Le Sezioni Unite ammettono come prova l’intercettazione francese dei criptofoni
05 Marzo 2024
Questioni devolute a) Se il trasferimento all'Autorità giudiziaria italiana, in esecuzione di Ordine Europeo di Indagine, del contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decrittate dall'Autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale, costituisca acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell'art. 234-bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ovvero sia riconducibile ad altra disciplina relativa all'acquisizione di prove. b) Se il trasferimento di cui sopra debba essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità, nello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine. c) Se l'utilizzabilità degli esiti investigativi di cui al precedente punto a) sia soggetta a vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine. Soluzioni adottate a) il trasferimento di cui sopra rientra nell'acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli artt. 78 disp. att. c.p.p., 238, 270 c.p.p. e, in quanto tale, rispetta l'art. 6 della Direttiva 2014/41/UE; b): negativa, rientrando nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale; c): affermativa; l'Autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo. La questione Le Sezioni Unite hanno ritenuto utilizzabili in Italia, in esecuzione dell'Ordine Europeo di Indagine, gli atti trasmessi dalla Francia sul contenuto di comunicazioni effettuate attraverso criptofonini e già acquisite e decriptate dall'autorità giudiziaria estera in un proprio procedimento penale nella nota inchiesta su Sky ECC. Ma a breve le S.U. torneranno ad occuparsi della vicenda perchè anche la sez. VI, con ord. 15 gennaio 2024, n. 2329, Giorgi e altro, aveva loro rimesso due questioni: a) se l'acquisizione, mediante ordine europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria estera su una piattaforma informatica criptata integri, o meno, l'ipotesi disciplinata nell'ordinamento interno dall'art. 270 c.p.p.; b) se l'acquisizione, mediante ordine europeo di indagine, dei risultati di intercettazioni disposte dall'autorità giudiziaria estera attraverso l'inserimento di un captatore informatico sul server di una piattaforma criptata sia soggetta nell'ordinamento interno ad un controllo giurisdizionale, preventivo o successivo, in ordine alla utilizzabilità dei dati raccolti.
Tre invece erano le questioni controverse rimesse dalla sez. III, con ord. 3 novembre 2023, Gjuzi, n. 47798, e che ora le Sezioni Unite hanno risolto . Il primo quesito La prima questione riguardava la natura delle comunicazioni acquisite in Italia e si domandava alle Sezioni unite se esso costituisse acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell'art. 234-bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ovvero fosse riconducibile ad altra disciplina relativa all'acquisizione di prove. In attesa di conoscere le motivazioni che meglio spiegheranno il senso della decisione, assunta senza che le Sezioni unite siano state poste in grado di conoscere l'oggetto del trasferimento e cioè se si sia trattato di intercettazioni o acquisizione di comunicazioni già avvenute, secondo l'informazione provvisoria, si tratta di “acquisizione di atti di un procedimento penale che, a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento” negli artt. 78 disp. att. c.p.p. e 238 c.p.p. (se si tratta di verbali di prove di altri procedimenti) oppure nell'art. 270 c.p.p. (se ha ad oggetto il risultato di intercettazioni) e, in quanto tale, “rispetta l'art. 6 della Direttiva 2014/41/U.E.”, che, com'è noto, stabilisce le “Condizioni di emissione e trasmissione di un O.E.I.”, prevedendo che «L'autorità di emissione può emettere un OEI solamente quando ritiene soddisfatte le seguenti condizioni: a) l'emissione dell'OEI è necessaria e proporzionata ai fini del procedimento di cui all'articolo 4, tenendo conto dei diritti della persona sottoposta a indagini o imputata; e b) l'atto o gli atti di indagine richiesti nell'OEI avrebbero potuto essere emessi alle stesse condizioni in un caso interno analogo. - Le condizioni di cui al paragrafo 1 sono valutate dall'autorità di emissione per ogni caso. - Se ha motivo di ritenere che le condizioni di cui al paragrafo 1 non siano state rispettate, l'autorità di esecuzione può consultare l'autorità di emissione in merito all'importanza di eseguire l'O.E.I. Dopo tale consultazione l'autorità di emissione può decidere di ritirare l'OEI». Occorrerà attendere la motivazione della sentenza per comprendere come siano stati rispettati i principi di necessità, di proporzionalità e di reciprocità tra gli Stati ed anche per conoscere quale sia la natura riconosciuta agli atti di indagine francesi. Infatti, è vero che le S.U. hanno decisamente escluso che si tratti di acquisizione di documenti e di dati informatici ai sensi dell'art. 234-bis c.p.p. o di documenti ex art. 234 c.p.p. ed