Responsabilità dei soci di società di persone per le obbligazioni sociali

Fabio Signorelli
26 Giugno 2017

Nella società di persone i creditori sociali possono far valere le loro pretese non solo sul patrimonio sociale ma anche sul patrimonio personale dei soci i quali rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte (artt. 2267, comma 1 e 2291, comma 1, c.c.).
Inquadramento

Nella società di persone i creditori sociali possono far valere le loro pretese non solo sul patrimonio sociale ma anche sul patrimonio personale dei soci i quali rispondono illimitatamente e solidalmente per le obbligazioni sociali rimaste insoddisfatte (artt. 2267, comma 1 e 2291, comma 1, c.c.). Tuttavia, il principio appena enunciato può essere esplicitato anche affermando che nelle società di persone (ed, in particolare: società semplice e società in nome collettivo), delle obbligazioni sociali risponde innanzitutto la società con il suo patrimonio (garanzia primaria) e, in caso d'incapienza di quest'ultimo, anche i soci illimitatamente e solidalmente (garanzia sussidiaria).

La società in accomandita semplice, come noto, è caratterizzata dalla presenza di soci accomandatari illimitatamente responsabili e soci accomandanti responsabili limitatamente alla quota conferita, alla quale, si applicano, a seguito del rinvio operato dall'art. 2315 c.c., le disposizioni della società in nome collettivo (e, per rinvio dell'art. 2293 c.c., le norme della società semplice), in quanto compatibili con le norme specifiche previste per l'accomandita semplice.

Mentre nelle società in nome collettivo la responsabilità illimitata e solidale dei soci non è derogabile né opponibile ai terzi (2291, comma 2, c.c.), la relativa disciplina è applicata con minor rigore nelle società semplici, per le quali è previsto che per le obbligazioni sociali rispondono anche personalmente e solidalmente i soci che hanno agito in nome e per conto della società e, salvo patto contrario, gli altri soci (art. 2267, comma 1, c.c.). Il minor grado d'imperatività si giustifica perché la società semplice può essere costituita solo per l'esercizio di attività diverse dalle attività commerciali (art. 2249 c.c.) con evidente minor allarme sociale in caso di suo dissesto, stante il limitato coinvolgimento, almeno astrattamente e così come l'esperienza insegna, del ceto creditorio. La responsabilità personale dei soci riguarda non solo le obbligazioni contrattuali ma anche quelle extracontrattuali sia da fatto illecito sia da ogni altra obbligazione extracontrattuale come, per esempio, i debiti di natura tributaria e previdenziale.

La responsabilità illimitata e solidale dei soci per le obbligazioni sociali rappresenta il bilanciamento di opposte esigenze: da una parte le società di persone che, normalmente, non sono dotate di capitale di rischio e, dall'altra, i creditori sociali che, diversamente, sarebbero sprovvisti di qualsiasi garanzia nei confronti dei loro debitori, potenziando, in tal modo, la garanzia generale delle obbligazioni contratte dalla società attraverso il patrimonio individuale dei soci.

Responsabilità per le obbligazioni sociali

Mentre nelle società in nome collettivo la responsabilità illimitata e solidale dei soci appare essenziale e connaturata al tipo di società e l'(eventuale) patto contrario non è mai opponibile ai terzi, nella società semplice la legge prevede la possibilità, a certe condizioni ed entro certi limiti, di escludere la responsabilità illimitata e/o il vincolo di solidarietà per alcuni soci. Innanzitutto è bene sottolineare che tale limitazione convenzionale della responsabilità può riguardare soltanto i soci che non hanno agito in nome e per conto della società e ha effetto nei confronti dei terzi se debitamente pubblicizzata. In passato si è molto discusso quali fossero i mezzi idonei per rendere il fatto opponibile ai terzi, ma dalla promulgazione della l. 29 dicembre 1993, n. 580 (in particolare l'art. 8) che ha previsto l'iscrizione nel Registro delle Imprese delle società semplici (anche se con il limitato effetto di pubblicità notizia, fatta eccezione per le società semplici agricole per le quali la pubblicità è dichiarativa), tale onere può dirsi pacificamente assolto con l'iscrizione nel predetto Registro delle Imprese. In mancanza della pubblicità, la limitazione della responsabilità o l'esclusione della solidarietà non è opponibile a coloro che non ne hanno avuto conoscenza (art. 2267, comma 2, c.c.).

