Minori migranti

Marina Cirese
03 Gennaio 2019

Il Testo Unico sull'immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), disciplina l'ingresso, la permanenza, il respingimento e l'espulsione degli stranieri in Italia, tra i quali gli stranieri minorenni, applicando la normativa a tutti quei cittadini non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi. Vanno quindi distinti gli stranieri qualificati come comunitari e gli stranieri extracomunitari che, non appartenendo ad alcuno Stato membro della Unione europea, hanno una posizione giuridica diversa dai primi.
Inquadramento

La categoria dei minori stranieri, e in particolare quella dei non accompagnati (MSNA) o minori soli, è quella ove maggiormente si registrano le incertezze e le tensioni proprie della disciplina sull'immigrazione costituendo il terreno su cui si intersecano, diritti fondamentali tutelati a livello nazionale e sovranazionale, politiche migratorie di segno opposto, paura e “pietas”.

Il Testo Unico sull'immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), disciplina l'ingresso, la permanenza, il respingimento e l'espulsione degli stranieri in Italia, tra i quali gli stranieri minorenni, applicando la normativa a tutti quei cittadini non appartenenti all'Unione europea e agli apolidi. Vanno quindi distinti gli stranieri qualificati come comunitari (titolari di una cittadinanza europea, sancita dal trattato di Maastricht, la quale, basandosi sull'appartenenza a uno degli Stati membri dell'Unione, permette un'equiparazione quasi totale ai cittadini italiani) e gli stranieri extracomunitari che, non appartenendo ad alcuno Stato membro della Unione europea, hanno una posizione giuridica diversa dai primi. Ciò, quindi, rende il T.U. sull'immigrazione effettivamente applicabile ai soli stranieri extracomunitari, offrendo una particolare rilevanza giuridica alla figura del minorenne straniero clandestino oppure irregolare, il quale, a sua volta, può ritrovarsi accompagnato o non accompagnato da almeno uno dei genitori, o in alternativa da un parente entro il quarto grado, clandestinamente oppure irregolarmente soggiornante. Disciplina a se stante e di recente “creazione” riguarda poi la categoria dei minori non accompagnati.

Le fonti

La normativa a tutela dei minori extracomunitari deriva dalla lettura combinata di due plessi normativi: l'uno che disciplina la tutela dei minori e l'altro che regola la posizione dei cittadini stranieri extracomunitari in Italia.

Le norme relative ai minori derivano da:

1) gli artt. 2, 3, 29, 30, 31, 37 Cost.. Dal quadro complessivo di tali norme risulta che la Carta Costituzionale considera il minore come un soggetto meritevole di una tutela specifica sotto diversi profili: come essere umano, come figlio e come lavoratore;

2) la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo siglata a New York il 21 novembre 1989, ratificata e resa esecutiva con legge n. 176/1991. Tale convenzione stabilisce i principi che gli Stati parti si impegnano a introdurre nei rispettivi ordinamenti e ai quali si devono ispirare i procedimenti giurisdizionali e amministrativi che riguardano ogni minore di età;

3) la Convenzione di Lussemburgo del 20 maggio 1980 e la Convenzione dell'Aja del 25 ottobre 1980 sui provvedimenti di affidamento e sottrazione di minori ratificate e rese esecutive con legge n. 64/1994;

4) la Convenzione europea sull'esercizio dei diritti dei fanciulli del 25 gennaio 1996, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge n. 77/2003. Tale trattato, approvato a Strasburgo dall'Assemblea del Consiglio d'Europa, contiene una serie di disposizioni volte a rafforzare la tutela e il rispetto dei diritti dei minori;

5) la Direttiva dell'Unione Europea del 29 luglio 2003 che, nei considerando, riprendendo i principi riconosciuti in particolare nell'art. 8 CEDU, ribadisce che è compito degli Stati membri «assicurare la protezione della famiglia ed il mantenimento o la creazione della vita familiare»;

6) la Direttiva 2003/9/CE del Consiglio dell'Unione europea del 27 gennaio 2003 recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri (abrogata dall'art. 32 Direttiva 2013/33 recante norme relative all'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale);

7) le norme del codice civile in materia di tutela e di potestà genitoriale ovvero l'art. 403 c.c. che dispone interventi urgenti di protezione per i minori, gli artt. 330 ss. c.c. in materia di sospensione e decadenza della potestà genitoriale, gli artt. 343 ss. c.c. che disciplinano l'apertura della tutela;

8) le norme sull'affidamento dei minori, ovvero gli artt. 4 e 9 legge n. 184/1983 riformata dalla legge n. 149/2001, che regolano l'affidamento giudiziale, consensuale e intrafamiliare dei minori.

