Patrocinio a spese dello stato

06 Marzo 2016

Istituto applicabile in ogni giudizio civile, ordinario, sommario o camerale, di cognizione o di esecuzione, contenzioso o volontario, a condizione che sia stato iscritto a ruolo.
Inquadramento

L'istituto è applicabile in ogni giudizio civile, sia esso ordinario o sommario o camerale, di cognizione o di esecuzione, contenzioso o volontario, a condizione che sia stato iscritto a ruolo;

un atto giudiziale che non sia seguito dall'instaurazione del giudizio, infatti, non può giustificare un compenso a carico dello Stato

.

Dal riferimento, contenuto nell'art. 75, comma 2, ultima parte del

d.P.R. n. 115/2002

al fatto che «(…) l'interessato debba o possa essere assistito da un difensore» si evince che il diritto può essere riconosciuto anche nei giudizi in cui l'assistenza tecnica non è prevista come obbligatoria (vale a dire quelli di cui all'

art. 82, commi

1 e 2

c.p.c.

o quelli di cui agli

artt. 6,

7,

14,

17

d.lgs. n. 150/2011

). Tale scelta invero pare risolvere i dubbi di legittimità costituzionale che erano stati sollevati in dottrina con riguardo ad una disciplina che avesse previsto l'onere a carico dello Stato solo nei casi di assistenza tecnica.

Ci si è chiesti se, in virtù di una interpretazione analogica dell'

art. 91, lett. b, del d.P.R. n. 115/2002

che prevede la decadenza dal beneficio per la parte che nel processo penale provveda a nominare un secondo difensore, anche per la parte ammessa al patrocinio a spese dello stato nel processo civile valga lo stesso limite.

La risposta affermativa è stata data dall'unico precedente di merito noto (

Trib. Trapani 9

giugno

2005

), sulla base della decisiva, e condivisibile, considerazione che la nomina di un secondo difensore, in forza anche della presunzione di onerosità dell'incarico conferitogli, costituirebbe un chiaro indice dell'insussistenza dello stato di non abbienza e, comunque, dell'insussistenza della necessità del soggetto stesso di fruire dell'assistenza tecnica a spese dello Stato.

A conforto di tale conclusione va evidenziato come da alcune disposizioni del d.P.R. come l'art. 75, comma 2, che fa riferimento all'obbligo o alla possibilità dell'interessato di farsi assistere da «un difensore», e l'art. 80, che attribuisce a colui che è ammesso al patrocinio il diritto di nominare «un difensore», si evinca chiaramente come non sia contemplata la possibilità di avvalersi di un secondo legale.

Parte prima: presupposti oggettivi e soggettivi. Requisiti reddituali

La prima condizione per l'ammissione al patrocinio a spese dello Stato è costituita, secondo il

d.P.R. 115/2002

, dalla titolarità di un reddito imponibile

ai fini dell'imposta personale, risultante dall'ultima dichiarazione dei redditi,

non superiore ad

11.369,24

.

Il dato è stato così aggiornato da ultimo con il d.m. 1 aprile 2014, pubblicato in G.U. 23 luglio 2014, n. 169, che ha modificato, in esecuzione dell'art. 77 del d.P.R., il precedente limite di cui all'art. 76, comma 1, adeguando l'importo alla variazione, accertata dall'ISTAT, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati verificatasi nel biennio precedente.

La giurisprudenza ha chiarito che le risultanze dell'ultima dichiarazione dei redditi devono aver riguardo al reddito imponibile ai fini i.r.p.e.f e non alla situazione economica equivalente o ISEE (

Trib. La Spezia 30 novembre 2010

).

Difficoltà applicative derivano dal comma 3 dell'art. 76 che prescrive che, ai fini della determinazione del reddito, si debba tener conto anche dei redditi che, per legge, sono esenti dall'imposta sul reddito delle persone fisiche o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d'imposta ovvero ad imposta sostitutiva.

In sede di ammissione, il requisito può ritenersi soddisfatto se l'interessato presenti una autocertificazione circa il mancato possesso di redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte o ad imposta sostitutiva.

Ai sensi dell'

art. 76, comma 2, d.P.R. n. 115/2002

, se l'interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito da prendere in considerazione è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nello stesso periodo da ogni componente della famiglia, compreso l'istante e i minorenni (Trib. La Spezia 30 novembre 2011).

