Paolo Vittoria
29 Maggio 2017

Di impignorabilità si può propriamente parlare a proposito della condizione giuridica di un bene mobile o immobile o d'un credito, di cui sia titolare il soggetto contro il quale si intende rivolgere l'esecuzione forzata per espropriazione, quando la legge vi pone un limite a che lo sia, talora affatto, rispetto a determinati beni o crediti, come nel caso previsto dall'art. 545, comma 2, c.p.c., ma più spesso solo in parte.
Inquadramento

Di impignorabilità si può propriamente parlare a proposito della condizione giuridica di un bene mobile o immobile o d'un credito, di cui sia titolare il soggetto contro il quale si intende rivolgere l'esecuzione forzata per espropriazione, quando la legge vi pone un limite a che lo sia, talora affatto, rispetto a determinati beni o crediti, come nel caso previsto dall'art. 545, comma 2, c.p.c., ma più spesso solo in parte.

L'impignorabilità limita dunque la responsabilità patrimoniale ed è perciò ammessa nei soli casi previsti dalla legge [art. 2740, comma 2, c. c.], che, d'altro canto, non potrebbe escluderla del tutto nel rapporto tra debitore e creditore, senza vanificare la tutela dei diritti che l'art. 24, comma 1, Cost. assicura attraverso l'accesso alla giurisdizione [al riguardo sono da richiamare le sentenze Corte cost., 4 dicembre 2002 n. 506 e Corte cost., 3 dicembre 2015 n. 248, in GCost. 2002, 4146 e rispettivamente 2015, 2221, la prima specificamente in tema di trattamenti pensionistici, la seconda in tema di crediti derivanti da rapporto di lavoro o di impiego, ma con intento riassuntivo della giurisprudenza costituzionale sull'insieme dell'argomento].

Viene in rilievo, l'impignorabilità, se, mancato lo spontaneo adempimento di un'obbligazione pecuniaria risultante da un titolo esecutivo, da un lato un credito del debitore o un bene suo o di chi per lui ha prestato garanzia [art. 2910, commi 1 e 2, c.c.] viene pignorato, dall'altro l'ordinamento contrappone limiti a che di quello specifico bene o credito il soggetto passivo possa essere privato in tutto ovvero in parte: gli artt. 514, 515 e 516 c.p.c. lo prevedono, nel caso della espropriazione mobiliare presso il debitore, a proposito delle cose mobili assolutamente o relativamente impignorabili o dei frutti non ancora raccolti o separati dal suolo. Nello stesso modo, nell'espropriazione presso terzi, è previsto il caso di specifici crediti del debitore, dichiarati nient'affatto o solo limitatamente pignorabili dall'art. 545 c.p.c., che, mentre ne individua specifiche ipotesi, fa salve le altre limitazioni contenute in leggi speciali.

Mette conto rilevare che, in questi casi, il titolo esecutivo contiene la condanna al pagamento d'una somma di danaro, non perciò alla consegna d'una cosa determinata, sicché il limite alla pignorabilità dei beni o crediti del debitore non è intaccato dalla condanna esecutiva e perciò la sua operatività diviene possibile oggetto di discussione nel processo esecutivo tuttavia avviato [Cass. Sez. Un. 17 luglio 2008 n. 19601], salvo a considerare se il limite può essere rilevato anche d'ufficio, come lo è a proposito dei crediti dichiarati tali nell'art. 545 c.p.c. o dalle speciali disposizioni di legge da esso richiamate, o lo possa essere solo mediante l'opposizione per impignorabilità di cui è parola nell'art. 615, comma 2, c.p.c..

Merita da questo punto di vista mettere ancora in rilevo i casi dell'esecuzione forzata per consegna o rilascio, od anche per esecuzione di obblighi di fare o non fare, dove, col presupporre una condanna in tal senso, ne risultano perciò solo individuati il bene o le modifiche da apportare allo stato di fatto, mediante l'esecuzione spontanea o coatta del titolo.

Qui, il tema del limite a che questo risultato possa essere conseguito dall'avente diritto solo con il comportamento spontaneo dell'obbligato è necessario sia speso nel giudizio di merito, mentre non lo potrà essere in sede di esecuzione forzata, perché la condanna alla consegna od alla restituzione o a ripristinare l'anteriore stato dell'immobile, una volta pronunciata e non opposta nel giudizio di cognizione, implica l'intervenuto accertamento della obbligazione del debitore a tenere lo specifico comportamento accertato nel titolo e perciò, in mancanza di spontanea esecuzione, il diritto all'attuazione coattiva, nei corrispondenti modi di esecuzione forzata [Cass. Sez. Un. 7 gennaio 2016 n. 65 e prima 27 luglio 2011 n. 16390].

Impignorabilità o difetto di giurisdizione

Prima dell'impignorabilità, però, da un punto di vista logico, si colloca la vicenda del difetto stesso della giurisdizione esecutiva in capo al giudice, cui con l'atto di parte, che dà inizio al processo d'esecuzione forzata, è stato chiesto di esercitarla.

Lo si è già visto: l'esecuzione forzata per espropriazione è condotta in base ad un titolo che condanna ad eseguire una prestazione pecuniaria e autorizza in mancanza l'espropriazione forzata di beni di pertinenza di chi è obbligato in base al titolo.

In presenza di un titolo la cui eseguibilità non sia sospesa, se pure l'aggressione del patrimonio dell'obbligato è quanto la tutela giurisdizionale non può in linea di principio non assicurare (art. 24, comma 1, Cost.), tuttavia l'ordinamento conosce casi per cui è la sua stessa situazione o condizione giuridica ad impedire affatto che un certo bene possa essere sottoposto ad espropriazione forzata.

Si tratta di un complesso di diversificate situazioni il cui tratto distintivo è nella sostanza quello per cui in conseguenza della situazione o destinazione ad esso attribuita, la distrazione del bene da tale sua destinazione è escluso possa essere ottenuta dalla parte sollecitando l'esercizio della giurisdizione esecutiva. Classificare la fattispecie in termini di difetto di giurisdizione o di impignorabilità importa peraltro ai soli fini di stabilire se nel caso concreto opera il rilievo di ufficio o quello a eccezione di parte: nel caso concreto, peraltro, perché i due regimi di per sé conoscono ambedue le fattispecie, cioè il rilievo di ufficio o l'opposizione ex art. 615, comma 2, per impignorabilità

Quando poi a proposito della giurisdizione non operi il rilievo di ufficio, spetterà alla parte proporre opposizione all'esecuzione per impignorabilità [Cass. Sez. Un. 29 gennaio 2010 n. 2041], giacché - a partire da Cass. Sez. Un. 1 luglio 1997 n. 5888, sino, da ultimo, a Cass. Sez. Un. 19 maggio 2016 n. 10320 - il regolamento preventivo è considerato non ammesso nel processo esecutivo, per non avere questo struttura di giudizio di cognizione.

Ciò, a differenza dal giudizio di ottemperanza davanti al giudice amministrativo, perché questo ha appunto struttura di giudizio di cognizione.

Lo stesso è stato affermato da Sez. Un. 17 luglio 2008 n. 19601, a proposito del giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo.

Le modifiche apportate all'art. 549 c.p.c., dall'art. 1, comma 20, n. 4, l. 24 dicembre 2012, n. 228 e dall'art. 13, comma 1, lett. m-ter d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. con modif. in l. 6 agosto 2015, n. 132, siccome riguardano l'accertamento dell'obbligo del terzo non incidono sul potere del debitore di sollevare la questione della stessa pignorabilità del credito.

Poste queste premesse, conviene mano a mano esaminare le diverse situazioni in cui parrebbe si possa profilare una situazione riconducibile a quella di difetto di giurisdizione.

Le discipline di pignorabilità/impignorabilità di beni e crediti lo saranno successivamente.

Casi in cui la giurisdizione esecutiva è in discussione: a) l'espropriazione forzata dei beni situati all'estero

Il tema presenta tre aspetti:si tratta di stabilire se nel caso ad avere giurisdizione sia il giudice straniero anziché quello italiano; poi se l'esercizio della giurisdizione esecutiva incontri ostacolo nella disciplina propria di taluni beni; infine se spetti anche a giudici diversi da quello ordinario.

A) La giurisdizione e l'espropriazione forzata dei beni situati all'estero

La questioneviene in rilievo nell'espropriazione immobiliare contro il debitore (art. 555 e ss. c.p.c.), come in quelle di beni indivisi (art. 599 c.p.c.) o contro il terzo proprietario (art. 602 c.p.c.).