Le norme relative all'immigrazione sono:

1) il Testo Unico sull'immigrazione – d.lgs. n. 286/1998 e successive modificazioni e il relativo regolamento di attuazione d.P.R. n. 394/1999 che disciplinano il rilascio del permesso di soggiorno e l'esercizio da parte dei minori stranieri di alcuni diritti fondamentali;

2) la legge 7 aprile 2017, n. 47 che ha dettato una nuova disciplina in materia di protezione dei minori stranieri non accompagnati. La legge integra e modifica le norme stabilite in alcuni testi normativi, e in particolare nel testo unico sull'immigrazione (d.lgs. n. 286/1998), nella normativa sull'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale (d.lgs. n. 142/2015), in quella sull'asilo (d.l. n. 416/1989), e in quella contro la tratta delle persone (l. n. 228/2003).

Il ricongiungimento familiare

Per ricongiungimento familiare si intende l'istituto che consente allo straniero extracomunitario o apolide che vive nel territorio nazionale in base ad un regolare titolo di soggiorno oppure a un cittadino italiano o di uno Stato UE oppure di uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio Economico Europeo (SEE - cioè Islanda, Liechtenstein e Norvegia) di chiedere l'ingresso dei familiari stranieri extracomunitari o apolidi residenti all'estero, al fine di mantenere o riacquistare in modo continuativo l'unità della propria famiglia.

In base all'art. 29 T.U. immigrazione lo straniero può chiedere tra l'altro il ricongiungimento con i figli minori, anche del coniuge o nati fuori del matrimonio, non coniugati, a condizione che l'altro genitore, qualora esistente, abbia dato il proprio consenso presso la rappresentanza consolare italiana, al momento della richiesta del visto di espatrio.

Sono equiparati ai figli naturali i figli minori adottati, affidati o sottoposti a tutela. Inoltre, la condizione della minore età è esplicitamente riferita al momento della presentazione della domanda. Il diritto a mantenere o a riacquistare l'unità familiare nei confronti dei familiari stranieri è riconosciuto, agli stranieri titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo (ex carta di soggiorno) o di permesso di soggiorno di durata non inferiore a un anno rilasciato per motivi di lavoro subordinato o autonomo, ovvero per asilo, per studio, per motivi religiosi o per motivi familiari (art. 28, comma 1, d.lgs. n. 286/1998).

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte l'elencazione di titoli di soggiorno non è tassativa e, pertanto, il diritto di chiedere il ricongiungimento familiare è riconosciuto sia allo straniero in possesso di permesso di soggiorno per motivi familiari (che ha la stessa durata del permesso di soggiorno del familiare, è rinnovabile con esso e consente lo svolgimento delle stesse attività di modo che le due situazioni giuridiche vengono a coincidere; v. Cass. civ., sez. I, n. 1714/2001) sia al titolare di permesso di soggiorno per acquisito della cittadinanza italiana (che viene rilasciato a chi già sia in possesso di un permesso per altri motivi per tutta la durata dell'indicata procedura e che quindi comporta una condizione tendenzialmente più stabile di quella del titolare di un permesso sottoposto a rinnovo ad ogni scadenza; v. Cass. civ., sez. I, n. 8582/2008 e Cass. civ., sez. I, n. 12680/2009).

In tali pronunce la Corte ha sottolineato che un trattamento differenziato delle situazioni esaminate rispetto a quelle prese in considerazione dalla norma citata si porrebbe in contrasto con i principi costituzionali di cui agli artt. 2 e 3 Cost.; lo status di soggiornante di lungo periodo CE per i titolari di Carta blu UE (di cui all'art. 9-ter T.U., introdotto dal d.lgs. n. 108/2012) dà diritto a richiedere il nulla osta al ricongiungimento familiare indipendentemente dalla durata del permesso di soggiorno, ai sensi e alle condizioni previste dall'art. 29, mentre ai familiari viene rilasciato un permesso di soggiorno per motivi di famiglia ai sensi dell'art. 30, comma 2, 3 e 6 d.lgs. n. 286/1998 - condizioni più agevolate sono previste nel caso di ricongiungimento richiesto da cittadino italiano o UE o di Paese aderente all'Accordo SEE.

Con riguardo agli altri requisiti richiesti, lo straniero che chiede il ricongiungimento familiare deve dimostrare la disponibilità di un alloggio conforme ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativa accertati dai competenti uffici comunali. Nel caso di un figlio di età inferiore agli anni quattordici al seguito di uno dei genitori, l'idoneità abitativa può essere sostituita dal consenso del titolare dell'alloggio nel quale il minore effettivamente dimorerà; un reddito minimo annuo derivante da fonti lecite non inferiore all'importo annuo dell'assegno sociale aumentato della metà dell'importo dell'assegno sociale per ogni familiare da ricongiungere. Per il ricongiungimento di due o più figli di età inferiore agli anni quattordici ovvero per il ricongiungimento di due o più familiari dei titolari dello status di protezione sussidiaria è richiesto, in ogni caso, un reddito non inferiore al doppio dell'importo annuo dell'assegno sociale.

