Reati tributari
21 Aprile 2017
Inquadramento
Con il decreto legislativo 158 del 2015 si è dato corpo alla riforma del diritto penale tributario, intervenendo sul contenuto del decreto legislativo 74 del 2000. In punti centrali della riforma – che si pone in continuità rispetto alla previgente disciplina – possono articolarsi intorno ai seguenti punti:
Le modifiche delle fattispecie criminose
Modifiche normative hanno interessato quasi tutte le fattispecie criminose previste nel decreto legislativo 74 del 2000. In alcuni casi si è assistito ad un intervento mitigatore del trattamento sanzionatorio, con l‘innalzamento – cui si è già accennato – delle soglie di punibilità, innovazione che ha interessato i reati di omesso versamento delle ritenute fiscali, omesso versamento degli acconti Iva, omessa dichiarazione. Parimenti modesta, poi, è la modifica apportata alla disciplina in tema di utilizzo di fatture relative ad operazioni inesistenti di cui all'art. 2 d.lgs. 74 del 2000. Dalla formulazione di tale fattispecie è infatti stata eliminata la parola "annuali", venendo di conseguenza ad ampliarsi il novero delle dichiarazioni rilevanti ai fini della configurabilità del reato, posto che per il futuro sarà rilevante l'inserimento e l'indicazione di fatture false in qualsiasi dichiarazione a rilevanza fiscale e non solo con riferimento a quelle annuali. Oggetto di un aggravamento del trattamento sanzionatorio sono state le fattispecie criminose di occultamento o distruzione di documenti contabili, di cui all'art. 10 d.lgs. 74 del 2000, ora punito con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni, o del delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, d.lgs. 74/2000 il cui trattamento sanzionatorio è diverso a seconda che l'indebita compensazione riguardi crediti non spettanti (nel qual caso la pena rimane quella attuale della reclusione da sei mesi a due anni) oppure crediti inesistenti (nel qual caso la pena diviene quella della reclusione da un anno e sei mesi a sei anni). Assolutamente rilevanti invece sono state le modifiche che hanno interessato i reati di a) omessa dichiarazione, b) dichiarazione fraudolenta, c) dichiarazione infedele. Iniziando dalla previsione di cui all'art. 5 d.lgs. 74 del 2000, in tema di omessa dichiarazione, pur rimanendo inalterata la struttura della fattispecie, è stato introdotto un nuovo comma, che sanziona ex novo anche l'omessa dichiarazione del sostituto d'imposta (ed infatti alla lett. c) dell'art. 1 d.lgs. 74 del 2000 si specifica che per dichiarazioni ai fini della legge penale s'intendono anche quelle presentate dai sostituti d'imposta, nei casi previsti dalla legge – e contestualmente è stata ampliata la portata della fattispecie di cui all'art. 10-bis d.lgs. 74 del 2000, venendo il mancato versamento riferito non solo alle ritenute certificate ma anche alle ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione, con il che la prova della ritenuta (di cui è contestato il mancato versamento) può ora prescindere dalle certificazioni rilasciate al sostituito, potendo in ipotesi bastare che essa risulti dalla dichiarazione. Oggetto di un vero e proprio rivolgimento sono stati i delitti di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici e di dichiarazione infedele: la riforma infatti ha letteralmente riscritto queste fattispecie, precisandone i contorni, risolvendo alcune controversie interpretative che erano insorte nella vigenza della precedente disciplina e aumentando il carico sanzionatorio. Con riferimento al delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici di cui all'art. 3 d.lgs 74 del 2000:
Con riferimento al delitto di omessa dichiarazione di cui all'art. 4 d.lgs. 74 del 2000, fra le innovazioni più rilevanti si evidenzia:
A proposito della cause di non punibilità, è stato completamente riscritto il previgente art. 13 d.lgs. 74 del 2000, il quale oggi qualifica la condotta di estinzione del debito tributario una causa di non punibilità, anche se solo per a) per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, se il risarcimento avviene prima dell'apertura del dibattimento di primo grado; b) per i reati di cui agli artt. 4 e 5, se il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione omessa intervengano prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Viene altresì previsto che, se prima dell'apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario è in fase di estinzione mediante rateizzazione è dato un termine di tre mesi (prorogabile, se necessario, di altri tre mesi) per il pagamento del debito residuo. Come si vede, il beneficio spettante al contribuente infedele è modulato sulla base del disvalore insito nelle rispettive fattispecie: per gli omessi versamenti (eccettuata l'indebita compensazione mediante crediti inesistenti) il termine per godere della causa di non punibilità è infatti nettamente più favorevole rispetto a quello fissato per i reati di cui agli artt. 4 e 5, in relazione ai quali l'istituto premiale non pare destinato ad avere un cospicuo spazio di operatività. Il nuovo art. 13-bis invece prevede, con riferimento agli altri reati disciplinati dal decreto 74 del 2000 – e cioè nei casi di utilizzo o emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta, occultamento o distruzione di documenti contabili, indebita compensazione con crediti inesistenti e sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte, di cui agli artt. 2, 3, 8, 10, 10-quater, comma 2, ed 11 – che a) l'integrale pagamento degli importi dovuti rileva ai fini della concessione di una diminuzione di pena fino alla metà (comma 1); b) il riconoscimento di tale circostanza attenuante è presupposto necessario per l'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. (comma 2). Lo stesso art. 13-bis prevede invece un aggravamento di pena quando il reato sia commesso dal correo nell'esercizio dell'attività di intermediazione fiscale, attraverso l'elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale. Confisca e sequestro per equivalente del profitto del reato