hanno riconosciuto alle comunicazioni acquisite la valenza di “corrispondenza”, seguendo il dictum della sentenza n. 170/2023 della Consulta,secondo cui i messaggi elettronici di testo, come gli S.M.S., o quelli scambiati tramite l'applicazione Whatsapp, anche se già letti dal destinatario e conservati negli smartphone, devono qualificarsi non come documenti, ma come vera e propria “corrispondenza”. Ma tale riconoscimento come “corrispondenza” non riguarda tutti gli atti acquisiti, ma ognuno di essi, « a seconda della loro natura, trova alternativamente il suo fondamento negli articoli 78 disp. att. c.p.p., 238 c.p.p., 270 c.p.p.». Ora, se è intuitivo che il riferimento all'art. 270 c.p.p. significa acquisizione del risultato di intercettazioni disposte in un diverso procedimento, assai più complicato è comprendere quali sarebbero i verbali di un diverso procedimento, ai quali si riferiscono gli artt. 238 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p. perché potrebbero essere le chat acquisite, i verbali delle operazioni di intercettazione e i “brogliacci” della polizia giudiziaria ex art. 268 c.p.p. ma anche altri verbali allo stato non conosciuti. Il secondo quesito La seconda questione poneva il problema se il trasferimento in Italia delle comunicazioni acquisite in Francia dovesse essere oggetto di verifica giurisdizionale preventiva della sua legittimità “in uscita”, cioè nello Stato di emissione dell'Ordine Europeo di Indagine e la risposta del supremo Collegio è stata negativa, nel senso che non occorre nello Stato di emissione una verifica giurisdizionale preventiva della legittimità dell'acquisizione «rientrando nei poteri del pubblico ministero quello di acquisizione di atti di altro procedimento penale». La risposta al quesito, a differenza della prima, sembra dare per scontato che si tratti di “dati freddi” e quindi non è appagante perché, se dovesse invece trattarsi di intercettazioni da effettuare all'estero, l'art. 1, comma 1, della citata direttiva è chiaro nel precisare che «L'ordine europeo d'indagine (OEI) è una decisione giudiziaria emessa o convalidata da un'autorità competente di uno Stato membro (lo “Stato di emissione”) per compiere uno o più atti di indagine specifici in un altro Stato membro (lo “Stato di esecuzione”) ai fini di acquisire prove conformemente alla presente direttiva» e in Italia competente ad autorizzare l'intercettazione è il G.I.P. e non certo il P.M. Se dovesse invece trattarsi di acquisire chat presso i gestori del servizio di telecomunicazioni, l'art. 254 c.p.p. lo consente al pubblico ministero, anche se, in quanto corrispondenza, le chat, se acquisite non in corso di svolgimento, devono rispettare le garanzie previste dall'art. 15 Cost., mentre l'art. 254 c.p.p., disciplinando il sequestro della “corrispondenza” presso coloro che forniscono servizi di telecomunicazioni, attribuisce il potere di limitarne la segretezza al pubblico ministero, anziché al giudice; pertanto, quest'ultima disposizione è “in odore di illegittimità” per contrasto con l'art. 15 Cost. sotto il profilo del mancato rispetto della riserva di giurisdizione, dal momento che la locuzione “autorità giudiziaria” si deve ormai intendere come autorità giurisdizionale. Il terzo quesito La terza questione domandava se l'utilizzabilità del contenuto delle comunicazioni acquisite in Italia fosse soggetto al vaglio giurisdizionale nello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine e la risposta è stata affermativa, nel senso che l'autorità giurisdizionale dello Stato di emissione dell'ordine europeo di indagine deve verificare il rispetto dei diritti fondamentali, comprensivi del diritto di difesa e della garanzia di un equo processo. La soluzione pare ineccepibile e rispettosa della riserva di giurisdizione e del diritto di difesa, in quanto impone un controllo, almeno ex post, sulla prova raccolta all'estero. Di conseguenza il giudice italiano, al quale è richiesta l'acquisizione della prova proveniente dall'estero, deve valutarne l'ammissibilità, effettuando una verifica di legittimità “all'ingresso” che si atteggia diversamente a seconda della natura dell'atto acquisendo. Se si tratta di intercettazioni, siano state esse richieste dall'Italia ed eseguite in Francia oppure eseguite autonomamente oltralpe, l'art. 270 c.p.p., nel testo ora vigente, stabilisce che «i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza» (comma 1). Se in Francia vi fosse stato, come sembra, l'impiego del captatore informatico, troverebbe applicazione il comma 1-bis, secondo cui «fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l'accertamento dei delitti indicati dall'articolo 266, comma 2-bis». Le garanzie difensive consistono, anzitutto, nel deposito di verbali e registrazioni delle intercettazioni «presso l'autorità competente per il diverso procedimento». Inoltre, «si applicano le disposizioni dell'articolo 268, commi 6, 7 e 8» (comma 