Risarcimento danni connessi all’impossibilità o mancata esecuzione in forma specifica del giudicato o di sua violazione o elusione: criteri di ammissibilità
09 Gennaio 2025
Con la sentenza in esame il Consiglio di Stato ha approfondito lo specifico rimedio ex art. 112, comma 3, c.p.a. nei casi di impossibilità di ottenere il bene della vita con l'esecuzione in forma specifica, quando la sua spettanza derivi dalla successiva attività amministrativa e non sia stata affermata direttamente dalla sentenza. La ricorrente società mandataria di un'a.t.i. partecipante insieme ad un'altra società ad una gara indetta da un'amministrazione comunale per le Olimpiadi invernali 2026, ricorreva davanti al T.R.G.A – Sezione Autonoma di Bolzano, per impugnare l'esito della procedura; il Tribunale accoglieva in parte il ricorso. L'a.t.i. appellava la sentenza deducendo che in esecuzione della sentenza di primo grado la Commissione di gara aveva effettuato una nuova valutazione delle offerte e che veniva confermata l'impresa aggiudicataria alla quale il Comune aveva consegnato d'urgenza i lavori per cui era iniziata l'esecuzione delle opere. Il Consiglio di Stato accoglieva l'appello. Il Comune in esecuzione della sentenza di appello, sia pur avendo disposto l'aggiudicazione in favore dell'a.t.i., demandava al r.u.p. le verifiche per il subentro nel contratto, imposte dalla sentenza di appello; a seguito di tali verifiche, che si concludevano molto tempo dopo il termine di 30 giorni assegnato, il Comune escludeva dal subentro l'a.t.i. La ricorrente impugnava tale esclusione con ricorso per motivi aggiunti, deducendo la nullità per elusione e violazione del giudicato e, in subordine, il risarcimento dei danni ex art. 112, co. 3 c.p.a, per l'impossibilità della tutela in forma specifica. Poi, stante l'ultimazione dei lavori, la ricorrente contestava l'impossibilità di eseguire la sentenza del Consiglio di Stato in forma specifica mediante l'aggiudicazione del contratto, a causa della condotta colposa del Comune; perciò, la ricorrente, affermata la carenza di interesse all'accertamento della nullità dei provvedimenti impugnati con il ricorso per motivi aggiunti, stante l'avvenuta ultimazione dei lavori, chiedeva che il risarcimento del danno proposto con il ricorso per motivi aggiunti in via subordinata diveniva domanda principale, ovvero l'unica, dell'a.t.i. Innanzi tutto, il Collegio, nel prendere atto delle dichiarazioni della ricorrente ha dichiarato improcedibile la domanda di accertamento della nullità degli atti impugnati e di esecuzione della sentenza in forma specifica e ha respinto l'eccezione del Comune di inammissibilità dell'azione risarcitoria ai sensi dell'art. 112, comma 3, c.p.a., assumendo che non fosse connessa all'impossibilità totale o parziale di esecuzione della sentenza, ai danni derivanti da attività discrezionale della stazione appaltante, ossia dal provvedimento di esclusione nel subentro. Al riguardo, il Collegio ha chiarito che la domanda non configura un'ordinaria azione di risarcimento per cui è stata correttamente proposta dinanzi al Giudice dell'ottemperanza. Infatti, la ricorrente ha chiesto il risarcimento dei danni non per l'illegittimità del diniego di subentro ma per l'intervenuta impossibilità di ottenere, anche in via giurisdizionale, tale subentro, stante la condotta del Comune che ha eliso ogni possibilità di ottenere il bene della vita. Nel richiamare quanto affermato dall'Adunanza Plenaria n. 2/2017, il Collegio ha evidenziato che il rimedio ex art. 112, comma 3, c.p.a. è applicabile non solo nei casi in cui il giudicato abbia attribuito sicuramente il bene della vita e si verifichi una impossibilità di esecuzione in forma specifica della sentenza, ma anche quando dalla sentenza discenda un obbligo conformativo che conduce, in ragione della successiva attività amministrativa imposta dalla sentenza, al riconoscimento del bene della vita, la cui concreta attribuzione sia divenuta impossibile. Declinando tali principi al caso di specie, il Collegio ha rilevato che la sentenza del Consiglio di Stato pur non avendo accertato come sicura la spettanza del bene della vita (contratto), ha imposto al Comune una specifica attività (verifica dei presupposti per il subentro), con un effetto conformativo, sul presupposto che la stessa avrebbe potuto condurre alla sua attribuzione. In esecuzione della sentenza il Comune ha disposto l'aggiudicazione in favore dell'a.t.i., fissando, in tal modo, un primo tassello per l'integrale soddisfazione dell'interesse legittimo pretensivo fatto valere in giudizio (l'aggiudicazione della gara), salvo, poi, attuare una condotta che ha reso impossibile l'integrale attribuzione in forma specifica del bene della vita finale (il contratto e la sua esecuzione). Successivamente il Collegio ha respinto l'eccezione del Comune circa l'improponibilità della domanda risarcitoria