Sanzioni
13 Maggio 2020
Inquadramento generale
Le sanzioni tributarie sono di due tipi: sanzioni amministrative e penali, le quali si collegano, rispettivamente, ad un illecito amministrativo o penale.
In via generale, secondo il cosiddetto criterio nominalistico, la natura dell'illecito dipende dal tipo di sanzione comminata dalla legge, cosicché la scelta dell'uno o dell'altro tipo di sanzione è in definitiva rimessa a valutazioni di opportunità politica. Pertanto, è illecito amministrativo l'illecito per il quale sono previste sanzioni amministrative; è illecito penale, l'illecito per il quale è irrogata una delle pene previste dal codice penale (reclusione e multa per i delitti, arresto e ammenda per le contravvenzioni). Tale criterio distintivo è valido anche nel diritto tributario, con l'avvertenza che l'illecito penale tributario è attualmente sanzionato solo con la pena della reclusione. In particolare, le sanzioni amministrative tributarie sono sanzioni pecuniarie, consistenti nel pagamento di una somma di denaro proporzionale rispetto al tributo non dichiarato o non versato (in una percentuale fissata tra un minimo e un massimo). Tale proporzionalità è volta a rendere adeguata la sanzione al vantaggio economico connesso all'illecito. Fanno eccezione le sanzioni per la violazione di obblighi formali, indipendenti dall'evasione di un tributo (si pensi ad esempio all'omessa comunicazione dati, all'omessa risposta alle richieste di informazioni del fisco, etc..), e le sanzioni accessorie a contenuto interdittivo (art. 21), che consistono nella limitazione di facoltà, poteri o status riconosciuti e possono incidere profondamente nella vita dell'azienda.
Un ulteriore elemento distintivo tra i due tipi di sanzioni tributarie è dato dall'elemento soggettivo. Sotto questo profilo, le sanzioni penali sono connotate da “specialità”. A differenza, infatti, del diritto penale comune che prevede, accanto alla figura del delitto doloso, quella del delitto colposo, il diritto penale tributario contempla esclusivamente delitti punibili a titolo di dolo specifico, cioè delitti per la cui punibilità è richiesta non solo la coscienza e volontà del fatto tipico, ma anche il fine specifico di evadere determinate imposte. Al contrario, le sanzioni amministrative tributarie puniscono sia le condotte dolose che colpose e il grado di colpevolezza influisce sulla determinazione della sanzione che è rapportata alla gravità della violazione, desunta anche dalla condotta dell'agente. Inoltre, le sanzioni penali sono comminate dal giudice penale, laddove è in particolare il PM che deve provare il dolo specifico, mentre le sanzioni amministrative sono irrogate dall'ufficio, che deve provare il dolo o la colpa grave, mentre la semplice colpa è presunta a carico del contribuente che ha coscientemente e volontariamente posto in essere la violazione.
Le sanzioni amministrative sono inflitte dagli uffici fiscali con atti autoritativi suscettibili di diventare definitivi se non impugnati, come quelli di applicazione del tributo. Tale elemento è espressione della cosiddetta matrice amministrativistica del diritto tributario. Le sanzioni amministrative sono disciplinate dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con un sistema organico di principi generali ispirati al modello penalistico tipico della legge generale sulle sanzioni amministrative (L. 24 novembre 1981, 689). Si è così affermata una funzione afflittiva e preventiva delle sanzioni amministrative in luogo dell'originaria funzione risarcitoria, volta a reintegrare il danno subito dall'ente impositore per effetto della violazione dell'obbligo tributario, la quale consentiva di qualificare le sanzioni amministrative come obbligazioni di stampo civilistico cui applicare le regole delle obbligazioni civili, come, ad esempio, la trasmissibilità agli eredi. Tale modello “afflittivo” della sanzione comporta la riferibilità della sanzione all'autore materiale del fatto e ai concorrenti (principio di responsabilità personale, cfr. par. 2.2), la sua non trasmissibilità agli eredi, e la non produttività degli interessi.
Alcuni dei principi generali sono mutuati direttamente dal diritto penale, come ad esempio, il principio di legalità, di imputabilità, del “favor rei”, di colpevolezza. In particolare, possono distinguersi due categorie di principi generali:
Oltre alla modifica dei principi generali, le sanzioni relative alle singole legge d'imposta sono state riformulate e inserite in due specifici decreti legislativi, uno relativo alle imposte sui redditi ed IVA e l'altro al resto dei tributi (D.Lgs. nn. 471 e 473, entrambi del 18 dicembre 1997).
Nel sistema sanzionatorio tributario, il principio di legalità, come il principio di imputabilità, del “favor rei”, e di colpevolezza, è stato mutuato dal diritto penale. L'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997 rubricato “Principio di legalità”, infatti, costituisce una sintesi tra il contenuto degli artt. 25 Cost. e 2 c.p. In particolare, l'art. 3, comma 1, secondo cui “nessuno può essere assoggettato a sanzioni se non in forza di una legge entrata in vigore prima della commissione della violazione” richiama il secondo comma dell'art. 25 Cost., che stabilisce che “nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. Secondo il principio di legalità, che informa sia il diritto penale che il sistema sanzionatorio tributario, dunque, deve essere il legislatore a determinare quali fattispecie possano essere considerate perseguibili. È escluso, pertanto, il ricorso all'integrazione analogica, ferma restando la possibilità di ricorrere all'interpretazione estensiva.