Ma, se si trovano fuori del territorio dello Stato, il tema viene in rilievo anche a proposito dei beni mobili, di questi quando si voglia farne oggetto d'espropriazione in confronto del debitore diretto (art. 513 e ss. c.p.c.) o del terzo che li possegga e sia obbligato a riconsegnargliele (art. 543 e ss. c.p.c.).

L'art. 11, l. 218/1995 dichiara rilevabile di ufficio il difetto di giurisdizione del giudice italiano, se la sua giurisdizione è esclusa per effetto d'una norma internazionale.

Nel suo ambito di applicazione, la Convenzione di Bruxelles, all'art. 16, n. 5), dichiarò che avevano competenza esclusiva, in materia di esecuzione delle sentenze, i giudici dello Stato membro nel cui territorio ha luogo l'esecuzione. La sentenza della Corte di giustizia 26 marzo 1992, C-261/90 Reichert II (FI 1994, IV, 235) ebbe a suo tempo a interpretarne la portata, sia pure per delimitarne l'ambito d'applicazione, con l'affermare che «l'attribuzione di competenza esclusiva ai tribunali del luogo di esecuzione della sentenza si giustifica essenzialmente per il fatto che gli organi giurisdizionali dello Stato membro nel territorio del quale l'esecuzione è richiesta sono i soli competenti ad applicarne le norme che disciplinano, nel territorio medesimo, l'attività degli organi incaricati dell'esecuzione». La sentenza 4 luglio 1985, 220/84 Autoteile, [FI 1988, IV, 343] ne aveva dal canto suo precisato l'ambito col dire che in questo ambito di competenza rientravano le opposizioni all'esecuzione.

La disposizione dell'art. 16 n. 5) della Convenzione, è stata poi ripresa dall'art. 22 n. 5) Reg. CE n. 44/2001 ed ampliata dall'art. 24 n. 5) del Reg. CE n. 1215/2012.

Le disposizioni ora richiamate non indicano per sé un criterio di collegamento in materia d'esecuzione forzata, ma dichiarano che a decidere delle controversie in materia sono i giudici del luogo ove l'esecuzione è avvenuta o si viene svolgendo.

Come s'è osservato in altro luogo [Commentario del codice di procedura civile diretto da Comoglio - Consolo - Sassani - Vaccarella, 2014, tomo VII, artt. 602 - 669 quaterdecies, sub artt. 615 e 616, p. 218, nota 5] «La preferibile ricostruzione della disciplina unitaria come di quella statuale è nel senso che la competenza giurisdizionale quanto al processo esecutivo sia del giudice del luogo dove si trova il bene in relazione al quale la parte istante chiede che la giurisdizione sia esercitata, che tale competenza non è derogabile e che il relativo difetto debba essere rilevato di ufficio. La ragione ne è che nel processo esecutivo non si tratta di accertare dei fatti, ma di disporre di beni o su beni. Quindi la giurisdizione manca, se il bene da assoggettare ad espropriazione non è nella disponibilità del giudice che è richiesto di attuare la tutela esecutiva, dove la disponibilità va intesa in senso materiale e giuridico, come possibilità di produrre direttamente i risultati e gli effetti che sono necessari per attuare la tutela esecutiva voluta dalle parti che la richiedono» - a questo risultato erano pervenuti tra gli altri, Mari, Il diritto processuale civile della Convenzione di Bruxelles (1) Il sistema della competenza, Padova, 1999, 561 ss.; Bonsignori, L'esecuzione forzata, Torino, 1996, 27 e ss. e già Denti, I limiti della giurisdizione italiana nell'esecuzione forzata, RDP 1961, 397 e 407 e ss.

A proposito dell'espropriazione forzata su cose mobili e immobili il principio appena enunciato quanto alla giurisdizione è in parallelo con quello sancito, quanto alla competenza nel primo comma dell'art. 26 c.p.c., non modificato per questa parte dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, di conversione del d.l. 12 settembre 2014, n. 132.

La norma richiamata dispone che «Per l'esecuzione forzata su mobili e immobili è competente il giudice del luogo in cui le cose si trovano».

Il tema si ripropone per l'altra forma d'espropriazione, in particolare quella di crediti del debitore verso terzi.

L'originario secondo comma dell'art. 26 c.p.c. disponeva che per l'espropriazione forzata di crediti era competente il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore.

Cass., Sez. Un., 5 novembre 1981 n. 5827 [in GC 1982, I, 131O con nota di Fortunato, Sulla posizione processuale del debitor debitoris ed altre questioni in tema di processo espropriativo presso terzi] ebbe a pronunciarsi in un caso in cui il terzo non si era presentato a rendere la dichiarazione ed il credito pignorato aveva ad oggetto il residuo del prezzo di una vendita di un immobile sito in Italia e venduto con atto notarile pure stipulato in Italia: nella circostanza fattore di estraneità era l'ubicazione all'estero della società debitrice. Nell'occasione la Corte ritenne di affrontare anzitutto il tema della giurisdizione in riferimento al caso dell'espropriazione forzata di cose del debitore in possesso del terzo e giunse alla soluzione che la giurisdizione non sussiste, quando la cosa da apprendere per essere venduta od assegnata allo scopo di soddisfare col ricavato il credito per cui si procede, non si trova nel territorio dello Stato. La spiegazione offerta dalla Corte fu che funzione del processo esecutivo «è l'attuazione concreta di un diritto certo spettante ad un soggetto mediante l'incidenza dell'attività degli organi competenti ... nella realtà concreta per adeguarla alla situazione giuridica consacrata ... nel titolo esecutivo. Incidenza dell'attività esecutiva che opera in un determinato aspetto della realtà fenomenica; e vi opera quale esercizio della sovranità dello Stato».

Nella stessa sentenza, la corte affermò da un lato che il terzo non è parte del processo esecutivo essendovi chiamato al fine di dichiararsi o meno debitore o possessore di cose del debitore principale, salvo ad assumere la qualità di parte nel giudizio di accertamento del suo obbligo; in secondo luogo e tra l'altro riferendosi all'art. 20 c.p.c. osservò che criterio di localizzazione della giurisdizione, nel caso in cui oggetto del postulato obbligo del terzo fosse l'adempimento di un'obbligazione di pagamento di somma di denaro, fosse quello del luogo in cui la sua postulata obbligazione è sorta o va adempiuta.

Muovendo nella sostanza dai principi enunciati nella sentenza della cassazione ed innovando rispetto a quanto previsto dal precedente comma 2 dell'art. 26 c.p.c., l'art. 26-bis, comma 2, c.p.c., stabilisce ora come regola generale e fuori del caso indicato al primo comma, che competente per l'espropriazione forzata di crediti non è più il giudice del luogo dove risiede il terzo debitore, ma quello del luogo in cui il debitore ha la residenza, il domicilio, la dimora o la sede.

Questo è però criterio di localizzazione della competenza interna, che non può non presupporre la giurisdizione.

Se non che, quante volte l'esecuzione forzata ha ad oggetto un credito del debitore principale verso il terzo, il risultato espropriativo dell'esecuzione non è solo la sostituzione del creditore procedente al suo debitore nella titolarità del credito verso il terzo (art. 553 c.p.c.), ma anche l'attribuzione al provvedimento di assegnazione del valore di titolo esecutivo, quanto all'esistenza ed ammontare del credito o delle cose del debitore in possesso del terzo: a tale risultato si perviene in uno dei diversi modi stabiliti dagli artt. 547 a 549 c.p.c..

Quando il terzo si dichiari o sia dichiarato possessore di cose appartenenti al debitore, per la loro vendita od assegnazione provvede il giudice dell'esecuzione, nei modi previsti per l'assegnazione dei crediti o per la vendita delle cose mobili, rispettivamente dall'art. 553 e dagli artt. 529 e ss..

Nella sentenza delle SU prima richiamata venne affermato che, nel caso di crediti del debitore verso terzi, era dall'art. 20 c.p.c. che si poteva trarre il criterio di collegamento rappresentato dall'essere ubicato nel territorio dello Stato il luogo in cui l'obbligazione corrispondente al credito assoggettato ad esecuzione è sorta o va adempiuta. Disponeva e dispone l'art. 20 c.p.c. che per le cause relative a diritti di obbligazione è anche competente il giudice del luogo in cui è sorta e deve eseguirsi l'obbligazione dedotta in giudizio.

Se ne trae che, quante volte oggetto dell'esecuzione forzata è il credito vantato dal debitore verso il terzo, ricorrendo i criteri di collegamento previsti dall'art. 20 c.p.c. ed esaurendosi la prima fase del processo nell'ordinanza che assegna al creditore il credito vantato dal suo debitore verso il terzo, la giurisdizione spetta al giudice interno.

Resta però da considerare il caso che il creditore si faccia a procedere all'esecuzione forzata con l'intento di soddisfarsi attraverso la vendita o l'assegnazione forzate di cose del suo debitore in possesso del terzo.

In questo caso, si tratta prima di pervenire ad accertare che il terzo possiede il bene e deve renderlo al debitore principale e poi di disporne, nello svolgimento del medesimo procedimento e secondo ciò che richieda il creditore procedente, la vendita o l'assegnazione in suo favore.

E però, quante volte queste cose non si trovino nel territorio dello Stato, la fase espropriativa del procedimento non è in grado di svolgersi davanti al giudice italiano, perché la localizzazione del bene fuori dal territorio dello Stato impegna in questo caso l'esercizio della giurisdizione esecutiva da parte dello Stato in cui il bene mobile si trova.

La preferibile alternativa alla chiusura dell'intero processo per difetto di giurisdizione è quella di considerare percorribile davanti al giudice italiano il tratto volto alla pronunzia dell'ordinanza che assegna il credito titolo e riservare al giudice del sito del bene la giurisdizione sul tratto espropriativo, da condurre secondo le regole processuali dello Stato del luogo dove i beni mobili si trovano: ciò che è possibile in base al titolo esecutivo che conclude la prima fase del processo (artt. 36 e ss., Reg. 12 dicembre 2012 n. 1215), del resto in modo non diverso da ciò che avviene quando, conseguito il titolo esecutivo davanti al giudice italiano, si tratta poi di assoggettare ad espropriazione forzata un immobile del debitore sito all'estero.

In sostanza, l'unità delle due fasi dell'esecuzione forzata, pensata per un processo d'espropriazione capace di proseguire nel territorio dello Stato, subisce un adattamento che vale a restringerne l'ambito di espansione, quando il bene espropriabile invece non si trova nello Stato.

Segue: B) L'immunità' dalla giurisdizione degli Stati esteri e dei suoi agenti rispetto all'espropriazione forzata

Il tema va indagato non a proposito della giurisdizione che si esercita nel campo della cognizione, ma in quello dell'esecuzione forzata per espropriazione, dove perciò non si tratta di stabilire se è sindacabile l'attività svolta nell'esercizio delle funzioni proprie degli organi dello Stato estero, ma se il titolo formato nel giudizio condotto in confronto dello Stato estero possa essere realizzato in suo confronto attaccando i beni immobili di cui è proprietario. Quando poi ne fosse solo detentore in base a titolo proveniente dal proprietario espropriato, il problema si posterebbe al piano disciplinato in base al diritto sostanziale dall'art. 2923 c.c., ma resterebbe su quello processuale non diverso, trattandosi per l'acquirente di far valere il proprio titolo al rilascio contro l'occupante: ciò che si traduce nello stabilire se la specifica destinazione dei beni assoggettati ad esecuzione forzata sia di ostacolo a che il diritto accertato nel titolo possa essere realizzato nei modi dell'esecuzione forzata, qui per rilascio.

L'immunità discende dagli artt. 10 e 117, comma 1, Cost..

Sussiste rispetto alle domande dal cui accoglimento potrebbe derivare un'interferenza sulle funzioni dello Stato estero.

Nel caso esaminato da Cass. Sez. Un. 17 luglio 2008 n. 19600 [GI 2009, 1727 e 1730, Poggio, L'occupazione illegittima di un immobile destinato ad ambasciata e l'immunità dello Stato straniero dalla giurisdizione italiana], si trattò di decidere su una domanda di risarcimento del danno per non avere lo Stato straniero restituito un immobile dove aveva stabilito una sede distaccata della propria ambasciata, nonostante si fosse formato il giudicato su una precedente sentenza che ne aveva dichiarato risolto il contratto d'acquisto. Le S.U. dichiararono il difetto di giurisdizione dopo aver considerato che il comportamento dello Stato di continuare ad occupare l'immobile era in rapporto di strumentalità necessaria con i poteri pubblicistici di esercizio del diritto di missione dello Stato estero, che non poteva essere sottoposto ad apprezzamenti e valutazioni da parte del giudice italiano, al fine di dichiararne l'illegittimità fondante la domanda di risarcimento del danno.

In sostanza venne affermato che il difetto di giurisdizione può ricorrere ancorché si faccia valere una pretesa di carattere patrimoniale, se il suo riconoscimento richieda apprezzamenti ed indagini sull'esercizio di poteri pubblicistici dello Stato o dell'ente straniero, in atti o anche solo in comportamenti.

Il che è stato ad esempio escluso da Cass. Sez. Un. 24 novembre 2015 n. 23893, in un caso in cui era stata proposta nei confronti del Governo ed i Ministeri di uno Stato estero una domanda di risoluzione contrattuale e di risarcimento del danno proposte nei loro confronti e riguardanti una compravendita di elicotteri, stipulata con un'impresa italiana operante in regime di libera offerta ad una platea indifferenziata di utenti ed acquirenti e perciò considerata espressione di autonomia negoziale,.

Come era stato escluso nel caso deciso da Cass. Sez. Un. 13 novembre 2008 n. 27044, in sede di opposizione ad espropriazione presso terzi, dove il denbitore - un agente diplomatico - rivendicava per sé l'immunità dalla giurisdizione. Richiamate le decisioni già rese in argomento da Cass. Sez. Un. 11537/1990 e 10294/1993, le Sezioni Unite enunciarono il seguente principio di diritto: «In tema di competenza giurisdizionale del giudice italiano, l'art. 31, paragrafo 1 lettera c) della Convenzione di Vienna, del 23 aprile 1963, ratificata con legge 9 agosto 1967, n. 804, deve essere interpretata nel senso che l'immunità dalla giurisdizione è esclusa, per l'agente diplomatico, tanto nel caso in cui egli sia soggetto attivo di un'attività professionale o commerciale esercitata fuori dalle sue funzioni ufficiali (come testualmente previsto dalla norma in esame), quanto nell'ipotesi che egli risulti soggetto passivo di tali rapporti, se intrapresi nel territorio dello Stato iure privatorum, e cioè del tutto al di fuori delle proprie funzioni e competenze ufficiali».

Quanto al regime processuale della questione, in base agli art. 4 e 11, l. n. 218/1995, il difetto di giurisdizione non è rilevabile di ufficio, se il convenuto si costituisca accettando espressamente o tacitamente la giurisdizione, ma lo è invece altrimenti anche di ufficio in ogni stato e grado del processo, sempre che sul punto non si sia formato il giudicato.

Con la l. 14 gennaio 2013, n. 5 la Repubblica italiana ha ora aderito alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2.12.2004 e nello stesso contesto sono state dettate norme di adeguamento all'ordinamento interno.

L'immunità vi è soggetta a rilievo di ufficio (art. 6.1.), ma è rinunciabile nei casi e nelle forme dell'art. 7; sono previsti casi in cui, in relazione a comportamenti tenuti nel processo dallo Stato che vi è convenuto, non opera (artt. 8 e 9), e procedimenti in cui gli Stati non possono opporre l'immunità (artt. 10 a 17), tra i quali le controversie di lavoro (art. 11, co. 1), ma con dei limiti alla sua applicazione (art. 11, co. 2).

Gli artt. 21 e 19 distinguono, al fine di consentirne o per converso di escluderne l'assoggettabilità a misure cautelari od esecutive, i beni «specificamente utilizzati o destinati a essere utilizzati dallo Stato a scopi diversi da scopi di servizio pubblico non commerciali» da quelli, suddivisi in cinque categorie, per converso sottratti a tali misure.

Dall'art. 30 della Convenzione ne è prevista l'entrata in vigore trenta giorni dopo la data di deposito del trentesimo strumento di ratifica.