Autorizzazione del genitore all'ingresso o alla permanenza sul territorio nazionale

L'art. 31, comma 3, d.lgs n. 286/1998 prevede una duplice possibilità di autorizzazione temporanea, all'ingresso e alla permanenza del familiare sul territorio nazionale in deroga alle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione, e nel concorso di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, tenuto conto della sua età e delle sue condizioni di salute.

Detta disposizione svolge la funzione di norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri, fondato in via ordinaria sull'istituto del ricongiungimento familiare e apportando una eccezione alla disciplina sull'ingresso e sul soggiorno dello straniero quando ricorrano le condizioni per salvaguardarne il “preminente interesse” in situazioni nelle quali l'allontanamento suo o di un suo familiare potrebbe pregiudicarne gravemente l'integrità fisio-psichica. Essa, poi, attua il bilanciamento necessario tra il rispetto alla vita familiare del minore, che i pubblici poteri sono tenuti a proteggere e promuovere, e l'interesse pubblico generale alla sicurezza del territorio e del controllo delle frontiere, che richiede soprattutto il rispetto delle norme sull'immigrazione da parte dei soggetti ad essa sottoposti.

Attorno al concetto di gravi motivi di cui all'art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998 si sono tradizionalmente registrate contrastanti interpretazioni nell'ambito della stessa giurisprudenza di legittimità. L'orientamento risalente, nella prospettiva di salvaguardare il territorio nazionale da una immigrazione non regolamentata a sostanziale svantaggio del «superiore interesse del fanciullo», ha interpretato restrittivamente il concetto di gravi motivi, ritenendo che questo richiedesse l'accertamento di situazioni di emergenza di natura eccezionale e contingente, di situazioni, cioè, che non siano normali e stabilmente ricorrenti nella crescita del minore (così Cass. civ., sez. I, n. 11624/2001; Cass. civ., sez. I, n. 3991/2002; Cass. civ., sez. I, n. 17194/2003). In altri termini i gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore straniero presente nel territorio italiano erano interpretati come correlati esclusivamente alla sussistenza di circostanze contingenti ed eccezionali che pongano in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore (dal punto di vista fisico e psichico), tanto da richiedere il sostegno del genitore per fronteggiarle e non possono essere configurati in rapporto a situazioni che presentino carattere di normalità e tendenziale stabilità - quali le ordinarie esigenze di compimento del ciclo scolastico o dell'intero processo educativo-formativo del minore, di indeterminabile o lunghissima durata - come si desume inequivocamente dal rilievo che tale autorizzazione deve essere temporalmente limitata e revocata con la cessazione dei motivi che ne abbiano giustificato il rilascio.

In seguito alla pronuncia Cass. civ., S.U., n. 22216/2006, ha tuttavia cominciato a farsi strada una interpretazione estensiva dei gravi motivi connessi con lo sviluppo psico-fisico del minore, non limitati dai requisiti dell'eccezionalità e contingenza ma strettamente connessi allo sviluppo del fanciullo in modo da prenderne in considerazione il preminente interesse in relazione alle varie circostanze del caso concreto, quali l'età, le condizioni di salute (anche psichiche) nonché il pregiudizio che potrebbe a questi derivare dall'allontanamento dei familiari.

Nel solco di tale indirizzo interpretativo si pone anche Cass. civ., sez. I, n. 22080/2009 che statuisce che la temporanea autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31, in presenza di gravi motivi connessi allo sviluppo psicofisico del minore e tenuto conto dell'età e delle condizioni di salute del medesimo, non postula necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo essere connessa anche soltanto alla tenerissima età del minore, tenuto conto della grave compromissione all'equilibrio psico-fisico che determina in tale situazione l'allontanamento o la mancanza di uno dei genitori (nella fattispecie il minore aveva un'età inferiore all'anno di vita e l'autorizzazione ex art. 31 era stata richiesta dalla madre).

Cass. civ., sez. I, n. 5856/2010 statuisce invece che ai fini dell'autorizzazione temporanea all'ingresso o alla permanenza del familiare straniero del minore che si trovi nel territorio italiano, i gravi motivi connessi allo sviluppo-psico fisico del minore sono positivamente riscontrabili solo quando sia accertata l'esistenza di una situazione d'emergenza, rappresentata come conseguenza della mancanza o dell'allontanamento improvviso del genitore, a carattere eccezionale o contingente, che ponga in grave pericolo lo sviluppo normale della personalità del minore, mentre non possono essere ravvisate nelle ordinarie necessità di accompagnarne il processo d'integrazione ed il percorso educativo, formativo e scolastico, trattandosi di esigenze incompatibili con la natura temporanea ed eccezionale dell'autorizzazione.

