La Cassazione sull’efficacia del giudicato penale nei giudizi fiscali
11 Marzo 2025
A soli pochi mesi dall'entrata in vigore del d.lgs. n. 87/2024 occorre registrare un evidente (ma, in fondo, prevedibile) conflitto all'interno della sezione tributaria della Cassazione in ordine alla portata del nuovo articolo 21-bis d.lgs. 10 marzo 2000 n. 74 che ha previsto che la sentenza irrevocabile di assoluzione, perché il fatto non sussiste o perché l'imputato non lo ha commesso, abbia effetti di giudicato nel giudizio tributario che verta sugli stessi fatti materiali oggetto del giudizio penale. La nuova disposizione rappresenta una significativa innovazione del sistema precedente in cui, invece, vigeva pienamente il sistema del doppio binario che, basandosi sull'assoluta separatezza tra il giudizio penale e quello tributario, permetteva al giudice tributario di ritenere fondato l'accertamento anche quando il contribuente fosse stato assolto nel merito delle imputazioni. È noto che i rapporti tra processo tributario e processo penale sono nel tempo assai variati ( per una disamina, Valentina Manuali, Rapporti fra processo penale e tributario: gli sviluppi del principio del ne bis in idem, in Seminario di Aggiornamento professionale Assisi. 13 e 14 aprile 2018 in https://www.giustizia-tributaria.it/allegati/Relazione); la legge 7 gennaio 1929 n. 4 non solo, subordinava l'esercizio dell'azione penale alla definitività dell'accertamento ma anche prevedeva che l'accertamento dell'imposta e della relativa sovraimposta facesse stato nei procedimenti penali per la cognizione dei reati previsti dalle leggi tributarie in materia di imposte dirette. In epoca repubblicana, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale 88/1982, che aveva dichiarato l'incostituzionalità dell'obbligatoria rilevanza della decisione tributaria nel processo penale, il legislatore, con la legge 7 agosto 1982 n. 516 introdusse, per la prima volta, il sistema del doppio binario permettendo l'inizio dell'azione penale indipendentemente dall'esito dell'accertamento dell'imposta e nello stesso tempo escludendo che il processo tributario dovesse essere sospeso in attesa della definizione di quello penale, come sarebbe dovuto accadere in applicazione delle allora vigenti disposizioni del codice di procedura penale. L'art. 12 prevedeva, inoltre, che la sentenza penale irrevocabile avesse efficacia vincolante nel processo tributario limitatamente ai fatti materiali oggetto del giudizio. Il nuovo codice di procedura penale ha, invece, riscritto gli effetti del giudicato penale nei giudizi civile ed amministrativi prevedendo che nei confronti dell'imputato, della parte civile e del responsabile civile che si fosse costituito o che fosse intervenuto nel processo penale, la sentenza penale irrevocabile di condanna o di assoluzione pronunciata in seguito a dibattimento avesse efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo, quando in questo si controvertesse intorno a un diritto o a un interesse legittimo il cui riconoscimento fosse dipeso dall'accertamento degli stessi fatti materiali che erano stati oggetto del giudizio penale, purché i fatti accertati fossero stati ritenuti rilevanti ai fini della decisione e purché la legge civile non ponesse (come in effetti accadeva ed accade nel processo tributario) limitazioni alla prova della posizione soggettiva controversa. Anche per effetto dell'art. 20 d.lgs 74/2000 e dell'interpretazione data al complessivo sistema dalla Cassazione, si era, infine, realizzata una completa separazione tra il procedimento penale e quello tributario che rendeva possibile lo svolgimento parallelo del giudizio fiscale e penale senza che il giudicato penale potesse svolgere alcuna efficacia di giudicato nel processo tributario in ragione dell'esistenza di limitazioni alla prova ( quali il divieto di prove testimoniali e l'esistenza di presunzioni). Non si era, però, mancato di affermare che la sentenza penale irrevocabile costituiva pur sempre un elemento di prova che poteva e doveva essere valutato dal giudice tributario. Sulla questione era, di fatto, intervenuta anche la giurisprudenza della Cedu che fondandosi sul divieto di bis in idem, in un primo tempo, aveva censurato