La norma esordisce facendo salvo quanto previsto dall'

art. 92, d.P.R. n. 115/2002

, e quindi ha fatto sorgere l'interrogativo se l

'elevazione del limite di reddito in presenza di coniuge o familiare convivente o di convivente more uxorio valga anche nel processo civile.

A sostegno della risposta negativa sono stati addotti i seguenti argomenti:

a) la collocazione sistematica dei due articoli, dal momento che l'art. 76 è inserito fra le disposizioni generali sul beneficio del patrocinio a spese dello Stato (parte III, titolo I, capo II

d.P.R. n. 115/2002

), applicabili indistintamente a tutti i processi (penale, civile, amministrativo, contabile e tributario), mentre l'art. 92 è inserito fra le disposizioni applicabili al solo processo penale (parte III, titolo II, capo II del

d.P.R. n. 115/2002

);

b) il fatto che nella r

elazione illustrativa del Testo unico sulle spese di Giustizia,

nella parte contenente il commento agli artt. 76 e 92, si sottolinei tale differenza di trattamento fra il patrocinio in materia penale e quello nelle altre materie, e la si giustifichi alla luce dei «

beni e valori di diverso rilievo tutelati nei diversi procedimenti»

.

Tale interpretazione è stata avallata da ultimo dalla Corte costituzionale che, con la sentenza 21 ottobre 2015, n. 237, ha ritenuto la differenza di disciplina tra processo penale e processo civile, con riguardo alla situazione del convivente more uxorio conforme alla carta costituzionale ed in particolare al parametro di cui all'

art. 3 Cost.

La determinazione del reddito va fatta al lordo delle imposte e bisogna tener conto di tutte le possibili entrate, comprese quelle derivanti da attività illecite e quelle per cui sia stata evasa l'imposta (cfr.

C

. c

ost. 30 marzo 1992

,

n. 144

).

Sul punto va ricordato che l'art. 12-ter, d.l. 23 maggio 2008 n. 92 (c.d. Decreto sicurezza), convertito dalla

l.

23 maggio 2008 n. 125

, ha modificato l'

art. 76 d.P.R n. 115/2002

, mediante l'aggiunta di un comma 4-bis, che ha introdotto una sorta di presunzione di abbienza per i soggetti che abbiano riportato una condanna definitiva per alcuni gravi delitti commessi a scopo di lucro, come quelli di cui

agli

artt. 416-

bis

c.p.

,

art.

291-

quate

r, d.P.R. 23 gennaio 1973, n. 43

, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'

art.

80,

e

74, comma 1, d.

P.R. 9 ottobre 1990, n. 309

, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo.

La non manifesta infondatezza della pretesa

Trattasi sempre di un requisito di carattere oggettivo la valutazione della cui sussistenza va fatta in sede di ammissione dell'istanza e spetta quindi al consiglio dell'ordine competente (ai sensi dell'art. 12, d.P.R n. 115/2002 si tratta del Coa del luogo in cui ha sede il magistrato davanti al quale pende il procedimento ovvero, se il processo non pende, quello del luogo in cui ha sede il giudice competente a conoscere il merito.). Non può, e non deve, quindi, essere confusa con quella che il giudice è chiamato a compiere, ai sensi dell'

art. 136, comma 2, d.P.R. n. 115/2002

, sulla sussistenza dei presupposti per l'ammissione al patrocinio, sebbene in giurisprudenza si registrino opinioni in tal senso (si veda: App. Torino 19 luglio 2013, decreto, inedito, reso nel procedimento n. 1996/2012 r.g. di quell'ufficio, secondo il quale rientra nell'ambito di valutazione spettante al giudice ai sensi della norma in esame anche il giudizio di inammissibilità della domanda o dell'impugnazione).

Proprio per mettere in condizioni il consiglio di esprimere il suo giudizio, l'

art. 122, d.P.R. n. 115/2002

richiede che l'istanza contenga una dettagliata e puntuale esposizione degli elementi in fatto e in diritto, utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa, nonché la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l'ammissione, ovvero dei modi in cui l'istante intende dimostrare i fatti dedotti. Ciò non significa che sia necessaria l'elencazione circostanziata dei mezzi di prova demandati al difensore, anche in considerazione del fatto che il richiedente è quasi sempre privo della necessaria competenza tecnica.

