Penale
ilPenalista

Legge Nordio: qual è la sorte delle impugnazioni presentate senza mandato specifico prima della sua entrata in vigore?

24 Gennaio 2025

L'abrogazione, ad opera della legge Nordio, delle norme che imponevano il mandato specifico a impugnare e la dichiarazione o elezione del domicilio quali condizioni di ammissibilità delle impugnazioni ha generato non pochi dubbi in ordine alla sorte di quelle depositate dopo l'entrata in vigore della Riforma Cartabia e prima del 25 agosto 2024.

Il mandato specifico e l'elezione di domicilio: la fine di un incubo?

Con la legge n. 114 del 9 agosto 2024, meglio nota al grande pubblico come “Legge Nordio”, si sono quasi del tutto vanificate due tra le più contestate – dal ceto forense, s'intende – novità introdotte dalla riforma Cartabia in tema di impugnazioni. Ci riferiamo, ma i lettori avranno senz'altro già intuito, alla coppia “elezione del domicilio e mandato specifico a impugnare”, che hanno afflitto i difensori per tutto il 2023 e per buona parte dell'anno successivo. La disciplina codicistica, risultante dalla riforma Cartabia, era in buona sostanza la seguente: a norma del comma 1-ter dell'art. 581 c.p.p. all'atto della presentazione dell'impugnazione era, a pena di inammissibilità, necessario allegare la dichiarazione o elezione di domicilio dell'imputato. Se quest'ultimo era anche rimasto assente nel corso del giudizio di primo grado, l'avvocato avrebbe dovuto farsi rilasciare, sempre a pena di inammissibilità, un mandato specifico a impugnare con elezione di domicilio recante data successiva a quella della sentenza: così recitava il comma 1-quater dell'art. 581 c.p.p. Come era più che prevedibile, entrambe le norme hanno suscitato molti brontolii: la ratio “ufficiale” della loro introduzione sarebbe quella del voler scongiurare la celebrazione di (inutili) giudizi ad insaputa dell'imputato, che avrebbe potuto successivamente chiedere la rescissione del giudicato laddove avesse fornito prova della incolpevole mancata conoscenza del processo a proprio carico, con inutile dispendio di tempi ed energie. Nonostante questa nobile giustificazione, il ceto forense ha però reagito leggendo la novella come un inutile aggravio (delle proprie responsabilità professionali e) delle già notevoli incombenze difensive. E, volendone azzardare anche un'interpretazione maligna, ha visto in quelle due regole processuali soltanto l'ennesima pastoia finalizzata a ridurre quanto più possibile le pendenze giudiziarie di secondo (o terzo) grado, con l'uso di uno stratagemma normativo che avrebbe reso più macchinoso l'accesso ai gradi successivi della giurisdizione. Il legislatore del post-Cartabia, dopo una breve quanto intensa opera ermeneutica della Cassazione sui due neointrodotti requisiti di ammissibilità di cui s'è appena parlato, ha così pensato bene di farsi ispirare dal malcontento generale e di spazzarli quasi del tutto dal codice di rito. Quasi del tutto, per l'appunto: perchè mentre il comma 1-ter è stato spicciativamente abrogato, con la conseguenza che l'elezione o indicazione del domicilio non è più necessaria per impugnare una sentenza, il mandato specifico è invece parzialmente sopravvissuto ed è rimasto come condizione di ammissibilità dell'impugnazione presentata nell'interesse di chi non ha nominato un difensore di fiducia. Questo è l'assetto attuale della disciplina codicistica, per come risultante dalle modifiche introdotte con la legge Nordio, entrata in vigore il 25 agosto 2024.

Tempus regit actum: ma che fine fanno le impugnazioni “difettose” proposte prima dell'entrata in vigore della Legge Nordio?