Va qui sciolto un nodo interpretativo perché una lettura letterale dell'art. 2267, comma 1, c.c. ed, in particolare, l'espressione “i soci che hanno agito in nome e per conto della società”, sembrerebbe far ritenere che la predetta limitazione di responsabilità riguardi solo i soci che non abbiano compiuto atti di gestione esterna mentre sarebbe valida nei confronti dei soci che, pur amministratori, abbiano compiuto solo atti di amministrazione interna. La questione di fondo, dunque, riguarda la vera portata del “patto contrario” se, cioè, la limitazione della responsabilità è applicabile a tutti gli altri soci, fatta eccezione per quelli che hanno agito in nome e per conto della società, oppure solo ai soci non amministratori.

La società semplice con limitazione di responsabilità dei soci che non hanno agito in nome e per conto della società offre un interessante parallelismo con la società in accomandita semplice, che, come noto, è caratterizzata dalla presenza di soci accomandatari, illimitatamente e solidalmente responsabili, e soci accomandanti che godono del beneficio della limitazione di responsabilità a patto che non violino il divieto d'immistione (art. 2320 c.c.). Tuttavia, è bene sottolineare che se l'art. 2320 c.c. vieta il compimento di “atti di amministrazione”, l'art. 2267 c.c. prevede la responsabilità illimitata e solidale dei “soci che hanno agito in nome e per conto della società”, con ciò riferendosi, tipicamente, all'attività di rappresentanza esterna (art. 1388 c.c.). In tal modo, una parte della dottrina è giunta alla conclusione che, nella società semplice, appare inderogabile solo la responsabilità illimitata dei soci che agiscono quali rappresentanti esterni della società, concludendo per la limitazione del patto di responsabilità anche nei confronti dei soci amministratori (purché, naturalmente, non abbiano agito all'esterno). Tuttavia, secondo un'altra parte della dottrina, tale conclusione, seppur letteralmente corretta, appare incongrua perché spezza, nella società semplice, quella correlazione fra potere di direzione e rischio d'impresa, che è fondamentale nelle società di persone, giungendo, così, alla conclusione che per soci “che hanno agito in nome e per conto della società” debbano intendersi i soci che, in qualunque modo, abbiano partecipato al compimento degli affari sociali, anche limitandosi a deliberarli, e senza agire all'esterno quali rappresentanti della società (Galgano, Trattato di diritto civile, Padova, 2015, IV, 118; della stessa opinione: Forti, Gli obblighi cui è tenuto il socio, in Preite (diretto da), Trattato società di persone, Torino, 2015, I, 365).

Escussione preventiva del patrimonio sociale

I creditori sociali possono trovare soddisfazione sul patrimonio sociale e sui patrimoni personali dei singoli soci illimitatamente responsabili. Tuttavia il meccanismo legale che governa tale responsabilità distingue la responsabilità della società da quella dei soci, sancendo in modo concreto l'autonomia patrimoniale delle società di persone. E' già stato chiarito che i soci illimitatamente responsabili sono tra loro obbligati solidalmente per l'intero, con la conseguenza che al socio o ai soci che dovessero onorare le obbligazioni sociali è riconosciuto il diritto di regresso nei confronti degli altri soci rimasti inermi in ragione della parte di ciascuno nelle perdite (artt. 1298 e 2263 c.c.). I soci illimitatamente responsabili per le obbligazioni sociali sono tali, tuttavia, in via sussidiaria nei confronti della società perché essi godono del beneficium excussionis, cioè del beneficio della preventiva escussione del patrimonio sociale (artt. 2268 e 2304 c.c.), secondo il quale i creditori sociali devono preventivamente escutere il patrimonio sociale e solo qualora quest'ultimo risulti in tutto o in parte incapiente possono aggredire anche il patrimonio personale. Tuttavia, è bene precisare subito che il predetto beneficium excussionis si atteggia diversamente a seconda che si tratti di società semplice oppure di società in nome collettivo.