Al principio di legalità si collega il principio di irretroattività della legge, che in materia penale è previsto dall'art. 2, primo comma, c.p., secondo cui “nessuno può essere punito per un fatto che secondo la legge del tempo in cui fu commesso non costituiva reato”. Tale principio esclude che possa operare retroattivamente la norma che introduce nuove sanzioni, come pure quella che rende più onerosa l'entità di una sanzione già esistente. Corollari del principio di legalità, sono il principio di tassatività e il divieto di analogia, la cui ratio è quella di scongiurare l'ampliamento o la creazione di fattispecie punitive in sede attuativa o giurisdizionale. Anche tali principi si intendono riferiti alle disposizioni sanzionatorie tributarie in virtù della previsione della riserva di legge.
Secondo un certo orientamento, il principio di irretroattività, a garanzia della autodeterminazione e della libertà dei contribuenti, riguarderebbe non solo le norme sostanziali, ma anche quelle norme procedimentali e processuali che rilevano direttamente ai fini della restrizione delle libertà personali, economiche e patrimoniali del trasgressore. Tale tesi è condivisa dalla prassi amministrativa che incentra sul principio del favor rei la soluzione delle questioni di diritto transitorio, giungendo a ritenere inapplicabili alle violazioni commesse prima dell'entrata in vigore del D.Lgs. n. 472/1997 non solo “le disposizioni sanzionatorie sopravvenute...” e “le disposizioni che prevedono sanzioni più severe rispetto a quelle in vigore al tempo della violazione”, ma anche, “in ogni caso”, le “norme che determinano un trattamento più sfavorevole” (Circolare 10 luglio 1998, n. 180). I successivi commi 2 e 3 dell'art. 3 del D.Lgs. n. 472/1997, invece, richiamano i commi secondo e quarto dell'art. 2 c.p.. In particolare, il comma 2 dell'art. 3 fa riferimento al principio secondo cui nessuno può essere punito per un fatto che secondo una legge successiva non costituisce più reato (c.d. abolitio criminis).
In particolare, l'abolitio criminis si realizza in caso di abrogazione della norma che prevede la fattispecie sanzionata, vale a dire nell'ipotesi in cui un comportamento punito cessa di essere tale. In tal caso, se la sanzione è stata già irrogata con provvedimento definitivo, si estingue soltanto il debito residuo e non è ammessa la ripetizione di quanto pagato (art. 3, co. 2, D.Lgs. n. 472/1997). Si evidenzia che si ha l'abolitio criminis anche quando la norma sanzionatoria è abrogata senza che faccia seguito l'introduzione di una nuova disciplina che sanzioni la medesima condotta.
Nell'ipotesi di successione di norme nel tempo in relazione alla medesima fattispecie ricorre, invece, il principio del favor rei, in base al quale, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, si applica la legge più favorevole. Il trattamento sanzionatorio più mite, ai fini dell'applicazione di tale principio, va riscontrato in concreto, non raffrontando in astratto le due norme sanzionatorie, ma verificando gli effetti della loro applicazione in rapporto alle caratteristiche della condotta realizzata dal trasgressore. Il principio del favor rei si applica non solo quando a mutare sia la sanzione, ma anche quando siano modificati i presupposti della fattispecie che giustifica l'irrogazione della sanzione medesima. Tale principio, inoltre, si rende applicabile anche ad una norma speciale. Esso opera ogni volta che intervenga una modifica normativa (sia di una norma generale che speciale secondo principi di giustizia sostanziale che devono comunque ispirare il processo tributario), la quale abroghi una disposizione sanzionatoria o ritocchi l'entità della sanzione (nel senso della sua concreta determinazione e non semplicemente della misura edittale).
Unico limite per l'applicabilità retroattiva del principio del favor rei è quello della definitività del provvedimento sanzionatorio per mancata impugnazione ovvero a seguito di sentenza passata in giudicato avente ad oggetto proprio il provvedimento in questione. Nel caso in cui il provvedimento non sia divenuto definitivo la sanzione precedentemente irrogata dovrà essere ricalcolata in conformità alla disposizione più mite con diritto alla restituzione di quanto già pagato in eccedenza.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, l'applicazione dello “jus superveniens” per norme più favorevoli per il contribuente deve essere rilevato “anche d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio, e quindi anche in sede di legittimità, all'unica condizione che il provvedimento sanzionatorio non sia divenuto definitivo”. Tale orientamento è stato confermato dalla Suprema Corte che, con sentenza n. 1656 del 24 gennaio 2013, ha asserito che il giudice può applicare d'ufficio al contribuente la sanzione più favorevole.
Altro principio cardine del sistema sanzionatorio è quello della responsabilità personale, cioè della riferibilità della sanzione alla persona fisica che ha commesso o a concorso a commettere la violazione, introdotto con la riforma del 1997 nel convincimento che la responsabilizzazione della persona fisica fosse un passo necessario per creare maggiore coscienza nell'adempimento del dovere tributario. Tale principio impone la sussistenza di due elementi di carattere soggettivo:
Pertanto, ai fini dell'applicazione della sanzione, devono ravvisarsi in capo all'autore della violazione sia l'imputabilità che la colpevolezza. Circa la colpevolezza, il legislatore non definisce espressamente la nozione di colpa, la quale è desumibile dai principi generali, secondo cui la condotta è colposa se la violazione, non voluta dall'agente, è conseguenza di negligenza, imprudenza o imperizia. La colpa, invece, è definita grave “quando l'imperizia o la negligenza del comportamento sono indiscutibili e non è possibile dubitare ragionevolmente del significato e della portata della norma violata e, di conseguenza, risulta evidente la macroscopica inosservanza di elementari obblighi tributari”(art. 5, comma 3) . Ne consegue che non è assimilato a colpa grave l'inadempimento occasionale ad obblighi di versamento del tributo. È dolosa, invece, “la violazione attuata con l'intento di pregiudicare la determinazione dell'imponibile o dell'imposta ovvero di ostacolare l'attività amministrativa di accertamento”(art. 5, comma 4).
Il dolo e la colpa grave rilevano ai fini della responsabilità del consulente tributario e del rappresentante negoziale dell'imprenditore individuale e del rappresentante legale delle società ed enti privi di personalità giuridica (quali ad es. le associazioni non riconosciute). Le violazioni, infatti, commesse dal consulente tributario e comportanti la soluzione di problemi di speciale difficoltà sono punibili solo in caso di dolo o colpa grave (art. 5, comma 1). Non può, inoltre, essere eseguita la sanzione di importo superiore a 51.645,69 euro nei confronti del rappresentante negoziale dell'imprenditore individuale o del rappresentante legale delle società di persone e degli enti privi di personalità giuridica (ad es. associazioni non riconosciute) autore della violazione, se quest'ultima non è stata commessa con dolo o colpa grave e il rappresentante stesso non ne abbia tratto vantaggio (art. 5, comma 2).
È esclusa la responsabilità nell'ipotesi di comportamento incolpevole. Il legislatore prevede le seguenti cause di non punibilità: 1. errore incolpevole sul fatto (art. 6, comma 1), che sussiste quando il soggetto, incolpevolmente, ritiene di tenere un comportamento diverso da quello vietato dalla norma sanzionatoria (es. omessa indicazione di cespiti ereditari nella dichiarazione di successione perché sconosciuti);
2. obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni tributarie (art. 6, comma 2). Si tratta dell'errore di diritto incolpevole che si verifica nel caso di norme equivoche, tali da ammettere interpretazioni diverse ugualmente fondate, e da non consentire, in un determinato momento, l'individuazione certa di un significato determinato. Ciò si può verificare, ad esempio, in presenza di leggi di recente emanazione rispetto alle quali non si sia formato un orientamento interpretativo definito, ovvero coesistano orientamenti contraddittori. Il beneficio è inapplicabile quando il contribuente commette un errore in buona fede su una questione che non presenta margini di incertezza oggettiva, la quale, a rigore, si distingue dalla buona fede (soggettiva) del contribuente. In ogni caso, l'onere della prova grava sul contribuente. Si riportano qui di seguito i principi fissati da una consolidata giurisprudenza di legittimità, sia in ordine alla definizione del concetto di “obiettiva incertezza normativa”, sia in ordine alla non rilevabilità d'ufficio della esimente de qua. In particolare appare significativa la sentenza della Cassazione civile n. 8825/2012 secondo la quale:
La Corte, chiamata nel caso di specie a pronunciarsi sulla debenza, da parte dei Comuni, della tassa di concessione governativa sugli abbonamenti ai servizi di telefonia mobile ha ritenuto cioè come non basti richiamarsi ad una sentenza (nel caso di specie della CTP di Vicenza) o allegare una nota dell'Agenzia delle Entrate (la n. 44461 del 17 luglio 2001, tra l'altro del tutto in conferente in quanto facente riferimento ad un provvedimento amministrativo rilasciato all'abbonato oggi non più previsto) perché il giudice provveda alla disapplicazione delle sanzioni in base all'art. 8 D.Lgs. n. 546/1992. L'importanza della richiamata sentenza risiede nel fatto che essa vuol rappresentare una “summa” di tutti i principi espressi sul punto dalla giurisprudenza di legittimità (ex multis Cass. civ., n. 24670/2007; di identico tenore le sentenze Cass. civ. n. 7765/2008 e n. 19638/2009), individuando, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelle fattispecie sintomatiche della situazione di “obiettiva incertezza normativa” che, se debitamente provate, determinerebbero la disapplicazione delle sanzioni irrogate. Sulla specifica questione si richiamano altre due significative sentenze dei giudici di legittimità: la Cass. civ., n. 4031 del 14 marzo 2012 e la Cass. civ., n. 5324 del 3 aprile 2012 che hanno ribadito due interessanti principi. La prima è relativa al riparto dell'onere della prova ed all'impossibilità, per il giudice, di annullare ex officio le sanzioni irrogate dall'ente impositore; spetta, infatti, al contribuente provare che le disposizioni siano effettivamente equivoche e che l'ambiguità normativa derivi da elementi positivi di confusione. Con la seconda si è escluso che la repentina successione di norme nel tempo possa giustificare l'inapplicabilità delle sanzioni amministrative perché non determina un obiettivo stato di incertezza normativa.
3. “fatto del terzo”: mancato versamento delle imposte per fatto imputabile a terzi e denunciato all'autorità giudiziaria (art. 6, comma 3). La norma, di carattere generale, non si limita considerare la condotta illecita di dottori commercialisti, ragionieri, consulenti del lavoro, avvocati, notai e altri professionisti iscritti negli appositi albi, ma si riferisce a qualsiasi terzo e quindi, in particolare, a ogni altro soggetto cui venga conferito mandato dal contribuente, dal responsabile o dal sostituto d'imposta (tale norma deve essere integrata con la Legge 11 ottobre 1995, n. 423 (e con il D.M. 2 febbraio 1996) secondo cui, quando la condotta illecita, penalmente rilevante, derivante dall'omesso (ritardato o insufficiente) versamento, sia ascrivibile a dottori commercialisti, ragionieri e consulenti del lavoro, iscritti negli appositi albi, in dipendenza del loro mandato professionale, il contribuente o il sostituto d'imposta potranno presentare, unitamente alla copia della denuncia del fatto illecito all'autorità giudiziaria o ad un ufficiale di polizia giudiziaria, istanza per la sospensione della riscossione delle sanzioni);
4. ignoranza inevitabile della legge tributaria (art. 6, comma 4), secondo il principio già previsto dall'art. 5 c.p., come interpretato in materia penale affermato dalla sentenza 24 marzo 1988 n. 364 della Corte Cost.
