Arbitrato estero

Cristina Asprella
02 Maggio 2016

Mentre prima il codice di procedura civile contemplava all'art. 800, ora abrogato, la delibazione delle sentenze arbitrali straniere, la legge n. 25 del 1994 ha invece introdotto la figura dell'arbitrato estero. Si è precisato al riguardo che si tratta comunque di lodi nazionali perché non è configurabile un lodo anazionale, ossia non appartenente ad alcun ordinamento nazionale (c.d. floating arbitration).
Inquadramento

Mentre prima il codice di procedura civile contemplava all'art. 800, ora abrogato, la delibazione delle sentenze arbitrali straniere, la legge n. 25 del 1994 ha invece introdotto la figura dell'arbitrato estero. Si è precisato al riguardo che si tratta comunque di lodi nazionali perché non è configurabile un lodo anazionale, ossia non appartenente ad alcun ordinamento nazionale (c.d. floating arbitration). Alla stregua della nozione accolta (su cui si veda oltre) è estero il lodo pronunciato a seguito di un arbitrato con sede all'estero. Alla disciplina del riconoscimento e della eventuale opposizione al relativo decreto provvedono gli artt. 839-840 c.p.c. Ovviamente nella disciplina del riconoscimento e dell'esecuzione del lodo estero trova applicazione la Convenzione di New York del 10 maggio 1958 sull'esecuzione dei lodi arbitrali stranieri, resa esecutiva in Italia con legge n. 62/1968.

Distinzione tra arbitrato interno ed estero

Nonostante siano stati abrogati dalla legge 25/1994 gli artt. 800 e 824, la dottrina afferma che vi sono ancora adesso elementi sistematici sufficientemente univoci che confermano il criterio della localizzazione geografica per distinguere un arbitrato interno da un arbitrato estero. Tuttavia la localizzazione geografica, pur essendo il criterio fondamentale non è del tutto decisivo. Sarebbe quindi la sede in Italia il criterio per stabilire se un arbitrato è interno e pertanto appartenente all'ordinamento italiano. Se, invece, la sede dell'arbitrato è all'estero il giudice italiano – nessun giudice - sarà competente per la impugnazione del lodo né per la relativa omologazione del lodo. La sede nel territorio del nostro Stato è ritenuta condizione necessaria ma non sufficiente per affermare che si è in presenza di un arbitrato italiano: vi sarebbe quindi spazio teorico per l'ipotesi di un arbitrato con sede in Italia e che tuttavia le parti o gli arbitri abbiano senza dubbio alcuno voluto incardinare in ordinamento diverso dal nostro.

Le differenze insite nei criteri di individuazione dell'arbitrato e del lodo come interni o esteri, a seconda dei vari ordinamenti nazionali, rendono possibile anche il conflitto fra essi in relazione ad uno stesso arbitrato e ad uno stesso lodo. Il nostro legislatore ha inteso adeguarsi il più possibile al sistema della Convenzione di New York rispetto alle condizioni di riconoscimento, sicché si è precisato che ad essa bisogna far riferimento anche per stabilire cosa si debba ritenere «lodo arbitrale», con la conseguenza che gli artt. 839-840 saranno applicabili solo a ciò che secondo la Convenzione può qualificarsi «lodo arbitrale».

Secondo la giurisprudenza (Cass. civ., 7 giugno 1995, n. 6426) è riconoscibile il lodo definitivo sul quantum pur ove non sia stato preventivamente riconosciuto il lodo parziale sull'an.

Clausola compromissoria per arbitrato estero: natura

La giurisprudenza di legittimità originariamente qualificava l'eccezione relativa alla sussistenza della potestas judicandi dell'arbitro estero in termini di eccezione di rito e, più in particolare, di eccezione di giurisdizione, ritenendo di conseguenza ammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione ex art. 41 (Cass. civ., Sez. Un., 17 maggio 1995, n. 5397).

Aveva poi modificato il proprio orientamento, ritenendo inammissibile il regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso di un giudizio dinanzi ad un giudice italiano nel quale si lamentava il difetto di giurisdizione dello stesso per essere stata la controversia devoluta ad un arbitro estero, evidenziando che la questione se la controversia debba essere decisa da arbitri, anche esteri, o da giudici darebbe luogo ad una questione di merito (Cass. civ., Sez. Un., ord. 22 lug. 2002, n. 10723). Si era altresì affermato che con questa configurazione sarebbe compatibile anche l'art. 11, comma 3, della Convenzione di New York del 1958, norma che non imporrebbe che il rinvio all'arbitro, rigettata la sollevata eccezione di invalidità o inefficacia del patto arbitrale, debba avvenire tramite una declinatoria di giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., ord. 18 aprile 2003, n. 6349).