Requisiti soggettivi

Dal punto di vista soggettivo, il patrocinio, nel processo civile, è previsto per le seguenti categorie di soggetti:

  • i cittadini italiani (art. 74, comma 2), ai quali sono equiparati i cittadini della Unione Europea, per i quali, peraltro, la disciplina del

    d.P.R. n. 115/2002

    va integrata con quella del

    d.lgs. n. 116/2005

    ;
  • gli stranieri regolarmente soggiornanti nel territorio nazionale, al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del processo (ciò a differenza del processo penale, atteso che l'art. 90 consente la presentazione dell'istanza di ammissione allo straniero imputato o indagato, senza ulteriori condizioni);

  • gli apolidi (art. 119).

La normativa cui occorre aver riguardo per stabilire le condizioni di regolare soggiorno dello straniero nel territorio nazionale è quella del

d. lgs. 25 luglio 1998, n. 286

.

Il requisito deve esistere «al momento del sorgere del rapporto o del fatto oggetto del giudizio da instaurare», cosicchè, se i fatti che hanno dato origine alla controversia risalgano ad un momento in cui lo straniero non aveva regolare permesso di soggiorno, egli non potrà aspirare al beneficio nemmeno nel caso in cui venisse successivamente regolarizzato.

In linea generale lo straniero non regolarmente soggiornante non ha quindi diritto al patrocinio a spese dello Stato (

Trib. Trapani

,

13 marzo 2006

). Spetta all'istante provare documentalmente l'esistenza dei presupposti del regolare soggiorno (Trib. Milano, 18 marzo 2005, che ha negato il patrocinio ad un soggetto privo di documenti), anche se è sufficiente un titolo di soggiorno temporaneo (

Cass.

civ

.,

sez

. I, 10 giugno 2011

,

n. 12744

).

Peraltro non pare ragionevole escludere dal beneficio quei cittadini stranieri che si trovino in una situazione intermedia tra quella di assoluta irregolarità, che comporta l'espulsione, e quella di regolarità, perché, ad esempio, abbiano richiesto il soggiorno ricevendone un diniego, ma non siano stati ancora colpiti da provvedimento di espulsione.

Lo straniero regolarmente soggiornante in Italia, per i redditi prodotti all'estero, deve corredare l'istanza di ammissione con la certificazione dell'autorità consolare (

art. 79, comma 2, d.P.R. n. 115/2002

).

Parte seconda: criteri di liquidazione di compensi e spese spettanti all'avvocato di parte ammessa al patrocinio erariale e al ctu

Per quanto attiene alle spese sostenute dalla parte ammessa al patrocinio occorre aver riguardo all'art. 131, che distingue tra quelle che vanno prenotate a debito (tra esse, elencate al comma 2 la più rilevante è il contributo unificato nei casi in cui va corrisposto) e quelle anticipate dall'erario, elencate al comma 4.

Per comprendere il significato di tale distinzione occorre aver presente l'articolo 3 «

definizioni»,

lettere s) e t) del Testo unico spese di giustizia, secondo il quale:

  • «Prenotazione a debito è l'annotazione a futura memoria di una voce di spesa, per la quale non vi è pagamento, ai fini dell'eventuale successivo recupero»;

  • «Anticipazione è il pagamento di una voce di spesa che, ricorrendo i presupposti previsti dalla legge, è recuperabile».

L'

art. 83, comma 2, d.P.R. n. 115/2002

individua nel termine di ciascuna fase o grado del processo e, comunque all'atto della cessazione dell'incarico (sott. dell'avvocato o dell'ausiliario o del c.t. di parte), il momento processuale in cui si può procedere alla liquidazione e nell'autorità giudiziaria che ha proceduto quella a ciò competente.

Il compenso per il difensore è la principale tra le spese di cui è posta l'anticipazione a carico dello Stato.

In evidenza

Dall'

art. 131, comma 4, lett. a), d.P.R 115/2002

si desume che, per quanto attiene al compenso per l'avvocato del non abbiente, dopo la liquidazione ad opera del giudice, paga lo Stato, qualunque sia la decisione sulle spese, quindi anche nel caso di loro compensazione o di condanna dell'assistito, ferma restando la possibilità per lo stesso di recuperarle ai sensi dell'art. 134.

La norma che definiva le modalità di liquidazione del corrispettivo spettante al difensore fino al 24 gennaio 2012 era solo l'art. 82, comma 1, d.P.R. n. 115/2002.