5. forza maggiore (art. 6, comma 5), intesa come quella forza del mondo esterno che determina in modo necessario e inevitabile il comportamento del soggetto (es. mancato adempimento degli obblighi tributari per calamità naturali calamità naturali). La Corte di Cassazione, in linea con la consolidata giurisprudenza, afferma che “la causa di forza maggiore non consiste soltanto in eventi naturali, ma può consistere anche in fatti umani, quali la guerra, lo sciopero e, quindi, anche più in generale, il fatto del terzo, quando ovviamente abbia le caratteristiche dell'estraneità, della imprevedibilità e dell'insormontabilità… Da ciò discende che richiedere di provare la causa di forza maggiore… significa richiedere, in sostanza, la prova dell'interruzione del nesso di causalità per l'intervento di un determinato fattore da solo capace di produrre l'evento” (Cass. civ. 30 aprile 1992, n. 5225).
Criteri di determinazione della sanzione
Eccetto i limitati casi in cui la sanzione pecuniaria è stabilita in misura fissa, la sanzione tributaria è congegnata in misura variabile, tra un minimo ed un massimo, tenuto conto di fattori oggettivi e soggettivi, affini a quelli previsti nel diritto penale, secondo il principio di proporzionalità della sanzione rispetto alla violazione commessa. I criteri di determinazione della sanzione sono i seguenti:
Il nuovo articolo 7 comma 3 del D.Lgs. n. 472, in tema di recidiva, ha subito una radicale modifica (a partire dal 2016) per effetto del D.Lgs. n. 158/2015 che ha riformato il sistema sanzionatorio tributario. Il nuovo meccanismo applicativo della recidiva si caratterizza ora per la sua obbligatorietà nell'an; nel quantum gli uffici mantengono ancora una qualche discrezionalità, potendo aumentare la sanzione base fino alla metà. Ai sensi del nuovo articolo infatti “la sanzione è aumentata fino alla metà nei confronti di chi, nei tre anni precedenti, sia incorso in altra violazione della stessa indole non definita ai sensi degli articoli 13, 16 e 17 o in dipendenza di adesione all'accertamento di mediazione e di conciliazione”. Prima della modifica normativa l'applicazione della maggiorazione per la recidiva era discrezionale: il decreto ha rimosso tale carattere, con la conseguenza che gli uffici, in presenza di recidiva infratriennale, sono tenuti ad aumentare la pena nella misura stabilita dalla legge. Attraverso il rinvio al comma 4 della medesima disposizione, il legislatore ha, comunque, previsto un'ipotesi di esclusione della recidiva nei casi in cui la sua applicazione determini una manifesta sproporzione fra l'entità del tributo e la sanzione, sproporzione che sarà oggetto di opportuna valutazione da parte degli uffici. Una delle problematiche più evidenti che si pone è quella dell'individuazione del triennio precedente, ovvero se la nuova norma sulla recidiva debba riguardare anche i periodi di imposta ante 2016, data di entrata in vigore della nuova normativa.
Secondo l'Amministrazione finanziaria (si veda la risposta fornita a Telefisco 2016) la modifica si applica alle violazioni accertate a partire dal 1° gennaio 2016 senza incidere sulla tempistica della precedente violazione accertata in via definitiva. Occorre perciò guardare alla data di commissione della violazione per stabilire il triennio di riferimento. Quindi, se la violazione avviene nel 2016, il periodo di riferimento può̀ includere il 2013-2015. Tale applicazione immediata sarebbe controbilanciata dalla facoltà, prevista dall'art. 7, co. 4, di ridurre le sanzioni fino alla metà̀ del minimo «qualora concorrano circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione». È̀ stata eliminata la condizione rappresentata dalla ricorrenza di circostanze «eccezionali», con l'obiettivo evidente di promuovere l'utilizzo da parte degli uffici tale facoltà. Una corretta applicazione del «favor rei» porterebbe però a considerare il triennio di riferimento solo quello successivo al 2016 e non il precedente: in caso contrario troverebbe infatti applicazione un'aggravante (la recidiva) per violazioni commesse in periodi in cui non era obbligatoriamente prevista. Concorso di persone
Ai sensi dell'art. 9 del D.Lgs. n. 472/1997, se più persone concorrono in una violazione, ciascuna di esse soggiace alla sanzione per essa disposta. Tale norma recepisce la disciplina penalistica del concorso di persone, in base alla quale, secondo il principio di personalità, se più soggetti commettono un illecito rispondono personalmente dell'intera sanzione.
Perché si configuri concorso di persone sono necessari i seguenti elementi:
Per il concorso deve sussistere una pluralità di partecipanti e non rilevano eventuali cause di non punibilità relative a uno o più dei compartecipi. Il concorso può essere necessario o eventuale, a seconda che la norma incriminatrice della fattispecie monosoggettiva richieda oppure no, per la realizzazione del fatto, la partecipazione fattiva di più soggetti. Ai fini del concorso di persone, non rileva che la condotta punita sia posta in essere da tutti i concorrenti, essendo sufficiente la realizzazione c.d. frazionata di tale condotta, purché sussista l'elemento del contributo di ciascuno di essi, che può tradursi in un azione concreta (concorso materiale) ovvero morale/progettuale (concorso morale).
In particolare, il concorso materiale sussiste quando il soggetto interviene personalmente nella fase di esecuzione del reato, nella veste di coautore o di complice, agevolando o rinforzando con la propria condotta (anche omissiva) la condotta degli altri concorrenti. In tal caso non è necessario che il contributo sia condizionante, sia cioè tale che in sua assenza il reato non si sarebbe compiuto, ma che abbia in concreto permesso la sua realizzazione, anche se il reato avrebbe potuto essere realizzato in altro modo.