Con la sentenza Cass., Sez. Un. 27 ottobre 2014 n. 22744 - richiamando sul punto la sentenza CEDU 18 gennaio 2011, Guadagnino c. Italia e Francia - la cassazione ha peraltro affermato la vigenza dei principi in essa enunciati, in quanto parte integrante del diritto consuetudinario internazionale. Nel caso [l'attore era stato impiegato d'una ambasciata in Italia] si discuteva della giurisdizione in materia di contratti di lavoro, che l'art. 11 della Convenzione attribuisce al giudice del luogo dove la prestazione di lavoro è previsto debba essere eseguita. La corte ha detto operante la disposizione dettata alla lett. f) dello stesso articolo, che fa spazio ad accordi scritti, nel caso intervenuti, che attribuiscano la giurisdizione ai tribunali dello Stato estero.

Nello stesso senso, circa la vigenza attuale dei principi fissati dalla Convenzione le Sezioni Unite s'erano già espresse nelle sentenze Cass. 18 aprile 2014 n. 9034 e Cass. 18 settembre 2014 n. 19674.

Quanto ai rapporti tra diritto internazionale e legislazione interna va ancora richiamata la sentenza 22 ottobre 2014 n. 238 della Corte costituzionale, che ha insieme dichiarato l'illegittimità dell'art. 3 della l. 5/2013 e dell'art. 1 l. 17 agosto 1957, n. 848, di esecuzione dello Statuto delle Nazioni unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945, limitatamente all'esecuzione data all'art. 94 della Carta delle Nazioni Unite ed esclusivamente nella parte in cui obbliga il giudice italiano ad adeguarsi alla pronuncia della Corte Internazionale di Giustizia del 3.2.2012, che gli impone di negare la propria giurisdizione in riferimento ad atti di uno Stato straniero che consistano in crimini di guerra e contro l'umanità, lesivi di diritti inviolabili della persona.

Da ultimo va ancora richiamato quanto affermato da Cass. 29 settembre 2011 n. 19932 in motivazione decidendo nel senso che «L'accertamento dei presupposti per l'applicazione della norma di diritto internazionale generalmente riconosciuta sulla immunità giurisdizionale degli Stati esteri attiene alla giurisdizione e non al merito».

Segue: C) La giurisdizione esecutiva in materia tributaria

Nel processo tributario è in discussione se appartenga alla giurisdizione di quel giudice od a quella del giudice ordinario la controversia tra sostituto e sostituito d'imposta relativa all'esatto adempimento del rapporto di rivalsa.

Pronunciandosi in applicazione dell'art. 363 c.p.c., e innovando su precedente orientamento [di cui a Cass. Sez. Un. 5 febbraio 1988 n. 5344], che a sua volta si era venuto affermando in contrasto con anteriori decisioni delle stesse S.U. [Cass. 27 aprile 1983 n. 2889 - Cass. 16 dicembre 1986 n. 7533], queste, con la sentenza Cass. 26 giugno 2009 n. 15031, ritennero che la giurisdizione del giudice speciale sussistesse quante volte la lite fosse insorta a cagione del rifiuto espresso o tacito opposto dall'amministrazione finanziaria a rimborsare al sostituto od al sostituito le ritenute versate in precedenza, mentre spettava al giudice ordinario conoscere della lite sorta fra sostituito e sostituto nell'ambito dei loro rapporti negoziali, lite intesa ad accertare se la rivalsa esercitata dal primo fosse stata o meno legittimamente operata e ad ottenere dal secondo la restituzione di quanto indebitamente trattenuto [Cass.Sez. Un. 15031/2009 è annotata in GI 2009, 2557, da A. Turchi, Le Sezioni unite tornano al passato: le liti tra sostituto e sostituito di imposta rientrano nella giurisdizione ordinaria]

Sulla questione le Sezioni Unite sono tornate nel decidere una lite insorta in un giudizio di espropriazione presso terzi prima dell'entrata in vigore della legge 228/2012, contenente la modifica degli artt. 548 e 549 c.p.c. [Cass.,Sez. Un., 18 febbraio 2014 n. 3773, è in GI 2014, 2734, con nota di A. Turchi, Giurisdizione sul pignoramento del credito verso l'Agenzia delle entrate]

Nel caso, il creditore aveva notificato all'Agenzia delle entrate il pignoramento di crediti tributari vantati verso l'Agenzia da un proprio debitore e, in seguito alla dichiarazione negativa resa dall'Agenzia circa l'esistenza di tale credito, aveva proposto domanda per l'accertamento. Le Sezioni Unite hanno detto appartenere la giurisdizione su tale domanda al giudice tributario ed hanno considerato che per un verso aveva ad oggetto l'accertamento d'un credito di natura tributaria, per altro verso la dichiarazione negativa resa dall'Agenzia circa l'esistenza del proprio debito si presentava come affermazione di potere impositivo.

Tra i vari profili presi in considerazione nella nota richiamata, merita mettere in particolare rilievo quello per cui, dopo la modifica dell'art. 549 c.p.c., la pronuncia resa con ordinanza, con cui il giudice dell'esecuzione chiude la prima fase del processo davanti a sé, a sua volta impugnabile con opposizione agli atti esecutivi, ha una valenza meramente processuale, non definisce cioè la questione attinente all'esistenza del credito del debitore principale verso il terzo, che può a sua volta essere oggetto dell'opposizione agli atti esecutivi proponibile dal terzo contro l'ordinanza.

Segue: D) Beni immobili del demanio pubblico e del patrimonio pubblico indisponibile

A partire da Sez. Un. 13 luglio 1979 n. 4071 [FI 1979, I, 1979 e GC 1980, I, 145, e a pag. 1144 nota Morelli, Il completamento della tutela dei crediti ex iudicato del privato nei confronti di pubbliche amministrazioni nella forma dell'azione esecutiva per espropriazione prevista dal codice di procedura civile]nella giurisprudenza di legittimità s'è formatoun indirizzo nel senso che stabilire se il bene assoggettato a pignoramento non ne sia suscettibile integra questione di limitazione della responsabilità patrimoniale da far valere mediante opposizione all'esecuzione per impignorabilità, giacché nel caso ciò che sarebbe messo in discussione è il diritto a procedere ad esecuzione forzata: rimedio appropriato sarebbe dunque quello offerto dall'art. 615, comma 2, c.p.c. con cui si contesta la pignorabilità del bene, non quello previsto dall'art. 615, comma 1, c.p.c., perché non è in questione il diritto a procedere ad esecuzione forzata.

In questo senso, nella successiva giurisprudenza di legittimità, Cass. Sez. Un. 14 gennaio 1981 n. 323, in GC 1981, I, 1050 e 1052 osserv. Morelli, Sulla pignorabilità del denaro e dei crediti privatistici delle pubbliche amministrazioni - Cass., Sez. Un. 19 maggio 1988 n. 3474 - Cass. Sez. Un 29 ottobre 1992 n. 11776 - Cass. Sez. Un. 25 ottobre 1999, n. 740 - Cass. 5 maggio 2009 n. 10284.

E però una cosa è che di fronte al processo che prosegua giusto rimedio offerto alla parte sia nel caso l'opposizione prevista dall'art. 615, comma 2, c.p.c., altra è se la deduzione del non poter essere il bene possibile oggetto d'espropriazione forzatanon si presti ad essere rilevato d'ufficio e comunque pronunziato con ordinanza, secondo quanto del resto è stato da ultimo previsto a proposito dei crediti dichiarati in tutto o in parte impignorabili dalla legge, quando tuttavia lo siano stati (art. 545, comma 9, c.p.c.).

Norme e giurisprudenza su casi d'impignorabilità: A) Cose mobili assolutamente impignorabili o pignorabili in particolari circostanze di tempo

L'impignorabilità assoluta di cose mobili, che non sia prevista espressamente da altre norme di legge, è propria delle sole cose elencate nell'art. 514 c.p.c., con disposizione tassativa e perciò non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica.

L'elencazione originaria dell'art. 514 c.p.c. ha subìto nel tempo modificazioni della disposizione di cui al n. 2), l'eliminazione della disposizione di cui al n. 4), l'aggiunta delle disposizioni di cui ai nn. 6 bis e 6-ter, questa da parte dell'art. 77 l. 28 diembre 2015, n. 221.

L'ambito di applicazione delle diverse norme che prevedono casi di impignorabilità si estende al fallimento: dispone in tal senso l'art. 46, n. 5), l. fall., secondo il quale le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge rientrano tra i beni che non sono compresi nel fallimento.

Di per sé l'art. 46 l. fall. esclude dall'acquisizione alla massa fallimentare i beni di natura strettamente personale e i frutti di quelli costituiti in patrimonio familiare: ciò in base all'art. 170 c.c. e perciò quante volte il creditore conoscesse che il debito era stato contratto per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Norme del codice civile sottraggono poi determinati beni alla regola generale della responsabilità patrimoniale, escludendola affatto o limitandola alla soddisfazione di determinati crediti.