Due sono le certezze dalle quali dobbiamo muovere: la prima è che il principio tempus regit actum, scolpito nelle c.d. Preleggi, non è mai stato messo in discussione nell'ambito del diritto processuale. Quest'ultimo, a differenza di quanto avviene nel campo del diritto penale sostanziale, è governato dalla regola di base secondo cui in un processo si applica la norma in vigore al momento del compimento di un determinato atto. Semmai, ad essere oggetto di riflessione può essere il concetto di “actum”. Cosa si intende con questo termine quando siamo di fronte ad un procedimento che si snoda lungo un arco temporale più o meno lungo? La seconda certezza è che, non sappiamo se per una dimenticanza o per una consapevole scelta del legislatore, la Legge Nordio non è corredata da norme intertemporali. Queste ultime, regolando la transizione da una disciplina previgente a quella successiva, sono di fondamentale aiuto per il giurista poiché scolpiscono con certezza (o meglio: dovrebbero farlo) la linea di demarcazione temporale che separa la vecchia dalla nuova disciplina, e talvolta precisano anche quali sono gli effetti delle novità legislative sui rapporti giuridici processuali già in corso al momento dell'entrata in vigore del novum normativo. La necessità di comprendere come ci si deve comportare per effetto dell'entrata in vigore della l. n. 114/24 è davvero cogente, anche se avrà uno spettro temporale di riferimento per fortuna contenuto atteso che i commi 1-ter e quater nella loro versione originale sono rimasti in vigore soltanto per un anno e mezzo circa: non è stato, infatti, infrequente che gli avvocati, pur sapendo della indispensabilità dell'elezione di domicilio e del mandato specifico a impugnare, imposti dalla riforma Cartabia, abbiano ugualmente (e, aggiungeremmo, doverosamente) proposto le loro impugnazioni anche se privi di quei due requisiti di legittimazione, magari perchè qualche cliente è desaparecido (nel senso che se ne sono persi i contatti professionali) dopo il primo grado di giudizio nel quale era formalmente rimasto peraltro assente. In casi del genere, non del tutto rari nella vita quotidiana dell'avvocato, chi non abbia voluto rischiare sul fronte disciplinare o della responsabilità professionale avrà conservato gelosamente la prova documentale delle ricerche del proprio cliente e, nonostante la latitanza di quest'ultimo, avrà ugualmente impugnato. Della serie: che non si possa mai dire di essere rimasti inerti di fronte a una sentenza sfavorevole. Ebbene: queste impugnazioni, alla luce della riforma Nordio, sono da considerarsi ammissibili oppure no? Se ci fosse stata una disciplina transitoria oggi non saremmo qui a parlarne, ma essa – come abbiamo osservato – non c'è e allora la soluzione non può che discendere dall'applicazione della regola del tempus regit actum. D'accordo: ma a quale momento bisogna guardare per decidere se un appello presentato senza mandato specifico nell'interesse di un assistito di fiducia prima del 25 agosto 2024 è ammissibile o meno? Due le opzioni possibili: la prima è quella di giudicare inammissibile un'impugnazione priva di quei requisiti oggi (quasi del tutto) rimossi dal codice di procedura, ma presentata prima dell'entrata in vigore della l. n. 114/24. La ragione principale che giustificherebbe questa conclusione è duplice, e sembra essere la preferita da quel po' di giurisprudenza che si è formata su tematiche assimilabili a quella oggi in esame (ivi compreso il massimo consesso, così come risulta dalla informazione provvisoria n. 15/2024): da un lato si rileva che l'assenza di una normativa transitoria non consente di fare retroagire l'effetto giuridico di una modifica normativa e, dall'altro lato, si fotografa l'ammissibilità dell'impugnazione nel momento in cui essa è presentata. La seconda opzione interpretativa è quella diametralmente opposta: l'impugnazione presentata senza mandato specifico o elezione di domicilio prima del 25 agosto scorso va considerata ammissibile perchè oggi quei due requisiti non sono più previsti a pena di inammissibilità. Il favor impugnationis tende a conservare l'efficacia di un atto impugnativo limitando al massimo le ipotesi in cui questo debba essere giudicato inidoneo ad aprire le porte del grado di giudizio successivo. Questa scelta ermeneutica richiede, per la sua praticabilità, soltanto una condizione: e cioè che l'ammissibilità dell'impugnazione proposta senza mandato o elezione di domicilio sia stata di fatto vagliata dopo l'entrata in vigore della legge Nordio. Come il verificarsi in corso d'opera di una causa di inammissibilità segnerà le sorti del giudizio (si pensi alla rinuncia all'impugnazione proposta), così il sopraggiungere di una – passateci il termine perlomeno curioso – “causa di ammissibilità” può determinare l'irrilevanza di un difetto iniziale dell'atto di impugnazione (che tale non è più per effetto della nuova disciplina frattanto intervenuta) e consente la valida instaurazione di un rapporto giuridico processuale.

Quali valori devono, allora, orientare la scelta?

Qui entriamo nel campo del “dover essere”. Perchè è evidente che, posto di fronte alle due alternative ermeneutiche, il giudice dovrà fare una scelta di campo. E, nel farlo, dovrà decidere se far prevalere la funzione deflattiva che la riforma Cartabia ha inteso perseguire – in questo caso potrà serenamente dichiarare inammissibili tutte le impugnazioni “nate” senza mandato o elezione di domicilio, allora necessari – oppure può privilegiare l'interesse generale alla verifica della correttezza, formale e sostanziale, di una sentenza nella quale può annidarsi un errore di fatto o di diritto. Nulla gli impedirà, in quest'ultima ipotesi, di considerare ammissibile un'impugnazione che possieda tutti i crismi di precisione e specificità. E, nel farlo, non dovrà nemmeno deragliare dall'ortodossia giuridica.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario