Il mutamento del rito nel processo minorile e familiare delineato dal Correttivo

17 Dicembre 2024

Il contributo affronta ed esamina le novità introdotte dal Correttivo in tema di mutamento del rito nel processo minorile e familiare

Introduzione: la disciplina del mutamento del rito

L'art. 3, comma 6, lett. a), d.lgs. n. 164/2024, recante «Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149», ha modificato l'art. 473-bis c.p.c., non solo specificando l'ambito applicativo del rito unico in materia familiare, personale e minorile, ma anche introducendo la disciplina del mutamento del rito (cfr. artt. 473-bis, commi 3 e 5, c.p.c.): laddove uno dei procedimenti assoggettati al rito speciale venga promosso in forme diverse, l'Autorità Giudiziaria procedente ordina il mutamento del rito e fissa l'udienza di comparizione delle parti regolata dall'art. 473-bis.21 c.p.c., assegnando alle parti termini perentori per l'eventuale integrazione degli atti. Quando, al contrario, è promossa con le forme del rito speciale una causa che deve invece essere trattata secondo un rito diverso, l'Autorità Giudiziaria procedente, se la causa stessa rientra nella sua competenza, ordina il mutamento del rito dando le disposizioni per l'ulteriore corso del processo, altrimenti dichiara la propria incompetenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione della causa con il rito corretto.

La modifica normativa – che trae ispirazione da numerose norme processuali (cfr. artt. 183-bis – abrogato dal d.lgs. n. 164/2024 e trasfuso nell'art. 171-bis, comma 4, c.p.c. –, artt. 281-duodecies, 426 e 667 c.p.c.) anche extra codicistiche (cfr. art. 4 d.lgs. n. 150/2011) – risponde all'esigenza di evitare che la non corretta scelta del rito processuale possa comportare una pronunzia in rito costringendo la parte ricorrente ad introdurre nuovamente la medesima domanda, tanto che nella Relazione Illustrativa al d.lgs. n. 164/2024 si legge che «sono stati […] segnalati casi in cui all'errore nell'individuazione del rito è seguita una pronuncia di inammissibilità della domanda; evenienza, questa, che contrasta con il buon funzionamento del sistema giudiziario in quanto contraddice il principio secondo cui ogni procedimento dovrebbe essere definito con una pronuncia sul bene della vita che ne costituisce oggetto, anziché con una pronuncia di mero rito, e che costringe la parte interessata a ripresentare nuovamente la medesima domanda, con inutile appesantimento di tempi e oneri a carico delle parti e degli uffici giudiziari».

La ratio dell'intervento normativo deve, pertanto, essere individuata nella volontà di garantire una maggiore contrazione dei tempi processuali come dimostra anche il fatto che, da un lato, i provvedimenti di mutamento del rito dovranno essere assunti entro la prima udienza e, dall'altro lato, che gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le forme del rito seguito prima del mutamento e restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate prima del mutamento.

Prima di analizzare l'istituto del mutamento del rito nell'ambito del rito unico in materia familiare e minorile, occorre chiarire che l'errore sull'identificazione del rito si traduce in una mera irregolarità che non è in grado di inficiare la validità del procedimento, salvo il caso in cui l'applicazione di un rito differente rispetto a quello codicisticamente prescritto non abbia determinato un pregiudizio processuale ad una delle parti, incidendo sulla competenza, sul rispetto del principio del contraddittorio, sul diritto di difesa e sul regime probatorio (cfr. Cass. civ., sez. III, 27 gennaio 2015, n. 1448; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2014, n. 22075Cass. civ., sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25274 e Cass. civ., sez. III, 12 aprile 2006, n. 8611).

Inoltre, si deve tenere a mente che la corretta scelta del rito processuale deve essere tenuta distinta dalla questione sulla competenza dell'organo giurisdizionale adito: nel caso in cui l'attore abbia errato nella scelta del rito ed adito un giudice incompetente per materia o per territorio, l'applicazione dell'art. 473-bis c.p.c. potrà porre rimedio unicamente alla questione sul rito e non potrà sanare l'incompetenza del giudice adito.

