Intercettazioni e chat su Sky-ECC: le Sezioni Unite fanno prevalere la ragion di Stato sullo Stato di diritto

02 Luglio 2024

Le motivazioni delle due sentenze “gemelle” delle Sezioni Unite sulla vicenda Sky-ECC svelano le ragioni per cui le intercettazioni e le chat acquisite oltralpe sono utilizzabili in Italia: ma, anziché risolvere le questioni, le due pronunce sollevano inquietanti interrogativi sulla tenuta dell'equo processo e sul rispetto dei diritti fondamentali della persona.

Premessa

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno depositato le motivazioni di due sentenze (n. 23755/2024 e 23756/2024), emesse in due distinti procedimenti ma riguardanti il medesimo problema dell'utilizzabilità in Italia dei risultati di intercettazioni e acquisizioni di chat, disposte dall'autorità giudiziaria francese in un procedimento penale ivi pendente ed acquisite in Italia con ordine europeo di indagine.

Le molteplici questioni erano state devolute dalla stessa suprema Corte alle Sezioni Unite per il contrasto che si era creato tra le sezioni della stessa Corte.

Le Sezioni Unite hanno risolto il contrasto, con le due sentenze “gemelle” pronunciate nella stessa data del 29.2.2024, affermando alcuni principi di diritto, che tuttavia non paiono risolvere tutti i dubbi e che probabilmente daranno luogo a nuove questioni.

L'acquisizione in Italia con ordine europeo di indagine delle chat francesi

In particolare, le S.U. n. 23755/2024 si sono interessate della legittimità ed utilizzabilità in Italia delle chat acquisite in Francia e trasmesse in Italia con ordine europeo di indagine, affermando i seguenti principi:

«La trasmissione, richiesta con ordine europeo di indagine, del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 234-bis c.p.p., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, bensì nella disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p.».

«In materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle».

«L'emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere il contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria a norma dell'art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione, nella disciplina nazionale relativa alla circolazione delle prove, non è richiesta per conseguire la disponibilità del contenuto di comunicazioni già acquisite in altro procedimento».

«La disciplina di cui all'art. 132 d.lgs. n. 196/2003, relativa all'acquisizione dei dati concernenti il traffico di comunicazioni elettroniche e l'ubicazione dei dispositivi utilizzati, si applica alle richieste rivolte ai fornitori del servizio, ma non anche a quelle dirette ad altra autorità giudiziaria che già detenga tali dati, sicché, in questo caso, il pubblico ministero può legittimamente accedere agli stessi senza chiedere preventiva autorizzazione al giudice davanti al quale intende utilizzarli».

«L 'utilizzabilità del contenuto di comunicazioni scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria estera ln un procedimento penale pendente davanti ad essa, e trasmesse sulla base di ordine europeo di indagine, deve essere esclusa se il giudice italiano rileva che il loro impiego determinerebbe una violazione dei diritti fondamentali, fermo restando che l'onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata».

«L'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema dl comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente».

L'acquisizione in Italia con ordine europeo di indagine delle intercettazioni francesi

Le Sezioni Unite n. 23756/2024 si sono interessate in particolare della legittimità ed utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni disposte nel procedimento francese e trasmesse in Italia con ordine europeo di indagine.

«In materia di ordine europeo di indagine, l'acquisizione dei risultati di intercettazioni disposte da un'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 234-bis c.p.p., che opera al di fuori delle ipotesi di collaborazione tra autorità giudiziarie, ma è assoggettata alla disciplina di cui all'art. 270 c.p.p.».

«In materia di ordine europeo di indagine, le prove già in possesso delle autorità competenti dello Stato di esecuzione possono essere legittimamente richieste ed acquisite dal pubblico ministero italiano senza la necessità di preventiva autorizzazione da parte del giudice del procedimento nel quale si intende utilizzarle».

