L’interdittiva antimafia nell’alveo della sanzione penale?
Ferdinando Brizzi
19 Agosto 2024
La Corte Europea dei diritti dell'uomo si pronuncerà in tema di interdittiva antimafia prevista dal d.lgs. n. 159/2011, ma ha già sollecitato il Governo italiano a fornire delucidazioni sull'interpretazione giudiziale delle norme che la regolano.
La Corte EDU s'interroga sulla compatibilità del d.lgs. 159/2011 alla Convenzione europea
Ampia risonanza ha avuto sulle pubblicazioni giuridiche, e non solo, la c.d. vicenda Cavallotti, approdata alla Corte Europea dei diritti dell'Uomo (Corte EDU) per verificare la conformità del complessivo sistema delle misure di prevenzione previste dal Dlgs. 159/2011 alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Assai recentemente proprio su questa Rivista sono state riportate le assai perspicue domande rivolte dalla CEDU al Governo italiano nella vicenda Cavallotti: Corte EDU, sez. I, 28 agosto 2023 (Brizzi e Capecchi, Il recepimento italiano del regolamento europeo sul riconoscimento reciproco dei provvedimenti di congelamento e confisca).
Una in particolare merita di essere qui ripresa: «Tenuto conto della qualificazione del provvedimento impugnato secondo il diritto e la giurisprudenza interna (si confronti, inter alia, Corte di cassazione, sentenze 3 luglio1996, n. 18, 8 gennaio 2006, n. 57, 4880 del 2 febbraio 2015; contra, sentenza n. 14044 del 25 marzo 2013; v. anche, inter alia, Corte costituzionale, sentenze 9 febbraio 2012, n. 21, e 24 febbraio 2019, n. 24), la sua natura e il suo scopo, le procedure coinvolte nella sua realizzazione ed attuazione e la sua gravità, hanno comportato la confisca dei beni dei ricorrenti ai sensi dell'articolo 24 decreto n. 159/2011 costituisce una "sanzione" penale ai sensi dell'articolo 7 § 1 della Convenzione (cfr. A. contro A. Italia (dicembre), n. 52024/99 , § 2, CEDU 2001-VII, C. e C. c. Italia , n. 24920/07 , § 37 del 17maggio 2011, G. e altri c. Georgia , no. 36862/05, § 121, 12 maggio 2015, e, mutatis mutandis, B. c. 36862/05, § 121, 12 maggio 2015; San Marino, nn. 20319/17 e21414/17, § 58 e segg., 8 ottobre 2019, e G.SRL e altri c. Italia [GC], nn. 1828/06 e altri2, §§ 214 e segg., 28 giugno 2018)? In tal caso, se vi sia stata violazione dell'articolo 7 della Convenzione a causa del provvedimento di confisca nonostante l'assoluzione del primo gruppo di ricorrenti dall'accusa di partecipazione ad un'organizzazione criminale di tipo mafioso (v. G.SRL e altri, cit. sopra, § 251)? »
Eppure, già prima di questa vicenda la Corte EDU aveva rivolto al Governo italiano analoghe domande rispetto sempre al d.lgs. n. 159/2011, questa volta però in tema di interdittive antimafia, nella vicenda Geocostruzioni contro l'Italia con richiesta interlocutoria pubblicata il 20 giugno 2022.
Di queste domande una merita particolare attenzione nella prospettiva penalistica: les normes appliquées en l'espèce, à savoir les articles 84, § 4, let. d) et e), 89 bis et 91, § 6, du décret législatif no 159 de 2011, constituaient-elles une base légale suffisamment accessible, claire et prévisible (voir, mutatis mutandis, De Tommaso c. Italie [GC], no 43395/09, §§ 106-109 et 115-127, 23 février 2017)? L'interprétation judiciaire desdites normes était-elle suffisamment claire et cohérente (voir, par ex., les arrêts du Conseil d'État nos 570/2014, 3088/2015, 1743/2016, 2774/2016, 3009/2016, 3754/2016 et, plus récemment, les arrêts nos 6105/2019 et 820/2020)?
In buona sostanza, la Corte EDU chiede al Governo italiano di specificare se le norme che regolano la cd. interdittiva antimafia costituiscano una base legale sufficientemente accessibile, chiara e, soprattutto prevedibile, alla luce di quanto previsto nella nota sentenza De Tommaso: e soprattutto di chiarire se l'interpretazione giurisprudenziale delle norme che regolano l'interdittiva antimafia sia, allo stesso modo, sufficientemente chiara e coerente.