I procedimenti familiari introdotti con rito diverso

L'art. 473-bis, comma 3, c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui uno dei procedimenti che rientra ex art. 473-bis, comma 1, c.p.c. nell'ambito di applicazione del rito unico in materia familiare e minorile viene introdotto in una forma diversa rispetto a quella prevista dal rito unico in materia familiare e minorile.

Da ciò deriva che il problema del mutamento del rito dovrà essere affrontato da una Autorità Giudiziaria diversa rispetto al Giudice familiare.

In tali casi, l'Autorità Giudiziaria procedente, rilevata l'erronea scelta del rito da parte dell'attore – e, quindi, accertato che il procedimento doveva essere introdotto seguendo le norme dettate dal rito unico in materia familiare e minorile –, dovrà ordinare il mutamento del rito.

L'uso da parte dell'art. 473-bis, comma 3 c.p.c. dell'indicativo presente “ordina”, suggerisce come il Giudice non abbia alcun margine di discrezionalità nella scelta del mutamento del rito che dovrà necessariamente essere disposto allorquando ci si avveda che il procedimento rientri nelle materie indicate dall'art. 473-bis, comma 1, c.p.c.

Il mutamento del rito dovrà essere disposto anche d'ufficio e, di conseguenza, non appare necessaria una specifica istanza di parte.

Diversamente dalle norme processuali che regolano il mutamento del rito, l'art. 473-bis, comma 3, c.p.c. non indica la forma che dovrà assumere il provvedimento con cui l'Autorità Giudiziaria procedere ordina il mutamento del rito.

Sul punto, sembrano prospettarsi due possibili soluzioni interpretative.

Secondo una prima esegesi, il provvedimento dovrebbe assumere la forma dell'ordinanza.

Tale opzione interpretativa – che rende necessaria l'attivazione del contraddittorio tra le parti prima della pronunzia del provvedimento sul rito – appare in linea sia con le norme processuali che disciplinano, pur in altri contesti, il mutamento del rito sia con il principio generale secondo il quale sussiste il dovere dell'Autorità Giudiziaria procedente di sottoporre al confronto delle parti ogni questione, anche rilevabile d'ufficio, la cui soluzione potrebbe comportare uno sviluppo dell'iter processuali non considerati e valutati dalle parti (cfr. Cass. civ., sez. lav., 30 luglio 2001, n. 10372; Cass. civ., sez. I, 21 novembre 2001, n. 14637; Cass. civ., sez. III, 5 agosto 2005, n. 16577 e Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2005, n. 21108).

Diversamente, si potrebbe anche ipotizzare che il provvedimento con cui viene ordinato il mutamento del rito assuma la forma del decreto e, di conseguenza, si presenti come non motivato ed assunto in assenza di un preventivo contraddittorio tra le parti. Siffatta ipotesi interpretativa risulta conforme alla collocazione sistematica della verifica della corretta scelta del rito da parte dell'attore che, nel rito ordinario ed a seguito delle modifiche operate dal d.lgs. n. 164/2024, dovrà avvenire, non più nell'udienza di trattazione, come previsto dall'art. 183-bis c.p.c. (norma abrogata proprio dal d.lgs. n. 164/2024), bensì nell'ambito delle verifiche preliminari così come dispone l'art. 171-bis, comma 4, c.p.c.

L'art. 473-bis, comma 3, c.p.c. appare lacunoso anche in relazione al regime di impugnabilità del provvedimento che dispone il mutamento del rito.

Adottando una interpretazione sistematica, si potrebbe giungere a concludere che il provvedimento, anche laddove assuma la forma dell'ordinanza, non sarebbe né impugnabile – in quanto a contenuto meramente ordinatorio – né ricorribile per Cassazione ai sensi dell'art. 111, comma 7, Cost. – essendo privo dei caratteri della decisorietà e della definitività; ma potrebbe essere revocabile e modificabile in forza di quanto dispone l'art. 177 c.p.c.