Nella società semplice il socio richiesto del pagamento di debiti sociali può domandare, anche se la società è in liquidazione, la preventiva escussione del patrimonio sociale, indicando i beni sui quali il creditore possa agevolmente soddisfarsi (art. 2268 c.c.). Il creditore può, dunque, rivolgersi direttamente al singolo socio illimitatamente responsabile e dovrà essere quest'ultimo, se vorrà resistere all'azione, ad indicare i beni sociali di facile realizzazione, con ciò intendendosi beni di pronta e facile liquidazione, quali denaro, crediti, mobili ma non immobili tenuto conto delle lungaggini e dei costi delle procedure esecutive immobiliari (Cass., 6 marzo 1980, n. 1505, in Giust. civ. Mass., 1980, fasc. 3; Cass., 21 giugno 1972, n. 2015, in Dir. fall., 1973, II, 100). Tale impianto normativo sembra giustificarsi alla luce del fatto che la società semplice non sia tenuta a redigere un vero e proprio bilancio d'esercizio attraverso il quale i creditori sociali possano avere un quadro, seppur indicativo, della consistenza patrimoniale della società.

Nella società in nome collettivo il beneficium excussionis è certamente più intenso perché i creditori sociali, anche se la società è in liquidazione, non possono pretendere il pagamento dai singoli soci, se non dopo l'escussione del patrimonio sociale (art. 2304 c.c.). Il beneficio d'escussione si atteggia, quindi, quale condizione di procedibilità dell'azione esecutiva contro il socio (Campobasso, Diritto commerciale, Torino, 2015, II, 84). Giurisprudenza assolutamente consolidata ha precisato che il beneficio d'escussione previsto dall'art. 2304 c.c. ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva.

In evidenza: il beneficio d'escussione (Cass. 16 giugno 2016, n. 12494)

Il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società, ma ciò non impedisce allo stesso creditore d'agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest'ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito.

Tuttavia, la preventiva escussione del patrimonio sociale, richiesta dall'art. 2304 c.c. perché il creditore di una società in nome collettivo possa pretendere il pagamento dei singoli soci illimitatamente responsabili, non comporta la necessità per il creditore di sperimentare in ogni caso l'azione esecutiva sul patrimonio della società, quando risulti aliunde dimostrata in modo certo l'insufficienza del patrimonio per la realizzazione del credito (Cass., 13 marzo 1987, n. 2647; Cass., 20 settembre 1984, n. 4810, in Giur. comm., 1986, II, 282). Molto si è discusso anche recentemente sulla natura giuridica della responsabilità personale dei soci, se tale responsabilità sia, cioè, per debito proprio o per debito altrui. Diverse sono, ovviamente, le conseguenze che ne derivano. Al fine di sopire il contrasto giurisprudenziale in seno alla stessa Corte di Cassazione, quest'ultima, a sezioni unite, ha (definitivamente) stabilito che la responsabilità illimitata del socio illimitatamente responsabile di una società di persone per le obbligazioni sociali trae origine dalla sua qualità di socio e si configura come personale e diretta, anche se con carattere di sussidiarietà in relazione al preventivo obbligo di escussione del patrimonio sociale; pertanto, l'atto con cui il socio illimitatamente responsabile di una società in nome collettivo rilascia garanzia ipotecaria per un debito della società non può considerarsi costitutivo di garanzia per un'obbligazione altrui, ma per un'obbligazione propria (Cass., Sez. Un., 16 febbraio 2015, n. 3022, in Giur. comm., 2016, II, 978, con nota di Carbonara).