Ad esempio, in tema di regime patrimoniale della famiglia, all'art. 170 c.c. è previsto che l'esecuzione sui beni del fondo patrimoniale e sui suoi frutti non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia [sulle condizioni di applicazione di tale norma, da ultimo, Cass. 28 ottobre 2016 n. 21800, REF 2017, 253 e in precedenza, tra le altre, Cass. 11 luglio 2014 n. 15886, REF 2014, 806. In queste decisioni, la corte, che ha rigettato per difetto di prova l'opposizione all'esecuzione, ha peraltro ribadito, in conformità della precedente giurisprudenza, che il disposto dell'art. 170 c.c. non va inteso restrittivamente, ma nel senso di dare rilievo ad esigenze volte al pieno mantenimento ed all'armonico sviluppo della famiglia, nonché al potenziamento della sua capacità lavorativa, restando escluse invece le esigenze voluttuarie o caratterizzate da intenti solo speculativi.

In precedenza, in senso analogo, s'era anche espressa Cass. 19 febbraio 2013 n. 4011, con l'intendere i bisogni della famiglia, come comprensivi anche dei bisogni ritenuti tali dai coniugi in ragione dell'indirizzo della vita familiare e del tenore prescelto.

A proposito poi della destinazione dei beni immobili al fondo patrimoniale, che per essere opponibile ai terzi deve risultare dalla trascrizione previstane dall'art. 162, comma 4, c.c. e regolata dall'art. 2647 c.c., Cass. 28 settembre 2012 n. 16526 [in FI 2013, I, 575] ha affermato essere onere della parte che propone opposizione per impignorabilità, dare di ciò la prova in giudizio, pena il rigetto della domanda.

In altro campo, l'art. 1558 c.c., in tema di contratto estimatorio, prevede che «Sono validi gli atti di disposizione compiuti da chi ha ricevuto le cose, ma i suoi creditori non possono sottoporle a pignoramento o a sequestro finché non ne sia stato pagato il prezzo».

La reazione contro il pignoramento tuttavia eseguito è affidata all'opposizione per impignorabilità prevista dall'art. 615, comma 2, c.p.c..

Cass. 20 dicembre 2012 n. 23625 - che ha richiamato tra i precedenti in materia Cass. 12 marzo 1992 n. 3030 - ha affrontato il tema dei poteri dell'ufficiale giudiziario nell'esecuzione del pignoramento ed ha affermato che non vi rientra escluderne se non le cose indicate dall'art. 514 c.p.c. e questo in base al solo e decisivo rilievo della loro presenza «nell'ambito spaziale individuato dall'art. 513 c.p.c.», mentre non gli spetta valutare titoli, di appartenenza ad altri, di beni mobili diversi, la reazione al cui pignoramento è affidata all'opposizione dei terzi prevista dall'art. 619 c.p.c..

Nell'occasione si è considerato che alla disciplina generale dell'espropriazione forzata non si possa estendere quella speciale dettata in tema di espropriazione forzata esattoriale dall'art. 63 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, secondo il quale l'ufficiale giudiziario si deve astenere dal pignoramento, quando sia dimostrato che i beni appartengono a persona diversa dal debitore.

Segue: B) Crediti impignorabili

L'art. 545 c.p.c., al comma 2, dispone che non possano essere affatto pignorati i crediti che hanno per oggetto sussidi di grazia e di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oltre ai sussidi per maternità, malattie o funerali dovuti da casse di assicurazione, enti di assistenza o istituti di beneficenza.

Al comma 6 fa salve le altre limitazioni previste da speciali disposizioni di legge, di cui si possono richiamare, tra altre, le seguenti:

  • in tema di fondi speciali per la previdenza e l'assistenza, che siano stati costituiti dall'imprenditore anche senza contribuzione dei prestatori di lavoro, l'art. 2117 c.c., dispone che gli stessi non possono formare oggetto di esecuzione da parte dei creditori dell'imprenditore o del prestatore di lavoro [Cass. 19 ottobre 2012 n. 17178];
  • l'art. 2537 c.c. - già 2531, in tema di società cooperative e mutue assicuratrici, esclude che il creditore particolare del socio cooperatore possa agire esecutivamente sulla quota e sulle azioni del medesimo finché dura la società [Cass. 23 maggio 2014 n. 11491 ha ritenuto peraltro ammissibili azioni volte a paralizzare gli effetti di atti di dismissione della quota e così l'azione revocatoria].

Più in generale va considerato che - come affermato da Cass. 10 settembre 1998 n. 8966 e ripreso da Cass. 15 ottobre 2014 n. 10642 - «.. le disposizioni che stabiliscono l'impignorabilità di determinati tipi di beni o fissano vincoli di destinazione alle somme erogate dalle organizzazioni pubbliche (…) sono di stretta interpretazione e sono solo quelle indicate dalla legge». Se ne è tratta come conseguenza che nell'assenza di qualsivoglia disposizione in merito, non si possono ritenere soggette ad un vincolo di impignorabilità assoluta somme soggette per legge ad un vincolo di destinazione, il cui scopo è di evitare che siano aggredite da parte di creditori del beneficiario e stornate dalle finalità previste per la loro erogazione. Di qui, come conseguenza, che in presenza d'un pignoramento eseguito per un credito corrispondente ad una causale che appaia coincidere con quella per cui ne è prevista l'erogazione, spetta al debitore provare il contrario, cioè che fonte del credito è stata in concreto un'operazione estranea a quella favorita dalla legge.

Quanto all'assoluta impignorabilità è giocoforza richiamare quanto la Corte costituzionale ebbe ad affermare nella sentenza 4 dicembre 2002 n. 506, nel dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 128 r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, conv. con modif. in l. 6 aprile 1936, n. 1555, nella parte in cui escludeva la pignorabilità per ogni credito dell'intero ammontare di pensioni, assegni ed indennità erogati dall'INPS, anziché prevederne l'impignorabilità, con le eccezioni previste dalla legge per i soli crediti qualificati, della sola parte della pensione, assegno o indennità necessaria per assicurare al pensionato mezzi adeguati alle esigenze di vita e la pignorabilità nei limiti del quinto della residua parte.

Come osservò la Corte [punto 8.1. dei Considerato in diritto]: «Il presidio costituzionale (art. 38) del diritto dei pensionati a godere di “mezzi adeguati alle loro esigenze di vita” non è tale da comportare, quale suo ineludibile corollario, l'impignorabilità, in linea di principio, della pensione, ma soltanto l'impignorabilità assoluta di quella parte di essa che vale, appunto, ad assicurare al pensionato quei “mezzi adeguati alle esigenze di vita” che la Costituzione impone gli siano garantiti, ispirandosi ad un criterio di solidarietà sociale: e, pertanto, ad un criterio che, da un lato, sancisce un dovere dello Stato e, dall'altro, legittimamente impone un sacrificio (ma nei limiti funzionali allo scopo) a tutti i consociati (e segnatamente ai creditori)».

Segue: C) Crediti limitatamente pignorabili secondo il c.p.c.

L'art. 545 c.p.c. distingue tra crediti alimentari [comma 1], somme dovute da privati relative a rapporti di lavoro o di impiego [commi 3, 4 e 5] e somme da chiunque dovute a titolo di pensione, d'indennità sostitutive o d'altri assegni di quiescenza [comma 7].

Una particolare disciplina è poi prevista a proposito delle somme che, derivando da rapporti anzidetti, siano accreditate su conto bancario o postale [comma 8].

Norme di procedura sono dettate ai commi 1, 3 e 9.

Quanto ai crediti alimentari [artt. 433 a 448-bis c.c.], l'art- 545, comma 1, c.p.c. dispone che possono essere pignorati solo per cause di alimenti e per la parte determinata con decreto che l'autorizza, emesso dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato (art. 545, comma 1, c.p.c.).

Quanto ai crediti derivanti da rapporto di lavoro o di impiego, il pignoramento ne è ammesso dal comma 3 per crediti alimentari e questo nella misura autorizzata dal giudice.

Per il resto lo è nella misura di un quinto per i tributi dovuti allo Stato, province o comuni e per ogni altro credito [comma 4].