«L'emissione, da parte del pubblico ministero, di ordine europeo di indagine diretto ad ottenere i risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate attraverso l'inserimento di un captatore informatico sui server di una piattaforma criptata, è ammissibile, perché attiene ad esiti investigativi ottenuti con modalità compatibili con l'ordinamento italiano, e non deve essere preceduta da autorizzazione del giudice italiano, quale condizione necessaria ex art. 6 Direttiva 2014/41/UE, perché tale autorizzazione non è richiesta nella disciplina nazionale»

«L'utilizzabilità dei risultati di intercettazioni disposte da un 'autorità giudiziaria straniera in un procedimento penale pendente davanti ad essa, ed effettuate su una piattaforma informatica criptata e su criptofonini, deve essere esclusa se il giudice del procedimento nel quale dette risultanze istruttorie vengono acquisite rileva che, in relazione ad esse, si sia verificata la violazione del diritti fondamentali, fermo restando che l'onere di allegare e provare i fatti da cui inferire tale violazione grava sulla parte interessata».

«L 'impossibilità per la difesa di accedere all'algoritmo utilizzato nell'ambito di un sistema di comunicazioni per criptare il testo delle stesse non determina una violazione dei diritti fondamentali, dovendo escludersi, salvo specifiche allegazioni di segno contrario, il pericolo di alterazione dei dati in quanto il contenuto di ciascun messaggio è inscindibilmente abbinato alla sua chiave di cifratura, ed una chiave errata non ha alcuna possibilità di decriptarlo anche solo parzialmente».

Considerazioni critiche

Le sentenze “gemelle” delle Sezioni Unite suscitano alcune perplessità sotto diversi punti di vista.

Relativamente alle chat scambiate mediante criptofonini, già acquisite e decrittate dall'autorità giudiziaria francese in un procedimento penale pendente davanti ad essa e trasmesse in Italia, con ordine europeo di indagine, le Sezioni Unite riconoscono che non si tratta di acquisizione di documenti informatici ex art. 234-bis c.p.p. ma che deve trovare applicazione la disciplina relativa alla circolazione delle prove tra procedimenti penali, quale desumibile dagli artt. 238 e 270 c.p.p. e 78 disp. att. c.p.p.

In realtà, finché la comunicazione non è stata letta dal destinatario, deve ritenersi in corso e quindi può essere oggetto di intercettazione; una volta che il destinatario ne ha preso conoscenza, pur conservando il carattere della corrispondenza, come affermato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 170/2023, e quindi la tutela ex art. 15 Cost., può essere oggetto di sequestro, ma con la doppia garanzia della riserva di legge e di giurisdizione.

Invece, le Sezioni Unite infliggono un vulnus micidiale alla garanzia della giurisdizionalità e del diritto di difesa: le sentenze “gemelle” fanno arretrare di decenni la fondamentale garanzia della riserva di giurisdizione perché interpretano la locuzione “autorità giudiziaria” dell'art. 15 Cost. come riferita anche al pubblico ministero, come si interpretava in passato, mentre è ormai pacifico che la garanzia della riserva di giurisdizione, come dice il nome, è riservata al giudice. Infatti, la Corte costituzionale da sempre interpreta la garanzia della riserva di giurisdizione come riferita al giudice: C. cost., n. 2/2023, ha riconosciuto che la tutela della libertà e della segretezza delle comunicazioni si connota per la "riserva di giurisdizione", da intendersi come «vaglio dell'autorità giurisdizionale  associato alla garanzia del contraddittorio, alla possibile contestazione dei presupposti applicativi della misura, della sua eccessività e proporzione, e, in ultima analisi, consente il pieno dispiegarsi allo stesso diritto di difesa». E, in precedenza, la sentenza n. 127/2022 aveva già precisato che l'«impiego della forza per restringere la capacità di disporre del proprio corpo, purché ciò avvenga in misura non del tutto trascurabile e momentanea (sentenze n. 30/1962 e n. 13/1972), è quindi precluso alla legge dalla lettera stessa dell'art. 13 Cost., se non interviene il giudice, la cui posizione di indipendenza e imparzialità assicura che non siano commessi arbitri in danno delle persone». Ancora la Consulta ha ammonito sull'obbligo costituzionale, gravante sull'ordinamento, di assicurare «garanzie giurisdizionali entro le istituzioni preposte all'esecuzione delle misure restrittive della libertà personale» (C. cost. n. 26/1999).