A pochi mesi di distanza Cass. civ., sez. I, n. 823/2010 ha ripreso l'orientamento interpretativo del 2009 sopra richiamato. In tale caso la Corte ritiene la necessità di distinguere il caso dell'ingresso in Italia del genitore che si trova all'estero dalla permanenza del genitore che si trova già in Italia, ravvisando la possibilità di una diversa valutazione dei gravi motivi nei due casi, atteso che, nel secondo caso, quale quello sub iudice nella specie, i gravi motivi - cui si ricollega l'autorizzazione dello straniero a rimanere in Italia - possono consistere sia in motivi già esistenti, e quindi attuali, sia in motivi dedotti quale possibile o probabile conseguenza dell'improvviso allontanamento del genitore. La Corte osserva che per un minore, specie se in tenerissima età, subire l'allontanamento di un genitore costituisca un sicuro danno che può porre in serio pericolo uno sviluppo psicofisico, armonico e compiuto, con conseguente violazione non solo della disposizione del Testo unico sull'immigrazione, ma anche dell'art. 155 c.c. e dell'art. 1 l. n. 184/1983, nonché delle numerose previsioni della Carta di Nizza, che tutelano il rispetto della dignità umana, della vita familiare, del benessere dei minori e soprattutto del loro diritto a intrattenere, ove ciò corrisponda al loro interesse, regolari rapporti e contatti diretti con (entrambi) i genitori.

Con Cass. civ., S.U., n. 21799/2010, le Sezioni Unite, componendo il contrasto, pur nel solco dell'indirizzo esegetico estensivo, premettendo che la tutela del diritto dei minori all'unità familiare è da considerare con riguardo ai parametri interpretativi prioritari tracciati dalla Corte Europea dei Diritti formulati dalla Corte di Giustizia, quali la durata e la stabilità dei rapporti, il radicamento del nucleo familiare e dei figli minori, le effettive necessità di reddito e di alloggio e che detta tutela, contrapposta alla tutela delle esigenze pubbliche di legalità e di sicurezza di cui al T.U. sull'immigrazione, hanno affermato che la temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31 d.lgs. n. 286/1998 in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psico-fisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile e obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi ad essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.

Con Cass. civ., n. 17942/2015 la Corte, pur ponendosi in tale ultima prospettiva, ha chiarito che le situazioni rilevanti devono essere di non lunga o indeterminata durata e non caratterizzate dalla tendenziale stabilità e pur non prestandosi a essere preventivamente catalogate e standardizzate, si devono comunque concretare in eventi traumatici e non prevedibili che trascendono il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare (alla stregua di tale principio la Corte rigettava il ricorso, atteso che nel caso di specie la situazione dedotta dalla ricorrente non era destinata a durare per un tempo determinato e temporaneo, con ciò risultando incompatibile con la natura dell'autorizzazione richiesta, dovendosi peraltro considerare che il danno che deriverebbe al minore non sembrava caratterizzato dai requisiti di effettività, concretezza e gravità).

Secondo Cass. civ., sez. VI, n. 25542/2016 «La temporanea autorizzazione alla permanenza in Italia del familiare del minore, prevista dall'art. 31 d.lgs. n. 286/1998, in presenza di gravi motivi connessi al suo sviluppo psicofisico, non richiede necessariamente l'esistenza di situazioni di emergenza o di circostanze contingenti ed eccezionali strettamente collegate alla sua salute, potendo comprendere qualsiasi danno effettivo, concreto, percepibile ed obiettivamente grave che in considerazione dell'età o delle condizioni di salute ricollegabili al complessivo equilibrio psico-fisico, deriva o deriverà certamente al minore dall'allontanamento del familiare o dal suo definitivo sradicamento dall'ambiente in cui è cresciuto. Deve trattarsi tuttavia di situazioni non di lunga o indeterminabile durata e non caratterizzate da tendenziale stabilità che, pur non prestandosi a essere catalogate o standardizzate, si concretino in eventi traumatici e non prevedibili che trascendano il normale disagio dovuto al proprio rimpatrio o a quello di un familiare.

Una maggiore attenzione alla tutela della sicurezza nazionale emerge in Cass. civ.,sez. I, n. 14238/2018 ove si afferma che «Nel giudizio avente ad oggetto l'autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare del minorestraniero, ex art. 31, comma 3, d.lgs. n. 286/1998, la sussistenza di comportamenti del familiare medesimo incompatibili con il suo soggiorno nel territorio nazionale deve essere valutata in concreto e attraverso un esame complessivo della sua condotta, al fine di stabilire, all'esito di un attento bilanciamento, se le esigenze statuali inerenti alla tutela dell'ordine pubblico e della sicurezza nazionale debbano prevalere su quelle derivanti da gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore, cui la norma conferisce protezione in via primaria».

Affronta un aspetto ancora non analizzato dalla giurisprudenza di legittimità, Cass., sez. I, n. 29802/2018 che rimette gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle Sezioni Unite della questione di massima di particolare importanza, in ragione della sua collocazione all'incrocio tra interessi di fondamentale rilievo per l'ordinamento quali la protezione dei minori e la tutela dell'ordine e la sicurezza pubblica, se il comportamento del familiare incompatibile con la permanenza in Italia possa essere preso in considerazione soltanto ai fini delle revoca dell'autorizzazione già concessa oppure anche ai fini del diniego dello stesso rilascio dell'autorizzazione richiesta.