Riassumendo, l'art. 545, comma 4, c.p.c., in relazione al comma 3, dispone che le somme dovute da privati a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego comprese quelle dovute a causa di licenziamento possono essere «pignorate nella misura di un quinto per i tributi dovuti dallo allo Stato, alle province e ai comuni, ed in eguale misura per ogni altro credito», mentre, secondo il comma 5 dello stesso articolo «Il pignoramento per il simultaneo concorso delle cause indicate precedentemente non può estendersi oltre la metà dell'ammontare delle somme predette».

Cass. 18 gennaio 2012 n. 685 ha affermato che questa disciplina, in origine dettata per il pubblico impiego [in base al d.P.R. 5 gennaio1950, n. 180], in forza delle modifiche che vi sono state apportate dalla legge 12 marzo 2004, n. 311 e dalla legge 14 maggio 2005, n.80, di conversione del d.l. 14 febbraio 2005 n. 35, è risultata interamente estesa al settore del lavoro privato. Nel caso s'era trattato di un rapporto di agenzia e la corte ne ha affermato la soggezione al disposto dell'art. 545, comma 4, c.p.c..

Il principio ha trovato conferma nella sentenza Sez. Un. 20 gennaio 2017 n. 1545 [in FI 2017, I, 891, con osservazione di G. Niccolini].

In tema di applicazione del combinato disposto dei commi 3 e 4 dell'art. 545 c.p.c., Cass. 16 giugno 2003 n. 9630 [in GI 2004, 743 con osservazione di A. Ronco] ha ancora affermato che il limite lì stabilito, ripreso dall'art. 671 c.p.c. in tema di sequestro conservativo «rinviene la sua giustificazione nella imprescindibile esigenza di non pregiudicare la soddisfazione dei più elementari bisogni della vita del debitore e delle altre persone poste a suo carico e costituisce una situazione giuridica propria del titolare del credito, cosicché non è opponibile dal cessionario del credito ai suoi creditori». Nell'osservazione richiamata, Ronco considerò che il principio non troverebbe invece giustificazione nel caso di una trasmissione del credito per successione a causa di morte.

In precedenza, Cass. 9 ottobre 1999 n. 11345 aveva detto insuscettibile di interpretazione analogica la disposizione dettata dall'art. 545, comma 3, c.p.c. ed escluso <che l'indennizzo dovuto da una società assicuratrice privata al lavoratore per infortunio sul lavoro, ancorché stipulata dal datore di lavoro in adempimento d'un obbligo contrattuale> rientrasse nella previsione di cui ai commi 3 e 4 dell'art. 545 c.p.c., con la conseguenza che tale indennizzo non potrebbe essere ritenuto neanche in parte esente da pignoramento.

Altre disposizioni sono contenute nell'art. 545 c.p.c. ai commi 7 ed 8: vi sono state introdotte con l'art. 13, comma 1, lett. l) del d.l. 27 giugno 2015, n. 83, conv. in l. 6 agosto 2015, n. 132, per questa parte senza modifiche e in base all'art. 23.6. del decreto dichiarate applicabili esclusivamente alle procedure esecutive iniziate successivamente alla data della sua entrata in vigore, avvenuta il giorno stesso della sua pubblicazione nella G.U. 27 giugno 2015 n. 147 [in argomento, Borghesi, La legge n. 132/2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali, REF 2016, 51].

Il comma 7 pone il limite della misura massima mensile dell'assegno sociale, aumentato della metà, alla pignorabilità delle somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che ne tengono luogo o di altri assegni di quiescenza. La parte che ne eccede è detta pignorabile nei limiti previsti dai commi 4 e 5. Il richiamo al comma 3 sta a significare che la determinazione della misura in cui tale parte eccedente può a sua volta essere pignorata è determinata dal presidente del tribunale o da un giudice da lui delegato.

Chiude la disciplina sui limiti alla pignorabilità la particolare regolamentazione relativa alle somme derivanti da trattamenti di lavoro o di pensione, quando depositate su conto corrente bancario o postale intestato al debitore (art. 545, comma 8, c.p.c.).

Vi si distingue a seconda che il pignoramento avvenga prima dell'accredito, ovvero quando questo avvenga alla data stessa del pignoramento o dopo.

Nel primo caso la somma pignorabile è quella che eccede il triplo dell'assegno sociale, nel secondo operano i limiti previsti dai commi terzo, quarto, quinto e settimo.

Pertanto, nel secondo caso, se il pignoramento è chiesto a soddisfazione d'un credito alimentare, la misura del pignorabile si dovrà preventivamente chiedere al giudice di determinarla, negli altri sarà quella prevista nelle disposizioni richiamate.

Segue: D) Specifiche disposizioni di legge che limitano la pignorabilità dei crediti

L'art. 545, comma 6, c.p.c. dichiara ferme le limitazioni della pignorabilità contenute in specifiche disposizioni di legge.

Una disposizione in tal senso è contenuta nell'art. 46 l. fall. per dire non compresi nel fallimento, oltre a certi beni, determinati crediti tra i quali [al n. 2] «gli assegni aventi carattere alimentare, gli stipendi, pensioni, salari e ciò che il fallito guadagna con la sua attività, entro i limiti di quanto occorra al mantenimento suo e della sua famiglia».

Disposizioni al riguardo, queste contenute nel c.c., sono quelle dell'art. 1881 in tema di rendita vitalizia e dell'art. 1923, comma 1, in tema di assicurazione.

Nella seconda è previsto che «Le somme dovute dall'assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare» [sull'art. 1923 c.c., Cass.Sez.Un. 31 marzo 2008 n. 8271, annotata, tra gli altri luoghi, in FI 2008, I, 2540, da G. La Rocca, Le sezioni unite e la "dimensione evolutivamente ... assunta dall'assicurazione sulla vita" - oltre a Cass. 6 febbraio 2015 n. 2256 e Cass.14 giugno 2016 n. 12261, in contrasto tra loro, la prima con nota di D. Finardi, Liquidazione della polizza vita in favore del fallito e poteri del curatore, in Fall. e altre procedure concorsuali, 2015, 656].

Altre fattispecie previste da leggi speciali.

L'art. 2, comma 85, l. n. 23dicembre 1996, n. 662 - così interpretato da Cass. 26 febrbaio 2016 n. 3773 - «dove dispone che le somme e i crediti derivanti da canoni di locazione e dall'alienazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica di spettanza degli istituti autonomi case popolari, in quanto destinati a servizi e finalità di istituto, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, ai sensi dell'art. 828 c.c. - costituisce norma di legge direttamente impositiva di un vincolo di impignorabilità di tali somme e crediti, come tale integrante un caso di limitazione di responsabilità patrimoniale di detti enti, ai sensi del secondo comma dell'art. 2740 c.c., occorrendo al fine dell'insorgenza del vincolo soltanto che siano iscritti nei capitoli di bilancio o in contabilità speciale, senza che sia loro impressa alcuna specifica destinazione».

In precedenza, Cass. 26 gennaio 2006 n. 1694 - pronunziandosi però in base all'art. 23, comma 3, della anteriore l. 513/1977 - aveva affermato che quella disposizione, là dove imponeva agli I.A.C.P. di destinare le somme ad essi dovute a titolo di canoni di locazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica, al netto delle spese di cui all'art. 19, lett. b) e c) della legge alle finalità indicate alle lett. da a) ad e) non costituiva norma di legge direttamente impositiva di un vincolo di impignorabilità di tali somme ai sensi dell'art. 2740, comma 2, c.c. «occorrendo al fine dell'insorgenza di tale vincolo la concreta individuazione da parte dell'ente delle somme e la specifica e concreta destinazione di esse ad una (o più) delle particolari finalità fra quelle rientranti nelle lettere da a) ad e)» prima citate.

Segue: E) Casi a discussa ma esclusa limitata pignorabilità

Cass.Sez. Un. 20 gennaio 2017 n. 1545, FI 2017, I, 891 - in sede di composizione di contrasto - ha affermato il seguente principio di diritto: «L'amministratore unico o il consigliere d'amministrazione di una società per azioni sono legati da un rapporto di tipo societario che, in considerazione dell'immedesimazione organica che si verifica tra persona fisica ed ente e dell'assenza del requisito della coordinazione, non è compreso in quelli previsti dal n. 3 dell'art. 409 c.p.c.. Ne deriva che i compensi spettanti ai predetti soggetti per le funzioni svolte in ambito societario sono pignorabili senza i limiti previsti dal quinto comma dell'art. 525 c.p.c.».