la normativa nazionale basata su una doppia sanzione, penale ed amministrativa. La posizione negativa della Cedu è stata, però, successivamente mitigata, essendosi affermato che il divieto del bis in idem non risultava violato se i due procedimenti, penali e fiscale, avessero presentato una connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta da apparire unitari, fermo restando l'obbligo di mantenere la proporzionalità della complessiva sanzione, separatamente irrogata, rispetto all'effettiva portata del fatto illecito, eventualmente attraverso la considerazione della sanzione per prima irrogata nel giudizio successivo. L'intervento del legislatore. Le prime decisioni della Corte di Cassazione Sul brevemente descritto quadro normativo, il legislatore della riforma è intervenuto con il d.lgs. 14 giugno 2024, entrato in vigore il 29 giugno 2024, in adempimento della legge delega di riforma del sistema sanzionatorio fiscale, prevedendo che, nei casi di sentenza irrevocabile di assoluzione perché il fatto non sussiste o l'imputato non lo ha commesso, i fatti materiali accertati in sede dibattimentale facessero stato nel processo tributario quanto all'accertamento dei fatti medesimi. Nell'immediatezza della riforma, la Cassazione è intervenuta con diverse pronunce: innanzitutto con la sentenza 31 luglio 2024, n. 21584, poi con altre due, del 3 settembre 2024 n. 23570 e n. 23609 ( medesimo collegio) ha ritenuto, in primo luogo, che la novella, avendo natura processuale, dovesse trovare immediata applicazione in mancanza di un regime intertemporale e che, poi, non sussistessero ostacoli all'estensione del giudicato neppure se la sentenza penale fosse passata in giudicato prima dell'entrata in vigore della nuova disposizione, pur quando l'eventuale assoluzione fosse stata pronunciata ai sensi del secondo comma dell'art. 530 cpp. Sempre negli stessi termini si erano successivamente pronunciate le sentenza 2 dicembre 2024 n. 30814 e poi 16 gennaio 2025 n. 1021 che è quella che ha affrontato con specifica attenzione la genesi e gli effetti della nuova normativa. La sentenza della Cassazione 14 febbraio 2025 n. 3800 L'orientamento appariva destinato a consolidarsi quando è intervenuta la sentenza 14 febbraio 2025 n. 3800 che ha fragorosamente disatteso quanto ritenuto dalla Suprema Corte nei suoi precedenti pronunciamenti. La prima peculiarità della sentenza 3800 del 2025, certamente non casuale, sta nel fatto che la principale ratio decidendi che ha portato alla cassazione della sentenza impugnata non si pone affatto in contrasto con la disciplina dell'art. 21-bis d.lgs.10 marzo 2000 n. 74, avendo la Corte censurato il fatto che i giudici di merito avessero infondatamente assunto che la sentenza penale invocata in quel giudizio fosse passata in giudicato e che conseguentemente non avessero posto criticamente a confronto, come dovuto, le prove acquisite nel processo penale con quelle emergenti nel procedimento fiscale come costantemente ritenuto dalla giurisprudenza (Cass. 11 aprile 2024 n. 9900 che aveva anche escluso la richiesta di applicazione dei principi della legge delega prima dell'emanazione del decreto delegato). Malgrado fosse, quindi, più semplice e lineare limitarsi a prendere atto del mancato passaggio in giudicato della sentenza penale, i giudici hanno volutamente affrontato (senza nemmeno concedere un rinvio per permettere l'acquisizione della prova del passaggio in giudicato della sentenza di assoluzione) il tema della portata e della rilevanza del nuovo art. 21 bis per manifestare, immediatamente, le loro profonde ragioni di dissenso rispetto all'orientamento che si stava manifestando nella Suprema Corte e dare, della riforma, una lettura ben diversa da quella fino a questo momento seguita. E per fare ciò, risultando “necessario fornire un inquadramento sistematico della nuova disposizione e della sua effettiva valenza e incidenza nel sistema processuale e sostanziale anche alla luce delle possibili criticità di ordine costituzionale e unionale evidenziate dal Pubblico Ministero”, ha svolto una ricostruzione complessiva della nuova norma, scegliendo di parlare, per così dire, a nuora (giudice del rinvio) affinchè suocera (Cassazione ) intendesse. In primo luogo, la decisione osserva che la modifica operata con il d.lgs. n. 87/2024, ha ribadito a livello di disciplina positiva l'esistenza di un doppio binario procedimentale e processuale: non solo, deve ritenersi consentito ma anzi, diviene doveroso per l'Amministrazione avviare il procedimento di irrogazione della sanzione ancorché il medesimo fatto sia, al contempo, oggetto di rilievo penale. Inoltre, il processo tributario non deve essere sospeso in attesa della definizione di quello penale e l'eventuale giudicato tributario formatosi prima di quello penale rimane fermo per gli aspetti sostanziali. Nel sistema precedente, al fine di evitare che vi fosse una duplicazione ( in violazione delle norme sul divieto di bis in idem), le sanzioni tributarie, pur irrogate, non potevano trovare applicazione fino a quando il giudizio penale fosse stato pendente ed era stabilito che: a) se la sentenza fosse stata di condanna, la sanzione amministrativa restava definitivamente ineseguibile ( perché assorbita da quella penale); b) se, invece, la sentenza penale fosse stata favorevole al contribuente, la sanzione diventava eseguibile solamente se il procedimento penale fosse stato definito con provvedimento di archiviazione, sentenza irrevocabile di assoluzione o di proscioglimento con formula che esclude la rilevanza penale del fatto. La riforma, secondo il ragionamento fatto proprio dalla Cassazione, ha semplicemente anticipato alla fase della cognizione – ed anche nel giudizio di Cassazione - la deducibilità, ai fini dell'irrogazione della sanzione, della pronuncia penale di assoluzione per le formule “il fatto non sussiste” e “l'imputato non lo ha commesso”, sicché la relativa rilevanza non è più limitata alla sola fase riscossiva ma è suscettibile di essere dedotta anche in sede di cognizione operando peraltro solo sullo stesso piano delle sanzioni e non su quello dell'accertamento della pretesa fiscale che continua rimanere affidato al solo giudice tributario. L'esigenza tutelata dal legislatore - ma già presente nelle originarie previsioni – è, pertanto “quella di trattare in termini unitari, per evitare criticità o incongruenze, gli esiti finali sanzionatori derivanti dalla necessaria separatezza dei giudizi, penale e tributario, e del procedimento amministrativo tributario”. A conferma del fatto che l'intervento legislativo abbia rilevanza solo piano sanzionatorio e non su quello sostanziale, si afferma che “il legislatore ha introdotto, con la novella, anche l'art. 21-ter d.lgs. n. 74 del 2000 per il diverso versante del cumulo sanzionatorio nel caso di riconosciuta responsabilità, sì da evitare che il trattamento risulti eccessivamente gravoso, prevedendo che il giudice o l'autorità amministrativa, al momento della determinazione delle sanzioni di propria competenza e al fine di ridurne la relativa misura, tiene conto di quelle già irrogate con provvedimento o con sentenza assunti in via definitiva”. Nella ricostruzione della Corte assume poi un particolare rilievo il comma 3 dell'art. 21-bis che prevede che “Le disposizioni dei commi 1 e 2 si applicano, limitatamente alle ipotesi di sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, anche nei confronti della persona fisica nell'interesse della quale ha agito il dipendente, il rappresentante legale o negoziale, ovvero nei confronti dell'ente e società, con o senza personalità giuridica, nell'interesse dei quali ha agito il rappresentante o l'amministratore anche di fatto, nonché nei confronti dei loro soci o associati” ritenendo che l'utilizzo della congiunzione "anche", riferita alla persona fisica o alla società nonché ai soci o associati si potesse spiegare soltanto in chiave sanzionatoria, poiché l'accertamento del tributo è naturalmente riferito al soggetto passivo, che è l'imprenditore individuale o la società, e non alla persona che abbia agito per loro, né ai soci e agli associati, che rispondono ad altro titolo. Conclusivamente, il principio di diritto applicabile alla fattispecie viene formulato nei seguenti termini: “l'art. 21-bis d.lgs. n. 87 del 2024, secondo una interpretazione letterale e sistematica, è suscettibile di esplicare i suoi effetti in termini diretti esclusivamente con riguardo alla sanzione irrogata, mentre con riguardo all'imposta la valutazione della sentenza penale di assoluzione resta tuttora ancorata ai principi, prima illustrati, afferenti alla circolazione della prova, esclusa ogni automatica estensione al giudizio tributario”. Le criticità individuate dalla Cassazione nella nuova disciplina dell'art. 21 bis d.Lgs. 74/2000: a) l'assoluzione ai sensi dell'art. 530 co. 2 c.p.p. Sebbene l'interpretazione che emerge dalla decisione si ponga già in netto contrasto ed in piena antitesi con le decisioni in precedenza assunte dalla stessa sezione fiscale della Cassazione, la sentenza 3800/2025 va in realtà molto più in là, segnalando un complesso di criticità che potrebbero portare non solo a limitare l'efficacia del giudicato esclusivamente sulle sanzioni ma addirittura a ridurne ulteriormente la portata. In primo luogo, infatti, viene osservato che non dovrebbe avere rilevanza nel processo tributario ( come sostenuto, invece, da Cass. 3 settembre 2024 n. 23570) l'assoluzione pronunciata ai sensi dell'art. 530, comma 2, c.p.p. Nella sentenza 2025/3800 si afferma, infatti, che sebbene “nel giudizio penale la prova positiva dell'innocenza dell'imputato (art. 530, comma 1) e la prova negativa della sua responsabilità (art. 530, comma 2) hanno pari valore, la giurisprudenza civile, nell'interpretare gli artt. 651-654 c.p.p., ha distinto le due situazioni, attribuendo differente valore alle ipotesi di assoluzione pronunciate a norma del primo comma rispetto a quelle pronunciate a norma del secondo comma in linea con l'interpretazione delle Sezioni Unite” (Sez. U. 26/01/2011 n. 1768 per la quale “la sentenza di assoluzione è idonea a produrre gli effetti di giudicato ivi indicati non in relazione alla formula utilizzata, bensì solo in quanto contenga, in termini categorici, un effettivo e positivo accertamento circa l'insussistenza del fatto”). Viene rilevato che il principio generale è quello “dell'autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, sicché il carattere di eccezione a tale principio, che si rinviene in quanto previsto dalla norma dell'art. 652 c.p.p. (e analogamente è da dirsi per le ipotesi contemplate dagli artt. 651, 653 e 654 dello stesso codice), impedisce, non solo, di poter fare applicazione analogica della citata disposizione oltre i casi espressamente previsti, ma impone di perimetrarne anche in senso restrittivo l'operatività, tenuto conto dei limiti costituzionali del rispetto del diritto di difesa e del contraddittorio, richiamati dalla stessa legge delega”. Inoltre, si è evidenziato che “l'efficacia preclusiva del giudicato di assoluzione è tale, però, soltanto se il giudicato stesso contenga un effettivo e specifico accertamento circa l'insussistenza o del fatto o della partecipazione dell'imputato e non anche nell'ipotesi in cui l'assoluzione sia determinata dall'accertamento dell'insussistenza di sufficienti elementi di prova circa la commissione del fatto o l'attribuibilità di esso all'imputato e cioè quando l'assoluzione sia stata pronunziata a norma dell'art. 530, comma 2, c.p.p.” Il principio è stato affermato anche dal giudice amministrativo che ha precisato che l'efficacia vincolante del giudicato penale è configurabile solo allorché la sussistenza dei reati contestati sia stata esclusa ai sensi dell'art. 530, comma 1, c.p.p. La sentenza, inoltre si dà anche carico del diverso orientamento espresso dalla dottrina ed anche della giurisprudenza penale che esprimono il diverso orientamento della piena equiparazione tra le pronunce assolutorie pronunciate ai sensi del primo e del secondo comma dell'art. 530 c.p.p. In realtà, secondo la sentenza, la giustificazione logica e giuridica dell'orientamento che distingue la rilevanza ai fini civili tra i due commi si coglie nel fatto che il fondamento sostanziale della scelta di attribuire efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione (per le formule assolutorie di insussistenza del fatto e per non aver commesso il fatto, qui in rilievo) deriva dal maggior approfondimento istruttorio che caratterizza il processo penale rispetto a quello civile (e tributario) e dalla possibilità, propria del processo penale, di ricostruire la situazione fattuale con estrema certezza. Tuttavia, tale condizione - ossia la ricostruzione della situazione fattuale con estrema certezza - si ha solamente nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 1, c.p.p. (prova positiva che superi ogni ragionevole dubbio) e non nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa ex art. 530, comma 2, c.p.p. (prova mancante, insufficiente o carente). Ne deriva che, ai fini della disciplina in esame,” non è suscettibile di rilievo, con valenza di giudicato, l'assoluzione pronunciata ai sensi del secondo comma dell'art. 530 c.p.p., che determinerebbe un mero automatismo a fronte della necessità di verificare che la decisione penale abbia operato un concreto ed effettivo accertamento dei fatti”. b) il differente regime probatorio Ulteriori profili di criticità della nuova normativa sono individuabili nei rapporti tra accertamento sulla sanzione e accertamento sull'imposta, dovendosi prendere atto che la disciplina dell'art. 21-bis “lascia inalterato il regime probatorio e la rilevanza della decisione penale sul rapporto d'imposta”. Pertanto, se relativamente ai profili sanzionatori qualora i fatti siano i medesimi, occorre riconoscere efficacia di giudicato alla sentenza penale di assoluzione, quanto all'accertamento dell'imposta, risultando immutati i criteri di ripartizione dell'onere della prova e la valutazione da parte del giudice previsti dalle disposizioni fiscali, la sentenza penale di assoluzione conserva la sua rilevanza solo quale prova ai sensi dell'art. 654 c.p.p. e 20 d.lgs. n. 74 del 2000, soggetta all'autonoma valutazione del giudice, da apprezzare insieme alle altre prove acquisite nel giudizio (secondo quanto tradizionalmente ritenuto, Cass.11 aprile 2024 n. 9900, cit.). c) questione di legittimità costituzionale Sono stati sollevati inoltre profili di legittimità costituzionale sia sotto il profilo della violazione del principio sancito dall'art. 111 cost., in tema di giusto processo, in ragione della assenza dal processo penale delle Agenzie fiscali, sia sotto il profilo della uniformità del trattamento probatorio e sanzionatorio. Il primo profilo di criticità discende direttamente dalla mancata partecipazione dell'Agenzia delle Entrate al giudizio penale. Quanto all'altro aspetto, il sistema tributario è caratterizzato da oneri ripartiti tra contribuente e Ufficio, mentre nel sistema penale l'onere è integralmente a carico della parte pubblica, essendo sufficiente, per la parte privata, un atteggiamento anche solo silente per ottenere un esito positivo del processo penale se la prova piena non sia stata raggiunta come accade in caso di indagini bancarie il cui regime probatorio che assiste i prelievi e i versamenti non giustificati, previsto dall'art. 32 d.P.R. n. 600/1973, non assume rilievo nel giudizio penale, dove incombe al P.M. provare che quelle somme sono riconducibili ad una evasione, prova che se non fornita, determina un'assoluzione per insussistenza del fatto. Inoltre, si rischierebbe una diversità ingiustificata di trattamento quando l'imputazione penale dipendesse dal raggiungimento di determinate soglie con il rischio che fattispecie identiche fossero soggette a diversa disciplina sanzionatoria. d) questioni di incompatibilità con il diritto dell'Unione Sono state, infine evidenziati profili di incompatibilità rispetto al diritto dell'Unione qualora l'applicazione del giudicato penale finisse per contrastare con le norme europee che attribuiscono rilevanza a omissioni valutative o negligenze ai fini dell'obbligo di procedere al pagamento delle imposte ( come tipicamente accade nei frequentissimi casi di frodi carosello) certamente non rilevanti o applicabili nel giudizio penale. La portata della sentenza È facile immaginare che la sentenza della Cassazione sarà accolta in modo diametralmente opposto a seconda della sensibilità dei vari commentatori (sul tema in generale, Jacopo Lorenzi, Considerazioni critiche e possibili soluzioni in materia di identità dei fatti materiali tra assoluzione penale ed accertamento tributario, in IUS tributario 22 gennaio 2025; Giuseppe Ripa e Alessandro Lattanzi, in Italia Oggi del 23 dicembre 2024; specificamente sulla sentenza 3800/2025, Francesco Machina Grifeo, Nel processo tributario l'assoluzione penale ha effetto solo sulle sanzioni in IlSole24ore; Adriana Salvati, Innocenti evasori: la Cassazione verso il triplo binario ( e oltre) Osservazioni a Cass. Civ. Sez V, 14 febbraio 2025 n. 3800 in Rivista di Diritto Tributario on line, 20 febbraio 2025; Andrea Carinci, Il difficile bilanciamento tra sistematica e realtà applicativa nel ragionamento della Suprema Corte in tema di operatività dell'art. 21-bis d.lgs. n. 74/2000 in IUS tributario 18 febbraio 2025). Ebbene, va detto con molta chiarezza che la soluzione scelta dalla Cassazione con questa decisione, alla quale non è forse estranea una ricerca di compromesso tra l'esigenza di non vanificare l'attività degli uffici finanziari e dei giudici tributari e quella di dare sollievo, peraltro effimero, alla stessa Cassazione ( che, com'è noto, da anni soffre per la grande quantità di ricorsi in materia tributaria che ogni anni vengono iscritti a ruolo) risulta largamente condivisibile soprattutto nella parte in cui spezza, con solidissimi argomenti, l'unificazione del piano dell'accertamento tributario con quello sanzionatorio, pur voluta dal legislatore. E per fare ciò la sentenza in commento ha evidenziato in modo molto chiaro e perspicuo tutte le molteplici criticità che emergevano, abbastanza palesemente, dall'interpretazione fatta propria dalle prime pronunce della Cassazione sul nuovo art. 21-bis d.lgs. 74 del 2000, muovendo da una esegesi molto attenta del sistema nel quale la disposizione è inserita. Tre sono, però, le criticità segnate che appaiono particolarmente meritevoli di approfondimento. La prima è rappresentata dalla palese violazione di principi costituzionali. L'art. 111 Cost, prevede che il processo possa considerarsi giusto solo se si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. In altre parole, non può mai ipotizzarsi che gli interessi di una parte, privata o pubblica che sia, possano essere pregiudicati da decisioni assunte in un processo in cui essa non abbia partecipato o nemmeno potuto partecipare, svolgendo attività difensiva e formulando, eventualmente, domande ed istanze istruttorie. Si tratta del più basilare principio che informa la giurisdizione di un ordinamento democratico. È doveroso, in particolare, ricordare che la Cassazione con sentenza a Sezioni Unite 12 ottobre 2022 n. 29862, ha escluso che l'Erario possa costituirsi parte civile al fine di ottenere il pagamento del tributo, poiché l'azione aquiliana nel processo penale può essere promossa solo per il risarcimento del danno diverso ed ulteriore rispetto al mero mancato incasso del tributo. Dunque, il solo modo per l'Erario per ottenere il pagamento dell'imposta ritenuta dovuta è quello di agire in base agli ordinari poteri, emettendo un avviso di accertamento ovvero un altro atto impugnabile innanzi al giudice tributario che è il solo giudice che abbia giurisdizione sulla materia. Quindi, non solo l'Amministrazione non potrebbe partecipare al giudizio penale per far valere le sue ragioni ma, addirittura, la decisione sulla pretesa fiscale verrebbe ad essere sottoposta a regole diverse da quelle che deve applicare nella sua attività di accertamento dei tributi, magari fondate su disposizioni che pongono a carico del contribuente un onere che nel sistema penale è a carico della Pubblica Accusa, oppure una semplificazione di quello che incombe sull'Amministrazione attraverso l'applicazione di presunzioni semplici o relative necessarie, talvolta, per l'identificazione di comportamenti subdoli e fraudolenti, altrimenti difficilmente comprovabili. Il secondo motivo di criticità è strettamente collegato a quello appena esaminato. L'oggettivamente grande diffusione di prassi dichiaratamente evasive (si pensi ad esempio alle frodi carosello in materia di iva o di emissione di fatture soggettivamente od oggettivamente false che sono frequentissime e che producono non solo danno all'Erario ma pure una pericolosissima ed occulta alterazione della concorrenza, permettendo ad operatori spregiudicati di avvantaggiarsi anche di forniture a prezzi più favorevoli rispetto a quelli degli operatori corretti) determina, talvolta, l'obbligo per gli imprenditori di svolgere, sui soggetti con cui hanno rapporti, controlli che, se non eseguiti, fanno sorgere l'obbligo di pagare imposte per non avere percepito, anche solo per negligenza, i segnali che evidenziavano che l'operazione economica conclusa risultava inserita in un sistema evasivo. Le sanzioni penali in materia tributaria non possono rispondere alla stessa regola, poiché non sono dirette ad imporre all'agente un compito di protezione degli interessi dell'erario e di vigilanza sui comportamenti di altri soggetti. Il terzo motivo di criticità riguarda l'estensibilità del giudicato penale allorquando la sentenza sia stata emessa ai sensi dell'art. 530 2 co. cpp (questione già precocemente sollevata da Alma Chiettini, L'efficacia delle sentenze penali nel processo tributario in https://www.primogrado.com/novità). La Cassazione ricorda che il trasferimento nel giudizio amministrativo del giudicato penale dovrebbe essere possibile solamente nei casi in cui si sia raggiunta la prova positiva che superi ogni ragionevole dubbio (ex art. 530, comma 1, c.p.p.) e non nei casi in cui la pronuncia di assoluzione sia resa per essere stata ritenuta mancante, insufficiente o carente la prova (ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.) con la conseguenza che non è suscettibile di rilievo, con valenza di giudicato, l'assoluzione pronunciata ai sensi del secondo comma dell'art. 530 cod. proc. pen., che determinerebbe un mero automatismo a fronte della necessità di verificare che la decisione penale abbia operato un concreto ed effettivo accertamento dei fatti. La giurisprudenza amministrativa, nel confinante settore della responsabilità disciplinare, ha escluso da tempo (C.d.S. 15.3.2014 n. 2509) l'efficacia vincolante del giudicato penale fondato sull'assoluzione del dipendente pronunciata ai sensi dell'art. 5302 co c.p.p., in ragione dell'autonomia del procedimento disciplinare rispetto a quello penale ed alle diverse regole che lo disciplinano. Senonchè, l'eventuale assoluzione ai sensi dell'art. 5302 co c.p.p., non dovrebbe nemmeno avere effetti limitati alla sanzione ma addirittura permettere al giudice tributario di valutare nell'interezza l'accertamento tributario sia, sotto il profilo sostanziale sia, sanzionatorio. Non opererebbe, infatti, la preclusione derivante dal divieto di bis in idem, così come è stato costantemente affermato nella giurisprudenza penale (Cass. pen. 8 aprile 2021 n. 28048) che ha ripetutamente posto il principio secondo cui il divieto di " bis in idem" impedisce al giudice di procedere contro la stessa persona per il medesimo fatto su cui si è formato il giudicato, ma non di prendere in esame lo stesso fatto storico e di valutarlo in riferimento a diverso reato, dovendo la vicenda criminosa essere valutata alla luce di tutte le sue implicazioni penali. Quindi, ed a maggior ragione, lo stesso fatto, ancorchè esaminato dal giudice penale, ben potrebbe essere posto a fondamento del giudizio fiscale anche ai fini sanzionatori, semprecchè ovviamente, non vi sia stata un'assoluzione ai sensi dell'art. 530, co. 1 cpp. La riqualificazione della decisione penale Non può, infine, ritenersi precluso al giudice tributario il compito di valutare la corrispondenza del dispositivo della sentenza con le ragioni della decisione potendovi essere, infatti, ipotesi in cui nel dispositivo non viene indicato se l'assoluzione sia stata disposta secondo quanto previsto dall'art. 530 1 o 2 comma. È doveroso in proposito osservare che nel sistema penale è costante l'affermazione secondo cui l'assoluzione per insufficienza o contraddittorietà delle prove equivale a tutti gli effetti alla mancanza assoluta di prove tanto è vero che costituisce pronuncia più favorevole rispetto a quella di estinzione del reato. Inoltre non sussiste l'interesse dell'imputato a proporre impugnazione avverso la sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste, pronunciata ex art. 530 comma 2 c.p.p. ( per mancanza, insufficienza o contraddittorietà della prova) in quanto tale formulazione non comporta una minore pregnanza della pronuncia assolutoria, né segnala residue perplessità sull'innocenza dell'imputato, né tanto meno spiega minore valenza con riferimento ai giudizi civili come comprovato dal tenore letterale degli artt. 652 e 654 c.p.p. (Cass. pen. 17 novembre 2022 n. 43598). Inoltre, (Cass. 27 dicembre 2023 n. 51436), “In assenza di ulteriore specificazione nel verbale di udienza - pur a fronte della equivalenza delle formule assolutorie ex art. 530, commi 1 e 2, cp.p. - deve ritenersi, nel rispetto del principio del favor rei, che la sentenza assolutoria sia stata pronunciata ex art. 530, comma 1, c.p.p.”. Eppure, per le ragioni lucidamente esposte nella commentata sentenza della Cassazione e per quanto in precedenza esposto, nel giudizio tributario risulta importante conoscere se la decisione assolutoria sia stata assunta perché v'è la prova positiva dell'innocenza dell'imputato ovvero perché la prova è contradditoria o insufficiente. Ne consegue che se risulta, dalla motivazione, che l'assoluzione è fondata su elementi che avrebbero dovuto portare alla formula assolutoria di cui all'art. 530, 2 co c.p.p., il giudice tributario deve applicare il regime giuridico previsto per tale forma di conclusione del processo, ancorché non sia stata evidenziata nel dispositivo. Ovviamente, qualora pur esaminando con attenzione la motivazione, non sia possibile individuare quale sia la effettiva ragione dell'assoluzione, il principio del favor rei impone di considerare la decisione pienamente assolutoria. Ma vi possono essere altri casi di riqualificazione del dispositivo ai fini della decisione tributaria. Il tema si pone con particolare rilevanza in relazione alle ipotesi di assoluzione quando per taluni reati non venga accertato il superamento delle soglie di punibilità. Nella giurisprudenza penale (Cass. 5 novembre 2015 n. 3098; Cass 20 settembre 2016 n. 48585; Cass. 16 giugno 2016 n. 35611) è prevalente la tesi per cui “il superamento della soglia di punibilità non configura una condizione oggettiva di punibilità, bensì un elemento costitutivo del reato, con la conseguenza che la sua mancata integrazione comporta l'assoluzione con la formula "il fatto non sussiste". Non sono, peraltro, mancate sentenza per le quali, invece (Cass. 9 febbraio 2016 n.28934), il proscioglimento dell'imputato, per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità individuata dalla norma, andrebbe disposto "perché il fatto non è previsto come reato", e non, invece, con la formula "perché il fatto non sussiste" che presuppone, invece, l'esclusione del verificarsi di un fatto storico suscettibile, tuttavia, di essere ipoteticamente attratto in una fattispecie incriminatrice. Tuttavia la stessa giurisprudenza (Cass. 20 settembre 2016 n. 48585), che pure ritiene che in caso di mancato superamento della soglia si debba assolvere perché il fatto non sussiste, ha specificato che il mancato raggiungimento della soglia di punibilità significa soltanto che è stata accertata l'insussistenza del fatto che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la realizzazione del reato per cui solo rispetto a tale fatto, ai sensi dell'art. 652 c.p.p., la sentenza penale irrevocabile di assoluzione, pronunciata in sede dibattimentale, ha efficacia di giudicato nel procedimento tributario, restando impregiudicata, per assenza di accertamento in sede penale, la questione dell'eventuale mancato versamento delle imposte in misura inferiore alla soglia di punibilità. Dunque, in tutti i casi in cui il fatto reato dipenda dal superamento della soglia, ai fini tributari la decisione penale non esclude la possibilità che venga accertato un debito fiscale inferiore alla soglia (ed anche irrogate le relative sanzioni). In conclusione Non rimane che attendere la decisione delle Sezioni Unite della Cassazione sollecitato dall'ordinanza interlocutoria del 4 marzo 2025 n. 5714 anche per dare, il più rapidamente possibile, un indirizzo univoco su un argomento che frequentemente è esaminato nelle aule giudiziarie, affrontando analiticamente le molte perplessità della nuova disposizione che correttamente la sentenza n. 3800/2025 ha puntigliosamente indicato contribuendo a formare un orientamento convincente che, in ogni caso, non può sottrarre all'esclusiva giurisdizione tributaria, ora affidata ad una magistratura professionale, la decisione sui rapporti tributari a vantaggio di giudici non specializzati. |