Ricorso per cassazione notificato all’indirizzo PEC errato: inammissibile anche se raggiunge lo scopo?

27 Maggio 2024

Il ricorso per cassazione depositato presso un indirizzo PEC in uso al giudice a quo, ma non compreso tra quelli indicati nel provvedimento DGSIA deve essere dichiarato inammissibile, anche qualora l'atto abbia raggiunto il proprio scopo.

Massima

“Pur nella consapevolezza dell'esistenza di un contrario orientamento, deve ritenersi che il ricorso per cassazione (nella specie in materia cautelare) ad un indirizzo PEC in uso al giudice a quo ma non rientrante in quelli compresi nel provvedimento del DGSIA deve essere dichiarato inammissibile, anche se raggiunge lo scopo, in quanto il percorso ‘telematico' del ricorso e i relativi vizi invalidanti risultano ad oggi disciplinati analiticamente dal legislatore”.

Il caso

Il tribunale del riesame di Potenza rigettava l'appello cautelare proposto dall'indagato.

Avverso tale ordinanza interponeva ricorso per cassazione il difensore, depositando l'impugnazione via PEC all'indirizzo dibattimento.tribunale.potenza@giustiziacert.it, deducendo la violazione di legge ed omessa motivazione, contestando, altresì, il provvedimento di sospensione dei termini di custodia cautelare.

L'indirizzo di posta elettronico certificata al quale andava inviato il gravame non era quello previsto nel provvedimento del Direttore generale per i servizi informativi e automatizzati (DGSIA) del 9 novembre 2020, ossia depositoattipenali@tribunale.potenza@giustiziacert.it. Il ricorso veniva comunque “scaricato” dalla cancelleria dall'ufficio competente, stampato e inviato alla Suprema Corte insieme al fascicolo cartaceo.

La questione

L'impugnazione depositata a mezzo PEC ad un indirizzo in uso al giudice competente a ricevere il gravame ma non compresa nell'elenco del DGSIA è inammissibile, anche se ha raggiunto lo scopo?

Le soluzioni giuridiche

La seconda sezione di legittimità risponde positivamente al quesito dichiarando il ricorso, per l'appunto, inammissibile e non lasciando spazi al favor impugnationis (essendo comunque pervenuto e scaricato l'atto presso il giudice a quo), contravvenendo alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione del processo penale come, da ultimo, disegnati dalla riforma Cartabia.

I giudici di legittimità rilevano che, in attesa della definitiva messa a regime del processo penale telematico, le comunicazioni tra parti private ed uffici giudiziari sono regolate, in via transitoria, dall'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022, inserito in sede di conversione dalla l. n. 199/2022. In particolare, ai commi 3, 4 e 6, si prevede che l'atto di impugnazione (diverso dalla richiesta di riesame o dall'appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari personali o reali) debba essere trasmesso secondo le modalità indicate (DGSIA), all'indirizzo PEC dell'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato.

La norma transitoria prevede anche delle specifiche ipotesi di inammissibilità:

«b) quando l'atto è trasmesso ad un indirizzo PEC che non è presente nel registro generale degli indirizzi elettronici di cui al comma 1;

 c) quando l'atto è trasmesso ad un indirizzo PEC non riferibile, secondo quanto indicato nel provvedimento del DGSIA di cui al comma 1, all'ufficio che ha emesso il provvedimento impugnato o nel caso di richiesta di riesame o l'appello contro le ordinanze in materia di misure cautelari, personali o reali, ad un indirizzo PEC non riferibile, secondo quanto indicato nel provvedimento del DGSIA di cui al comma 1, all'ufficio competente a decidere il riesame o l'appello».

Secondo i giudici della seconda sezione di legittimità, l'art. 87-bis d.lgs. n. 150/2022 sancisce casi specifici di inammissibilità che, ai sensi dell'art. 12 delle preleggi, non possono essere oggetto di interpretazioni dirette a valorizzare la capacità del deposito illegittimo di raggiungere, in ipotesi, “sostanzialmente”, lo scopo a cui l'atto di ricorso è diretto.

Pur essendo consapevole che ritenere ammissibile il ricorso depositato presso un indirizzo PEC non abilitato a riceverle potrebbe, come dedotto, derivare da una valorizzazione del favor impugnationis, per le Sezioni Unite Bottari n. 1626/2021 il diritto fondamentale dell'imputato ad impugnare non può essere dilatato fino a consentire forme di presentazione di impugnazione diverse da quelle volute dal legislatore.

