La nozione di bisogni della famiglia e il relativo regime probatorio
06 Giugno 2024
Massima La nozione di “bisogni della famiglia” di cui all'art. 170 c.c. va considerata in senso ampio, dovendosi quindi escludere la pignorabilità dei beni costituenti il fondo patrimoniale per le sole obbligazioni derivanti da esigenze voluttuarie o caratterizzate da interessi meramente speculativi. Il legittimo assoggettamento dei beni costituenti il fondo patrimoniale ad esecuzione forzata può esser accertata dal giudice adìto nel corso di un giudizio oppositivo ex art. 615 c.p.c. anche sulla scorta della sola documentazione allegata agli atti di causa, essendo invece onere dell'opponente provare l'estraneità dell'obbligazione contratta ai “bisogni della famiglia” e la relativa conoscenza da parte del creditore. L'art. 2911 c.c. disciplina l'ipotesi in cui, in presenza di più beni di proprietà dello stesso debitore, il titolare di un diritto di pegno o di ipoteca rivolga la propria pretesa esecutiva su un bene non assistito da dette garanzie; viceversa, la disposizione in parola non riguarda la diversa fattispecie in cui il creditore, in presenza di più condebitori – uno dei quali sia proprietario di un immobile ipotecato –, liberamente espropri quello nei confronti del quale non vanta alcun privilegio. Il caso Nel corso di un procedimento di espropriazione immobiliare, il debitore esecutato proponeva opposizione ex art. 615, comma 2, c.p.c. deducendo l'impignorabilità dei compendi staggiti ai sensi dell'art. 170 c.c., essendo essi stati costituiti in un fondo patrimoniale, nonché ai sensi dell'art. 2911 c.c. Il competente Tribunale di Pisa rigettava tuttavia l'opposizione, e conformemente statuiva la Corte d'Appello di Firenze adìta a seguito dell'impugnazione proposta da parte opponente; il debitore, infine, proponeva ricorso per Cassazione articolato sulla base di tre diversi motivi avverso la sentenza d'appello che lo aveva visto soccombente. La questione Il ricorrente innanzitutto lamentava l'incorretta applicazione dell'art. 170 c.c., avendo a suo dire i giudici dei gradi di merito a torto ritenuto che le obbligazioni assunte dal coniuge nella qualità di socio di un'attività imprenditoriale non fossero estranee ai bisogni della famiglia e che, pertanto, queste potessero giustificare l'aggressione esecutiva dei beni costituenti il fondo patrimoniale. Col secondo motivo di ricorso, invece, veniva dedotta la violazione dell'art. 170 c.c. in rapporto all'art. 2697 c.c., ritenendo l'opponente ex art. 615 c.c. che, nella fattispecie de qua, fosse da individuarsi nel creditore il soggetto onerato di dimostrare l'aderenza tra la fonte dell'obbligazione ed i bisogni della famiglia. Con il terzo motivo, parte ricorrente deduceva la violazione dell'art. 2911 c.c., avendo il creditore agito esecutivamente su un bene costituente il fondo patrimoniale del debitore/fideiussore anche in presenza di altri beni assistiti da ipoteca in capo al debitore principale/beneficiario della fideiussione. Le soluzioni giuridiche La Suprema Corte rigettava in toto il ricorso proposto, innanzitutto rilevando che le obbligazioni assunte in funzione dell'esercizio dell'attività imprenditoriale e/o professionale del debitore devono comunque considerarsi relative ai bisogni familiari, dovendosi difatti escludere da detta nozione le sole obbligazioni derivanti da esigenze voluttuarie o caratterizzate da interessi meramente speculativi. La S.C. chiariva poi che non spetta al creditore procedente dimostrare il suo diritto ad espropriare i beni conferiti in fondo patrimoniale, e che il giudice dell'opposizione all'esecuzione può quindi ben accertare positivamente detto diritto anche sola scorta dei documenti altrimenti allegati al giudizio. Infine, il giudice di legittimità statuiva l'inapplicabilità dell'art. 2911 c.c. alla fattispecie de qua, giacché detta disposizione di legge riguarda la diversa ipotesi in cui, in presenza di più beni di proprietà dello stesso debitore, il titolare di un diritto di pegno o di ipoteca rivolga la propria pretesa