2) con conseguente diritto dei difensori all'esame degli atti e all'ascolto delle registrazioni, all'udienza stralcio e successiva trascrizione peritale con acquisizione al fascicolo per il dibattimento. Resta salvo «il diritto del pubblico ministero e dei difensori delle parti di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento in cui le intercettazioni furono autorizzate» (comma 3), anche se residuano molti dubbi che l'autorità giudiziaria francese consenta l'accesso ai difensori italiani alle restanti intercettazioni eseguite: dovrebbe essere l'Italia, che come Stato richiedente è l'unico legittimato, ad attivarsi, a richiesta dei difensori, con l'autorità giudiziaria francese al fine di consentire loro di accedere alla totalità delle intercettazioni eseguite nello Stato richiesto. Se invece si tratta di comunicazioni pregresse, sono operanti, ma solo per il dibattimento, gli artt. 238 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p. In particolare, il menzionato art. 78, disciplinando specificamente l'acquisizione di atti di un procedimento penale straniero, stabilisce che «la documentazione di atti di un procedimento penale compiuti da autorità giudiziaria straniera può essere acquisita a norma dell'articolo 238 del codice» (comma 1), mentre «gli atti non ripetibili compiuti dalla polizia straniera possono essere acquisiti nel fascicolo per il dibattimento se le parti vi consentono ovvero dopo l'esame testimoniale dell'autore degli stessi, compiuto anche mediante rogatoria all'estero in contraddittorio» (comma 2). A sua volta, l'art. 238, comma 3, c.p.p. precisa che «È comunque ammessa l'acquisizione della documentazione di atti che non sono ripetibili», come appunto il sequestro. In conclusione Gli atti sui quali le Sezioni Unite hanno dovuto decidere sono quelli del procedimento cautelare italiano, sostanzialmente l'O.E.I. che chiedeva il trasferimento di comunicazioni già intercettate in un procedimento francese. La Suprema Corte non ha potuto conoscere quale tipo di attività investigativa fosse stata svolta nel procedimento d'oltralpe, anche perché la Francia ha posto il segreto di Stato sulle modalità di investigazione. Ma successivamente alla presentazione del ricorso si sono appresi aliunde maggiori dettagli sugli atti dell'istruzione francese e si sono conosciute, almeno in parte, le modalità dell'investigazione. Sembrerebbe così che in Francia si sia proceduto all'intercettazione, non di singole utenze, ma addirittura inoculando un virus trojan sia nell'internet service provider, sia nei singoli dispositivi (si trattava di 70.000 devices nel mondo), quindi eseguendo intercettazioni massive di tutte le comunicazioni ivi transitanti (5.000 erano gli utenti di Sky ECC), per giunta utilizzando l'intercettazione non per captare le comunicazione, ma al fine di decriptarle: un impiego quindi dello strumento d'intercettazione non ammesso dal sistema processuale italiano e tanto meno dall'equo processo. Se così fosse, il vulnus per la garanzia della giurisdizionalità e del diritto di difesa non potrebbe essere maggiore, anche considerando che la prova consegnata dalla Francia consiste in una compilation di comunicazioni, selezionate dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero d'oltralpe, senza che la difesa abbia avuto o abbia tuttora la possibilità di verificare se sono state consegnate tutte le comunicazioni riguardanti un determinato imputato e se possano eventualmente essercene altre utili per la difesa e che l'accusa ha invece ritenuto irrilevanti. In definitiva, se fosse ufficialmente acclarato che quelle sopra indicate sono state le modalità investigative francesi, il processo penale sarebbe tornato al Medioevo: nella civilissima Francia si sarebbe proceduto all'impiego del trojan sul server, anziché sulla singola utenza, e quindi ad intercettazioni di massa, peraltro non a fini di captazione ma di previa decriptazione; se fossero intercettazioni richieste dall'Italia, il giudice italiano non ha autorizzato l'intercettazione da eseguire mediante Ordine di indagine, come richiede l'art. 1 della citata direttiva; è di fatto impraticabile qualsiasi garanzia difensiva, quale quella di esaminare i verbali e le registrazioni in precedenza depositati nel procedimento francese in cui le intercettazioni furono autorizzate e di conseguenza è impossibile la c.d. “udienza stralcio” e tanto meno la partecipazione, con l'ausilio di un consulente tecnico, alle già eseguite operazioni peritali di decriptazione, eventuale traduzione e trascrizione delle comunicazioni. Si tratta di modalità acquisitive della prova tutte irrispettose della riserva di giurisdizione, del diritto di difesa e quindi dell'equo processo. Ma basterebbe considerare che la Francia ha posto il segreto di Stato sulle modalità di investigazione impiegate nel procedimento per concludere che una prova “a genesi ignota” è inammissibile nell'equo processo. |