Il concorso morale, invece, si verifica nell'ipotesi di partecipazione alla fase ideativa di un reato concretamente commesso da altri, facendo sorgere in altri un proposito criminoso prima inesistente ovvero rafforzando quello già maturato. In tale ipotesi le condotte del concorrente possono essere varie, ma per assumere rilievo devono aver agevolato, mediante una effettiva influenza sull'atteggiamento psichico dell'autore materiale, la realizzazione del reato. La condotta del concorrente deve essere animata dalla piena consapevolezza di contribuire, con la propria partecipazione, alla realizzazione di un reato. La consapevolezza di partecipare con altri non è necessario che sussista originariamente (c.d. previo concerto); essa può anche sopravvenire nel corso dello svolgimento del comportamento.
L'elemento soggettivo richiesto è quello doloso, non ritenendosi configurabile, in assenza di una specifica previsione legislativa, prevista invece in via generale per i reati colposi (art. 42, secondo comma, c.p.), una responsabilità a titolo di colpa nel reato concorsuale doloso. Per il concorso nella violazione di norme tributarie, si precisa che non sussistono ipotesi di illeciti tributari a concorso necessario, configurandosi sempre ipotesi di concorso eventuale. Ne consegue che assume rilevanza decisiva il contributo fornito da ciascun concorrente nella realizzazione dell'illecito. La violazione inoltre, dovrà essere compiutamente realizzata, non sussistendo l'istituto della violazione amministrativa tentata, a somiglianza del delitto tentato.
Circa l'apporto causale del concorrente, in ambito tributario si configura con maggiore frequenza il concorso morale, realizzato mediante suggerimenti o consigli, rispetto al concorso materiale, astrattamente ipotizzabile in casi residuali (quali, ad esempio, l'emissione di documentazione fiscale irregolare per consentire la formazione di una dichiarazione infedele).
Il contributo causale nella forma della partecipazione psichica assume peculiare rilievo nel caso (non infrequente) del contribuente che sostiene di aver agito secondo le indicazioni fornitegli dal consulente. La disciplina del concorso subisce, in alcuni casi, un'attenuazione, che si esprime in specifiche limitazioni di responsabilità. Si tratta dell'illecito commesso nell'esercizio dell'attività di consulenza e di assistenza fiscale che comporta la soluzione di questioni di speciale difficoltà, degli illeciti che rientrano nell'ambito di applicazione dell'art. 11 del D.Lgs. n. 472/1997, e del caso in cui la violazione consiste nell'omissione di un comportamento cui sono obbligati in solido più soggetti. In tale ultima ipotesi è irrogata un'unica sanzione e il pagamento eseguito da uno solo dei responsabili libera tutti gli altri, salvo il diritto di regresso. Concorso di violazioni: concorso formale e concorso materiale
L'art. 12 del D.Lgs. n. 472/1997 individua le fattispecie del concorso formale e materiale, recependo e adattando istituti e meccanismi di natura penalistica (ex art. 81 c.p.). In particolare, si realizza il concorso formale (primo comma) quando:
a) con una sola azione od omissione si commettono diverse violazioni della medesima disposizione (concorso formale omogeneo); b) ovvero con una sola azione od omissione vengono violate disposizioni diverse (concorso formale eterogeneo).
Violazioni formali non punibili sono, quindi, tutte quelle che non incidono sulla determinazione della base imponibile, dell'imposta e sul versamento del tributo e non arrecano alcun pregiudizio all'esercizio delle azioni di controllo. Conseguentemente, una violazione oggettivamente formale non beneficia dell'esimente qualora non sussistano congiuntamente i requisiti previsti dal comma 5-bis citato. Ne deriva, quindi, la possibilità di distinguere le violazioni formali in:
È solo nell'ipotesi sub 1) che può trovare applicazione l'esimente di cui all'art. 6, comma 5-bis, D.Lgs. n. 472/1997. Nel rispetto del principio di offensività, non vi sono, infatti, in questa ipotesi ragioni per il legislatore per prevedere una sanzione. Tali ragioni sussistono, invece, nell'ipotesi sub 2) ed è quindi ragionevole prevedere l'irrogazione di una sanzione, anche se in misura ridotta, secondo il regime del cumulo giuridico di cui all'art. 12 comma 1, D.Lgs. n. 472/1997.
Si configura, invece, il concorso materiale quando con più azioni o omissioni si commettono diverse violazioni formali della stessa disposizione (concorso materiale omogeneo).
L'art. 12, inoltre, disciplina il regime sanzionatorio applicabile qualora uno stesso soggetto:
Se le violazioni vertono su un unico tributo e sullo stesso periodo d'imposta: a) è prevista una sola sanzione; b) la sanzione da considerare è quella relativa alla violazione più grave; c) in concreto si dovrebbe applicare la sanzione prevista per la violazione più grave aumentata da un quarto al doppio (ai sensi del comma 7, la sanzione non può essere comunque superiore a quella derivante dalla somma delle sanzioni previste per le singole violazioni).
Se le violazioni vertono su un unico tributo ma sono inerenti a periodi d'imposta diversi: a) è prevista un'unica sanzione; b) la sanzione da considerare è quella relativa alla violazione più grave; c) la sanzione prevista per la violazione più grave può essere aumentata dalla metà al triplo; d) la sanzione da applicare in concreto è quella sub c) maggiorata da un quarto al doppio del suo valore: occorre precisare che, ai sensi del settimo comma, la sanzione non può essere comunque superiore a quella derivante dalla somma delle sanzioni previste per le singole violazioni.