Le Sezioni Unite Bottari hanno chiarito che in caso di univoco tenore letterale della norma non è consentito ricorrere ad interpretazioni adeguatrici. In caso di chiara lettura della disposizione normativa, non sono rilevanti i riferimenti alle sentenze della Corte EDU, che concernono i casi in cui l'accesso all'impugnazione avviene per interpretazioni ritenute troppo formalistiche, mentre qui l'inammissibilità è fornita di base legale, quindi specificamente prevista dalla legge ed è conforme alla ratio prima indicata (così, da ultimo, Cass. pen., sez. III, n. 44669/2023).

Mentre, in caso di dubbio circa la conformità a principi costituzionali o convenzionali internazionali, si dovrebbe seguire la strada dell'incidente di costituzionalità. All'uopo, la Corte EDU ha in più occasioni precisato che all'interno del margine di apprezzamento lasciato agli Stati membri di imporre rigorosi requisiti di ammissibilità dell'impugnazione, tali restrizioni non devono essere tali da pregiudicare nella sostanza il diritto di accesso dell'individuo al tribunale (ex plurimis, sentenza Trevisanato contro Italia, n. 32610/2007). Tale lettura interpretativa dell'art. 87-bis, comma 7, d. lgs. n. 150/2022, secondo l'orientamento seguito dalla sentenza in commento, è conforme tanto ai principi costituzionali in tema di garanzia del diritto di difesa, quanto a quelli della giurisprudenza CEDU in punto di diritto all'accesso ad un giudice. Non vi sarebbero limitazioni al diritto di impugnazione perché la norma regola le sue modalità di presentazione, che è materia rimessa alla discrezionalità del legislatore; si chiede solo alla parte il rispetto di quelle regole di semplificazione e di organizzazione che servono per rendere efficiente il sistema (Cass. pen., sez. III, n. 32467/2023).

I giudici della Seconda sezione di Cassazione sono consapevoli che le Sezioni Unite Bottari hanno affermato come solo l'inosservanza del termine di presentazione determini l'inammissibilità del ricorso, mentre, se l'impugnazione è presentata presso un ufficio diverso da quello indicato dalla legge, il ricorrente si assume il rischio che la stessa sia dichiarata inammissibile per tardività. Tuttavia, per i giudici del secondo Collegio, tale principio non può essere esteso all' impugnazione trasmessa via PEC ad un indirizzo diverso da quello previsto dal DGSIA.

Tale interpretazione, che il ricorrente intende importare nel caso di specie, valorizza il sostanziale “raggiungimento dello scopo” di una impugnazione cautelare irritualmente presentata nella cancelleria del giudice non competente a riceverla, ma tempestivamente trasmessa a quella del giudice competente. Essa è, tuttavia – ed il dato è decisivo – riferita al deposito in luoghi “fisici”, e non a quello in luoghi “telematici”. Il “percorso telematico” del ricorso risulta, ad oggi, disciplinato analiticamente dal legislatore che ha individuato sia le caratteristiche dell'indirizzo di posta emittente (quella certificata del difensore), che dell'indirizzo di posta ricevente (individuato dal DGSIA).

Pur nella consapevolezza di un contrario orientamento, a parere del collegio, la previsione di un nuovo sistema di comunicazione tra parti ed uffici giudiziari è sorretta da una ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione degli incombenti di cancelleria che osta ad ogni intervento interpretativo che attenui il rigore delle cause di inammissibilità individuate tassativamente dal legislatore.

Privilegiare il “raggiungimento dello scopo”, invece che orientare verso la semplificazione si risolve nella complicazione dell'accertamento processuale e nella dilatazione dei relativi tempi di definizione. L'effettività dell'inoltro del ricorso presso indirizzi PEC non abilitati implicherebbe, infatti, l'affidamento della legittimità della progressione processuale ad imprevedibili (e non imposti dal legislatore) controlli di cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni, così contravvenendo alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale che governa le regole del processo penale secondo la riforma Cartabia.

In definitiva, essendo stato trasmesso il ricorso per cassazione presso l'indirizzo PEC non abilitato dibattimento.tribunale.potenza@giustiziacert.it, lo stesso viene dichiarato inammissibile.

Osservazioni

Le conclusioni cui giunge la sentenza in commento non appaiono condivisibili.

