Gli effetti post mortem dell’atto inter vivos costituito dall’assicurazione sulla vita in favore del terzo
23 Dicembre 2024
Massima In difetto di un'indicazione nominativa di quegli, tra gli eredi testamentari, da indentificare come soli beneficiari della polizza, gli effetti post mortem dell'atto inter vivos costituito dall'assicurazione sulla vita si producono nei confronti di tutti. Il principio da affermare è, infatti, quello che fa dell'identificazione degli eredi testamentari con tutti coloro che sono chiamati, per via testamentaria alla successione mortis causa dell'assicurato (oltre che dell'uguaglianza delle loro quota) la regola generale, facendo salva, quale eccezione, l'ipotesi in cui l'assicurato abbia provveduto a indicare gli stessi nominativamente o a stabilire in quali misure o proporzioni debba suddividersi tra loro l'indennizzo, di guisa che, in assenza di indicazione nominativa degli eredi testamentari beneficiari della polizza, si applica il criterio ermeneutico privilegiato della pari contitolarità del diritto, anche con riguardo alle quote, quale principio interpretativo del contratto di cui all'art. 1920 c.c., richiedente una specifica motivazione e un particolare approfondimento solo in caso di scostamento da esso. Il caso Con testamentodel 5 settembre 2012 la testatrice nominava cinque eredi testamentari che, per facilità di comprensione, si indicheranno in Primo, Secondo, Terzo, Quarto e Quinto, dividendo tra loro tutti i suoi beni e diritti e attribuendo a Primo e Secondo tutto il denaro e i titoli depositati presso qualsiasi istituto; a Terzo e Quarto alcuni immobili; nulla, infine, in favore di Quinto, in quanto già liquidato in vita dalla defunta. In data 12 marzo 2013, la testatrice stipulava una polizza vita in favore degli "eredi testamentari", destinandovi la somma di euro 400.000,00, ricavata prevalentemente dalla vendita, avvenuta in data 20 febbraio 2013, di un immobile che, in base al testamento del 5 settembre 2012, era stato attribuito ai due eredi testamentari Primo e Secondo. Apertasi la successione in data 18 agosto 2013, Terzo, Quarto e Quinto adivano il Tribunale, assumendo di essere beneficiari nella misura di un quinto ciascuno, al fine di vedersi attribuita tale quota parte dell'indennizzo assicurativo. Con sentenza n. 1037/2017, Tribunale di prime cure respingeva la domanda, attribuendo a Primo e Secondo l'intero indennizzo di cui alla polizza. Contro tale sentenza di primo grado proponevano gravame Terzo, Quarto e Quinto; si costituivano Primo e Secondo, oltre alla società assicuratrice, sostenendo di essere i soli beneficiari della polizza, sulla scorta della circostanza che il denaro versato quale premio della polizza vita derivava, quasi esclusivamente, dalla vendita dell'appartamento che in sede testamentaria era stato ad essi attribuito, nonché in base alla corretta lettura delle disposizioni testamentarie, dalla quali emergeva che, mentre a Terzo e Quarto erano stati lasciati alcuni immobili, a Primo e Secondo erano stati attribuiti tutto il denaro e i titoli, nulla, infine, prevedendosi in favore di Quinto, in quanto già liquidato in vita dalla defunta. La Corte di Appello, con sentenza n. 1412/2022 del 30 giugno 2022, in accoglimento del gravame proposto da Terzo, Quarto e Quinto, condannava la società assicuratrice a versare in favore degli appellanti i tre quinti – un quinto ciascuno (1/5) - dell'indennizzo della polizza assicurativa sulla vita stipulata dalla testatrice. La sentenza - nel riformare la decisione del primo giudice, che aveva, invece, privilegiato l'interpretazione che identificava nei soli Primo e Secondo gli "eredi testamentari" – perveniva, quindi, all'opposta conclusione. Avverso tale sentenza proponevano ricorso per Cassazione Primo e Secondo, affidato a cinque motivi, ruotanti, essenzialmente, sulla corretta interpretazione della locuzione “eredi testamentari” contenuta nella polizza assicurativa; sull'omessa considerazione del fatto che il denaro versato quale premio della polizza vita da parte della testatrice derivasse, quasi esclusivamente, dalla vendita dell'appartamento che in sede testamentaria era stato attribuito ai ricorrenti; sulla violazione delle regole di interpretazione delle disposizioni testamentarie (art. 587) e della polizza assicurativa (art. 1362 c.c.). Si costituivano la società assicuratrice, proponendo ricorso incidentale e, altresì, Terzo, Quarto e Quinto, resistendo ad entrambe le impugnazioni. La questione La questione posta