Tale norma ha però subito l'abrogazione parziale sostitutiva ad opera dell'

art. 9, comma 4, d.l. n. 1/2012

, convertito con modificazioni nella

l. 24 marzo 2012, n. 27

ed entrato in vigore il 25 gennaio 2012.

In conseguenza di tale modifica, i riferimenti alle tariffe che erano contenuti nell'

art. 82, d.P.R. n. 115/2002

sono stati sostituiti dai corrispondenti riferimenti ai parametri e quelli ad onorari e diritti sono stati sostituiti dal riferimento al compenso.

È necessaria un'integrazione della disciplina con l'

art

. 9, d.m. 20 luglio 2012 n. 140

che ha introdotto, a decorrere dal 23 agosto di quell'anno, i c.d. parametri forensi, e, a decorrere dal 3 aprile del 2014, dal

d.m. 10 marzo 2014 n. 55

che ha dato attuazione alla previsione di cui all'

art. 13, comma 6, l. 31 dicembre 2012 n. 247

Nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense»), introducendo i nuovi parametri forensi e sostituendo il

d.m. n. 140/2012

.

È dubbio se il criterio della «concreta incidenza degli atti difensivi» di cui all'

art. 82, comma 1, d.P.R. n. 115/2002

possa essere integrato con i parametri previsti dall'art. 4 dell'ultimo regolamento citato, a cominciare da quelli di cui al comma 1, primo periodo (caratteristiche, urgenza, pregio dell'attività prestata, importanza, natura, difficoltà dell'affare, risultati conseguiti, quantità e numero e complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate), con la conseguenza che il giudice potrebbe discostarsi dal valore medio di liquidazione.

Sul punto va segnalato il consolidato orientamento della Suprema Corte, formatosi nella vigenza della tariffa forense e ribadito da ultimo da

Cass. civ. sez. II, 21 ottobre 2015, n.21461

, secondo il quale «i criteri cui l'autorità giudiziaria ha l'obbligo di attenersi nella liquidazione degli onorari e delle spese spettanti al difensore, ai sensi del

d.P.R. n. 115/2002 art. 82

devono ritenersi esaustivi, sicchè il giudice, nell'applicare la tariffa professionale, non può invece fare riferimento anche ai criteri integrativi e adeguatori della tariffa medesima».

Tale principio non pare però di ostacolo all'applicazione di parametri che tengono conto di alcune variabili del giudizio, come quello che prevede la possibilità di aumentare il compenso per l'avvocato che abbia assistito più parti, che si trovino nella stessa posizione processuale (purchè esse siano state tutte ammesse al patrocinio pubblico) o che abbia assistito una parte nei confronti di più parti. (art. 4, comma 2, primo e secondo periodo, d.m. n. 55/2014). Diversamente opinando, infatti, nei processi con pluralità di parti, il difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e vittoriosa subirebbe un trattamento deteriore rispetto a quello del difensore della parte parimenti vittoriosa che non si trovasse in quella condizione.

Del resto l'ambito di applicazione del succitato parametro non è limitato alla liquidazione delle spese giudiziali ma ricomprende anche la liquidazione del compenso nel rapporto tra avvocato e cliente, che ha carattere speciale rispetto a quelli elencati al comma 1 dell'art. 4.

A ciò consegue che la liquidazione dovrà avvenire secondo il seguente schema:

Fasi della Liquidazione

  1. Individuazione del valore della controversia in base all'

    art. 5, comma 2, d.m. n. 55/2014

    ;

  2. Individuazione dei compensi per fase processuale, sulla base dei valori medi di liquidazione;

  3. Applicazione degli aumenti e delle riduzioni derivanti dai paramentri generali di cui all'art. 4, commi 1-4, 9;
  4. Riduzione dell'importo finale nella misura del 50% ai sensi dell'art. 130, d.P.R. 115/2002.

Sempre ai fini della liquidazione va tenuto conto che le tabelle allegate al

regolamento 55/2014

indicano importi onnicomprensivi per il complesso di atti e di attività che possano svolgersi nel corso di ciascuna fase processuale ma, per la fase istruttoria (o di trattazione), l'

art. 4, comma 5, lett. c) d.m.55/2014

prevede che: «la fase rileva ai fini della liquidazione del compenso quando effettivamente svolta».