Con l'affermazione della natura negoziale dell'arbitrato (Cass. civ., 3 agosto 2000, n. 527), è cambiata anche l'interpretazione della clausola in parola sicché l'eccezione fondata sulla devoluzione di una controversia ad arbitri costituisce un'eccezione di merito e non, alla stregua di quanto ritenuto dalla pregressa giurisprudenza di legittimità, di competenza. L'affermazione secondo cui la clausola compromissoria per arbitrato estero rappresenta un patto di rinuncia a qualsiasi giurisdizione sia italiana che straniera e che, di conseguenza, la relativa questione ha natura di merito, attenendo alla proponibilità della domanda giudiziale è stato oggetto di molte critiche. Si sono innanzitutto evidenziati, in proposito, gli effetti dannosi cui condurrebbe l'applicazione concreta dei principi affermati dalle Sezioni Unite. Più in particolare, la dottrina ha precisato che la qualificazione dell'eccezione in questione quale eccezione di merito comporta che l'accertamento del giudice italiano in ordine alla validità o all'efficacia del patto compromissorio per arbitrato estero sia idoneo a passare in giudicato e, questo, paradossalmente, con effetti vincolanti anche per giudici ed arbitri stranieri. Da un punto di vista pratico, l'inammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione comporta che per risolvere la questione relativa alla validità e efficacia della convenzione di devoluzione della controversia ad arbitro estero debbano attendersi tre gradi di giudizio. La recente giurisprudenza si pone nel solco, invece, della ammissibilità del regolamento di giurisdizione ritenendo che, in presenza di una clausola compromissoria per arbitrato estero, si ponga una questione di difetto di giurisdizione del giudice italiano, pertanto deducibile con il regolamento preventivo di giurisdizione (Cass. civ., Sez. Un., 26 maggio 2015, n. 10800 secondo cui «In presenza di una clausola compromissoria di arbitrato estero, l'eccezione di compromesso, attesa la natura giurisdizionale e sostitutiva della funzione del giudice ordinario da attribuirsi all'arbitrato rituale in conseguenza della disciplina complessivamente ricavabile dalla legge 5 gennaio 1994, n. 5 e dal d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, deve ricomprendersi, a pieno titolo, nel novero di quelle di rito, dando così luogo ad una questione di giurisdizione e rendendo ammissibile il regolamento preventivo ex art. 41 c.p.c. É peraltro tempestiva l'eccezione di difetto di giurisdizione sollevata nella comparsa di costituzione nel giudizio di opposizione ad ingiunzione di pagamento europea»). Vedremo come, a fronte di una iniziale posizione della giurisprudenza favorevole all'ammissibilità del rimedio preventivo ex art. 41 c.p.c., dopo, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni Unite sulla natura dell'arbitrato come atto di autonomia privata, si era consolidata l'opposta soluzione secondo cui la questione della deferibilità della controversia in arbitrato estero sarebbe non di giurisdizione bensì di merito. Questo orientamento viene superato con tale pronuncia che recepisce le motivazioni della precedente, antesignana, Cass. n. 24153/2013. Basti in questa sede ricordare che, secondo le Sezioni Unite, dalla natura giurisdizionale, e sostitutiva della funzione del giudice ordinario, dell'attività degli arbitri rituali consegue che, mentre lo stabilire se una controversia appartenga alla cognizione del giudice ordinario o degli arbitri si configura come questione di competenza, stabilire se una controversia appartenga alla competenza giurisdizionale del giudice ordinario, e, in tale ambito, a quella sostitutiva degli arbitri rituali, ovvero a quella del giudice amministrativo o contabile configura, invece, una questione di giurisdizione. Dall'affermazione della natura giurisdizionale dell'arbitrato rituale segue de plano la stessa considerazione per l'arbitrato estero, per la cui natura giurisdizionale militano ulteriori elementi, con conseguente ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione. Questi ulteriori elementi vanno rinvenuti nel combinato disposto della l. n. 218 del 1995, art. 4, comma 2 e art. 11 che equiparano la deroga convenzionale alla giustizia italiana in favore di arbitrato estero alla deroga in favore di un giudice straniero, entrambe inserite fra i limiti alla giurisdizione italiana definiti dal Titolo 2 della legge e perciò fra i casi di difetto di giurisdizione.