In particolare, riguardo alle intercettazioni, le Sezioni Unite riconoscono che in Francia si è proceduto all'intercettazione, non di singole utenze, ma addirittura inoculando un virus trojan sia nell'internet service provider, sia nei singoli dispositivi degli utenti, captando tutte le comunicazioni ivi transitanti con una vera e propria intercettazione massiva di tutte le comunicazioni: nel momento in cui è stata violata, Sky Ecc aveva complessivamente, nel mondo, oltre 170 mila utenti, di cui circa 70mila in Europa e 12-15mila in Italia, mentre le chat che le polizie hanno intercettato sono state oltre 80 milioni. In Francia quindi sono state eseguite intercettazioni massive di tutte le comunicazioni ivi transitanti.

Inoltre, si è utilizzata l'intercettazione non per i fini, suoi propri, di captazione della comunicazione, ma di decriptazione delle comunicazioni non in chiaro: un impiego quindi dello strumento d'intercettazione non ammesso dal sistema processuale italiano e tanto meno dall'equo processo.

Le comunicazioni sono state decriptate con un algoritmo sconosciuto e coperto in Francia dal segreto di Stato e quindi ignoto al giudice italiano ed alle parti. È così impossibile in Italia conoscere le modalità di acquisizione della prova in Francia perché vi è stato apposto il segreto di Stato.

La prova consegnata dalla Francia consiste in una compilation di comunicazioni, selezionate dalla polizia giudiziaria e dal pubblico ministero d'oltralpe, senza che la difesa abbia avuto prima o abbia tuttora la possibilità di verificare se sono state consegnate tutte le comunicazioni riguardanti i fatti di cui all'imputazione e se possano eventualmente essercene altre utili per la difesa e che l'accusa ha invece ritenuto irrilevanti.

In definitiva, il processo penale è tornato al Medioevo: nella civilissima Francia si è proceduto all'impiego del trojan sul server, anziché sulla singola utenza, e quindi ad intercettazioni di massa, che sono inammissibili nel nostro ordinamento. 

È di fatto impraticabile in Italia qualsiasi garanzia difensiva, quale quella di esaminare i verbali e le registrazioni del procedimento francese in cui le intercettazioni furono autorizzate e di conseguenza è impossibile la c.d. “udienza stralcio” e tanto meno la partecipazione, con l'ausilio di un consulente tecnico, alle già eseguite operazioni peritali di decriptazione, eventuale traduzione, trascrizione e conservazione delle comunicazioni intercettate.

Si tratta di modalità acquisitive della prova tutte irrispettose della riserva di giurisdizione, del contraddittorio e del diritto di difesa e quindi dell'equo processo.

Insomma, le Sezioni Unite ammettono in Italia una prova a genesi sconosciuta, non solo alle parti ma allo stesso giudice. È vero che vale la presunzione relativa di legittimità degli atti acquisiti in un processo di un altro Stato europeo, ma in materia di diritti fondamentali dell'uomo non sono ammessi atti fideistici. Non possiamo non diffidare della presunzione assoluta basata sull'infallibilità dell'algoritmo. E immaginiamo già cosa accadrà con l'avvento dell'intelligenza artificiale.

Ora le Sezioni Unite si sono prese la responsabilità di affermare che una prova tecnica che non può essere né verificata, nè falsificata dal giudice può essere però posta a base di una condanna penale.

Non possiamo non domandarci se l'equo processo ammetta una prova acquisita all'estero con una procedura incontrollabile dal giudice italiano e dalle parti: come si può condannare sulla base di una prova proveniente da uno Stato estero che ci tiene nascoste le modalità di acquisizione perché coperte dal segreto di Stato?

Non possiamo non domandarci se l'equo processo consenta una prova costituita da intercettazioni e acquisizione di dati operata da un'autorità giudiziaria straniera con lesione dei diritti fondamentali dell'uomo.

La ragion di Stato e la punizione dei sospetti hanno prevalso sulle regole del processo: e pensare che già dal 533 d.C. Giustiniano affermava nel Digesto che è meglio che il giudice accetti il rischio di assolvere un colpevole piuttosto che quello di condannare un innocente.

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