In evidenza

Allorquando la fase istruttoria o di trattazione si sia svolta solo in parte, ad esempio perché le parti abbiano depositato solo le memorie ai sensi dell'

art. 183, comma

6

, c.p.c.

, ci si può discostare, in diminuizione, dal valore medio di liquidazione previsto per essa.

… e quella delle spese.

Per quanto riguarda la definizione dei presupposti per la liquidazione delle spese sostenute dal difensore occorre aver riguardo, ancora una volta, al combinato disposto degli

art.

130 del d.P.R n. 115/2002

e

art.

9 d.m. n. 140/2012

, perlomeno per gli incarichi che si siano conclusi sotto la vigenza di quest'ultimo regolamento, e quindi anche per esse vale, perlomeno in linea teorica, la dimidiazione. L'art. 130 indica, quale oggetto della dimidiazione, gli importi spettanti al difensore e tale espressione parrebbe essere comprensiva anche di quelli dovuti a titolo di spese.

Va però detto che la rubrica della norma parla invece di compenso, cosicchè è più che ragionevole ritenere che sia questo l'oggetto della riduzione ex lege, anche perché la diversa opzione, sopra indicata, sarebbe eccessivamente penalizzante per il professionista.

Con riguardo al rimborso forfetario (previsto dall'art. 14 della tariffa professionale approvata con il

d.m. 8 aprile 2004, n. 127

ed abrogata, come detto, dall'

art. 9, comma 5, del d.l. n. 1/2012

) è sorto il dubbio su quale importo andasse applicata la relativa percentuale del 12,50 %

Per le liquidazioni di compensi relativi ad incarichi esauritisi prima dell'entrata in vigore del summenzionato testo normativo (25 gennaio 2012) la risposta è stata data dalla Suprema Corte

(Cass. civ., 30 maggio 2013, n. 10239),

che aveva statuito che il rimborso forfettario delle spese generali andasse calcolato sulla remunerazione a titolo di onorari e di diritti ridotti della metà, e non sull'importo di questi prima della dimidiazione.

Tale soluzione, però, non è stata più valida per gli incarichi che si siano conclusi dopo l'entrata in vigore del d.l. n. 1/2012, atteso che l'art. 9, comma 5, come detto nel paragrafo precedente, ha abrogato le tariffe forensi e con esse anche la previsione che riconosceva il rimborso forfetario.

A seguito dell'entrata in vigore, a decorrere dal 2 febbraio 2013, della legge di riforma dell'ordinamento forense (

l

. n. 247

/2012

), si è posto il problema se la norma in essa contenuta che riconosceva nuovamente al difensore il rimborso delle spese generali (si tratta dell'art. 13, comma 10) fosse immediatamente applicabile. Ad avviso di chi scrive la risposta deve essere negativa poiché tale norma rimetteva all'attuazione della delega la definizione della «misura massima», e di riflesso anche di quella minima, del rimborso e quindi la definizione dei limiti entro i quali andava operata la quantificazione di questa voce di spesa; inoltre taceva del tutto sul criterio di calcolo di essa (in questi termini in giurisprudenza si veda:

Cass. pen. sez. IV, 15 gennaio 2014 n. 9357

)

.

La modifica è stata completata solo con l'entrata in vigore del

d.m. n. 55/2014, art. 2,

comma 2, che ha stabilito che all'avvocato: «è dovuta, in ogni caso ed anche in caso di determinazione contrattuale, una somma per rimborso spese forfettarie di regola nella misura del 15 per cento del compenso».

Nella relazione illustrativa al d.m. n. 55/2014 si legge che la individuazione nella misura del 15 % del rimborso forfetario è il frutto del recepimento del parere espresso dalla commissione giustizia della camera e che essa, testualmente, «dà attuazione all'

art. 13 comma 10

,

l. n. 247/2012

che rimette proprio al d.m. la determinazione della misura massima del rimborso forfetario». Pertanto secondo il regolamento, ma anche secondo la legge, la misura del 15 % è la misura massima riconoscibile al difensore. Il che significa che l'entità del rimborso forfetario può variare dall'0,1 % al 15 %.

A fronte di tali dati normativi, la precisazione da parte dell'

art. 2, comma 2, d.m. n. 55/2014

che il riconoscimento della percentuale del 15 % deve avvenire «di regola» non vale ad individuare un importo massimo vincolante per il giudice, atteso che la legge, fonte sovraordinata al regolamento ministeriale, non prevede un simile vincolo (si noti peraltro che tale espressione è utilizzata dal regolamento anche con riguardo agli aumenti o alle diminuizioni apportabili ai valori medi di liquidazione dei compensi).