I minori stranieri non accompagnati: nozione

La legge n. 47/2017 detta una disciplina unitaria per la tutela degli stranieri minori non accompagnati, colmando vuoti normativi e stabilendo importanti misure.

La nozione di minore non accompagnato, definita dapprima in una risoluzione del Consiglio dell'Unione europea del 26 giugno 1997, sui minori non accompagnati cittadini dei Paesi terzi (97/C221/03), quali «i cittadini di paesi terzi di età inferiore ai 18 anni che giungono nel territorio degli Stati membri non accompagnati da un adulto per essi responsabile in base alla legge o alla consuetudine e fino a quando non ne assuma effettivamente la custodia un adulto per essi responsabile» (art. 1 della risoluzione), per lungo tempo non ha trovato una definizione normativa nell'ordinamento italiano se non a livello regolamentare.

L'art. 1, comma 2, d.P.C.M. 9 dicembre 1999, n. 535 («Regolamento concernente i compiti del Comitato per i minori stranieri, a norma dell'art. 33, comma 2 e 2-bis, d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286), stabiliva che per «minore straniero non accompagnato presente nel territorio dello Stato», di seguito denominato minore presente non accompagnato, s'intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri Stati dell'Unione europea che, non avendo presentato domanda di asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano».

L'art. 1, par. 1, lett. l), della direttiva n. 2011/95/UE del 13 dicembre 2011, recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi o apolidi, della qualifica di beneficiario di protezione internazionale, su uno status uniforme per i rifugiati o per le persone aventi titolo a beneficiare della protezione sussidiaria, nonché sul contenuto della protezione riconosciuta, ha definito minore non accompagnato: il minore che giunga nel territorio dello Stato membro senza essere accompagnato da un adulto che ne sia responsabile in base alla normativa o alla prassi dello Stato membro interessato e fino a quando non sia effettivamente affidato a un tale adulto; il termine include il minore che venga abbandonato dopo essere entrato nel territorio degli Stati membri (definizione peraltro non espressamente ripresa dalla norma italiana di recepimento della direttiva, ossia il d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 18).

In seguito, con l'art. 2, comma 1, lett. e), d.lgs. 18 agosto 2015, n. 142 (di recepimento delle direttive europee n. 2013/33/UE sull'accoglienza dei richiedenti protezione internazionale e n. 2013/32/UE sulle relative procedure) è stato definito quale «lo straniero di età inferiore agli anni diciotto, che si trova, per qualsiasi causa, nel territorio nazionale, privo di assistenza e rappresentanza legale».

La l. n. 47/2017 ha individuato (art. 2 l. n. 47/2017) la definizione di minore non accompagnato, ai soli fini della sua applicazione, stabilendo che si deve intendere «il minorenne non avente cittadinanza italiana o dell'Unione europea che si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato o che è altrimenti sottoposto alla giurisdizione italiana, privo di assistenza e di rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell'ordinamento italiano».

La norma non precisa quale sia la maggiore età, che quindi deve ritenersi compiuta al raggiungimento dei diciotto anni, come stabilito dall'art. 2 c.c. (e pari a quella stabilita da tutti i Paesi membri dell'Unione europea) e pari a quella individuata dal d.lgs. n. 142/2015, così superando le ambiguità che, in passato, avevano portato a prendere in considerazione la più elevata soglia di età stabilita dal paese d'origine del ragazzo.

La definizione non comprende i minori cittadini italiani o dell'Unione europea, ai quali, quindi, non si applica la disciplina stabilita dalla legge de qua, trovando invece applicazione le norme sui minori stabilite dal diritto nazionale.

All'opposto, viene stabilito il principio della parità di trattamento dei minori stranieri (intesi quindi quali extracomunitari) rispetto ai cittadini italiani e dell'Unione europea prevedendo espressamente (art. 1) che «sono titolari dei diritti in materia di protezione dei minori a parità di trattamento con i minori di cittadinanza italiana o dell'Unione Europea» e ha introdotto un apprezzabile sistema di tutela «in ragione della loro condizione di maggiore vulnerabilità».

MSNA in Italia

Al 31 dicembre 2017:

• Totale: risultano presenti in Italia 18.303 MSNA (il 5,4% in più̀ rispetto al 2016; il 53,5% in più rispetto al 2015);

• Genere: 93,2% sono maschi, le femmine al 31.12.2017 sono solo 1.247, ovvero il 6,8% delle presenze totali, percentuale che resta sostanzialmente invariata rispetto all'anno precedente;

• Età: hanno in media 16,4 anni; per lo più si tratta di 17enni (11.035) e 16enni (4.279). Solo 116 sono sotto i 6 anni.

• Provenienza: provengono in gran parte da Gambia, Egitto, Guinea, Albania ed Eritrea. Per le ragazze, la maggioranza di loro proviene dalla Nigeria (501 minori, pari al 40,2% del totale delle presenze femminili), dall'Eritrea (233 minori, pari al 18,7%), dalla Somalia (99 minori, pari al 7,9%) e dalla Costa d'Avorio (98 minori, pari al 7,9%), anche se rispetto all'anno precedente si registra un incremento delle minori provenienti da Somalia e – di nuovo – Costa d'Avorio e Guinea.