L'Autorità Giudiziaria procedente, ordinata la trasformazione del rito, dovrà, nel medesimo provvedimento, assegnare alle parti termini perentori per l'eventuale integrazione degli atti.

La disciplina si presta a due differenti letture a seconda del momento processuale in cui viene disposto il mutamento del rito.

Infatti, se la questione sul rito prescelto dall'attore viene affrontata dal giudice – si ipotizzi adito secondo le forme del rito ordinario di cognizione – nel corso della prima udienza – e, dunque, in un momento processuale in cui le parti hanno già depositato sia gli atti introduttivi sia le memorie integrative – allora appare corretto che venga concesso alle parti la sola possibilità di integrare gli atti difensivi per poter adeguare quanto già depositato alle esigenze poste dal rito unico in materia familiare e minorile.

Diversamente se la questione relativa alla correttezza del rito viene affrontata, come sembra suggerire sia l'art. 473-bis c.p.c. sia l'art. 171-bis, comma 4, c.p.c., in un momento antecedente alla celebrazione della prima udienza – e, dunque, in un tempo in cui le parti non hanno ancora depositato le memorie integrative –, allora appare maggiormente corretto ritenere che l'Autorità Giudiziaria procedente, ordinato il mutamento del rito e fissata l'udienza di cui all'art. 473-bis.21 c.p.c., assegni alle parti i termini per il deposito delle memorie disciplinate dall'art. 473-bis.17 c.p.c.

Stando al tenore lettera dell'art. 473-bis, comma 3, c.p.c. i termini che il Giudice dovrà necessariamente assegnare alle parti – posto che l'eventualità di cui parla la norma deve essere riferita all'opportunità di integrazione degli atti difensivi e che, quindi, ricade nella piena disponibilità delle parti – sono perentori, mentre è rimessa alla discrezionalità dell'Autorità Giudiziaria procedente la quantificazione del termine.

Tuttavia, non è dato comprendere se debba essere concesso un termine unico ad entrambe le parti oppure termini distinti – cioè a dire un doppio termine, uno per l'attore ed uno per il convenuto. In via di prima analisi, appare preferibile quest'ultima soluzione interpretativa in quanto consente di rispettare l'architettura del rito unico in materia familiare e minorile che prevede termini a scadenza differenziata per le parti.

Il provvedimento di mutamento del rito dovrà anche contenere la fissazione dell'udienza di cui all'art. 473-bis.21 c.p.c. e ciò anche nell'ipotesi in cui l'Autorità Giudiziaria procedente si avveda dell'erroneità della scelta operata dall'attore solo all'esito della prima udienza celebrata secondo i canoni del rito prescelto dall'attore. Tale opzione – pur presentando delle criticità ordinamentali ed organizzative – appare coerente in quanto valorizza la natura polivalente e peculiare della prima udienza nell'ambito del rito familiare e minorile e la specifica disciplina dettata dagli artt. 473-bis.21 e 473-bis.22 c.p.c.

I procedimenti non familiari introdotti con rito familiare

L'art. 473-bis, comma 4, c.p.c. disciplina l'ipotesi in cui un procedimento che non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 473-bis, comma 1, c.p.c. venga introdotto utilizzando le forme del rito unico in materia familiare e minorile.

Pertanto, in tal caso, sarà il Giudice familiare a dover affrontare e risolvere la questione inerente alla correttezza del rito operata dall'attore.

L'art. 473-bis, comma 4, c.p.c. distingue tra due differenti ipotesi: laddove l'Autorità Giudiziaria procedente dovesse ritenersi competente anche per la domanda proposta dall'attore, allora dovrà ordinare – anche ex officio – il mutamento del rito, dando le disposizioni per l'ulteriore corso del procedimento – e, se si adotta una lettura estensiva del dettato normativo, anche potendo prevedere una integrazione degli atti difensivi ; mentre, laddove la domanda proposta dall'attore non rientri nella propria competenza, l'Autorità Giudiziaria procedente dovrà dichiarare incompetente, fissando un termine perentorio per la riassunzione della causa con il rito per essa previsto.