Il precedente della sentenza De Tommaso
Nella sentenza De Tommaso la Corte EDU aveva preso innanzitutto in esame la censura del ricorrente relativa al tessuto normativo che disciplina le misure in parola, disciplina che non consente di prevedere in modo preciso quali siano (o possano essere) i soggetti a cui le misure sono applicabili. La fattispecie in esame riguarda un caso di pericolosità “generica”, prevista come condizione di irrogazione di misure di prevenzione dalla legge n. 1423/1956 (ora art. 1 d.lgs. n. 159/2011). La pericolosità, ancorché dalla legge ancorata a “fatti”, non appare sufficientemente determinata in relazione alla indicazione dei presupposti, non essendo oggetto di indicazione circostanziata i fatti cui ancorare la misura, e da cui in definitiva dipende il giudizio di pericolosità sociale, che costituisce condizione imprescindibile ai fini dell'irrogazione della misura. Se anche nella giurisprudenza costituzionale si è molto insistito sulla necessaria sussistenza di “fatti”, che non debbono mai risolversi in meri “sospetti”, e sulla rigorosa prova di essi, in base alla legge tali fatti non risultano per nulla specificati. Nella fattispecie in sostanza si evocano non meglio precisate tendenze criminali (criminal tendencies) del destinatario delle misure, ma gli elementi da cui esse sono ricavate non appaiono tali da rispettare il requisito della “prevedibilità”: tali elementi, infatti, non certo contemplati dalla legge, degradano ad ambigui indicatori di un comportamento che poco o nulla (o per lo meno non necessariamente) ha che fare con il coinvolgimento con attività criminali. Sembra alla Corte che la misura sia irrogata proprio sulla base di un accertamento di una “situazione” molto prossima, se non coincidente, rispetto quella “proclività a delinquere” che la Corte costituzionale stessa aveva bollato come incostituzionale ancora diversi anni or sono (C. cost. n. 177/1980).
Al penalista non può sfuggire che la nozione di prevedibilità sia stata centrale nell'ambito della sentenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, Strasburgo, 14 aprile 2015 Causa Contrada c. Italia, Ricorso n. 66655/13, che ha sanzionato l'Italia per la condanna inflitta a Bruno Contrada per concorso esterno in associazione mafiosa. Secondo i giudici di Strasburgo, Bruno Contrada non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa perché, all'epoca dei fatti (1979-1988), il reato non «era sufficientemente chiaro e il ricorrente non poteva conoscere nello specifico la pena in cui incorreva per la responsabilità penale che discendeva dagli atti compiuti» (A' l'époque où les faits reprochés au requérant ont été commis (1979-1988), l'infraction en cause n'était pas suffisamment claire et prévisible pour celui-ci. Le requérant ne pouvait donc pas connaître en l'espèce la peine qu'il encourait du chef de la responsabilité pénale découlant des actes qu'il avait accomplis). Contrada si era rivolto alla Corte Europea dei diritti dell'uomo nel luglio del 2008 affermando che – in base all'articolo 7 della Convenzione europea dei diritti umani, che stabilisce il principio “nulla pena sine lege” – non avrebbe dovuto essere condannato perché «il reato di concorso esterno in associazione di stampo mafioso è il risultato di un'evoluzione della giurisprudenza italiana posteriore all'epoca in cui lui avrebbe commesso i fatti per cui è stato condannato».
Ergastoli imprenditoriali generici e specifici
Assai rilevante appare che la nozione di “prevedibilità” della legge, e vieppiù dell'interpretazione giudiziale che ne viene fatta, venga evocata anche in riferimento all'interdittiva antimafia: la migliore dottrina (Miceli: Audiatur et altera pars: la necessità del contraddittorio anticipato con l'impresa destinataria della proposta di applicazione di una misura di prevenzione, Giurisprudenza Penale Web , 2023, 11) descrive l'interdittiva antimafia come misura dagli effetti potentissimi, descritta più volte quale un vero e proprio ergastolo imprenditoriale. Basti pensare che «quando emerge la sussistenza di cause di decadenza, di sospensione o di divieto di cui all'articolo 67 o di un tentativo di infiltrazione mafiosa, di cui all'articolo 84, comma 4 ed all'articolo 91, comma 6, nelle società o imprese interessate, i soggetti di cui all'articolo 83, commi 1 e 2 cui sono fornite le informazioni antimafia, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni».