Del resto, lo stesso

art. 82, comma 1, d.P.R. n. 115/2002

impone di tenere conto, ai fini della liquidazione, del valore medio di liquidazione non solo dell'onorario (ora compenso) ma anche delle spese spettanti al difensore (così

Trib. Verona 20 maggio 2014

e

App.

Catania 10 luglio 2014

con riguardo alla discrezionalità del giudice nello stabilire l'entità della percentuale da riconoscere al difensore).

Criteri di liquidazione del compenso del CTU e del c.t.p.

Anche per ricostruire la disciplina delle modalità di liquidazione del compenso spettante al CTU o al c.t.p. che abbiano svolto il loro incarico in un processo civile in cui una o più delle parti siano state ammesse al patrocinio a spese dello Stato, è necessario coordinare le norme del

d.P.

R. n. 115/2002

relative alla CTU e quelle dedicate al patrocinio a spese dello Stato (parte terza) con alcune norme speciali.

Occorre innanzitutto stabilire se la disciplina che viene in rilievo sia la stessa per tutte queste figure professionali.

Per quanto attiene alla fase di liquidazione del compenso spettante al CTU o a qualsiasi ausiliario del giudice o al c.t. di parte, i relativi importi vanno concretamente determinati, nel decreto di liquidazione da adottarsi dal giudice ai sensi dell'

art. 83

del

d.P.R. 115/2002

, facendo riferimento, per il professionista che abbia svolto l'incarico di ausiliario (il casi più ricorrente è quello del curatore fallimentare) o di c.t di parte (con riguardo a questa figura, perlomeno per gli incarichi che siano proseguiti dopo l'entrata in vigore del

d.l. n. 1/2012

, al

d.m. n. 140/2012

), ovviamente utilizzando i parametri relativi alla categoria professionale alla quale egli appartiene.

Per il professionista che abbia svolto l'incarico di CTU si dovrà invece applicare il d.m. 30 maggio 2002 (Adeguamento dei compensi spettanti ai periti, consulenti tecnici, interpreti e traduttori per le operazioni eseguite su disposizione dell'autorità giudiziaria).

La relazione illustrativa del

d.P.R. n. 115/2002

, relativamente all'art. 83, chiarisce che: «(…) per ausiliari e consulenti di parte non è previsto il limite massimo di cui all'

art. 130 d.P.R. 115/2002

perché la norma originaria (art. 12, comma 1,

l. n. 217/1990

) lo riferisce solo agli avvocati. Infatti il limite dei valori medi delle tariffe professionali relativi a diritti ed indennità riguarda le tariffe professionali degli avvocati e non gli onorari di ausiliari e consulenti»

Sia l'importo determinato ai sensi del

d.m. n. 140/2012

, che quello calcolato ai sensi del d.m. 30 maggio 2002, vanno invece ridotti della metà ai sensi dell'

art. 130 d.P.R. 115/2002

.

Ai fini della liquidazione del compenso a CTU e c.t.p. occorre tener presente che, come per le norme corrispondenti che definiscono le modalità di determinazione del corrispettivo spettante al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato, i riferimenti all'onorario che vi sono contenuti devono intendersi sostituiti dal riferimento al compenso, in conseguenza dell'effetto abrogativo parziale conseguente all'entrata in vigore dell'

art.

.

9, comma 4, d.l. 1/2012

, convertito con modificazioni nella

l. 24 marzo 2012, n.27

.

Nel caso in cui si intenda ripartire pro quota tra le parti la somma da liquidarsi in favore del CTU, si pone il problema di stabilire se la dimidiazione vada operata sull'importo iniziale o sulla quota dell'importo posta a carico della parte non abbiente, con la precisazione che l'

art. 168 del d.P.R. 115/2002

non prescrive che nel decreto di pagamento delle spettanze dell'ausiliario venga indicata la parte obbligata

La soluzione al quesito posto non può prescindere dalla considerazione che l'obbligazione di pagamento del compenso che le parti hanno nei confronti del CTU ha natura solidale, secondo quanto ripetutamente affermato dalla Suprema Corte di Cassazione (cfr. ex plurimis

Cass.

civ.,

8 luglio 1996 n. 6199

).

