Principio del risultato: operatività quale criterio primario di orientamento nelle decisioni delle Stazioni Appaltanti

27 Novembre 2024

Il principio del risultato, codificato all'art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, deve intendersi immanente nel sistema e comunque utilizzabile in chiave interpretativa anche rispetto a fattispecie regolate dal d.lgs. n. 50/2016, di guisa che esso costituisce primario criterio di orientamento nelle decisioni delle stazioni appaltanti. 

La vicenda in breve . La vicenda trae origine dall'impugnazione, da parte dell'operatore economico aggiudicatario di un bando (indetto ai sensi del d.lgs. n. 50/2016) per la fornitura di copricapi per le Forze Armate, del provvedimento di revoca dell'aggiudicazione disposto dalla S.A. in seguito all'asserita mancata trasmissione - da parte dell'O.E. di che trattasi - della documentazione richiesta dall'Amministrazione ai fini della verifica del possesso dei requisiti in capo alla compagine sociale dichiarata per l'esecuzione della commessa. La ricorrente, adunque, impugnava la revoca con ricorso affidato ad unico motivo con il quale affermava, in buona sostanza, di avere ottemperato correttamente a tutte le richieste documentali supra.

La decisione del TAR e il perimetro di applicazione del principio del risultato. La vicenda così brevemente riassunta si è declinata, nel dettaglio, in un provvedimento di revoca con il quale l'Amministrazione ha sollevato plurimi ordini di contestazioni all'O.E. aggiudicatario, tra cui:

(a) la “mancata trasmissione”, quanto all'ausiliaria ditta albanese, di taluni certificati inerenti i requisiti ex art. 80 del d.lgs. n. 50/2016;

(b) l'inidoneità dei chiarimenti forniti sulla certificazione di qualità, sempre della ditta albanese appena citata, in ordine allo stabilimento di produzione (che risultava, invero, collocato nella documentazione di gara in un luogo poi rivelatosi non corretto e regolarizzato dall'ente certificatore solo in data successiva all'esperimento della gara pubblica in esame).

Il giudice di prime cure, nell'accogliere le doglianze della ricorrente, ha evidenziato, con riferimento specifico al pt. (b) appena citato, che l'indicazione errata dello stabilimento non costituisce motivo tale da giustificare la revoca dell'aggiudicazione disposta, a maggior ragione laddove l'O.E. abbia «dato comunque dimostrazione, attraverso dichiarazione dell'ente di certificazione di qualità […], che sul nuovo stabilimento (e quindi antecedentemente all'offerta ed al termine di partecipazione alla gara secondo il bando) era stata effettuata verifica di conformità alla norma UNI EN ISO 9001:2015 consentendo alla ditta  di mantenere senza soluzione di continuità la certificazione di qualità dei suoi processi produttivi anche dopo il trasferimento della produzione in detto nuovo stabilimento».

Ebbene proprio con riferimento a tale aspetto, il Collegio ha avuto modo di evidenziare che «apparirebbe difficilmente contestabile un'ipotetica richiesta dell'appaltatore, ove successivamente all'aggiudicazione sopravvenisse l'esigenza, di modificare lo stabilimento della produzione garantendo la continuità del possesso della certificazione di qualità», di guisa che «va ritenuta idonea la giustificazione fornita dalla ricorrente a seguito della richiesta di chiarimento dell'Amministrazione sul punto» anche in considerazione dell'immanenza - pure nella pregressa disciplina normativa sugli appalti - del c.d. “principio del risultato” quale primario criterio di orientamento nelle decisioni delle stazioni appaltanti.

Ora, dal richiamo dei giudici amministrativi capitolini al principio del risultato (nella fattispecie esaminata) discendono alcune considerazioni di non poco momento, così brevemente compendiabili.

In primo luogo, principio del risultato - seppure codificato solo con il nuovo Codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 36/2023), quindi non applicabile ratione temporis alla fattispecie esaminata - deve intendersi, invece, immanente nel sistema e comunque utilizzabile in chiave interpretativa anche rispetto a fattispecie regolate dal d.lgs. n. 50/2016 (sul punto cfr., ex plurimis, Cons. Stato, n. 9812/2023; Id., n. 5789/2024 e n. 1924/2024).