Responsabilità del nuovo socio

Chi entra a far parte di una società già costituita risponde con gli altri soci per le obbligazioni sociali anteriori all'acquisto della qualità di socio (art. 2269 c.c.). Questo principio non fa altro che ribadire quello generale previsto dall'art. 2267 c.c. ma, nel contempo, chiarisce che nessuna limitazione di responsabilità è applicabile al nuovo socio per il semplice fatto che le obbligazioni sociali erano state assunte prima del suo ingresso nella compagine sociale. La legge ha voluto, così, equiparare il nuovo socio a tutti gli altri soci, sulla base di un principio egualitario esistente tra i soci rispetto all'attività e al patrimonio sociale, con la conseguenza che il nuovo socio risponde delle obbligazioni sociali come se fosse stato parte della società fin dall'origine. Ma sulla base del predetto principio egualitario è altresì possibile affermare che se il nuovo socio non riveste la qualità di amministratore, può, al pari degli altri soci non amministratori, escludere la sua responsabilità personale per le obbligazioni sociali, ivi comprese le obbligazioni precedenti e sempre che il patto sia stato portato a conoscenza dei terzi con mezzi idonei. Diversamente, il nuovo socio subirebbe un trattamento peggiore e diverso da quello riservato ai vecchi soci, che non avrebbe alcuna ragione (Ferrara-Corsi, Gli imprenditori e le società, Milano, 2011, 218 e ss.).

La responsabilità del nuovo socio sorge automaticamente per il solo suo ingresso nella società, prescindendo dalle modalità d'ingresso: sia per cessione di quote sociali, in sostituzione di uno o più soci uscenti, così aggiungendosi alla responsabilità del nuovo socio quella del socio uscente (art. 2290 c.c.), sia per ingresso di un nuovo socio che si va ad aggiungere agli altri soci. Sui generis è l'ingresso in società del nuovo socio in qualità di erede del socio defunto e l'eredità sia stata accettata con beneficio d'inventario. E' bene precisare subito che la regola generale in caso di morte del socio è quella prevista dall'art. 2284 c.c. che stabilisce, in primis, che, salva contraria disposizione del contratto sociale (anche sono considerate nulle le c.d. clausole di consolidamento), i soci superstiti devono liquidare la quota agli eredi, a meno che preferiscano sciogliere la società ovvero continuarla con gli eredi stessi e questi vi acconsentano. In quest'ultima ipotesi, qualora, appunto, l'eredità fosse stata accettata con beneficio d'inventario, si palesa immediatamente un contrasto tra normativa successoria e normativa societaria. Infatti la prima prevede che, in caso di accettazione dell'eredità con beneficio d'inventario l'erede non è tenuto al pagamento dei debiti ereditari e dei legati oltre il valore dei beni a lui pervenuti (art. 490, n. 2, c.c.), mentre la seconda prevede la responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (anche) precedenti alla sua acquisizione della qualità di socio (art. 2269 c.c.). Il contrasto, tuttavia, è solo apparente perché, in realtà, nella misura in cui, come visto, la regola generale in caso di morte del socio prevede che la quota sia liquidata agli eredi, qualora l'erede decidesse, con l'accordo dei soci superstiti, di continuare l'avventura sociale, egli risponderà secondo le regole proprie del diritto societario e, in particolare, secondo quanto disposto dall'art. 2269 c.c. perché, in tal caso, avrebbe assunto una responsabilità come socio e non più (solo) come erede (seppur con riferimento a minori: Cass., 11 luglio 1988, n. 4561; Cass., 15 maggio 1984, n. 2936, in Giur. comm., 1984, II, 333).