In sede di riforma è stato introdotto un nuovo art. 12-bis d.lgs. 74/2000, il quale nel primo comma ripropone il dettato normativo contenuto nell'art. 1, comma 143, della l. 244 del 2007 – che a sua volta richiamava la disposizione di cui all'art. 322-ter c.p. – in tema di confisca per equivalente: la particolare rilevanza di questo istituto, che rappresenta il principale strumento cui la giustizia penale fa ricorso per contrastare in maniera significativa il fenomeno dell'evasione fiscale, rende apprezzabile la scelta del legislatore da un lato di riformulare la norma in maniera da renderne la lettura più agevole – senza costringere l'interprete a rimandi fra diverse disposizioni presenti in vari ambiti dell'ordinamento penale – e dall'altro di disciplinare l'istituto all'interno del testo normativo che gli è proprio, ovvero nell'ambito del decreto dedicato agli illeciti tributari. Inoltre, l'intervento non si è risolto nella mera riscrittura della previgente disciplina, essendo presente anche un contenuto di novità rappresentato dall'inserimento del comma secondo che indica – in maniera eccessivamente generica e con buona dose di ottimismo verso la correttezza del contribuente già rivelatosi infedele - le modalità con cui procedere a confisca qualora il contribuente s'impegni a versare all'erario quanto da lui dovuto, così da far prevalere le pretese dell'Erario su quelle ablatorie statuali, in modo non dissimile da quanto previsto all'art. 19 del d.lgs. 231/2001 (che esclude la confisca all'ente per la parte che può essere restituita al danneggiato) e in modo coerente con la previsione della causa di non punibilità per estinzione del debito tributario. La menzionata disposizione ha evidentemente la finalità di regolamentare la sorte dei beni confisca – o sottoposti a sequestro preventivo – quando il debito tributario, che ha dato origine alla contestazione dell'evasione, sia stato nel frattempo estinto. Prima della riforma la Cassazione – stante il principio secondo cui il mantenimento del sequestro preventivo in vista della confisca nonostante l'intervento pagamento del debito tributario darebbe luogo ad un'inammissibile duplicazione sanzionatoria (Cass. pen., Sez. III, 12 luglio 2012, n. 46726; Cass. pen., Sez. VI, 17 marzo 2009, n. 26176) – aveva agevolmente individuato la chiave di soluzione della problematica, affermando che solo l'integrale pagamento del debito tributario … può condurre alla non operatività della confisca e, correlativamente, alla obliterazione del sequestro imposto a tal fine, essendo insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale ultimo titolo (ex multis, Cass. pen., Sez. III, 27 novembre 2013, n. 5681; Cass. pen., Sez. III, 16 luglio 2014, n. 37748, in Fisco, 2014, 38, 3777, con nota di SANTORIELLO, La rateizzazione degli acconti Iva non esclude la responsabilità penale per omesso versamento Iva). Questa conclusione sembrerebbe non essere più attuale considerando il contenuto del comma secondo dell'art. 12-bis, d.lgs. 74/2000 di cui sopra si è fatta menzione, laddove tale previsione pare contemplare la non operatività della confisca in caso di impegno a versare all'erario il debito di imposta formatosi a seguito dell'evasione. In proposito una recente decisione della Cassazione (Cass., sez. III, 14 gennaio 2016, n. 5728) ha evidenziato come - se può apparire ragionevole non assoggettare a sequestro chi dimostri la concreta possibilità ed intenzione di restituire l'imposta evasa, così che possa poi godere degli istituti premiali che la stessa riforma introduce e che altrimenti rischierebbe di vedersi ingiustamente preclusi - sembra irragionevole permettere al condannato di evitare la confisca semplicemente impegnandosi a versare all'erario ciò che, fino a quel momento, non ha mai versato e che presumibilmente non verserà certo dopo la pronuncia della sentenza. Ad evitare tale conseguenza, la Cassazione nella predetta decisione definisce la nozione di impegno del contribuente, sostenendo che, pur in assenza di qualsiasi indicazione normativa circa la necessità che lo stesso sia formulato o assunto mediante la formulazione di determinati atti o l'adozione di determinati comportamenti, non pare possa prescindersi dalla presentazione da parte dell'indagato di una formale istanza diretta tanto al giudice che all'amministrazione finanziaria, con la quale per l'appunto palesi tale sua intenzione. In particolare, presumibilmente dovrà richiedersi che il contribuente faccia ricorso alle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie producendo davanti all'autorità giudiziaria l'accordo in quella sede raggiunto, mentre non sarà sufficiente un impegno