esecutiva su un bene non assistito da dette garanzie; viceversa, la norma in parola non rileva nel caso in cui il creditore, in presenza di più condebitori – uno dei quali sia proprietario di un immobile ipotecato –, liberamente espropri quello nei confronti del quale non vanta alcun privilegio. Osservazioni L'ordinanza in commento risulta essere particolarmente interessante in ragione del fatto che in essa possono rinvenirsi utili chiarificazioni in ordine al contenuto dell'art. 170 c.c. e al concetto di bisogni della famiglia in esso riportato. Questa nozione, infatti, sebbene trovi applicazione sulla scorta della fonte dell'obbligazione da cui il titolo esecutivo azionato ha avuto origine, comporta notevoli ricadute soprattutto sul piano processuale, nel senso che da essa direttamente discende l'eventuale aggredibilità dei beni costituenti il fondo patrimoniale. Più diffusamente, occorre infatti rilevare che la creazione di un patrimonio destinato a specifiche esigenze familiari – il quale comporta di conseguenza una deroga al modello generalmente previsto dall'art. 2740 c.c. –, da quando è stata introdotto nella sua forma attuale nel 1975, ha sempre prestato il fianco a possibili abusi: per tale ragione, se il requisito della conoscenza del creditore è un criterio fattuale scarsamente suscettibile di dilatazione interpretative, è stato viceversa il concetto di bisogni della famiglia ad esser stato progressivamente allargato fino ad acquisire una portata quasi omnicomprensiva, nel senso che la giurisprudenza di legittimità è ormai orientata, come affermato anche nell'ordinanza in commento, nel senso che in esso «vanno incluse anche le esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia ovvero al potenziamento della capacità lavorativa di uno dei coniugi, e vanno invece escluse solo le esigenze di natura voluttuaria o caratterizzate da interessi meramente speculativi» (cfr. in senso conforme ex pluris Cass. n. 29983/2021, n. 21800/2016, n. 3738/2015 e n. 4011/2013). È pacifico, quindi, che anche le obbligazioni assunte da parte di uno dei coniugi nell'esercizio di un'attività professionale e/o di impresa debbano farsi rientrare tra quelle che possano giustificare l'esecuzione sul fondo patrimoniale, giacché è sufficiente che i redditi da questa derivanti costituiscano il mezzo attraverso il quale il nucleo familiare trovi il proprio sostentamento – da non considerarsi in senso necessariamente minimo e frugale, ma piuttosto proporzionale alla classe di appartenenza ed al tenore di vita della famiglia –; tali principi, che trovano applicazione anche nella giurisprudenza relativa ai debiti tributari (cfr. Cass. n. 15741/2021), sono stati quindi tout court riaffermati nel provvedimento in esame, nel quale è altresì chiarito come alcune disarmonie riscontrate in alcuni precedenti di legittimità sul tema – cfr. in particolare Cass. n. 8201/2020 e n. 2904/2021, le quali avevano statuito che la prova dell'estraneità delle obbligazioni ai bisogni della famiglia può fornirsi anche solo allegando che i debiti azionati derivano dall'esercizio di un'attività professionale e/o di impresa – debbano ormai considerarsi superate, soprattutto in ragione di altre successive statuizioni della Suprema Corte (cfr. la già citata Cass. n. 29983/2021 e n. 31575/2023), le quali sono ritornate nel solco del tradizionale approccio ermeneutico più ampio. Attiguamente a questo filo argomentativo di natura più squisitamente sostanziale, poi, nell'ordinanza in commento – e nella complessiva analisi dell'istituto del fondo patrimoniale – si muove il discorso relativo al regime probatorio dell'impignorabilità dei beni costituenti il fondo nel corso del giudizio di opposizione all'esecuzione in cui essa venga fatta valere. Se, da un lato, infatti, gli aspetti relativi alla conoscenza del creditore dell'estraneità dell'obbligazione ai bisogni della famiglia sembrano tutto sommato poco problematici, essendo costantemente affermato che è compito del debitore opponente provare detta estraneità, anche per il tramite di presunzioni