Ricorso per riconoscimento di lodo estero, decreto ed opposizione

Gli artt. 839 e 840 c.p.c. recepiscono nel sistema codicistico corrispondenti disposizioni della Convenzione di New York con alcune novità attinenti, ad esempio, al procedimento delibatorio, disciplinato ora appositamente ed integralmente dagli artt. 839-840 ed affrancato perciò dal rinvio ex art. 800 agli artt. 796 ss., rinvio che la giurisprudenza aveva continuato a ritenere vigente, pur dopo l'emanazione della Convenzione di New York, e che buona parte della dottrina riteneva non sostituibile, anche se contrastante, almeno in parte con la Convenzione. Quest'ultima, infatti, con una delle sue disposizioni di non diretta applicazione – in particolare, l'art. III - affida al legislatore interno la disciplina del procedimento di riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri, obbligando tuttavia gli Stati contraenti a non imporre «condizioni sensibilmente più rigorose né spese di giustizia sensibilmente più elevate di quelle imposte per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali nazionali».

Il procedimento di delibazione delle sentenze giudiziali straniere, cui l'art. 800 rinviava quanto ai lodi stranieri, appariva a molti, in concreto, sensibilmente più difficoltoso, quanto ai meccanismi del rito, e conseguentemente più oneroso del procedimento di exequatur pretorile previsto dall'art. 825.

A questo punto, tuttavia, la dottrina si divideva fra chi prospettava la immediata utilizzabilità, in ossequio alla Convenzione, del procedimento ex art. 825 anche per i lodi stranieri e chi invece riteneva esattamente che, pur constatata la parziale inadempienza italiana agli obblighi convenzionali, il problema potesse essere risolto solo attraverso una modifica legislativa I nuovi artt. 830-840 risolvono il problema disciplinando un procedimento di riconoscimento e di esecuzione a contraddittorio differito ed eventuale con una prima fase in cui il provvedimento delibatorio è concesso inaudita altera parte e previa verifica limitata alle ragioni ostative che l'art. V, comma 1, Conv. New York considera rilevabili anche ex officio, ed una seconda fase a contraddittorio pieno, condizionata alla opposizione della parte contraria al riconoscimento ed alla esecuzione, o anche della parte a questi interessata, ove l'exequatur in via sommaria sia stato negato. Il legislatore si è palesemente ispirato alla soluzione della Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968 sulla competenza e sul riconoscimento e la esecuzione delle sentenze straniere ma anche al sistema francese. Sul versante interno il modello adottato è invece assimilabile a quello del procedimento d'ingiunzione, tant'è che risultano espressamente richiamati gli artt. 645 ss. quanto alla fase di opposizione. Tale procedimento, da un lato, assicura, sia pure in via condizionata e nella fase di opposizione, la garanzia del contraddittorio necessariamente implicata dell'art. V, comma 1, Convenzione New York; d'altro lato appare, almeno in prima battuta, rispettoso dell'art. III Convenzione, poiché appresta un sistema celere e sommario per l'ottenimento dell'exequatur (analogo a quello di cui beneficia il lodo interno ex art. 825), prevedendo solo come eventuale la prosecuzione in una fase oppositoria strutturata in modo da non presupporre, rispetto alla effettività del lodo straniero nell'ordinamento italiano, ostacoli, tempi e spese eccessive. Né è pensabile che l'esposizione dal provvedimento sommario positivo alla opposizione, e la sua inidoneità a costituire ex lege titolo per la esecuzione forzata del lodo in Italia in pendenza dei termini per la opposizione o del relativo procedimento, contrastino con l'art. III Convenzione, poiché appunto entrambe tali caratteristiche sono perfettamente giustificabili alla luce dell'art. V, comma 1, Convenzione.

Per quanto concerne il procedimento per il riconoscimento di lodo estero e la relativa opposizione al decreto è sufficiente (v. bussola Riconoscimento ed esecuzione dei lodi stranieri).

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