La Grande Camera della Corte di giustizia U.E. limita ancora l’acquisizione dei tabulati telefonici

15 Maggio 2024

La Corte di giustizia U.E. riconosce al giudice italiano il potere di valutare se il reato per cui è richiesta l'acquisizione dei dati del traffico telefonico, pur rientrando nella soglia di pena prevista, debba considerarsi grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato, e quindi proporzionato rispetto al diritto alla riservatezza che viene limitato.

La questione

La Grande Sezione della Corte di giustizia U.E., con la sentenza 30 aprile 2024, causa C-178/22, torna sul dibattuto tema dell'acquisizione dai gestori dei dati del traffico telefonico. Si tratta di un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia U.E. da parte del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Bolzano, al quale il P.M. aveva richiesto di acquisire dai gestori i dati del traffico telefonico ai fini di individuare gli autori del furto di alcuni telefoni cellulari. Il giudice dubitava che l'art. 132, comma 3, d.lgs. n. 196/2003, che consente l'acquisizione dei dati in presenza di sufficienti indizi anche di un reato punibile con la reclusione non inferiore nel massimo a tre anni e quindi anche per il delitto di furto semplice, potesse essere in contrasto con l'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58, come già interpretata dalla Corte di giustizia con la sentenza 2 marzo 2021, Procuratia. Osservava il giudice italiano che la riservatezza non fosse adeguatamente tutelata dalla legge interna che, ponendo per l'acquisizione dei dati, una soglia di pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, consente l'acquisizione dei dati a fini di accertamento penale per reati che destano scarso allarme sociale e che sono addirittura perseguibili solo a querela di parte. Aggiunge il giudice interno che rientrano tra questi reati anche fattispecie di furto di scarso valore, come appunto quello oggetto del procedimento.

Il dubbio del giudice del rinvio

Il giudice del rinvio precisa che i giudici italiani dispongono di un margine di discrezionalità molto limitato per negare l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati telefonici perché l'art. 132 d.lgs. n. 196/2003 consente l'autorizzazione in presenza di “sufficienti indizi” di reato e se i dati richiesti sono “rilevanti ai fini dell'accertamento del reato”. Secondo il G.i.p. i giudici italiani non disporrebbero dunque di alcun margine valutativo in ordine alla concreta gravità del reato oggetto dell'indagine perché tale valutazione sarebbe stata effettuata a priori dal legislatore italiano quando ha stabilito che l'autorizzazione all'acquisizione dei dati dovesse essere rilasciata, in particolare, per tutti i reati punibili con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni.

Il giudice per le indagini preliminari pone alla Corte il quesito pregiudiziale se la legge italiana rispetti il principio di proporzionalità, dettato dall'art. 52, paragrafo 1, della Carta dei diritti fondamentali U.E., che prescrive un bilanciamento tra la gravità del reato perseguito e il diritto alla riservatezza che viene leso, dal momento che il perseguimento del reato di furto semplice non giustificherebbe la limitazione di un diritto fondamentale, come il rispetto della vita privata e familiare, la protezione dei dati di carattere personale e la libertà di espressione e d'informazione di cui agli artt. 7,8 e 11 della Carta di Nizza.

Il principio di diritto affermato

La sentenza della Corte è interessante perché opportunamente circoscrive i poteri del giudice interno. Anzitutto, la Grande Camera ribadisce che le previsioni della Carta che regolano la materia, cioè l'art. 15, paragrafo 1, interpretato a norma degli artt. 7, 8 e 11, nonché l'art. 52, paragrafo 1, della Carta ostano a misure legislative che prevedevano la “conservazione generalizzata e indifferenziata” dei dati relativi al traffico e di dati relativi all'ubicazione.

Ed invero, il pubblico ministero ha chiesto l'autorizzazione ad acquisire tutti i dati in possesso delle compagnie telefoniche. Ora la citata decisione europea, dopo aver sottolineato che con una indifferenziata attività di conoscenza dei dati – seppur limitata a brevi periodi – si incide sulla vita privata delle persone ha, tuttavia, affermato che, fermo restando che l'accesso, salvi i casi di urgenza, sia subordinato ad un controllo preventivo effettuato da un giudice, in presenza di “sufficienti indizi di reati” e di dati “rilevanti per l'accertamento”, debba riguardare “fatti gravi”. A tale proposito i giudici del Lussemburgo sottolineano come gli Stati membri non possono snaturare la nozione di “reato grave” e, per estensione, quella di “grave criminalità”, includendovi, ai fini dell'applicazione dell'art. 15, paragrafo 1, reati che manifestamente non sono gravi, “alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato”, sebbene il legislatore di tale Stato membro abbia previsto di punirli con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni. Secondo i giudici di Lussemburgo, in astratto, una soglia fissata con riferimento alla pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni non appare, al riguardo, eccessivamente bassa (come già affermato dal precedente Corte giust. U.E. 21 giugno 2022, Ligue des droits humain, C-817/19, EU/C/2022/491, punto 150).

Ma l'aspetto più rilevante è il punto in cui la Corte di Lussemburgo precisa in definitiva che, anche in presenza di una “categoria” sanzionatoria che ricomprende ipotesi delittuose molto diversificate, deve riconoscersi al giudice il potere di negare detto accesso se quest'ultimo è richiesto nell'ambito di un'indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato.

Il dispositivo della sentenza

Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara che l'art. 15, paragrafo 1, della direttiva 2002/58/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 luglio 2002 relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), dev'essere interpretato nel senso che esso non osta a una disposizione nazionale che impone al giudice nazionale – allorché interviene in sede di controllo preventivo a seguito di una richiesta motivata di accesso a un insieme di dati relativi al traffico o di dati relativi all'ubicazione, idonei a permettere di trarre precise conclusioni sulla vita privata dell'utente di un mezzo di comunicazione elettronica, conservati dai fornitori di servizi di comunicazione elettronica, presentata da un'autorità nazionale competente nell'ambito di un'indagine penale – di autorizzare tale accesso qualora quest'ultimo sia richiesto ai fini dell'accertamento di reati puniti dal diritto nazionale con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni, purché sussistano sufficienti indizi di tali reati e detti dati siano rilevanti per l'accertamento dei fatti, a condizione, tuttavia, che tale giudice abbia la possibilità di negare detto accesso se quest'ultimo è richiesto nell'ambito di un'indagine vertente su un reato manifestamente non grave, alla luce delle condizioni sociali esistenti nello Stato membro interessato.

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