Se le violazioni concernono più tributi e sono inerenti allo stesso periodo d'imposta: a) è prevista un'unica sanzione; b) la sanzione da considerare è quella relativa alla violazione più grave; c) la sanzione applicata per la violazione più grave si aumenta di un quinto; d) la sanzione da applicare in concreto è quella sub c) maggiorata da un quarto al doppio (analogamente ai casi precedenti, ai sensi del comma 7, la sanzione non può essere comunque superiore a quella derivante dalla somma delle sanzioni previste per le singole violazioni).
Se le violazioni rilevano ai fini di più tributi ma sono inerenti a periodi d'imposta diversi: a) è prevista un'unica sanzione; b) la sanzione da considerare è quella relativa alla violazione più grave; c) la sanzione prevista per la violazione più grave si aumenta di un quinto; d) la sanzione sub c) è aumentata dalla metà al triplo; e) la sanzione da applicare in concreto è quella sub d) maggiorata da un quarto al doppio (analogamente al caso precedente, ai sensi del comma 7, la sanzione non può essere comunque superiore a quella derivante dalla somma delle sanzioni previste per le singole violazioni). Continuazione delle violazioni
Il D.Lgs. n. 99/2000 ha riscritto l'art. 12, comma 5, prevedendo che, per le violazioni della stessa indole commesse in periodi d'imposta diversi, la sanzione base, determinata ai sensi dei commi precedenti, è aumentata dalla metà al triplo. L'ufficio può irrogare la sanzione che si riferisce a periodi di imposta diversi con diversi atti, nel rispetto dei limite che non può essere comunque superiore a quella risultante dal cumulo delle sanzioni previste per le singole violazioni. Per effetto delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 203/1998, il successivo comma 6 prevede che la continuazione delle violazioni – che rende applicabile la disciplina sanzionatoria sopra descritta – è interrotta dalla “constatazione” delle violazioni.
Il D.Lgs. n. 203/1998, infine, ha introdotto nell'art. 12, il comma 8, prevedendo:
Procedimento di irrogazione delle sanzioni
Il sistema sanzionatorio prevede diverse modalità di contestazione e di irrogazione della sanzioni irrogate dagli ufficio o dall'ente locale competente all'accertamento del tributo cui si riferisce la violazione: 1) il procedimento ordinario (artt. 16 e 16-bis), quando si tratta di sanzioni non collegate al tributo che è avviato mediante notifica dell'atto di contestazione. L'atto di contestazione deve contenere, a pena di nullità, alcuni elementi:
2) il procedimento di irrogazione immediata (art. 17), nel senso che le sanzioni collegate al tributo cui si riferiscono (violazioni sostanziali) devono essere irrogate senza previa contestazione, con atto contestuale all'avviso di accertamento o rettifica, motivato a pena di nullità. Anche in questo caso è ammessa la definizione agevolata; 3) il procedimento di irrogazione mediante iscrizione a ruolo (e senza previa contestazione) (art. 17, comma 3) che consente agli uffici e agli enti locali l'irrogazione delle sanzioni per omesso o ritardato pagamento dei tributi, escludendo le violazioni commesse con dolo o colpa grave o quelle per le quali non è prevista questa forma di riscossione. Prescrizione e decadenza
Il legislatore tributario, all'art. 20 del D.Lgs. n. 472/1997, tratta i due istituti della prescrizione e della decadenza. La prescrizione ha per effetto l'estinzione del credito fiscale relativo ad una sanzione già irrogata, la decadenza, invece, determina l'estinzione della sanzione per il mancato esercizio del potere di comminare la stessa entro un certo termine. In particolare, l'art. 20, comma 3, prevede un termine di prescrizione quinquennale entro il quale l'ufficio deve esercitare il diritto alla riscossione della sanzione irrogata (si evidenzia che se “Se sul provvedimento sanzionatorio, è intervenuta sentenza passata in giudicato, il termine di prescrizione per la riscossione è quello decennale previsto dal codice civile” (Cass. civ., 10 dicembre 2009, n. 25790), ossia il termine di prescrizione ordinario decennale di cui all'art. 2946 c.c.). La prescrizione decennale si applica solo se la definitività della sanzione deriva da una sentenza passata in giudicato. Lo ha stabilito da ultimo l'ordinanza n. 12715/16 della Sesta Sezione Civile -T della Cassazione. La controversia concerne un avviso di pagamento notificato al contribuente nel 2012 e preceduto dalla notifica, nel 2002, di una cartella di pagamento riguardante tributi erariali, sanzioni e interessi per l'anno 1995.
Nel ricorso introduttivo il contribuente ha eccepito l'intervenuta prescrizione quinquennale, limitatamente agli importi per sanzioni e interessi; e questa eccezione è stata accolta dalla CTP. Di tutt'altro avviso la CTR, che difatti ha accolto l'appello proposto dall'Agente della riscossione. Investita dell'esame della controversia, la Suprema Corte ha ritenuto di potere decidere la causa nel merito, a favore del contribuente. I giudici di secondo grado non hanno considerato che “il diritto alla riscossione delle sanzioni amministrative pecuniarie previste per la violazione di norme tributarie, derivante da sentenza passata in giudicato, si prescrive entro il termine di dieci anni, per diretta applicazione dell'art. 2953 cod. civ., che disciplina specificamente e in via generale la cosiddetta ‘actio iudicati', mentre, se la definitività della sanzione non deriva da un provvedimento giurisdizionale irrevocabilevale il termine di prescrizione di cinque anni, previsto dall'art. 20 del D.Lgs. 18 dicembre 1997 n. 472 […]” (cfr. Cass. civ., ss.uu., n. 25790/2009).