per difetto del presupposto di cui all'art. 112, comma 3, c.p.a., costituito dal passaggio in giudicato della sentenza del Consiglio di Stato, in quanto era stata impugnata con ricorso per Cassazione ex art. 111, comma 8, e non sarebbe transitata in rem iudicatam. Il Collegio ha osservato che l'art. 112, comma 3, c.p.a., nel fare rifermento ai danni connessi all'impossibilità o mancata esecuzione in forma specifica del giudicato, non utilizza il termine “giudicato” in relazione al c.d. giudicato formale, ma al vincolo precettivo che deriva dalla sentenza e che avrebbe potuto condurre alla tutela “in forma specifica” divenuta impossibile. L'art. 112 non riguarda la stabilità formale della sentenza ma gli effetti che ne derivano e, in particolare, l'obbligo dell'Amministrazione di porre in essere la prestazione conseguente alla sentenza per potere attribuire il bene della vita che, ove divenuta impossibile, viene convertita, anche in deroga agli art. 1218 c.c. e 1256 c.c., in un obbligo risarcitorio equivalente in termini monetari al bene della vita che avrebbe potuto essere attribuito. Quanto alla antigiuridicità della condotta del Comune, il Collegio, sulla base della citata pronuncia dell'Adunanza plenaria, ha rilevato che la previsione di cui all'art. 112, comma 3, c.p.a. ha introdotto un rimedio che presenta i caratteri della responsabilità oggettiva, per cui l'obbligazione risarcitoria ex lege sorge in presenza della riconducibilità dell'impossibilità di ottenere in forma specifica l'esecuzione del giudicato alla condotta del soggetto dal quale si pretende il risarcimento e alla insussistenza di una causa di giustificazione della condotta, che precluderebbe la responsabilità. In ordine al primo requisito devono applicarsi i principi generali di cui agli artt. 40 e 41 c.p., fermo restando il regime probatorio del processo amministrativo, costituito dalla regola della preponderanza dell'evidenza. Inoltre, trattandosi di responsabilità di natura contrattuale opera il principio per cui spetta al creditore di allegare e provare l'esistenza del titolo, mentre è onere della parte debitrice provare il caso fortuito, comprensivo del fatto del terzo. Declinando questi principi al caso di specie, l'impossibilità di ottenere il bene della vita in forma specifica ad avviso del Collegio è dipeso dalla condotta del Comune. Dopo la pubblicazione della sentenza di appello l'Amministrazione vi ha ottemperato solo parzialmente, disponendo l'aggiudicazione in favore dell'a.t.i., ma demandando al r.u.p. le verifiche per il subentro che hanno provocato un rallentamento di cui l'Amministrazione non ha fornito alcuna giustificazione. Invero, quale causa di giustificazione sopravvenuta della propria condotta, l'amministrazione ha evocato l'inserimento dell'intervento nel Piano delle opere olimpiche ai sensi dell'art. 125 c.p.a. che avrebbe vincolato il Comune ad escludere il subentro. Sul punto, il Collegio ha osservato che l'art. 125, comma 3, c.p.a. disciplina i poteri del Giudice amministrativo nel caso di intervenuta stipulazione del contratto per l'esecuzione di infrastrutture strategiche, precludendo ogni declaratoria d'inefficacia ed eventuale subentro nel contratto e limitando le statuizioni solo alla condanna al risarcimento del danno in forma equivalente. Si tratta, quindi, di una regola ad esclusiva portata processuale che limita i poteri del Giudice ma non anche i poteri dell'Amministrazione imponendo alla stessa scelte vincolate. Affermata la sussistenza dell'an debeatur, il Collegio ha accertato il quantum secondo i principi elaborati dalla giurisprudenza amministrativa in materia di quantificazione del danno da mancata aggiudicazione/mancato subentro nel contratto (Cons. di Stato 14 novembre 2023, n. 9755), secondo la quale ex artt. 30,40 e 124, comma 1, c.p.a., il danneggiato deve provare l'an e il quantum del danno; nel caso di mancata aggiudicazione il risarcimento del danno conseguente al lucro cessante si identifica con il mancato profitto (art. 64, commi 1 e 3, c.p.a.); va esclusa la pretesa dell'equivalente del 10% dell'importo a base d'asta, sia perché detto criterio esula storicamente dalla materia risarcitoria, sia perché non può essere oggetto di applicazione automatica ed indifferenziata; dalla somma determinata deve escludersi anche il c.d. aliunde perceptum vel percipiendi, non essendovi prova certa da parte dell'a.t.i. di non aver utilizzato o potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi; deve riconoscersi il danno curriculare, determinato in via equitativa. Il Consiglio di Stato ha accolto la domanda di risarcimento del danno ex art. 112, comma 3, c.p.a. e, in considerazione della condotta del Comune e dell'esborso di denaro pubblico che essa comporta, ha disposto la trasmissione di copia della sentenza alla Procura regionale presso la Corte dei Conti per il Trentino Alto-Adige. |