Creditori particolari del socio e divieto di compensazione

Poiché le società di persone, come noto, pur non acquisendo personalità giuridica e non avendo, dunque, autonomia patrimoniale perfetta, sono comunque autonomi centri d'imputazione giuridica e sono soggetti diversi dai soci, è assolutamente normale che la legge vieti la compensazione tra il debito che un terzo ha verso la società e il credito che egli ha verso un socio (art. 2271 c.c.). E' altrettanto noto che la compensazione è una modalità di estinzione delle obbligazioni diversa dall'adempimento ma opera tra gli stessi soggetti che sono contemporaneamente creditori e debitori ma, nel caso di specie, i soggetti sono tre (debitore sociale, società e socio) e, quindi, la norma sembra piuttosto vietare una delegazione con effetti privativi per il debitore della società (art. 1268 c.c.), cioè impedire alla società di liberare il suo debitore accettando il socio come nuovo debitore delegato (Cottino-Weigmann, La società semplice, in Cottino-Sarale-Weigmann, Società di persone e consorzi, in Cottino (diretto da) Trattato di diritto commerciale, Padova, 2004, III, 126 e ss.). Su tali presupposti ed, in particolare, sull'insensibilità del patrimonio sociale alle pretese dei creditori particolari dei soci, questi ultimi, finché dura la società, possono far valere i loro diritti sugli utili spettanti al debitore e compiere atti conservativi sulla quota spettante a quest'ultimo nella liquidazione (art. 2270, comma 1, c.c.). Poiché le società di persone si basano, di norma, sull'intuitus personae, così come non è consentita la cessione delle quote sociali senza il consenso unanime di tutti gli altri soci (art. 2252 c.c.), parimenti non è consentita nemmeno l'espropriazione forzata delle quote sociali perché, in tal modo, si potrebbe, anche surrettiziamente, sostituire un socio con un altro senza il predetto consenso unanime, imponendo un “compagno di viaggio” non gradito alla compagine sociale. Tuttavia, se si nega l'espropriazione forzata della quota sociale, il primo comma dell'art. 2270 c.c. rappresenta davvero ben poca cosa, atteso il fatto che il sequestro ivi consentito rappresenta soltanto l'anticipazione del pignoramento e la successiva vendita all'asta della quota. Meccanismo che, tuttavia, non porta a nulla perché nel momento in cui avviene la pubblicazione della sentenza di condanna esecutiva, favorevole per il creditore sequestrante, il sequestro conservativo si converte automaticamente in pignoramento (art. 686 c.p.c.), anche se, secondo la giurisprudenza più recente, gli effetti di tale conversione verificano ex nunc e non in maniera retroattiva alla data del sequestro, proprio al fine di evitare un'alterazione della struttura del provvedimento cautelare.

Dunque, l'unica vera arma a disposizione del creditore particolare del socio è la possibilità di richiedere la liquidazione della quota, senza, in tal modo, aggredire il patrimonio sociale. Tuttavia, bisogna distinguere tra società semplice e società in nome collettivo. Nella prima, l'art. 2270, comma 2, c.c., prevede che se gli altri beni del debitore sono insufficienti a soddisfare i suoi crediti, il creditore particolare del socio può chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore, la quale deve essere liquidata entro tre mesi dalla domanda, salvo che sia deliberato lo scioglimento della società. Nelle società in nome collettivo l'art. 2305 c.c. prevede, invece, il divieto di chiedere la liquidazione della quota del proprio debitore. Tale divieto subisce, tuttavia, un temperamento perché che non opera nel caso di proroga della società, che può essere espressa ed, in tal caso, il creditore può opporsi entro tre mesi dall'iscrizione della deliberazione nel registro delle Imprese, citando in giudizio la società, con tutte le lungaggini del caso; oppure può essere tacita ma, in tal caso, si applica direttamente l'art. 2270, comma 2, c.c. (richiamato espressamente dall'art. 2307, comma 3, c.c.), potendo il creditore particolare del socio chiedere in ogni tempo la liquidazione della quota del suo debitore.

Riferimenti

Normativi

  • artt. 490, n. 2), 1268, 1298, 1388, 2249, 2252, 2263, 2267-2271, 2284, 2290, 2291, 2293, 2304, 2305, 2307, 2315, 2320, c.c.;
  • art. 686 c.p.c.;
  • art. 8, l. 29 dicembre 1993, n. 580.
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