Nel caso di specie, dove la definitività della sanzione non dipende da provvedimento giurisdizionale irrevocabile, la CTR avrebbe dovuto ritenere applicabile il termine di prescrizione quinquennale di cui all'art. 20 comma 3 del D.Lgs. n. 472/1997 (“Il diritto alla riscossione della sanzione irrogata si prescrive nel termine di cinque anni. L'impugnazione del provvedimento di irrogazione interrompe la prescrizione, che non corre fino alla definizione del procedimento”). Interrompe la prescrizione l'eventuale impugnazione del provvedimento di irrogazione della sanzione fino alla definizione del procedimento. Il potere di comminare la sanzione, invece, deve essere esercitato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione o nel diverso termine previsto per l'accertamento dei singoli tributi. Tale termine è prorogato di un anno se l'ufficio ha notificato tempestivamente l'atto di contestazione ad almeno uno degli autori della violazione o dei soggetti obbligati in solido.
Con l'art. 8 della Legge n. 23/2014, è stata conferita delega al Governo per la revisione del sistema sanzionatorio penale tributario e del sistema sanzionatorio amministrativo, secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti. In particolare, la principale preoccupazione dell'organo delegante rispetto alle modifiche da apportare al sistema sanzionatorio amministrativo, è stata quella di assicurare che il Governo realizzasse una maggiore proporzionalità della risposta sanzionatoria dell'ordinamento all'effettivo disvalore dell'illecito commesso, così garantendo una più severa risposta laddove il comportamento del contribuente si caratterizzasse per una maggiore insidiosità e pericolosità rispetto all'azione accertativa dell'amministrazione finanziaria.
Al contempo, le condotte che, pure idonee a integrare una violazione, siano connotate da scarsa gravità, sia in termini di danno arrecato all'erario sia in termini di evidenza dell'errore commesso, devono essere punite in modo meno grave. Il D.Lgs. n. 158/2015 ha riformato il sistema delle sanzioni amministrative tributarie, la cui efficacia, inizialmente postergata al 1° gennaio 2017, è stata anticipata dalla legge Stabilità 2016 al 1° gennaio 2016. Tale decorrenza ha reso da subito operativo il principio del favor rei. Si illustrano in questo paragrafo le modifiche più rilevanti che hanno riguardato le violazioni di omessa e infedele dichiarazione (dei redditi ed IVA). In caso di omessa dichiarazione la sanzione varia dal 120% al 240% delle imposte dovute, con un minimo di € 250. In assenza d'imposte dovute la sanzione varia da € 250 a € 1.000. In presenza di redditi prodotti all'estero permane la consueta maggiorazione di 1/3 della sanzione. Se la dichiarazione è presentata entro il termine per l'invio di quella per l'anno successivo e comunque prima dell'inizio di un accertamento, la sanzione è dimezzata, e varia quindi dal 60% al 120% delle imposte, con un minimo di € 200. In assenza di imposte, la sanzione andrà da un minimo di € 150 ad un massimo di € 500. Le sanzioni fisse applicabili quando non sono dovute imposte, possono essere aumentate fino al doppio nei confronti dei soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili.
Una delle modifiche più evidenti apportate dal citato decreto attiene alla violazione di “infedele dichiarazione” di cui ai commi 2 e seguenti dell'art. 1 del D.Lgs. n. 471 del 1997.
Il nuovo impianto dell'art. 1 e della violazione si basa su tre principi cardine:
In particolare, al comma 3, viene introdotta l'aggravante dell'aumento della metà della sanzione base in presenza di condotte fraudolente del contribuente con il fine, già rappresentato, di punire gravemente le condotte che si siano caratterizzate da particolare insidiosità e che si estrinsechino attraverso comportamenti oggettivamente fraudolenti. Due, invece sono le nuove circostanze attenuanti previste dalla norma (che comportano la riduzione di un terzo della sanzione base da applicare) e si riferiscono ad ipotesi caratterizzate da lievità quantitativa della violazione o da scarsa (o nulla) incidenza per le casse dell'erario della violazione, dipendente da un'errata imputazione temporale dei componenti di reddito. Al comma 4, viene introdotta una "circostanza attenuante" nell'ipotesi in cui la maggiore imposta o il minore credito accertato dagli uffici siano complessivamente inferiori al 3% rispetto all'imposta e al credito dichiarato, soglia data dal rapporto tra l'ammontare complessivo del quantum dichiarato e quello del quantum accertato. La riduzione non si applica in caso di condotte fraudolente rientranti nel comma 3 o di superamento della soglia di 30.000 euro. Altra ipotesi di riduzione, alternativa rispetto a quella sopra richiamata (l'alternatività emerge chiaramente dall'inciso "La medesima riduzione", che fa intendere che solo una delle due può trovare applicazione nel caso siano integrate entrambe le circostanze attenuanti), è prevista per la specifica fattispecie di errori d'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito. Per beneficiare di tale riduzione è, però, necessario che il componente positivo sia stato già erroneamente imputato e, quindi, abbia concorso alla determinazione del reddito, nell'annualità in cui interviene l'attività di accertamento o in una precedente. Si pensi, ad esempio, ad un ricavo imputato a conto economico e dichiarato nell'anno n.1, anno non di competenza. Perché possa trovare applicazione la circostanza attenuante, è necessario che, quando intervenga l'attività di controllo e venga accertato che nell'anno di competenza (anno n) il ricavo non è stato dichiarato, lo stesso sia stato comunque imputato e dichiarato in una precedente annualità. Con riferimento al componente negativo, invece, è necessario che lo stesso non sia stato dedotto più volte. Nell'ipotesi in cui l'errore sull'imputazione temporale di elementi positivi o negativi di reddito non abbia determinato alcun tipo di danno per l'erario - si tratta esclusivamente delle ipotesi in cui l'anticipazione o la posticipazione dell'elemento reddituale non abbia prodotto alcun vantaggio nei confronti del contribuente - la sanzione è applicata in misura fissa, per un ammontare pari a 250 euro. Sul concetto di vantaggio la relazione illustrativa offre un esempio facendo riferimento all'ipotesi in cui il contribuente anticipi un elemento positivo di reddito in un'annualità in perdita, così riducendo la perdita di periodo. Va da sé che, laddove tale elemento positivo, nell'annualità di corretta imputazione, determini una maggiore imposta dovuta, deve ritenersi sussistente danno erariale, con la conseguenza che la sanzione dovrà essere applicata nella misura proporzionale, sebbene ridotta". In presenza di canone di locazione immobiliare a uso abitativo non dichiarato o dichiarato in misura inferiore a quella effettiva, se si è optato per la cedolare secca, le sanzioni per omessa o infedele dichiarazione sono raddoppiate, potendo variare dal 240% al 480% dell'imposta in caso di omessa dichiarazione del canone oppure dal 180% al 360% in caso di infedele dichiarazione del medesimo. L'omessa denuncia delle situazioni che danno luogo ad aumenti del reddito dominicale e del reddito agrario dei terreni è punita con una sanzione da € 250 a € 2.000. Tale regime sanzionatorio non è applicabile alle locazioni stipulate nell'esercizio d'imprese, arti e professioni, riguardando esclusivamente i redditi fondiari.
