La Suprema Corte riteneva il primo motivo inammissibile: evidenziava che la censura investiva non un fatto inteso in senso storico avente valenza decisiva, ma elementi probatori suscettibili di valutazione, come la relazione investigativa, rientrante tra le prove atipiche liberamente valutabili nel giudizio civile. Parimenti venivano ritenuti inammissibili il secondo e terzo motivo; come è noto la dichiarazione di addebito della separazione implica la prova che la irreversibile crisi coniugale sia ricollegabile esclusivamente al comportamento volontariamente e consapevolmente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio di uno o di entrambi i coniugi, ovvero che sussista un nesso di causalità tra i comportamenti addebitati ed il determinarsi dell'intollerabilità dell'ulteriore convivenza. Nel caso di specie, la Corte di Appello aveva esaminato le complessive risultanze istruttorie e aveva valutato in modo preciso le molteplici circostanze di fatto, atte a deporre per il carattere adulterino della relazione intrapresa dalla ricorrente giungendo all'affermazione della sussistenza diretta del nesso causalità tra la stessa e la irreversibilità della crisi coniugale. Anche il quarto e quinto motivo venivano dichiarati inammissibili. In tema di addebito della separazione, l'anteriorità della crisi della coppia rispetto all'infedeltà di uno dei due coniugi, esclude il nesso causale tra quest'ultima condotta e l'intollerabilità della prosecuzione della convivenza; la Corte di appello, valutando il comportamento complessivo dei coniugi, ai fini del riconoscimento dell'addebito, ha tenuto conto sia della criticità del rapporto preesistenti, sia dei fatti accertati a carico della ricorrente concludendo che la circostanze addotte dalla moglie, non potessero essere considerate la causa scatenante della crisi coniugale in modo irreversibile. Il sesto motivo veniva considerato infondato; per il primo profilo di doglianza la Suprema Corte condivide la decisione del giudice dell'impugnazione affermando che l'odierna ricorrente era risultata soccombente circa la pronuncia di addebito a suo carico della separazione, con la conseguenza che la censura sollevata non poteva essere accolta in quanto la ricorrente non era risultata parte totalmente vittoriosa. Alla luce di questi fatti, il ricorso è stato respinto e le spese legali sono state addebitate alla moglie in quanto soccombente. |