all'attenzione del Suprema Corte si incentra sulla corretta interpretazione del contratto di cui all'art. 1920 c.c. e individuazione della categoria degli “eredi testamentari”, al fine di identificare i beneficiari della polizza verso cui indirizzare gli effetti post mortem dell'atto inter vivos costituito dall'assicurazione sulla vita stipulata dalla testatrice. Le soluzioni giuridiche Nel rigettare il proposto ricorso ritiene la Corte di cassazione che, in difetto di un'indicazione nominativa di quegli, tra gli eredi testamentari, da indentificare come soli beneficiari della polizza, gli effetti post mortem dell'atto inter vivos costituito dall'assicurazione sulla vita si producono nei confronti di tutti gli eredi testamentari. Il principio da affermare è, infatti, quello enunciato dalle Sezioni Unite che fa dell'identificazione degli eredi testamentari con tutti coloro che sono chiamati, per via testamentaria, alla successione mortis causa dell'assicurato (oltre che dell'uguaglianza delle loro quota) la regola generale, facendo salva, quale eccezione, l'ipotesi in cui l'assicurato abbia provveduto a indicare gli stessi nominativamente o a stabilire in quali misure o proporzione debba suddividersi tra loro l'indennizzo, di guisa che, in assenza di indicazione nominativa degli eredi testamentari beneficiari della polizza, si applica il suddetto criterio ermeneutico privilegiato della pari contitolarità del diritto, anche con riguardo alle quota, quale principio interpretativo del contratto di cui all'art. 1920 c.c., richiedente una specifica motivazione e un particolare approfondimento solo in caso di scostamento da esso. Nemmeno appare decisivo per la Cassazione il fatto relativo alla provenienza del denaro dalla vendita dell'appartamento destinato, per testamento, proprio ai ricorrenti, non essendo suscettibile di comprovare, in modo univoco, che i beneficiari della polizza fossero solo essi. Osservazioni La sentenza in commento consente di analizzare la figura generale del contratto in favore di terzi con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante (art. 1412 c.c.) e quella particolare dell'assicurazione sulla vita in favore del terzo (art. 1920 c.c.). Nel caso di stipulazione in favore del terzo già individuato al momento della stipulazione stessa con prestazione da eseguirsi dopo la morte dello stipulante, il legislatore attribuisce allo stipulante la possibilità di revocare la designazione anche attraverso lo strumento testamentario (art. 1412 c.c.). Si discute in dottrina sulla natura giuridica del negozio previsto dall'art. 1412 c.c. e sulla sua possibile ricaduta nel divieto dei patti successori di cui all'art. 458 c.c. Secondo una prima interpretazione, la fattispecie rappresenterebbe un negozio mortis causa a struttura contrattuale eccezionalmente consentito dall'ordinamento. Tale tesi si fonda sulla duplice circostanza che tra stipulante e terzo si instaurerebbe un rapporto di natura ereditaria in cui lo stipulante, vincolando il promittente nei confronti del terzo per il tempo successivo alla sua morte, compirebbe, sia pure in via indiretta, un'attribuzione gratuita mortis causa in favore di questi e, inoltre, che la caratteristica revocabilità della fattispecie sarebbe in linea con la naturale revocabilità degli atti mortis causa. Per l'interpretazione prevalente in dottrina e in giurisprudenza la fattispecie di cui all'art. 1412 c.c. non configurerebbe un negozio mortis causa, ma un negozio inter vivos. Dall'attenta lettura del secondo comma della norma si ricaverebbe l'immediata efficacia del negozio già in epoca antecedente la morte dello stipulante, dal momento che solo chi ha acquistato un diritto può trasmetterlo ai suoi eredi, in quanto, ove il terzo acquistasse il diritto alla prestazione, non in vita dello stipulante, ma per successione allo stesso, egli non potrebbe trasmetterlo ai suoi eredi in caso di premorienza allo stipulante stesso. Dal punto di vista pratico, la designazione del terzo beneficiario può avvenire nello stesso contratto in favore del terzo, come accade normalmente e come normativamente contemplato dall'art. 1412 c.c., ovvero, come accade con il contratto di assicurazione sulla vita (art. 1920 c.c.), mediante con una dichiarazione successiva, anche testamentaria. Relativamente alla designazione con atto unilaterale successivo, secondo alcuni essa sarebbe inammissibile, potendosi procedere alla designazione del terzo solo nello stesso contratto, essendo la fattispecie dell'assicurazione