Ciò anche in considerazione del fatto che, a ben vedere, il principio del risultato costituisce attuazione, nel settore dei contratti pubblici, del principio del buon andamento e dei correlati principi di efficienza, efficacia ed economicità dell'azione amministrativa (oltre ad essere perseguito nell'interesse della comunità e per il raggiungimento degli obiettivi dell'Unione europea) e chiarisce de plano che la procedura e la forma sono un mezzo, non il fine della disciplina. Si tratta, quindi, di un principio considerato, anche in via pretoria, quale valore dominante del pubblico interesse, da perseguire attraverso il rispetto della concorrenza della trasparenza, funzionale alla massima semplicità e celerità nella corretta applicazione delle regole del Codice.

In secondo luogo, muovendo alla ratio e al perimetro del principio appena richiamato, si consideri che il “risultato”, ai sensi dell'art. 1 del d.lgs. n. 36/2023, costituisce proprio criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale ed è legato da un nesso inscindibile con la concorrenza, la quale opera in funzione del primo rendendosi funzionale a conseguire il miglior risultato possibile nell'affidare ed eseguire i contratti.

L'amministrazione, in buona sostanza, deve tendere al miglior risultato possibile, in “difesa” dell'interesse pubblico per il quale viene prevista una procedura di affidamento. Nello specifico, il principio del risultato è inteso come l'interesse pubblico primario del Codice stesso, affinché l'affidamento del contratto e la sua esecuzione avvengano con la massima tempestività ed il migliore rapporto possibile tra qualità e prezzo nel rispetto dei principi di legalità, trasparenza e concorrenza. Ora, ai sensi dell'art. 1, comma 4, del Codice, si prevede che «il principio del risultato costituisce criterio prioritario per l'esercizio del potere discrezionale e per l'individuazione della regola del caso concreto», traducendosi, cioè, nel dovere degli enti committenti di ispirare le loro scelte discrezionali più al raggiungimento del risultato sostanziale che a una lettura meramente formale della norma da applicare. La declinazione del principio del risultato contenuta nel comma 4, quindi, lumeggia sui comportamenti concreti delle amministrazioni, soprattutto con riguardo all'interpretazione ed all'applicazione delle regole di gara, «dovendo entrambe le fasi essere ispirate al risultato finale perseguito dalla programmata operazione negoziale, di cui assume un profilo dirimente la sua destinazione teleologica» (TAR Napoli, n. 2959/2024).

Il richiamo, quindi, operato dal Collegio al principio del risultato ai fini della risoluzione della controversia qui esaminata appare pienamente pertinente, pure laddove si consideri il fatto che trattasi di principio considerato, come sopra detto, quale valore dominante del pubblico interesse da perseguire attraverso il contratto e che esclude che l'azione amministrativa sia vanificata ove non si possano ravvisare effettive ragioni che ostino al raggiungimento dell'obiettivo finale che è:

(i) nella fase di affidamento, giungere nel modo più rapido e corretto alla stipulazione del contratto; (ii) nella fase di esecuzione (quella del rapporto), il risultato economico di realizzare l'intervento pubblico nei tempi programmati e in modo tecnicamente perfetto.

In disparte i rapporti di detto principio con quello della c.d. “fiducia” (art. 2 del d.lgs. n. 36/2023), preme rilevare in questa sede, in conclusione, che l'importanza del risultato nella disciplina dell'attività dell'amministrazione non va riguardata ponendo tale valore in chiave antagonista rispetto al principio di legalità, rispetto al quale potrebbe realizzare una potenziale frizione: al contrario, come pure è stato efficacemente sostenuto in dottrina e in giurisprudenza, il risultato concorre ad integrare il paradigma normativo del provvedimento e dunque, in un certo senso, ad ampliare il perimetro del sindacato giurisdizionale piuttosto che diminuirlo, facendo «transitare nell'area della legittimità, e quindi della giustiziabilità, opzioni e scelte che sinora si pensava attenessero al merito e fossero come tali insindacabili» (cfr. TAR Parma, n. 98/2024; Cons. Stato, n. 2866/2024).

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.