In precedenza nello stesso senso, deducendone l'ammissibilità dell'arbitrato nelle controversie relative, in riferimento all'art. 806, comma 2, c.p.c., Cass. 11 febbraio 2016 n. 2759, [GI 2016, 1649, nota G. Varrasi, Rapporto di amministrazione e arbitrato societario tra vecchio e nuovo diritto]

È stata in questi termini abbandonata l'opposta soluzione in precedenza accolta da Sez.Un. 14 febbraio 1994 n. 10680 [GC 1995, I, 2473, nota A. Neri, L'amministratore di società come lavoratore subordinato secondo le sezioni unite - e in FI 1995, I, 1486].

Segue: F) Limiti alla rilevanza dell'impignorabilità

L'impignorabilità non opera nel senso di escludere che il credito da cui è caratterizzata si estingua per compensazione con un debito pecuniario verso il creditore - come altrimenti previsto dall'art. 1246, n. 3), c.c., quando credito e controcredito derivano dallo stesso rapporto [Cass. 26 ottobre 2016 n. 21646 - Cass. 25 agosto 2006 n. 18498, nota G. De Santis, CG 2007, 807, Debiti derivanti da un medesimo rapporto giuridico e applicabilità della c.d. compensazione "impropria" - Cass. 20 ottobre 1975 n. 3440].

Segue: G) Regimi della pignorabilità del denaro presso le pubbliche amministrazioni

Principio generale - una volta enunciato da Cass. 16 novembre 2000 n. 14847 - è che sia le somme di denaro che i crediti dello Stato - ma lo stesso varrà per ogni soggetto pubblico - sono pignorabili, ad eccezione di quelle somme di denaro che abbiano già ricevuto, per effetto di una disposizione di legge o di un provvedimento amministrativo, una precisa e concreta destinazione ad un pubblico servizio, ossia all'esercizio di una determinata attività rivolta, direttamente o strumentalmente, all'attuazione di una funzione istituzionale della P.A., con l'erogazione della spesa per le strutture necessarie all'esercizio di quell'attività. Solo in questo caso, infatti, le somme di denaro ed i crediti dell'Amministrazione diventano indisponibili sì da non poter essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, secondo quanto prevede l'art. 828, comma 2, c.c. a proposito dei beni patrimoniali.

Di seguito si fa cenno allo specifico regime di alcuni tipi di tali beni, avendo riguardo ai soggetti pubblici cui appartengono ed alle pertinenti obbligazioni da soddisfare.

G1) Le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici «completano le procedure per l'esecuzione dei provvedimenti giurisdizionali e dei lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva e comportanti l'obbligo di pagamento di somme di denaro entro il termine di centoventi giorni dalla notificazione del titolo esecutivo. Prima di tale termine il creditore non può procedere all'esecuzione forzata né alla notifica dell'atto di precetto» : così l'art. 44, comma 3, lett. a) del d.l. 30 settembre 2003, n. 269, conv. in l. 24 novembre 2003, n. 326 [l'art. 147 l. 338/2000 aveva così già aumentato il termine dilatorio di 60 giorni dettato dell'art. 14, comma 1, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669 conv. in l. 28 febbraio 1997, n. 30].

La questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 d.l. n. 669/1996 era stata dichiarata infondata da Corte cost. 23 aprile 1998 n. 142 [in FI 1999, I, 2473].

A partire da Cass. 14 ottobre 2005 n. 19966 [in GI 2006, 1229 con osserv. di T. Salvioni] - pronunciata in applicazione dell'art. 14 del d.l. 666/1996, ma riconoscendo portata interpretativa alla norma del 2003, quanto al divieto di procedere a notifica del precetto prima della scadenza del termine dilatorio - è stato affermato che ha natura di opposizione all'esecuzione quella appunto proposta per far valere l'inefficacia del precetto intimato anticipatamente [ultima, nello stesso senso, Cass. 23 febbraio 2010 n. 4357].

Successivamente, Cass. 21 marzo 2011 n. 6346 ha quindi affermato che l'intimazione ad effettuare il pagamento in un momento che l'amministrazione non è tenuta a procedere, deve ritenersi inutilmente fatta, sì da non potersene far derivare effetti una volta scaduto il termine [in precedenza, nello stesso senso, Cass. 17 settembre 2008 n. 23732.

Quanto all'ambito soggettivo di applicazione della norma, Cass. 30 novembre 2011 n. 25567 [FI 2012, I, 2136, A. Majorano, Brevi note sulla Banca d'Italia terza pignorata] ha affermato che il termine di cui all'art. 14, d.l. n. 669/1996 non si applica allorché le amministrazioni dello Stato e gli enti pubblici non economici siano stati citati, quali terzi, in procedure espropriative ex art. 543 c.p.c., perciò quando non sia in questione l'esecuzione d'una condanna pronunciata in loro confronto, ma il creditore in base al titolo esecutivo agisce al fine che sia adempiuta l'obbligazione pecuniaria che il debitore principale ha verso di lui.

Quanto all'àmbito oggettivo, Cass. 18 aprile 2012 n. 6067 - pronunciandosi in un processo di espropriazione forzata presso terzi iniziato prima della riforma del 2006 - ha affermato che nell'ambito di operatività della disciplina sull'esecuzione forzata nei confronti delle pubbliche amministrazioni ricade anche l'intervento. Nella circostanza, la corte affermò, che, non richiedendo l'intervento, come atto propedeutico necessario, l'intimazione del precetto, il termine dilatorio di centoventi giorni dovesse essere computato, a pena della sua inammissibilità, dalla notifica del titolo esecutivo alla data di deposito dell'atto di intervento.

G2) L'esecuzione forzata nei confronti degli enti locali

L'art. 159 del T.U. 18 agosto 2000, n. 267, prevede al comma 2, a pena di nullità rilevabile di ufficio, che non sono soggette ad esecuzione forzata le somme di competenza degli enti locali destinate a) al pagamento, al personale dipendente, delle retribuzioni e dei conseguenti oneri previdenziali per i tre mesi successivi; b) a quello delle rate di mutui e prestiti obbligazionari scadenti nel semestre in corso; c) all'espletamento dei servizi locali indispensabili.

Condizione per l'operatività di tali limiti che l'organo esecutivo, con deliberazione da adottarsi per ogni semestre e notificata al tesoriere, delimiti preventivamente gli importi delle somme destinate a quelle finalità.

Di questa disciplina, con sentenza 13 giugno 2003 n. 211 la Corte costituzionale ha dichiarato l'illegittimità nella parte in cui non prevede che l'impignorabilità delle somme prima indicate non operi qualora siano emessi mandati per titoli diversi da quelli vincolati, senza seguire l'ordine cronologico delle fatture così come pervenute per il pagamento o, se non è prevista fattura, delle deliberazioni di impegno da parte dell'ente locale.

Cass. 26 marzo 2012 n. 4820 - decidendo di un'opposizione agli atti esecutivi proposta contro ordinanza d'improcedibilità resa in applicazione dell'art. 159 del T.U. - ha affermato che il creditore assolve l'onere della prova che incombe su di lui adducendo circostanze di fatto dalle quali sia desumibile il sospetto che le condizioni di operatività della norma nel caso non sussistono. Ha aggiunto che tale allegazione non è validamente contestata dalla produzione «di una mera certificazione proveniente da uno degli organi od uffici dell'ente, in quanto nel processo civile, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge, nessuno può formare prove a proprio favore, tanto più che il giudice, specie a fronte dell'impossibilità per il creditore di fornire ulteriore prova, può disporre consulenza tecnica di ufficio».

In precedenza Cass. 16 settembre 2008 n. 23727 aveva affermato che il tesoriere dell'ente locale, in quanto ausiliare del giudice, ha il dovere di precisare nella dichiarazione prevista dall'art. 547 c.p.c. sia se esistono somme giacenti presso di lui di cui è debitore verso l'ente locale sia quale ne è la condizione in rapporto alla delibera comunale di destinazione a lui notificata ed ai pagamenti successivi. Spetta poi al giudice dell'esecuzione, anche di ufficio e perciò in assenza dell'ente locale debitore, accertare, in base alle osservazioni fatte dal creditore procedente, se il pignoramento sia nullo per essere caduto su somme destinate in base alla delibera notificata al tesoriere, che non abbia perso efficacia per essere stata seguita da pagamenti estranei, su mandati non emessi nel rispetto dell'ordine cronologico. Quanto poi alla ripartizione dell'onere della prova, aveva affermato che «spetta all'opponente allegare gli specifici pagamenti per debiti estranei eseguiti successivamente alla delibera, mentre spetta all'ente locale dare la prova che tali pagamenti sono stati eseguiti in base a mandati emessi nel rispetto del dovuto ordine cronologico».