La norma pone un significativo problema nella misura in cui confonde la corretta scelta del rito processuale con la questione sulla competenza dell'organo giurisdizionale adito e non consente di distinguere il profilo della scelta del rito da quello della valutazione di merito sulla competenza.

Tale problema appare accentuato notevolmente se si considera, da un lato, le criticità ordinamentali – che saranno amplificate dall'introduzione del Tribunale unico per le persone, i minorenni e le famiglie – e, dall'altro lato, il fatto che la valutazione sulla competenza potrebbe venire adottata con decreto ed in assenza di un preventivo contraddittorio tra le parti sul punto, con un evidente vulnus ai diritti costituzionalmente garantiti ed alla possibilità di impugnazione del provvedimento.

Art. 473-bis, comma 5 c.p.c.

L'art. 473-bis, comma 5, c.p.c., prevedendo che i provvedimenti di mutamento del rito debbano essere pronunciati non oltre la prima udienza, da un lato, induce a ritenere che se l'errata individuazione del rito emerge successivamente alla prima udienza non si possa intervenire e che il percorso processuale originariamente adottato deve considerarsi consolidato e, dall'altro lato, fissa un termine finale entro cui la correttezza del rito deve essere valutata non precisando quale debba essere il luogo naturale di tale valutazione.

Con riferimento all'ipotesi disciplinata dall'art. 473-bis, comma 3, c.p.c., la verifica della corretta scelta del rito dovrebbe avvenire nell'ambito delle verifiche preliminari di cui all'art. 171-bis, comma 4, c.p.c.; mentre, nelle ipotesi previste dall'art. 473-bis, comma 4, c.p.c., il mutamento del rito, pronunziato dal Giudice familiare e minorile, dovrebbe avvenire in prima udienza. Tuttavia, appare possibile individuare altri due momenti processuali rilevanti.

In primo luogo, dovrebbe essere concessa – in linea con l'esegesi giurisprudenziale secondo la quale l'obbligo di disporre il mutamento del rito sorge nel momento in cui la controversia si presenti estranea alla materia – al Presidente del Tribunale la possibilità di ordinare il mutamento del rito nel caso in cui l'erroneità della scelta attore emerga già nel momento in cui è chiamato a fissare l'udienza di comparizione delle parti (cfr. art. 473-bis.14 c.p.c.).

In secondo luogo, il Giudice familiare e minorile potrebbe provvedere sul mutamento del rito anche laddove venga richiesta l'adozione di un provvedimento indifferibile ai sensi di quanto dispone l'art. 473-bis.15 c.p.c.

Il mutamento del rito, come espressamente precisa l'art. 473-bis, comma 5, c.p.c., fa salvo gli effetti sostanziali e processuali della domanda che si producono secondo le forme del rito seguito prima del mutamento.

Inoltre, le decadenze e le preclusioni maturano secondo le norme del rito seguito prima del mutamento: tale previsione deve essere coordinata con la dicotomia diritti disponibili/diritti indisponibili rilevante nell'ambito del rito unito in materia familiare e minorile in quanto determina un differente sistema preclusivo. Pertanto «tale regime, d’altro canto, potrà valere per le attività processuali che, pur a fronte di una non conforme disciplina, sono previste a pena di decadenza in entrambi i due moduli procedimentali; non, invece, per le attività che beneficiano di un regime speciale dipendente dalla natura del diritto dedotto in giudizio. Si tenga, appunto, a mente il disposto dell’art. 473-bis.19 c.p.c.» (R. Donzelli, Le modifiche al processo familiare e minorile: prime note illustrative al d.lgs. n. 164 del 31 ottobre 2024, in www.judicim.it, 19 novembre 2024).

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