In caso di rettifica del valore normale dei prezzi di trasferimento (c.d. transfer price), da cui derivi una maggiore imposta o una differenza del credito, la sanzione per dichiarazione infedele non si applica qualora, nel corso dell'accesso, ispezione o verifica o di altra attività istruttoria, il contribuente consegni all'Amministrazione finanziaria la documentazione idonea a consentire il riscontro della conformità al valore normale dei prezzi di trasferimento praticati. Il contribuente che detiene la documentazione deve darne apposita comunicazione all'Amministrazione finanziaria, in assenza della quale si renderà applicabile la sanzione per dichiarazione infedele. Nei casi, ad esempio, di opzione per il consolidato fiscale, società non operative, aiuto alla crescita economica, interruzione tassazione di gruppo prima del triennio, partecipazioni acquisite per recupero crediti, la mancata indicazione in dichiarazione della mancata presentazione dell'interpello oppure dell'ottenimento di risposta negativa, è sanzionata in misura fissa da € 2.000 a € 21.000. In materia di scomputo delle perdite, sono computate in diminuzione dei maggiori imponibili accertati le perdite fiscali relative al periodo d'imposta oggetto di accertamento e fino a concorrenza del loro importo. Dai maggiori imponibili che residuano, il contribuente ha facoltà di chiedere che siano computate in diminuzione le perdite pregresse non utilizzate, intendendosi per tali quelle che erano utilizzabili alla data di chiusura del periodo d'imposta oggetto di accertamento. In tal caso il contribuente dovrà presentare un'istanza entro il termine di proposizione del ricorso, i cui termini saranno sospesi per 60 giorni. Ricevuta l'istanza, l'Agenzia delle Entrate procederà al ricalcolo dell'eventuale maggiore imposta dovuta, degli interessi e delle sanzioni, e comunicherà l'esito entro 60 giorni al contribuente. A seguito dello scomputo delle perdite dai maggiori imponibili, l'Amministrazione finanziaria provvede a ridurre l'importo delle perdite riportabili nelle dichiarazioni dei redditi successive a quella oggetto di rettifica e, qualora emerga un maggiore imponibile, procede alla rettifica. Infine, per concludere sulle novità introdotte dal decreto all'art. 1 del D.lgs. n. 471/1997, in un'ottica di maggiore proporzionalità e di rimozione delle sanzioni improprie dal sistema sanzionatorio, sono state eliminate le aggravanti previste nei commi 2-bis e 2-bis1 per le violazioni relative al contenuto e alla presentazione dei modelli per gli studi di settore. Si ricorda che, ai sensi del citato comma 2-bis, la sanzione per l'infedeltà della dichiarazione è elevata del 10% se il contribuente omette o indica in maniera inesatta i dati previsti nei modelli per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, ovvero indica cause di esclusione o di inapplicabilità, purché lo scostamento tra dichiarato ed accertato a seguito della corretta applicazione degli studi di settore sia superiore al 10 per cento. Inoltre, ai sensi del comma 2-bis1, la sanzione per infedele dichiarazione è aumentata del 50% se il contribuente omette di presentare il modello per la comunicazione dei dati rilevanti ai fini dell'applicazione degli studi di settore, sempre che tale adempimento sia dovuto e il contribuente non abbia provveduto alla sua presentazione, anche a seguito di specifico invito da parte dell'Agenzia delle Entrate. Anche in tale caso, l'aggravante è applicata solo in presenza di scostamento tra dichiarato e accertato superiore al 10 per cento.
Il legislatore delegato, in un'ottica di maggiore proporzionalità, ha eliminato tali aggravanti che, di fatto, puniscono l'infedeltà in modo più grave laddove la stessa sia veicolata mediante lo strumento dello studio di settore, per attribuire rilievo a tutte le condotte che eventualmente si estrinsechino in comportamenti simulatori o fraudolenti. Riferimenti
Normativi
D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 L. 24 novembre 1981, n. 689
Prassi Circolare n. 180/E del 10 luglio 1998
Giurisprudenza
Cass. civ., sez. trib., 1 giugno 2012,n. 8825 Cass. civ. sez. VI-T, 20 giugno 2016, n. 12715 Cass. pen., 8 aprile 2014, n. 15680 Bussole di inquadramentoPotrebbe interessarti |