semplici (cfr., tra le altre, le recenti Cass. n. 36312/2023, n. 31575/2023 e n. 2904/2021), dall'altro è più controversa l'attribuzione dell'onere probatorio in ordine all'estraneità stessa della fonte dell'obbligazione azionata in executivis ai bisogni della famiglia di cui si è già detto supra. Da questo punto di vista, l'ordinanza qui in esame ha il pregio di ribadire, seppur succintamente, l'orientamento parzialmente messo in discussione dalle già richiamate sentenze Cass. n. 8201/2020 e n. 2904/2021, all'interno delle quali sembrava potersi rinvenire un accenno all'inversione degli oneri probatori tradizionalmente imposti al debitore opponente, il quale avrebbe anche potuto affermare – in maniera quasi apodittica – che le obbligazioni erano state assunte nell'esercizio di un'attività professionale e/o di impresa, dovendo poi il creditore procedente dimostrare come queste fossero comunque attinenti ai bisogni della famiglia rilevanti ex art. 170 c.c. Come può intuirsi, detta ricostruzione è foriera di notevoli difficoltà per il creditore opposto, al quale è in tal guisa richiesto di provare positivamente un fatto attinente alla sfera personale del debitore; pertanto, molto più coerentemente con la natura di accertamento negativo del giudizio di opposizione all'esecuzione – sia che esso riguardi il diritto della parte istante a procedere all'esecuzione forzata o l'impignorabilità dei beni –, l'ordinanza in commento si inserisce nel filone prevalente della giurisprudenza di legittimità (cfr., tra le altre, Cass. 29983/2021, 18110/2020, 21800/206 e 4011/2013) secondo la quale l'onere della prova de qua grava sul debitore opponente, giacché essa afferma che l'inerenza ai bisogni della famiglia può proficuamente dedursi dalle risultanze di causa, dovendo invece il debitore offrire validi elementi contrari a supporto della dedotta impignorabilità. Come si è detto, tale interpretazione è del tutto coerente con quanto in generale statuito dalla Suprema Corte sul tema dell'onere della prova nel giudizio oppositivo relativo all'impignorabilità dei beni staggiti: in proposito, infatti, l'unica esplicita eccezione emersa nella giurisprudenza di legittimità riguarda i casi in cui l'impignorabilità è stabilita a tutela di interessi di natura pubblica (ad es. in ordine alle somme incamerate dai cittadini a titolo di pensione), in nome dei quali l'adìto g.e. può d'ufficio rilevare detta impignorabilità (cfr. Cass. n. 13676/2021, n. 25836/2020 e n. 6548/2011; v., nella giur. di merito, Trib. Teramo n. 676/2020). Infine, sembra opportuno soffermarsi brevemente sulla ricostruzione della ratio dell'art. 2911 c.c. offerta nel provvedimento in esame; essa, difatti, è senz'altro ineccepibile, nel senso che correttamente individua in detta norma una forma di tutela della par condicio creditorum, la quale verrebbe lesa laddove al creditore ipotecario o titolare di un diritto di pegno venisse riconosciuta la possibilità di agire direttamente su un bene non assistito dalle garanzie in parola, privando quindi gli altri eventuali creditori di una parte delle somme che potrebbero altrimenti spettargli. Stante una ratio così individuata – e stante, ulteriormente, il contenuto letterale della norma stessa –, vien da sé che questa non possa trovar applicazione alla diversa ipotesi in cui il creditore ipotecario si trovi al cospetto di più condebitori, e decida di aggredire esecutivamente quello nei confronti del quale non vanta alcun diritto reale di garanzia: in tal caso, infatti, parte creditrice non concorrerebbe indebitamente con eventuali altri creditori personali del debitore effettivamente pignorato, poiché non avrebbe difatti potuto utilmente soddisfarsi su quest'ultimo godendo di alcuna diversa prelazione. Riferimenti Aureli, Fondo patrimoniale: debiti sorti nell'esercizio dell'impresa e bisogni della famiglia, in Giur. it., 2015, III, 577; Micali, Diritto di procedere in executivis e limiti alla pignorabilità: l'onere della prova in rapporto con l'efficacia del titolo esecutivo, in Riv. esec. forz., 2014, II, 327. |