Lo status giuridico

La segnalazione alla Procura per minorenni costituisce il presupposto necessario per l'avvio di un procedimento volto al riconoscimento dei diritti dei MSNA.

Ai sensi dell'art. 2, lett. b), d.lgs. n. 220/2017 è stato modificato il comma 5 dell'art. 19 d.lgs. n. 142/2015 prevedendosi che l'autorità di pubblica sicurezza dia immediata comunicazione della presenza di un MSNA al PMM e al TM per la nomina del tutore e per la ratifica delle misure d'accoglienza predisposte, nonché al Ministero del lavoro e delle politiche sociali al fine di assicurare il censimento e il monitoraggio della presenza dei medesimi.

Il nuovo regime introdotto stabilisce le procedure per l'identificazione e l'accertamento dell'età dei migranti in modo uniforme a livello nazionale, tutelando la loro condizione di particolare fragilità. Infatti il minore non accompagnato e giunto in Italia privo di documenti viene dapprima sottoposto ad un colloquio con l'ausilio di un mediatore culturale e con l'assistenza di organizzazioni che si occupano della tutela dei minori, gli viene innanzitutto garantita la protezione umanitaria, e solo dopo viene identificato mediante l'ausilio di mediatori culturali e del tutore, anche provvisorio. Se sussistono dubbi sulla sua età anagrafica, viene richiesta da parte della Procura della Repubblica al Tribunale per i minorenni l'esecuzione di esami socio-sanitari, seguendo una specifica procedura multidisciplinare per l'accertamento dell'età, e in caso di persistenti dubbi sulla stessa, questa si presume ad ogni effetto di legge così escludendosi in radice ogni dubbio sulla corretta individuazione dell'età anagrafica del migrante non accompagnato e privo di documenti.

Il diritto all'accoglienza dei minori migranti non può comunque essere disgiunto dal riconoscimento degli altri diritti prescritti dai principi costituzionali e internazionali oltre che dalla disciplina interna applicabile, anche ai sensi dell'art. 37-bis legge n. 184/1983 e successive modifiche, a tutti i minori stranieri che si trovano nel territorio nazionale.

Tra i principi, la legge, da un lato, introduce esplicitamente il divieto assoluto di respingimento alla frontiera dei minori stranieri non accompagnati, respingimento che non può essere disposto in alcun caso (art. 19, comma 1-bis, d.lgs. n. 286/1998, recante TU immigrazione). Dall'altro, modifica la disciplina relativa al divieto di espulsione dei minori stranieri che, in base alla normativa vigente, può essere derogato esclusivamente per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato, stabilendo ulteriormente che, in ogni caso, il provvedimento di espulsione può essere adottato a condizione che non comporti «un rischio di danni gravi per il minore».

È altresì specificato che la decisione del Tribunale per i minorenni, che ha la competenza in materia, deve essere assunta tempestivamente e comunque nel termine di 30 giorni. Inoltre, il successivo d.lgs. n. 220/2017 ha spostato dal giudice tutelare al Tribunale per i minorenni la competenza ad aprire la tutela e a nominare il tutore, in modo da concentrare tutte le fasi procedimentali giurisdizionali relative ai minori stranieri non accompagnati presso uno stesso giudice.

Il provvedimento di nomina del tutore del tutore e gli altri provvedimenti relativi alla tutela sono adottai dal presidente del Tribunale per i minori o da un giudice da lui delegato. Il reclamo si propone al collegio a norma dell'art. 739 c.p.c..

Per implementare le attività di censimento e monitoraggio, la legge n. 47/2017 ha previsto altresì l'istituzione del Sistema informativo nazionale dei minori stranieri non accompagnati (SIM), presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, nel quale confluiscono le cartelle sociali dei minori non accompagnati, compilate dal personale qualificato che svolge il colloquio con il minore nella fase di prima accoglienza. La cartella include tutti gli elementi utili alla determinazione della soluzione di lungo periodo per il minore, nel suo superiore interesse (art. 9 l. n. 47/2017). Alcune disposizioni della legge sono poi finalizzate a rafforzare singoli diritti già riconosciuti ai minori non accompagnati.

