Crisi d'impresa
IlFallimentarista

È irripetibile l’illecito finanziamento all’impresa in crisi

La Redazione
05 Marzo 2025

Secondo il Tribunale di Piacenza, l’accertamento dell’avvenuto finanziamento alla società fallita quale condotta sussumibile nell’illecito penale tipico di aggravamento del dissesto con operazioni gravemente colpose è ostativo all’accoglimento della domanda di ripetizione indebito.

Nell'ambito di un procedimento di opposizione avverso lo stato passivo di un fallimento, una società creditrice (in qualità di mandataria di altra società finanziatrice) contestava l'esclusione del proprio credito chirografario, derivante da un contratto di finanziamento assistito da garanzia del Fondo di Garanzia per le PMI istituito dall'art. 2, comma 100, lett. a), l. n. 662 del 1996.

Il motivo dell'esclusione risiedeva nel fatto che, a parere del G.D., il finanziamento appariva «erogato – quando non dolosamente – quantomeno con colpa grave dell'operatore qualificato, che non ha svolto nessun reale accertamento e approfondimento circa la situazione economico-patrimoniale e l'effettiva capacità di rimborso da parte della prenditrice, la quale presentava chiari sintomi di insolvenza o quantomeno di crisi». La concessione del credito, dunque, costituirebbe atto illecito e contrario a norme imperative, anche penali, nonché all'ordine pubblico e al buon costume, risultandone la nullità del contratto ex art. 1418 c.c. e l'irripetibilità delle somme ex art. 2035 c.c.

L'opposizione, fondata tra l'altro sul «mancato assolvimento dell'onere probatorio posto in capo alla curatela ai fini dell'accertamento di una responsabilità del soggetto finanziatore qualora venga dedotta la fattispecie della “concessione abusiva di credito”», viene rigettata, in quanto infondata.

In primo luogo, il Tribunale di premura di distinguere la fattispecie della concessione abusiva del credito quale illecito civile commesso da parte del soggetto finanziatore dalla eccezione di nullità di un contratto di finanziamento per contrarietà a norme imperative ex art. 1418 comma 1 c.c., in quanto in diretto contrasto con la specifica norma penale che sanziona l'aggravamento del dissesto con operazioni gravemente colpose (art. 217 l. fall., ora art. 323 c.c.i.i.).

Con riferimento a quest'ultima fattispecie, il Tribunale, richiamata Cass. civ., sez. I, 5 agosto 2020 n.16706, ribadisce che la nullità ex art. 1418 c.c. «può essere dichiarata all'esito dell'accertamento in concreto di una condotta delittuosa sussumibile sotto la fattispecie incriminatrice invocata, dovendosi riscontrare l'elemento oggettivo, quello soggettivo, nonché le modalità di concorso del soggetto finanziatore, quale extraneus del reato».

Quanto al profilo oggettivo, il Tribunale ritiene che, al momento della richiesta di finanziamento, la società «versasse in una situazione quantomeno di crisi, che avrebbe richiesto l'adozione di misure di discontinuità aziendale, idonee a tentare di risanare la situazione economico-finanziaria, e scongiurare così la probabile insolvenza». In tal senso depongono: i) la (di poco anteriore) cessione a società terza del ramo d'azienda operativo; ii) la delibera di riduzione del capitale sociale per perdite; iii) dati contabili esponenti una realtà aziendale compromessa; iv) altre anomalie e incongruenze risultanti dal confronto tra bilancio provvisorio e altri documenti contabili e integranti altrettanti segnali di crisi.

Quanto al profilo soggettivo, il Tribunale ravvisa la colpa grave del soggetto finanziatore nell'erogazione del finanziamento. Questi si sarebbe infatti limitato ad una mera verifica cartolare dei dati, senza svolgere un'analisi della concreta effettiva realtà aziendale da finanziare e senza assumere informazioni e dati agevolmente reperibili da banche dati pubbliche. A tal riguardo, il Tribunale afferma che «non basta a qualificare come diligente la sola consultazione di report contenenti giudizi di sintesi sul merito creditizio e attestanti la mancanza di specifici eventi integranti indici di difficoltà economica (come protesti o procedure esecutive), in quanto ad un soggetto altamente professionale è richiesta la verifica concreta e puntuale delle effettive condizioni finanziarie e economiche del soggetto finanziato, non potendo confidare solo su giudizi o dati aggregati di sintesi forniti da terzi».

Inoltre, aggiunge il Tribunale: «non è tanto lo stato di crisi o la presenza, più in generale, di una situazione di difficoltà economico-finanziaria dell'impresa a rendere imprudente la concessione di un finanziamento – sebbene tali circostanze impattino sicuramente sul grado di diligenza richiesto all'ente finanziatore in ordine alla valutazione del merito creditizio -, bensì piuttosto l'assenza di ragionevoli prospettive di risanamento (da valutare secondo una prospettiva ex ante) tali da rendere il finanziamento un mezzo per permettere ad un imprenditore ormai decotto di permanere “artificiosamente” sul mercato». Nel caso di specie, il finanziatore aveva omesso la richiesta o la verifica di piano di risanamento o di un business plan che rendesse anche solo plausibile il superamento dello stato di crisi.

In conclusione, il Tribunale si adegua ad un orientamento giurisprudenziale «in via di consolidamento» (Cassazione civile sez. I, 5 agosto 2020, n. 16706) secondo cui sono “prestazioni contrarie al buon costume” «anche quelle che non rispondo ai principi e alle esigenze etiche costituenti la morale sociale in un determinato ambiente e in un certo momento storico» quali «l'erogazione di somme di denaro in favore di un'impresa già in stato di decozione integrante un vero e proprio finanziamento, che consente all'imprenditore di ritardare la dichiarazione di fallimento, incrementando l'esposizione debitoria dell'impresa, trattandosi di condotta preordinata alla violazione delle regole di correttezza che governano le relazioni di mercato». Pertanto, si afferma che «l'accertamento dell'avvenuto finanziamento alla società fallita quale condotta sussumibile nell'illecito penale tipico di aggravamento del dissesto con operazioni gravemente colpose è ostativo all'accoglimento della domanda di ripetizione indebito»

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