I conseguenti corollari sono che:

- il solo fatto che il giudice, nel provvedere alla liquidazione, abbia posto l'onere della relativa corresponsione in tutto o in parte a favore di una delle parti, non esclude la natura solidale del debito delle parti nei confronti del CTU;

- l'eventuale ripartizione del compenso tra le parti è rilevante solo ai fini del rapporto interno tra le stesse e, quindi, ai fini del regresso, ma non nei confronti del CTU, che, essendo ausiliario del giudice, svolge un'attività in funzione del processo, voluto da entrambe le parti, nell'interesse generale della giustizia e può quindi richiedere l'intero compenso liquidatogli a ciascuna di esse.

Rispetto all'interrogativo posto due sono le soluzioni possibili.

La prima consiste nel liquidare l'importo dimezzandolo ai sensi dell'

art. 130 d.P.R. n. 115/2002

e poi nel ripartirlo tra le parti in causa.

La seconda, che spesso viene seguita nella prassi, consiste invece nell'operare la riduzione sulla

quota della somma liquidata che viene posta a carico della parte ammessa al patrocinio

. Tale soluzione

non pare invece conforme al dettato normativo, che stabilisce che sia il compenso spettante al CTU, e da lui ottenibile da qualsiasi delle parti, a dover essere dimezzato, presupponendo inoltre che l'obbligazione delle parti verso il CTU abbia carattere parziario, in contrasto con il succitato orientamento. Seguendo la modalità prospettata poi, se la ripartizione tra le parti non avviene in pari misura, si arriva a riconoscere di fatto, all'ausiliario, un compenso maggiore di quello al quale egli avrebbe diritto se la dimidiazione fosse operata sull'importo iniziale e, solo successivamente, la somma così risultante venisse ulteriormente ripartita nel rapporto tra le parti. Corrispondentemente, la parte ammessa al beneficio è esposta al rischio di dover sostenere, a seguito del regresso dell'altra parte che abbia pagato l'intero, l'esborso di una somma superiore alla metà di quella liquidata al CTU.

La prima delle modalità sopra esposte è quindi quella che pare maggiormente conforme alla norma.

Provvedimento ex art. 133 d.P.R. 115/2002 e statuizioni conseguenti

La norma che richiede che, nel caso di condanna della parte abbiente alla rifusione delle spese in favore del non abbiente, il pagamento vada disposto in favore dello Stato (requisito formale necessario per l'esercizio della azione di rivalsa di cui al successivo articolo), solo in apparenza non pone problemi applicativi.

A ben vedere, essa solleva almeno due interrogativi, non trascurabili: quello se vi debba essere corrispondenza tra la somma liquidata al difensore della parte ammessa e quella oggetto della condanna ai sensi dell'

art. 91 c.p.c.

nei confronti della parte non abbiente e quello se le due liquidazioni possano essere contenute nello stesso provvedimento che definisce il giudizio (sentenza, ordinanza ai sensi dell'

art. 702-

ter

c.p.c.

ma anche ordinanza cautelare).

Con riguardo al primo va segnalato un contrasto giurisprudenziale sintetizzato nella tabella sottostante.

ORIENTAMENTI A CONFRONTO: CORRISPONDENZA TRA IMPORTO OGGETTO DELLA CONDANNA AI SENSI DELL'

ART. 91 c.p.c

E QUELLO OGGETTO DEL DECRETO DI LIQUIDAZIONE IN FAVORE DEL DIFENSORE

Quando il giudice del processo penale condanna l'imputato alla rifusione integrale delle spese legali sostenute dalla parte civile, ammessa al beneficio del patrocinio a spese pubbliche, la somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato deve coincidere con quella che lo Stato liquida al difensore; essa va pertanto subito determinata secondo i parametri di cui al

d.P.R. n. 115 del 2002, art. 82

(

Cass. pen., sez. VI, 8 novembre 2011, n. 46537

, in Riv. pen. 2012, 289).

Corrispondenza tra somma che l'imputato deve rifondere in favore dello Stato e quella che lo Stato liquida al difensore.

Non vi può né deve esservi corrispondenza tra somma oggetto di condanna della parte soccombente ai sensi dell'

art. 91 c.p.c.

e importo oggetto di liquidazione in favore del difensore del non abbiente atteso che nessuna delle norme del

d.P.R. n. 115/2002

prevede tale la corrispondenza tra somma oggetto di condanna ai sensi dell'

art. 91 c.p.c.

e nemmeno che la prima debba essere dimezzata (Trib. Verona, 1 febbraio 2016, n.172).