In particolare:

1) è estesa la piena garanzia dell'assistenza sanitaria ai minori non accompagnati prevedendo la loro iscrizione al Servizio sanitario nazionale, che la normativa considerava obbligatoria solo per i minori in possesso di un permesso di soggiorno, anche nelle more del rilascio del permesso di soggiorno, dopo il ritrovamento a seguito della segnalazione (resta comunque garantita a tutti i minori la tutela della salute);

2) è incentivata l'adozione di specifiche misure da parte delle istituzioni scolastiche e delle istituzioni formative accreditate dalle regioni idonee a favorire l'assolvimento dell'obbligo scolastico e formativo da parte dei minori (art. 14 l. n. 47/2017);

3) sono implementate le garanzie processuali e procedimentali a tutela del minore straniero, mediante la garanzia di assistenza affettiva e psicologica dei minori stranieri non accompagnati in ogni stato e grado del procedimento (art. 15 l. n. 47/2017) e il riconoscimento del diritto del minore di essere informato dell'opportunità di nominare un legale di fiducia, anche attraverso il tutore nominato o i legali rappresentanti delle comunità di accoglienza, e di avvalersi del gratuito patrocinio a spese dello Stato in ogni stato e grado del procedimento (art. 16 l. n. 47/2017);

4) prevede una particolare tutela per i minori non accompagnati vittime di tratta (art. 17 l. n. 47/2017).

Il diritto a un valido titolo di soggiorno

L'art. 10 legge n. 47/2017, integrando quanto già previsto dal T.U. immigrazione all'art. 31, dispone che il minore che giunge solo ha diritto anzitutto a un:

a) permesso di soggiorno per minore età, anche su richiesta diretta del minore medesimo e quindi senza alcuna rappresentanza legale, trattandosi di un titolo amministrativo direttamente correlato alla sua condizione soggettiva di persona di età inferiore al 18 anno presente nel nostro territorio. In ordine a tale riconoscimento va segnalata la Circolare del Ministero dell'Interno 28 agosto 2017;

In evidenza

Si legge testualmente nella circolare ministeriale che «con riguardo al permesso di soggiorno per minore età (…) continuerà ad essere rilasciato dalle (…) Questure in formato cartaceo con validità soltanto nazionale annualmente rinnovabile e sulla base delle indicazioni operative rese con la circolare diramata da questa Direzione centrale il 24 marzo 2017 in cui si è chiarito che allo scopo di fornire la massima tutela a tale categoria di persone il titolo autorizzatorio è concesso anche in assenza dell'esibizione di passaporto» o di altro documento equipollente, qualora non disponibile (Circ. 24 marzo 2017).

b) permesso di soggiorno per motivi familiari per il minore di anni 14 affidato anche ai sensi dell'art. 9, comma 4, legge n. 184/1983 o sottoposto alla tutela di un cittadino straniero regolarmente soggiornante nel territorio nazionale ovvero di un cittadino italiano con lo stesso convivente.

Il rilascio di un valido titolo per permanere durante la minore età nel nostro territorio è peraltro assolutamente necessario per l'applicazione della disciplina di cui agli artt. 32 e 33 T.U. immigrazione e, quindi, per il riconoscimento del diritto all'integrazione mediante conversione del permesso di soggiorno sussistendo i presupposti di legge.

Il diritto al ricongiungimento familiare

L'art. 19, comma 7,d.lgs. n. 142/2015 prevede che: «al fine di garantire il diritto all'unità familiare è tempestivamente avviata ogni iniziativa per l'individuazione dei familiari del minore non accompagnato richiedente protezione internazionale. Il Ministero dell'Interno, sentiti il Ministero della Giustizia e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale (…) stipula convenzioni con organizzazioni internazionali intergovernative e associazioni umanitarie per l'attuazione di programmi diretti a rintracciare i familiari nel superiore interesse del minore e con obbligo della assoluta riservatezza».

Tali indagini dovrebbero essere eseguite nell'immediatezza e in particolare, ai sensi del comma 7-bis nei cinque giorni successivi al colloquio da svolgersi ai sensi dell'art. 19-bis d.lgs. n. 142/2015 nel momento in cui il minore straniero solo è entrato in contatto con l'autorità amministrativa o giudiziaria, previo consenso informato dello stesso minore e esclusivamente nel suo superiore interesse. Ed è l'esercente la responsabilità genitoriale che invia una relazione all'ente convenzionato.

Ai sensi poi del comma 7-ter il risultato delle indagini è trasmesso al Ministero dell'Interno, che informa il minore, l'esercente la responsabilità genitoriale e il personale qualificato.

Infine ai sensi del comma 7-quater, individuati, i familiari tale soluzione deve essere preferita al collocamento in comunità.

A riguardo vanno evidenziate alcune questioni:

1) dal dato letterale emerge che la normativa appena richiamata è riservata ai minori stranieri non accompagnati richiedenti la protezione internazionale e, quindi, non sarebbe applicabile a quelli non richiedenti.