La pronuncia si inserisce nel solco dell'orientamento di cassazione secondo il quale l'impugnazione inviata ad un indirizzo PEC non compreso nel provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020 costituisce causa di inammissibilità dell'atto. Tale posizione ermeneutica si era già consolidata nel periodo pandemico (Cass. pen., sez. III, n. 26009/2021; sez. VI, n. 46119/2021), nella vigenza dell'art. 24 d.l. n. 137/2020, conv. in l. n. 176/2020. A nulla varrebbe obiettare che comunque l'atto perviene tempestivamente nella cancelleria del giudice individuato ex lege, in tal modo raggiungendo il proprio scopo. Sul punto, già Cass. pen., sez. I, n. 28587/2022, ha affermato che la carenza o il vizio in merito alla riferibilità all'ufficio giudiziario dell'indirizzo PEC di destinazione pone non soltanto in dubbio l'idoneità dell'atto al raggiungimento dello scopo processuale che la legge gli affida, ma ne determina finanche l'inesistenza giuridica, collocandosi tra i requisiti essenziali dell'atto di impugnazione proposto secondo lo schema formale del deposito telematico.

L'orientamento cristallizzato sotto la vigenza dell'art. 24 d.l. n. 137/2020 è stato ribadito con riguardo alla specifica causa di inammissibilità introdotta dalle disposizioni transitorie al processo penale telematico ex art. 87-bis, comma 7, d.lgs. n. 150/2022 (Cass. pen., sez. III, n. 32467/2023 e sez. VI, n. 33045/2023, entrambe afferenti alla materia cautelare; sez. IV, n. 48804/2023 in una fattispecie relativa ad opposizione a decreto penale di condanna; sez. IV, n. 44368/2023 per l'opposizione avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato). Per tali arresti, la chiara e univoca individuazione degli indirizzi PEC riferibili a ciascun ufficio giudiziario sul territorio nazionale, contenuta nell'allegato al provvedimento del DGSIA del 9 novembre 2020, nonché la possibilità di trasmettere l'atto a uno qualsiasi degli indirizzi ivi elencati, costituiscono un adeguato contemperamento tra le garanzie difensive e le esigenze di buon andamento dell'Amministrazione.

A diverse conclusioni si giunge – ammissibilità dell'impugnazione – qualora l'atto venga trasmesso ad un indirizzo PEC di un ufficio giudiziario diverso da quello che sarebbe competente, ma comunque “presente” nell'allegato al provvedimento del DGSIA (in questo senso, Cass. pen., sez. IV, n. 47192/2022; sez. V, n. 37450/2023, nel caso dell'invio di impugnazione cautelare ad una PEC diversa da quella stabilita nel provvedimento del dirigente dell'ufficio giudiziario in ordine alla destinazione dei singoli indirizzi PEC assegnati al medesimo ufficio per il deposito degli atti difensivi).

Tornando ai casi in cui l'impugnazione è trasmessa ad un indirizzo PEC non compreso nel provvedimento del DGSIA, si segnala un orientamento diverso da quello sposato dalla sentenza in commento per il quale il gravame, trasmesso ad un indirizzo di posta elettronica non censito nell'elenco allegato al provvedimento del DGSIA, non può essere dichiarato inammissibile se, nel termine, l'atto è comunque ricevuto dall'ufficio a quo e trasmesso al giudice dell'impugnazione (Cass. pen., sez. V, n. 26465/2022). In tale arresto, si è segnalato, riguardo alla legislazione d'emergenza che ha segnato il passaggio all'esclusiva modalità di deposito telematico delle impugnazioni, come sia necessario un approccio ispirato ad agevolare l'accesso alla tutela dei diritti; ne deriva che può costituire forza maggiore (tale da legittimare la restituzione nel termine per impugnare) l'erronea o fuorviante informazione ricevuta dalla cancelleria.

In altri termini le Sezioni Unite Bottari hanno mostrato dichiarata adesione ad un approccio di tipo sostanzialistico, rimarcando come – ferma restando l'opzione del legislatore nel disegnare specifici itinerari del deposito dell'impugnazione – solo l'inosservanza del termine di presentazione ne determina, in realtà, l'inammissibilità. Per cui, escluso l'obbligo di trasmissione dell'impugnazione al giudice competente, non v'è spazio per la declaratoria di inammissibilità dell'impugnazione che, entro il termine di decadenza della sua proposizione, abbia comunque raggiunto il suo scopo.

Continua efficacemente, Cass. pen., sez. V, n. 26465/2022: «Siffatta opzione esegetica si allinea alla più recente giurisprudenza Europea in tema di diritto di accesso alla giustizia, ai sensi dell'art. 6 CEDU, nella declinazione espressa nella sentenza della Corte di Strasburgo n. 55604 del 28 ottobre 2021, Succi c. Italia. Nel ripudiare l'acritico ossequio al mero formalismo, la Corte Europea sembra respingere l'applicazione di una regola, quando la stessa si riveli disfunzionale e contrastante con altre norme e, al tempo stesso, altre letture risultino maggiormente coerenti con la mens legis o con l'impianto complessivo derivante dalla considerazione del sistema in cui la norma stessa è chiamata ad interagire. Si è, in tal senso, osservato come la formula utilizzata dall'art. 111 Cost. comma 1, - il giusto processo regolato dalla legge - trovi tutta la sua espansione quando sia la legge ex ante a regolare, in maniera chiara e prevedibile, le modalità e le forme di accesso al giudice, e non questi a selezionarle ex post».

Appare evidente, allora, che l'opzione, già formulata dal legislatore dell'emergenza e ribadita dalla riforma Cartabia, di definire un autonomo percorso normativo per il deposito telematico di tutti gli atti di impugnazione deve essere letta alla luce degli evidenziati principi.

Non sembra, all'uopo, cogliere nel segno l'argomento utilizzato dalla seconda sezione di legittimità per superare il dictum sostanzialistico delle Sezioni Unite Bottari: quello della distinzione tra luoghi “fisici” e luoghi “telematici” di deposito dell'impugnazione, essendo per questi ultimi il relativo “percorso” del ricorso disciplinato analiticamente dal legislatore che ha individuato sia le caratteristiche dell'indirizzo di posta emittente (quella certificata del difensore), che dell'indirizzo di posta ricevente (individuato dal DGSIA).

Anzitutto giova precisare che, a differenza della disciplina già prevista nell'art. 24, commi 6-sexies, 6-septies, quella riprodotta nell'art. 87-bis, commi 7 e art. 8, d. lgs. n. 150/2022 ha subito lievi (ma non indifferenti) modifiche lessicali, in quanto in quest'ultima si sono limitate le cause di inammissibilità della impugnazione per via telematica rispetto a quelle già previste dal d.l. n. 137/2020, escludendo quelle relative all'invio della PEC da un indirizzo di posta elettronica certificata non intestato al difensore (oltre che in caso di mancata sottoscrizione digitale del difensore, per attestazione di conformità all'originale, sulle copie informatiche degli allegati).

Ciò premesso, tale argomentazione non sembra cogliere nel senso, in quanto – all'opposto di quanto sostenuto dalla pronuncia in commento – è proprio con riguardo ai luoghi telematici di impugnazione che, a fortiori, vanno estese le conclusioni della sentenza Bottari delle Sezioni Unite in questa delicata fase di passaggio al processo penale telematico. Passaggio a tappe, con specifiche cadenze temporali, come dimostra il d.m. 29 dicembre 2023, n. 217 sul deposito telematico degli atti del procedimento penale che, peraltro, proprio con le impugnazioni cautelari, ha allungato il doppio binario di deposito (tramite portale deposito atti penali e via cartacea e PEC) fino al 31 dicembre 2024 (stessa data per l'appello, mentre per il ricorso per cassazione l'entrata a regime dell'esclusività del deposito tramite il portale si avrà solo il 30 giugno 2025). Tale fase di transizione è necessaria per garantire a tutti gli operatori del processo di “padroneggiare” il nuovo linguaggio (quello “informatico”) del processo penale.

L'adesione all'orientamento sposato dalla sentenza n. 11795/2024 sembra ignorare le difficoltà legate al passaggio dal linguaggio “analogico” ad un linguaggio (e a quei percorsi telematici cui la stessa seconda sezione fa riferimento) di cui non siamo ancora “domini (ci espropria delle nostre consolidate “certezze”, rischiando di farci diventare dei “fruitori inconsapevoli” del linguaggio informatico). Bisogna, invece, acquisire contezza della dimensione della trasformazione in atto di cui ancora non comprendiamo appieno la portata. Il destino dei giuristi sembra indirizzarsi verso la “gestione dell'arte tecnica” per acquisire una nuova consapevolezza.

In tale ottica, appare già criticabile la scelta del legislatore di prevedere la massima sanzione processuale solo per le impugnazioni e solo per i difensori! Proprio in questa fase in cui la transizione digitale del processo penale richiederebbe un “ammorbidimento” delle sanzioni per accompagnare tutti verso l'approdo alla completa e compita informatizzazione. La mancata previsione di cause di invalidità avrebbe “incoraggiato” gli operatori a transitare nel digitale, invece di “minacciare” le scure della inammissibilità. Appare evidente che la rincorsa alla riduzione, a tutti i costi, dei tempi dei processi penali, per raggiungere gli obiettivi del PNRR (e così accedere ai cospicui fondi del Netx Generation EU), rischia di deragliare dai binari della legalità costituzionale e convenzionale EDU.

Ne sono una limpida testimonianza gli oneri, chiaramente eccessivi per aprire le porte dell'impugnazione, introdotti nell'art. 581, commi 1-ter e 1-quater, c.p.p. e proprio le sanzioni in materia di depositi delle stesse impugnazioni. Peraltro, occorrerebbe meglio specificare il panorama delle sanzioni processuali alla luce del nuovo e imminente processo penale telematico essendo il sistema delle sanzioni processuali calibrato sul processo “cartaceo”, mentre andrebbe ridisegnato e modellato sul processo telematico dove si incuneano parecchie insidie nella redazione e trasmissione degli atti processuali che potrebbero far scivolare verso pericolose inammissibilità.

Insomma, il processo penale telematico è un supporto allo svolgimento dell'attività giurisdizionale da parte del difensore e gli atti telematici non possono “passare sotto le Forche Caudine” qualora vi siano degli errori o, peggio, degli ostacoli informatici. Sembra eccessivo colpire con la scure dell'inammissibilità anche qualora l'atto abbia raggiunto il suo scopo!

Per escludere sentieri ermeneutici “sostanzialistici”, tesi proprio a privilegiare il raggiungimento dello scopo – il ricorso per cassazione, inviato ad una PEC in uso al giudice a quo, nel caso di specie, era stata scaricata e inserita nel fascicolo processuale “cartaceo” – la sentenza in commento fa riferimento ad “appesantimenti” degli oneri di cancelleria «in ordine ad imprevedibili (e non imposti dal legislatore) controlli di cancelleria su caselle di posta non abilitate al ricevimento delle impugnazioni, così contravvenendo alla ratio di semplificazione delle comunicazioni e di accelerazione dell'iter processuale che governa le regole del processo penale secondo il d.lgs. n. 150/2022».

Anche tali argomentazioni non appaiono condivisibili. Tralasciando che nella prassi, e non solo in passato, sono le stesse cancellerie a “invitare” i difensori a depositare gli atti nelle “vecchie” PEC pre-pandemia da covid-19 e ancora in uso, di nessun obbligo aggiuntivo sono onerate le medesime cancellerie. Trattasi di un accertamento – quello della verifica se siano pervenute impugnazioni in casella diversa da quelle indicate dal DGSIA – non richiesto e non dovuto.

Se la parte privata deposita via PEC l'impugnazione in un indirizzo di posta elettronica certificata diverso da quello previsto nel provvedimento del DGSIA “accetta il rischio” che la cancelleria non apra la PEC dove erroneamente è stato inviato il gravame o che, aprendola, non scarichi l'impugnazione (è semmai il difensore che deve farsi parte diligente verificando che l'atto sia stato comunque inserito nel fascicolo processuale, che allo stato resta ancora cartaceo).

Una volta che, però, l'impugnazione trasmigri all'interno del fascicolo, colpirla con la sanzione dell'inammissibilità – come sostiene la sentenza n. 11795/2024, in adesione al prevalente orientamento di cassazione – sol perché non è stata trasmessa alla PEC indicata dalla “legge” (occorrerebbe anche interrogarsi se sia rispettato il principio di legalità da un rapporto tra legge primaria – che finisce per assumere i contorni di una legge “quadro” – e una norma secondaria, per l'appunto il provvedimento del DGSIA), sembra chiaramente porsi in antitesi col diritto vivente consacrato dalle Sezioni Unite Bottari, con il diritto di accesso al tribunale garantito dall'art. 6 CEDU e, in primis, col giusto processo delineato nell'art. 111 Cost.

Vogliamo veramente sostenere che il favor cancellaria prevalga sul favor impugnationis?

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