G3) L'esecuzione forzata delle pronunce di condanna del Ministero della giustizia all'equa riparazione per la irragionevole durata del processo, sino all'8 aprile 2013, ha potuto essere esperita nei confronti dei Ministeri di cui all'art. 3, comma 2, l. 24 marzo 2001, n. 89 nelle forme dell'esecuzione presso terzi, con la notificazione dell'atto di pignoramento alla tesoreria centrale o provinciale dello Stato competente,. Con la successiva entrata in vigore dell'art. 6, comma 6, d.l. 8 aprile 2013, n. 35, conv. in l. 6 giugno 2013, n. 64 l'esecuzione forzata ha dovuto essere promossa, a pena di nullità rilevabile di ufficio, soltanto nella forma dell'espropriazione diretta presso il debitore, attraverso atto notificato al funzionario delegato del distretto in cui è stato emesso il provvedimento giurisdizionale messo in esecuzione [Cass. 28 ottobre 2014 n. 22854].

In precedenza - secondo quanto affermato da Cass. 12 maggio 2015 n. 9573 e prima da Cass. 7 agosto 2013 n. 18755 - non era necessario procedere a pena di nullità rilevabile di ufficio nelle forme del pignoramento diretto.

Segue: H) L'esecuzione forzata sul denaro depositato dagli organi di Stati esteri su conti correnti

L'art 19-bis, co. 1 a 3, del d.l. 12settembre 2014, n. 132, inserito in sede di conversione dalla l. 10 novembre 2014, n. 162, ha introdotto una specifica disciplina dei crediti delle rappresentanze diplomatiche e consolari straniere.

È stato cosi disposto: «1. Non sono soggette ad esecuzione forzata, a pena di nullità rilevabile anche di ufficio, le somme a disposizione dei soggetti di cui all'art. 21, comma 1, lettera a) della Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni, fatta a New York il 2 dicembre 2004, di cui alla legge 14 gennaio 2013, n. 5, depositate su conti correnti bancari o postali, in relazione ai quali il capo della rappresentanza, del posto consolare o il direttore, comunque denominato, dell'organizzazione internazionale in Italia, con atto preventivamente comunicato al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e all'impresa autorizzata all'esercizio dell'attività bancaria presso cui le medesime somme sono depositate, ha dichiarato che il conto corrente contiene esclusivamente somme destinate all'espletamento delle funzioni dei soggetti di cui al presente comma». - 2. «Effettuate le comunicazioni di cui al comma 1 non possono eseguirsi pagamenti per titoli diversi da quelli per cui le somme sono state vincolate.» - «3. Il pignoramento non determina a carico dell'impresa depositaria l'obbligo di accantonamento delle somme di cui al comma 1, ivi comprese quelle successivamente accreditate, e i soggetti di cui al comma 1, mantengono la piena disponibilità delle stesse».

La reazione al pignoramento tuttavia compiuto resta affidata anche qui all'opposizione all'esecuzione per impignorabilità [Cass.SU 12.2.1999 n. 53 - Cass.1.7.1997 n. 5888], quante volte la nullità del pignoramento non venga dichiarata di ufficio.

H1) Di taluni limiti all'esecuzione forzata sul denaro dello Stato e degli enti pubblici.

In tema di edilizia residenziale pubblica, l'art. 2, comma 85, della l. 23 dicembre 1996, n. 662, nel disporre che le somme e i crediti derivanti dai canoni di locazione e dall'alienazione di tali alloggi, in quanto destinati a servizi e finalità di istituto, non possono essere sottratti alla loro destinazione se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano, impone direttamente un vincolo di impignorabilità di tali somme e crediti, come tale integrante un caso di limitazione della responsabilità patrimoniale di tali enti ai sensi dell'art. 2740, comma 2, c.c.: perché il vincolo operi è necessaria l'iscrizione nei capitoli di bilancio o in contabilità speciale, senza che sia impressa alcuna specifica destinazione - così Cass. 26 febbraio 2016 n. 3773; sul tema s'era in precedenza soffermata Cass. 26 gennaio 2006 n. 1694..

In tema di addizionale comunale e provinciale all'Irpef, l'art. 27, co. 13, della 28.12.2001, n. 448, nel testo introdotto dall'art. 3-quater, del d.l. 22 febbraio 2002, n. 13, inserito in sede di conversione dalla l. 24 aprile 2002, n. 75, ha stabilito che <Non sono soggette ad esecuzione forzata le somme di competenza degli enti locali a titolo di addizionale comunale e provinciale all'IRPEF disponibili sulle contabilità speciali esistenti presso le tesorerie dello Stato ed intestate al Ministero dell'interno. Gli atti di sequestro o di pignoramento eventualmente notificati sono nulli; la nullità è rilevabile di ufficio e gli atti non determinano obbligo di accantonamento da parte delle tesorerie medesime né sospendono l'accreditamento di somme nelle citate contabilità speciali>.

In relazione a tale norma, Cass. 20 maggio 2015 n. 10243 ha affermato che la previsione della rilevabilità ufficiosa di tale vincolo e della conseguente nullità del pignoramento, impone al giudice dell'esecuzione di svolgere, nell'àmbito dei poteri di cui all'art. 484, comma 1 e ss., c.p.c. una sommaria attività di accertamento dell'esistenza o meno del vincolo e di provvedere all'esito, dichiarando, in caso di riscontro positivo, la nullità del pignoramento e la conseguente improseguibilità del processo esecutivo e, in caso di riscontro negativo, procedendo, previo riscontro delle condizioni in proposito, all'assegnazione del credito.

Disciplina del rilievo della impignorabilità

Nella disponibilità del debitore i cui beni siano fatti oggetto di pignoramento è l'opposizione che riguarda la loro pignorabilità, prevista dall'art. 615, co. 2, c.p.c. e disciplinata quanto ai modi della sua proposizione dagli artt. 615, co. 2, e 616 c.p.c. [per la disciplina del relativo procedimento e del rapporto tra corso del processo esecutivo e del processo sull'opposizione, si rimanda alla voce relativa all'opposizione per impignorabilità].

Qui va dato conto del dato normativo per cui, secondo l'art. 545, co. 9, c.p.c., il pignoramento eseguito sulle somme indicate nello stesso articolo «in violazione dei divieti ed oltre i limiti previsti dallo stesso e dalle speciali disposizioni di legge è parzialmente inefficace».

Tale inefficacia è rilevabile dal giudice anche di ufficio ed il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione rigetti l'istanza d'assegnazione o l'accordi nella misura ritenuta possibile alla stregua dei limiti imposti dall'art. 545 c.p.c. è suscettibile di opposizione agli atti esecutivi, secondo quanto disposto dall'art. 549 c.p.c., senza distinguere in merito al segno dell'ordinanza che conclude il processo. Ciò non esclude che il debitore possa proporre, prima, l'opposizione per impignorabilità prevista dall'art. 615, comma 2, c.p.c. [sul punto, in questo senso, Cass. 10243/2015 citata in fine del paragrafo precedente].

Cass. 23 agosto 2011 n. 17524 ha affermato che, nell'espropriazione forzata presso terzi, è inquadrabile come opposizione agli atti esecutivi l'opposizione avverso l'ordinanza di assegnazione del credito, con cui da un comune si deduca l'esistenza di un vincolo d'impignorabilità per la destinazione delle somme a pubblica finalità. Invece, sino a quando il giudice dell'esecuzione non abbia di ufficio o su istanza di parte dichiarato nullo il pignoramento, se non sia intanto intervenuta la chiusura del processo con l'ordinanza di assegnazione, il debitore può proporre l'opposizione all'esecuzione per impignorabilità.

Negli stessi sensi si è da ultimo pronunciata Cass. 20 maggio 2015 n. 10243 ed in precedenza Cass. 20 novembre 2012 n. 20310, REF 2013, 200 con nota di richiami.

Riferimenti
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  • D. BORGHESE, La legge n. 132/2015 interviene ancora sul pignoramento di crediti (con particolare riferimento a quelli di lavoro e previdenziali, REF 2016, 51 - A. CARRATO, Quali sono i poteri che spettano all'ufficiale giudiziario quando procede a pignoramento mobiliare, CoG. 2013, 1121;
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Sommario