unilateralmente assunto dal privato (si noti come a conforto di tale soluzione sta il carattere “obbligatorio” del sequestro e della confisca, tale da non legittimare scorciatoie probatorie che consentano di eludere l'applicazione di istituti che, come si è visto, soddisfano una importante finalità di tipo sanzionatorio-ablatorio). In presenza di un tale accordo con l'erario è da ritenere che l'autorità giudiziaria procedente – se il contribuente ha già eseguito una parte del pagamento del debito tributario – ne debba tener conto per la determinazione del quantum del profitto da fare oggetto (non solo della confisca ma anche dell'antecedente) sequestro preventivo e, soprattutto, se ne dovrà tenere conto, in caso di sequestro già adottato, per la riduzione dell'importo dello stesso. In quest'ultimo caso, infatti, l'autorità giudiziaria, verificato il presupposto dell'impegno, dovrebbe procedere a ridurre il sequestro per la parte in cui all'impegno abbia fatto seguito effettivamente il pagamento del debito tributario (Cass., Sez. III, 30 aprile 2015, Giussani, inedita; Cass., Sez. III, 15 aprile 2015, n. 20887). Diversa è, invece, la situazione nel caso in cui non vi sia stata ancora la sanatoria della posizione ma sia solo intercorso un accordo [“impegno”] tra il contribuente e l'amministrazione finanziaria per la rateizzazione del debito. Tale situazione, infatti, non fa venire meno le ragioni del sequestro, potendo l'interessato solo attivarsi per ottenere, in ragione del progressivo pagamento delle rate, una doverosa riduzione della misura del sequestro per un valore corrispondente al versato, anche perché, ovviamente, non potrà comunque esservi la successiva confisca per il valore effettivamente restituito. Tale ultima conclusione, giustificante solo una progressiva riduzione del sequestro in parallelo con i pagamenti rateali, non muterebbe, in linea con la richiamata giurisprudenza, neppure nell'ipotesi in cui l'accordo per la rateizzazione sia stato accompagnato dal rilascio di una fideiussione, ove si considerino le ragioni del sequestro preventivo finalizzato alla confisca (che mira a sottrarre all'autore del reato il profitto del reato) e quelle completamente diverse che sono alla base del sequestro conservativo ex art. 316 c.p.p. (garanzia per il pagamento della pena pecuniaria e delle spese processuali, nonché per l'adempimento delle obbligazioni civili), dove invece possono trovare applicazione gli istituti della cauzione e della fideiussione. Poiché il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente si giustifica con la necessità di sottrarre alla disponibilità dell'imputato una somma pari a quella del profitto, per impedire che l'autore del reato continui ad usufruire di quello che è stato il profitto del reato, tale scopo non potrebbe essere raggiunto con la fideiussione, in quanto tale garanzia lascerebbe il patrimonio dell'imputato invariato perché ad essere sottoposto a sequestro finirebbe denaro del garante, con effetti non satisfattivi della finalità della misura cautelare. I problemi di maggior spessore, tuttavia la disposizione in commento li presenta con riferimento alla possibile sussistenza di un termine finale entro il quale l'indagato può formulare il suo impegno all'adempimento del debito tributario. Si è detto infatti che, pacificamente, l'avvenuta integrale sanatoria della posizione debitoria fa venire meno lo scopo della confisca escludendone l'applicazione - mentre non impedisce l'adozione del sequestro preventivo, se non in termini di riduzione dello stesso, in caso di pagamento parziale –; tuttavia, la norma in discorso sembra precludere la possibilità di far ricorso al provvedimento ablatorio non solo quando vi è stato il versamento dell'imposta evasa ma anche in presenza di un mero impegno del contribuente a versare il dovuto e ciò sembrerebbe, considerato che non è espressamente previsto un termine entro cui il contribuente possa formalizzare questo impegno, che il giudice debba astenersi dal disporre la relativa confisca ogni qualvolta l'indagato, in un qualsiasi momento, acceda ad un accordo con l'amministrazione finanziaria. In alcuni uffici giudiziari si è proposto di interpretare la norma in parola nel senso che la stessa non impedirebbe l'adozione del provvedimento di confisca [che è tra l'altro obbligatorio: è sempre ordinata la confisca…], ma prevederebbe solo che questa non operi in presenza dell'impegno del contribuente a pagare: ergo, l'impegno può riflettersi non sull'adozione del provvedimento [obbligatorio] di confisca ma solo sugli effetti di questa (Procura della Repubblica di Trento, circolare del 7 ottobre 2015). In sostanza, il giudice, pur in presenza di un impegno del contribuente a pagare, sarebbe impedito dall'adottare la confisca solo in presenza di un pagamento effettivo e completo, mentre in presenza di un impegno non seguito dal pagamento integrale, il giudice potrebbe e dovrebbe adottare il provvedimento di confisca, solo semmai limitato nel quantum a fronte di un pagamento rateale. L'impegno del contribuente, del resto, addirittura potrebbe intervenire dopo la decisione di merito - contenente anche la pronuncia sulla confisca - e solo in fase esecutiva, dovendo, nel caso, essere sottoposto al giudice dell'esecuzione, ai fini dell'eventuale revoca o riduzione della confisca ex art. 676 c.p.p. |