Di conseguenza in mancanza di una disciplina attuativa sul punto e fermo restando il principio di uguaglianza e di parità di trattamento, per quanto riguarda i minori stranieri non accompagnati che non abbiano richiesto la protezione internazionale il riconoscimento del diritto all'unità familiare dovrà essere garantito facendo ricorso alla precedente disciplina che affidava al Comitato per i minori stranieri, oggi Direzione Generale dell'Immigrazione presso il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, anche il compito di svolgere le indagini familiari;

2) deve segnalarsi che la tempistica e cioè la previsione che tali indagini dovranno svolgersi nell'immediatezza (entro 5 giorni dal colloquio iniziale), si scontra con la prassi atteso che, in genere, la possibilità di approfondire il percorso migratorio del minore attraverso un vero e proprio ascolto matura dopo una più lunga permanenza presso una struttura educativa e in un contesto di approccio multidisciplinare, e, quindi, in presenza di mediatori culturali e operatori qualificati e dinanzi all'autorità giudiziaria specializzata;

3) deve segnalarsi che la previsione di indagini familiari, in vista di un ricongiungimento con familiari presenti nel territorio italiano ovvero europeo degli Stati membri richiama la disciplina prevista, in sede amministrativa per la protezione internazionale dal Reg. UE n. 604/2013 c.d. Dublino III sui «criteri e meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide».

Il diritto a ritornare nel Paese di origine

L'art. 8 legge n. 47/2017 sancisce il diritto del minore che si trova solo nel nostro Paese a ricongiungersi con i familiari rimasti nel Paese d'origine mediante il rimpatrio assistito e volontario, con conseguente opportunità che il relativo accertamento venga compiuto dall'autorità giudiziaria, anche in tal caso il Tribunale per i minorenni, secondo il parametro del superiore interesse del minore.

Il diritto all'integrazione

L'art. 13 legge n. 47/2017 «Misure di accompagnamento verso la maggiore età e misure di integrazione di lungo periodo» va ritenuta norma di chiusura del sistema di tutela dei minori stranieri soli e non accompagnati presenti nel nostro territorio.

Il comma 2 prevede che nel caso di MSNA che abbia intrapreso un percorso di inserimento sociale e che necessiti di un supporto prolungato volto al buon esito di tale percorso finalizzato all'autonomia , il tribunale per i minorenni può disporre, anche su richiesta dei servizi sociali, con decreto motivato, l'affidamento ai servizi sociali, comunque non oltre il 21° anno di età. La disciplina prevista da tale norma si combina con quella di cui all'art. 32 T.U. immigrazione al fine della conversione del permesso di soggiorno per minore età in permesso per motivi di studio e di lavoro quale risultato del buon esito del percorso di integrazione sociale. La particolarità di questa normativa rispetto a quella dell'art. 32 appena richiamato è data dalla disposizione di affidamento al servizio sociale fino al 21 anno di età.

La combinazione tra le due norme pone la questione se possa essere computato al fine della conversione del permesso di soggiorno per integrazione sociale anche il periodo autorizzato dalla autorità giudiziaria ai sensi dell'art. 13 legge n. 47/2017.

I riflessi della conversione in legge del c.d. Decreto sicurezza

È stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 3 dicembre 2018, n. 281 la legge 1 dicembre 2018, n. 132 di «Conversione in legge, con modificazioni, del d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, recante disposizioni urgenti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell'interno e l'organizzazione e il funzionamento dell'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata. Delega al Governo in materia di riordino dei ruoli e delle carriere del personale delle Forze di polizia e delle Forze armate».

La legge de qua ha introdotto, tra l'altro, una pluralità di disposizioni in materia di immigrazione, «nell'ambito di una complessa azione riorganizzativa, concernente il sistema di riconoscimento della protezione internazionale e le altre forme di tutela complementare, finalizzata in ultima istanza a una più efficiente ed efficace gestione del fenomeno migratorio nonché ad introdurre misure di contrasto al possibile ricorso strumentale alla domanda di protezione internazionale».

L'intervento legislativo più incisivo in tema di immigrazione concerne senza dubbio l'abrogazione, come categoria generale e «aperta», della protezione «per motivi umanitari», oggi sostituita dai permessi di soggiorno in «casi speciali» riconoscibili in favore dello straniero che non abbia diritto alla protezione internazionale (art. 1 d.l. 113/2018). Si tratta della tipizzazione delle ipotesi specifiche di permessi umanitari, la maggior parte delle quali già previste nel d.lgs. n. 286/1998 due, invece, di nuovo conio.

La legge non contiene alcuna norma specifica in tema di minori stranieri, tuttavia, a seguito della conversione in legge del decreto sicurezza, che sembra aver eliminato l'istituto della protezione umanitaria limitandolo ad ipotesi tipiche, si è posta in evidenza da parte degli addetti ai lavori e della dottrina il rischio che gli MSNA possano trovarsi al compimento della maggiore età privi di sistemazione abitativa, che il precedente sistema degli Sprar garantiva, nonché di prospettive di inserimento, in molti casi avviate positivamente, ivi compreso il reperimento di tutori volontari. Si è sottolineato a riguardo che l'eliminazione della protezione umanitaria nella maggior parte dei casi rischia di creare un vuoto di tutela giuridica degli interessati minorenni stranieri non accompagnati coinvolti in progetti di accoglienza che rischiano di diventare irregolari a causa dei tempi di conversione del permesso di soggiorno per minore età in un permesso di studio o lavoro, senza che si siano ancora realizzate le condizioni di autonomia necessaria.

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