Nessuna corrispondenza tra somma oggetto di condanna e importo oggetto di liquidazione in favore del difensore

Quanto all'ulteriore interrogativo, ossia se la liquidazione del compenso per il difensore del non abbiente possa essere contenuta nella stessa pronuncia che condanna la parte abbiente alla rifusione delle spese in favore dello Stato, la risposta negativa si evince dal chiaro dato letterale dell'

art. 82, comma 1, d.P.R., n. 115/2002

che stabilisce che l'onorario (ora compenso) e le spese sono liquidati con «decreto di pagamento», e quindi con un provvedimento che è distinto dalla sentenza o dalla ordinanza che conclude il giudizio.

D'altro canto vi è anche una esigenza funzionale che giustifica la separazione tra i due provvedimenti, quello che definisce il giudizio e il decreto di liquidazione. Essi, infatti, sono soggetti non solo a mezzi impugnazione differenti (la sentenza a quelli ordinari, mentre il decreto di liquidazione all'opposizione di cui all'

art. 170

c.p.c.

), ma anche ad adempimenti diversi (ai sensi dell'

art. 83, comma 2, d.P.R. n. 115/2002

il decreto di liquidazione va «comunicato al beneficiario e alle parti compreso il pubblico ministero»).

La condanna alle spese e

la liquidazione del compenso al difensore della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato di solito dovranno avvenire contestualmente, tanto più dopo che l'

art. 1, comma 451-bis, legge di stabilità 2016

ha aggiunto all'

art. 83,

d.P.R.

30 maggio 2002, n.

115

, il comma 3-bis secondo il quale: «Il decreto di pagamento è emesso dal giudice contestualmente alla pronuncia del provvedimento che chiude la fase cui si riferisce la relativa richiesta».

Tale norma ha inteso chiarire meglio quanto, a ben vedere, già poteva evincersi dalla prima parte del comma 2 della norma succitata.

CASISTICA

In ogni caso in cui la parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato sia vittoriosa in una controversia civile proposta contro un'amministrazione statale, l'art. 133 osta alla pronuncia nei confronti di quest'ultima di una sentenza di condanna al pagamento delle spese, dovendo la liquidazione degli onorari e delle spese in favore del difensore della parte ammessa avvenire seguendo il procedimento di cui all'art. 82, e quindi con istanza di liquidazione al giudice del procedimento (

Cass. civ., sez. II, 29 ottobre 2012, n. 18583

).

Istanza di liquidazione al giudice del procedimento

Il sistema del patrocinio a spese dello Stato, escludendo ogni rapporto fra il difensore della parte non abbiente assistita e la parte soccombente non assistita, è incompatibile con l'istituto della distrazione delle spese previsto dall'

art. 93 c.p.c.

, il quale eccezionalmente istituisce un rapporto obbligatorio tra il difensore della parte vittoriosa e la parte soccombente con la conseguenza che il relativo credito sorge direttamente a favore del primo nei confronti della seconda (

T.A.R. Calabria Reggio Calabria

,

sez. I, 11 settembre 2012, n. 573

, in Foro amm.

TAR,

2012, 2930

)

Incompatibilità con l'Istituto della distrazione delle spese ex

art. 93 c.p.c.

Nel patrocinio a spese dello Stato, il decreto di liquidazione del compenso al difensore non è revocabile, né modificabile, d'ufficio, poiché l'autorità giudiziaria che lo emette, salvi i casi espressamente previsti, consuma il suo potere decisionale e non ha il potere di autotutela tipico dell'azione amministrativa (

Cass.

civ., sez. VI, 6

giugno

2014 n.12795

).

.

Irrevocabilità e immodificabilità d'ufficio del decreto di liquidazione del compenso al difensore

Riferimenti

LUISO

, Orientamenti giurisprudenziali sul patrocinio a spese dello Stato in materia civile, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 623 ss.;

SCARSELLI

, Modifiche alla

legge 30 luglio 1990, n. 217

, recante istituzione del patrocinio a spese dello Stato

, in Nuove leggi civ. comm., 2002, 199-204;

VACCARI

, Il patrocinio a spese dello Stato, Milano, 2015, 6-10.

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