sulla vita un'ipotesi eccezionale, insuscettibile, in quanto tale, di applicazione analogica. Secondo altri, invece, sarebbe possibile una designazione successiva con atto unilaterale, purché tale possibilità sia espressamente contemplata e prevista nel contratto. A tal fine si argomenta che la possibilità di una designazione successiva non impingerebbe nel divieto dei patti successori, trattandosi pur sempre di un atto inter vivos, per i quale valgono le medesime regole previste per il caso in cui la designazione avvenga contestualmente alla stipula del contratto in favore del terzo. Quanto alla designazione per testamento, per alcuni essa sarebbe ammissibile in base al triplice assunto che la norma dell'art. 1920 comma 2 c.c. non costituirebbe un'ipotesi eccezionale ma principio di carattere generale; non vi sarebbe contrasto con il divieto dei patti successori in quanto il terzo riceverebbe la prestazione, non dallo stipulante/testatore, ma da un soggetto diverso, ossia il promittente; sarebbe comunque tutelata la libertà testamentaria, conservando lo stipulante/testatore il potere di designare liberamente il terzo beneficiario. Secondo altri, di contro, la designazione per testamento integrerebbe un'ipotesi di attribuzione indiretta a causa di morte, in quanto ogni effetto della stipulazione si realizzerebbe solo con la morte del testatore, con conseguente violazione dell'art. 458 c.c. Prima di tale evento, infatti, la disposizione in favore del terzo non produrrebbe alcun effetto, venendosi a conoscenza dell'identità del beneficiario solo al momento dell'apertura della successione dello stipulante, coincidente con il momento in cui il testamento acquista efficacia. In base a tale impostazione, la norma dell'art. 1920, comma 2, c.c., nella parte in cui prevede la possibilità di designare il beneficio con testamento costituirebbe un'ipotesi eccezionalmente consentita dalla legge di deroga al divieto dei patti successori. Il contratto di assicurazione sulla vita in favore del terzo, previsto dall'art. 1920 c.c., rientra nello schema negoziale del contratto in favore del terzo ex art. 1412 c.c., in base al quale l'indennizzo è pagato al terzo alla morte dell'assicurato. La norma prevede che la designazione del terzo possa avvenire in tre differenti maniere: nel contratto di assicurazione, mediante successiva dichiarazione, mediante testamento. Nella pratica si assiste diffusamente a contratti di assicurazione che prevendono che l'indennizzo venga attribuito agli eredi dell'assicurato, sia che siano eredi ex lege, che eredi testamentari, come nel caso oggetto di commento. In tal caso, il beneficiario designato è titolare di un diritto proprio, derivante dal contratto, alla prestazione assicurativa; qualora il contratto preveda che l'indennizzo debba essere corrisposto agli eredi legittimi o testamentari, tale designazione concreta una mera indicazione del criterio per la individuazione dei beneficiari, i quali sono coloro che rivestono, al momento della morte del contraente, la qualità di chiamati all'eredità, senza che rilevi la successiva rinuncia o accettazione dell'eredità da parte degli stessi (Cass. n. 4484/1996). Quanto alla natura giuridica di tale fattispecie negoziale, è discusso se essa integri un contratto mortis causa, con effetti incidenti sulla successione a causa di morte dell'assicurato. Per la dottrina, in caso di designazione del beneficiario per testamento essa integra un negozio mortis causa eccezionalmente ammesso dall'ordinamento, in quanto con tale modalità di nomina l'assicurato beneficia il terzo, a mezzo del testamento, con disposizione testamentaria revocabile ai sensi dell'art. 679 e ss c.c.; diversamente, in caso di designazione nello stesso contratto di assicurazione o per atto unilaterale successivo, diverso dal testamento, non si integra un negozio mortis causa, avendo il negozio effetti immediati, già durante la vita dell'assicurato. Infine, quanto all'individuazione degli eredi testamentari, devono ritenersi tali tutti quelli istituiti nel testamento, rilevando le successive attribuzioni a titolo particolare quale divisione effettuata dal testatore (art. 734 c.c.) e non come institutio ex re certa (art. 588 c.c.), applicabile nel caso in cui manchi, nella scheda testamentaria, una specifica qualificazione, da parte del testatore, della chiamata ereditaria. Riferimenti A. Ferrucci – C. Ferrentino, Successioni e donazioni, Milano, 2023. A. Busani, La Successione mortis causa, Milano, 2020. |