Rilevanza della convivenza prematrimoniale nel riparto del trattamento tra coniuge divorziato e coniuge superstite

16 Settembre 2024

In seguito al decesso del coniuge percettore di trattamento pensionistico, il quale, già divorziato, abbia successivamente contratto matrimonio, può determinarsi l’esigenza di ripartire la pensione di reversibilità anche rispetto il coniuge superstite che ne faccia contestuale richiesta. Occorre a tal fine considerare anche il periodo di convivenza prematrimoniale.

Massima

In caso di  richiesta di pensione di reversibilità da parte del coniuge divorziato e, contemporaneamente, del coniuge superstite, il criterio di riparto del trattamento è fondato sulla durata dei matrimoni, tenendo altresì conto di altri elementi correlati alla finalità solidaristica dell’istituto. Tra questi anche la durata della convivenza prematrimoniale, avendo la convivenza more uxorio autonomo e distinto rilievo giuridico, quanto alla sua durata, rispetto alla durata del matrimonio cui soltanto si applica il criterio legale. Il coniuge interessato resta onerato della prova di stabilità ed effettività della comunione di vita in epoca antecedente a quella della celebrazione del matrimonio. L'ammontare dell’assegno divorzile, in mancanza di espressa disposizione normativa, non può costituire un limite per l'importo della prestazione previdenziale di reversibilità.

Il caso

Con ricorso ex art. 09, comma 03 della legge n. 898/1970, Cu.Ca., ex coniuge divorziato di Fi.Gi.(sentenza n. 854/1999 del Tribunale di Roma che includeva l'accordo relativo ad un assegno divorzile di importo pari ad Euro 154.94 ), avanzava innanzi al Tribunale di Velletri istanza di determinazione, nella misura del 65% del totale, della propria quota di reversibilità della pensione erogata dall'INPS all'ex coniuge defunto, con decorrenza dal gennaio 2018, mese successivo a quello in cui era occorso il decesso. L'istanza avveniva in concorso con analoga istanza del coniuge superstite, An.Ba. la Quale in seguito al divorzio aveva appunto sposato Fi.GI.

L'adito Tribunale, con sentenza n. 994/2020, attribuiva a Cu.Ca. la quota del 30% (invece del 65% richiesto) ed alla resistente An.Ba. il 70% della pensione INPS percepita in vita dal coniuge defunto, stabilendo anche il limite di decorrenza.

La sentenza veniva impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Roma ad opera della resistente in primo grado, la Quale chiedeva che l'importo della quota di pensione di reversibilità fosse aumentato dal 70% al 95%. In appello resisteva Cu.Ca. la Quale invece, mediante appello incidentale, chiedeva di riconoscere in proprio favore la quota già richiesta in primo grado e pari al 65% della pensione di reversibilità di Fi.Gi.

La sentenza n. 4015/2022, con la quale la Corte di Appello di Roma definiva il procedimento disattendendo l'appello incidentale ed accogliendo parzialmente l'appello principale, riconosceva in favore della An.Ba. una quota del 85% (anziché del 95%) della pensione di reversibilità, basando la decisione sulla maggior durata della convivenza matrimoniale e sulla mancanza di redditi dell'appellante principale, anche considerando il fatto che, seppure complessivamente, il rapporto affettivo di An.Ba. con il Fi.Gi. era durato 24 anni, e l'aspettativa presente al momento in cui era iniziata la stabile e duratura relazione con il consorte dovesse essere stata piuttosto elevata in ragione anche dell'età, relativamente giovane, di sessantatré anni, alla quale il coniuge era deceduto.

L'ex coniuge titolare di assegno divorzile proponeva ricorso in Cassazione

La questione

Che valore ha, ai fini del trattamento previdenziale, la convivenza stabilita in epoca precedente a quella del matrimonio? E, in ipotesi, a quali condizioni, visto che la stessa non viene espressamente menzionata dalla disciplina prevista dalla legge che regola il divorzio?

Le soluzioni giuridiche

Le soluzioni giuridiche

La pronuncia in commento offre una soluzione in punto di diritto in armonia con la situazione di fatto che entrambe le Parti hanno concorso a presentare in giudizio. Vediamo perché.

L'art. 9 l. 898/ 1970, dettato in materia di Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio, stabilisce, ai commi secondo e terzo, che «2. In caso di morte dell'ex coniuge e in assenza di un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, il coniuge rispetto al quale è stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e sempre che sia titolare di assegno ai sensi dell'art. 5, alla pensione di reversibilità, sempre che il rapporto da cui trae origine il trattamento pensionistico sia anteriore alla sentenza. 3. Qualora esista un coniuge superstite avente i requisiti per la pensione di reversibilità, una quota della pensione e degli altri assegni a questi spettanti è attribuita dal Tribunale, tenendo conto della durata del rapporto, al coniuge rispetto al quale è stata pronunciata la sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio e che sia titolare dell'assegno di cui all'art. 5. Se in tale condizione si trovano più persone, il Tribunale provvede a ripartire fra tutti la pensione e gli altri assegni, nonché a ripartire tra i restanti le quote attribuite a chi sia successivamente morto o passato a nuove nozze».