Che ora anche questa forma di “ergastolo” possa ora essere ricondotto all'alveo del “penale” non pare circostanza di poco conto se si pensa che la dottrina più avveduta, all'indomani della sentenza De Tommaso aveva già parlato di «ore contate per l'interdittiva antimafia ‘generica' ex art. 84, comma 4, lett. d) ed e) d.lgs. n. 159/2011» (Amarelli, L'onda lunga della sentenza De Tommaso: ore contate per l'interdittiva antimafia ‘generica' ex art. 84, co. 4, lett. d) ed e) d.lgs. n. 159/2011?, Diritto Penale Contemporaneo 4/2017). L'articolata disciplina dettata dai vari commi in cui si scompone l'art. 84 del codice antimafia era ricondotta a due tipologie di interdittiva antimafia, a seconda dei distinti presupposti da cui desumere gli “eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa tendenti a condizionare le scelte e gli indirizzi delle società o imprese interessate”: un'interdittiva “specifica” ed un'interdittiva “generica”. La prima sarebbe quella descritta dal comma 4 lettere a), b), c) ed f ), in cui il Prefetto può evincere la sussistenza di un tentativo di infiltrazione mafiosa in un'impresa sulla scorta di dati oggettivi che ne vincolano la discrezionalità e ne garantiscono la prevedibilità degli eventuali provvedimenti adottati e cioè: «a) dai provvedimenti che dispongono una misura cautelare o il giudizio, ovvero che recano una condanna anche non definitiva per taluni dei delitti di cui agli articoli 353,353-bis, 629,640-bis, 644,648-bis, 648-ter c.p., dei delitti di cui all'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. e di cui all'articolo 12-quinquies d.l. 8 giugno 1992, n. 306 convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356; b) dalla proposta o dal provvedimento di applicazione di taluna delle misure di prevenzione; c) salvo che ricorra l'esimente di cui all'articolo 4 l. 24 novembre 1981, n. 689, dall'omessa denuncia all'autorità giudiziaria dei reati di cui agli articoli 317 e 629 c.p., aggravati ai sensi dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, da parte dei soggetti indicati nella lettera b) dell'articolo 38 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, anche in assenza nei loro confronti di un procedimento per l'applicazione di una misura di prevenzione o di una causa ostativa ivi previste; (…) f ) dalle sostituzioni negli organi sociali, nella rappresentanza legale della società nonché nella titolarità delle imprese individuali ovvero delle quote societarie, effettuate da chiunque conviva stabilmente con i soggetti destinatari dei provvedimenti di cui alle lettere a) e b), con modalità che, per i tempi in cui vengono realizzati, il valore economico delle transazioni, il reddito dei soggetti coinvolti nonché le qualità professionali dei subentranti, denotino l'intento di eludere la normativa sulla documentazione antimafia». La seconda, invece, sarebbe quella delineata dalle restanti lettere d) ed e) del medesimo art. 84, comma 4 del codice antimafia, in cui il Prefetto può desumere la sussistenza del già labile dato del ‘tentativo di infiltrazione mafiosa' non sulla base di parametri definiti ed oggettivi, bensì sulla base di presupposti vaghissimi e imprecisati e, cioè: «d) dagli accertamenti disposti dal prefetto anche avvalendosi dei poteri di accesso e di accertamento delegati dal Ministro dell'interno ai sensi del decreto-legge 6 settembre 1982, n. 629, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 ottobre 1982, n. 726, ovvero di quelli di cui all'articolo 93 del presente decreto; e) dagli accertamenti da effettuarsi in altra provincia a cura dei prefetti competenti su richiesta del prefetto procedente ai sensi della lettera d)».
In conclusione
Fin da subito si era evidenziato che, se il primo tipo di interdittiva, quella c.d. specifica, (usando il “setaccio grosso” normalmente impiegato dalla CEDU e dalla Corte costituzionale per compiere valutazioni analoghe) pareva immune da possibili censure alla luce della sentenza De Tommaso, in ragione della espressa e chiara previsione dei suoi presupposti applicativi, dei fini legittimi che si prefigge e della sua ineluttabile necessarietà anche in una società democratica – poiché consente di tutelare interessi di rango superiore quali l'ordine pubblico economico, la libera concorrenze delle imprese ed il buon andamento della P.A. –, non altrettanto poteva dirsi per il secondo tipo di interdittiva, quella c.d. generica. L'assoluta indeterminatezza delle condizioni che possono consentire al Prefetto di emettere un'informativa antimafia ‘generica' appare, infatti, davvero poco sostenibile in un ordinamento democratico che rifugga da antichi spettri di diritto di polizia e di ‘pene' del sospetto e voglia ancorare qualsiasi provvedimento restrittivo di diritti fondamentali a basi legali precise e predeterminate. Tuttavia, si rifletteva amaramente, la sua tradizionale qualificazione non penale, fondata sulla opinabile ma granitica prevalenza riconosciuta alle sue spiccate finalità preventive di tutela rispetto all'elevato grado di afflittività che la contraddistingue (la sua adozione può, invero, sostanziarsi nella definitiva cessazione delle attività di un'impresa con tutto ciò che ne consegue sul versante economico ed occupazionale, soprattutto quando si tratti di società di grandi dimensioni), ha inibito qualsiasi sindacato sulla sua compatibilità con i principi garantisti che governano la materia penale e, quindi, in ottica CEDU con quelli scanditi dagli artt. 5, 6 e 7 CEDU (Amarelli cit.).
Tuttavia, gli spazi che la vicenda Geocostruzioni lascia intravvedere inducono a ritenere che queste dure conclusioni possano essere sovvertite dalla decisione della Corte EDU che non pare accontentarsi della lettura della misura interdittiva in chiave preventiva, come rivendicato dalla giurisprudenza italiana, ma pare destinata ad accreditarne il versante più marcatamente afflittivo.
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