L'art. 5, comma 1, l. n. 263/2005 ha stabilito che «le disposizioni di cui ai commi 2 e 3 dell'articolo 9 della legge 1° dicembre 1970, n. 898, e successive modificazioni, si interpretano nel senso che per titolarità dell'assegno ai sensi dell'articolo 5 deve intendersi l'avvenuto riconoscimento dell'assegno medesimo da parte del tribunale ai sensi del predetto articolo della citata legge n. 898 del 1970».

La sentenza in commento conferma l'orientamento della stessa Suprema Corte di legittimità rinvenibile nella precedente pronuncia Cass. civ., sez. lav., ord., 28 aprile 2020, n. 8263, per la quale «la ripartizione del trattamento di reversibilità, in caso di concorso fra coniuge divorziato e coniuge superstite, aventi entrambi i requisiti per la relativa pensione, deve essere effettuata, oltre che sulla base del criterio della durata dei rispettivi matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di reversibilità, da individuare facendo riferimento all'entità dell'assegno di mantenimento riconosciuto all'ex coniuge ed alle condizioni economiche dei due, nonché alla durata delle rispettive convivenze prematrimoniali. Non tutti tali elementi, peraltro, devono necessariamente concorrere né essere valutati in egual misura, rientrando nell'ambito del prudente apprezzamento del giudice di merito la determinazione della loro rilevanza in concreto».

Non solo. Appunto considerando che il concorso nella richiesta di riconoscimento del trattamento previdenziale genera l'obiettiva necessità di un frazionamento fra l'ex coniuge divorziato ed il superstite, stante il presupposto dell'assegno divorzile per il primo, la Cassazione precisa di confermare anche il proprio orientamento (Cass. civ., sez. VI - 1, ord., 26 febbraio 2020, n. 5268) per il quale non può ravvisarsi «nell'entità dell'assegno divorzile un limite legale alla quota di pensione attribuibile all'ex coniuge, data la mancanza di qualsiasi indicazione normativa in tal senso».

Al fine di apprezzare il profilo pratico applicativo della normativa alla base della decisione e della soluzione giuridica adottata, è interessante considerare ciò che l'ordinanza in commento ricorda, «in conformità, peraltro, alle indicazioni temporali di cui al ricorso, i periodi di durata legale del matrimonio della Cu.Ca. (20 anni) e della sua convivenza matrimoniale (14 anni), nonché quelli di durata legale del matrimonio della coniuge superstite (18 anni) e della sua convivenza prematrimoniale (iniziata nel (Omissis) - sei anni)». Il tutto equivale a dire che l'ex coniuge divorziato, pur nel periodo in cui era coniugato, non aveva convissuto per sei anni con il coniuge, intuitivamente per lo stato di separazione, e che, per lo stesso numero di anni, il coniuge invece superstite vi aveva convissuto in epoca antecedente al matrimonio poi celebrato.

In conclusione, abbiamo due situazioni sostanzialmente sovrapponibili nelle quali la differenza, di un sostanziale 30%, circa, di durata, si sottrae all'ex coniuge divorziato e contemporaneamente si aggiunge alla durata del matrimonio del coniuge superstite (per una complessiva durata che sale da diciotto a ventiquattro) in termini di convivenza prematrimoniale.

Resta infine da considerare il profilo attinente alla quantificazione finale in riparto del trattamento, anche se l'ordinanza in commento esclude che esso possa rientrare nelle ragioni della decisione in sede legittimità. Il riferimento è ai redditi documentati dalle Parti all'assegno divorzile, quest'ultimo, in ossequio all'orientamento citato, rilevante solo in «funzione rafforzativa dello scopo solidaristico» e «non come limite legale».

La ripartizione, infatti, è l'esito di un giudizio di merito, come tale insindacabile in sede di legittimità se il provvedimento che lo esprime risulta congruamente motivato mediante «idonea ponderazione degli elementi fattuali».

Sulla base delle motivazioni e soluzioni illustrate, la Cassazione rigetta il ricorso.

Osservazioni

L'ordinanza in commento si articola sotto due distinti profili logico ricostruttivi: da un lato esiste la norma, che indica il criterio di quantificazione del trattamento previdenziale riferendolo esclusivamente alla durata del matrimonio. Dall'altro vi è la, ormai acquisita, rilevanza che il nostro ordinamento, anche in sede di giurisprudenza costituzionale, attribuisce alla convivenza more uxorio. Solo per fare qualche esempio, tra i più recenti, si è riconosciuto al convivente more uxorio il diritto: a) al risarcimento del danno, in ragione della configurabilità di una relazione caratterizzata da tendenziale stabilità e da mutua assistenza morale e materiale tra il convivente deceduto ed il superstite, laddove il giudice deve tenere «in debito conto che il ristoro va riconosciuto – con riguardo sia al danno morale sia a quello patrimoniale allorquando emerga la prova di uno stabile contributo economico apportato, in vita, dal defunto al danneggiato» [cfr. Cass. civ., sez. III, ord., 28 marzo 2023, n. 8801]; b) fintanto che perdura la convivenza la «detenzione del convivente non proprietario, né possessore, è esercitabile ed opponibile ai terzi» trattandosi di «un potere di fatto tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, avente titolo in un negozio giuridico di tipo familiare» dovendosi ritenere la convivenza more uxorio una «formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare» determinante «sulla casa di abitazione ove si svolge il programma di vita in comune» un «potere di fatto del convivente tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata» [cfr. Cass. civ., sez. III, sent., 27 aprile 2017, n. 10377].

Deve altresì rammentarsi, seppure specificamente riferita all'assegno divorzile, la recente Cass. civ., sez. un., 18 dicembre 2023, n. 35385, in base alla quale «Ai fini dell'attribuzione e della quantificazione, ai sensi dell'art. 5, comma 6, l. n. 898/1970, dell'assegno divorzile (...) nei casi peculiari in cui il matrimonio si ricolleghi a una convivenza prematrimoniale della coppia, avente i connotati di stabilità e continuità, in ragione di un progetto di vita comune, dal quale discendano anche reciproche contribuzioni economiche, laddove emerga una relazione di continuità tra la fase "di fatto" di quella medesima unione e la fase "giuridica" del vincolo matrimoniale, va computato anche il periodo della convivenza prematrimoniale, ai fini della necessaria verifica del contributo fornito dal richiedente l'assegno alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei coniugi, occorrendo vagliare l'esistenza, durante la convivenza prematrimoniale, di scelte condivise dalla coppia che abbiano conformato la vita all'interno del matrimonio e cui si possano ricollegare, con accertamento del relativo nesso causale, sacrifici o rinunce, in particolare, alla vita lavorativa/professionale del coniuge economicamente più debole, che sia risultato incapace di garantirsi un mantenimento adeguato, successivamente al divorzio».

Nel caso oggetto dell'ordinanza in commento alla convivenza viene attribuito un valore che si riflette sul profilo della quantificazione del trattamento previdenziale che non è previsto dalla norma ex art. 9 l. 898/1970 ma che si afferma comunque sulla base del medesimo principio che regola l'istituto dell'assegno quale espressione di un trattamento economico da garantire all'ex coniuge. È noto come la prestazione economica in caso di divorzio nulla abbia a che vedere con il mantenimento, evidentemente a escludere in ipotesi di estinzione del vincolo coniugale che di quell'obbligo costituisce la fonte.

Ed oggi questo ancoraggio all'esistenza del matrimonio con i diritti e doveri facenti capo ai coniugi, i quali tali rimangono anche in caso di separazione, si è definitivamente completato anche, appunto, rispetto alla separazione con addebito, ossia senza assegno di mantenimento, vista la circolare n° 19 del 01 febbraio 2022 con la quale l'INPS ha aderito, dopo molti anni e relative istanze da parte dei coniugi separati con addebito, all'orientamento espresso dalla Corte di Cassazione e ai principi affermati dalla Corte costituzionale (Corte cost. sent. n. 286/1987), in base ai quali il titolo della separazione non può determinare un differente trattamento tra i coniugi superstiti, con la conseguenza che il coniuge separato con addebito e senza assegno alimentare (che non è erede e non ha nessun diritto successorio) ha diritto alla pensione ai superstiti in qualità di coniuge superstite [cfr. Cass. n. 2606/2018 e Cass. n. 7464/2019]; al mutamento di indirizzo è poi seguito anche il conforme parere del Ministero del lavoro; a base della tutela è l'articolo 22 della legge 21 luglio 1965, n. 903, il quale «riconosce il diritto alla pensione ai superstiti in favore del coniuge superstite. La predetta disposizione normativa non richiede, quale requisito per ottenere la pensione di reversibilità o indiretta in favore del coniuge superstite, la vivenza a carico del dante causa al momento della morte di quest'ultimo».

Anche qui in sede di divorzio, curiosamente ma logicamente, abbiamo l'applicazione di un regola conseguente a ciò che la norma non prevede ma che evidentemente neppure esclude, affermandosi anzi il valore della convivenza prematrimoniale a fondamento degli obblighi di natura solidaristica previsti dalla superiore fonte costituzionale.

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