Genitori in lite per il mantenimento dei figli maggiorenni non autosufficienti: quando deve intervenire il giudice?
14 Marzo 2025
La legge italiana stabilisce che i genitori sono obbligati a mantenere i figli per il solo fatto di averli generati. L'obbligo di mantenimento in capo ai genitori, che trova va un proprio fondamento anche nella Costituzione (art. 30), è previsto dall'articolo 315-bis comma 1 cc, il quale sancisce che “Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.” Tale dovere è imposto ai genitori sia in costanza di matrimonio o di convivenza, sia successivamente alla crisi tra i genitori e quindi anche nella fase di disgregazione della loro unione a a seguito di separazione, divorzio o cessazione della convivenza. Chiaramente, entrambi i genitori sono chiamati a provvedere all'obbligo di mantenimento della prole in maniera proporzionale alle loro sostanze e secondo le loro capacità di lavoro professionale o casalingo. La giurisprudenza ha più volte chiarito che l'obbligo dei genitori di concorrere al mantenimento della prole previsto dalla legge non cessa automaticamente al raggiungimento della maggiore età del figlio, ma permane fino a quando il genitore interessato non provi che questi abbia raggiunto l'indipendenza economica o che il mancato svolgimento di un'attività economica dipenda dalla sua inerzia o dal suo rifiuto ingiustificato (Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589), ovvero che pur essendo stato posto il figlio nelle concrete condizioni per poter essere economicamente autosufficiente, lo stesso non ne abbia tratto utile profitto per sua colpa o per sua scelta (Cass. civ., sez. I, 8 febbraio 2012, n. 1773; Cass. civ., sez. I, 26 gennaio 2011, n. 1830; Cass. civ., sez. I, 17 novembre 2006, n. 24498). Si può quindi affermare in linea generale che i genitori sono esonerati dall'obbligo di mantenimento quando il mancato raggiungimento dell'autosufficienza economica dipende da negligenza o comunque da fatto imputabile al figlio che ad esempio opponga un rifiuto ingiustificato alle opportunità di lavoro offerte, ovvero dimostri colpevole inerzia prorogando il percorso di studi senza alcun rendimento (Cass. sent. n. 4765/2002; n. 1830/2011; n. 7970/2013, n. 1585/2014, n. 12063/2017). Il giudice di merito nel recepire i principi più volte affermati dalla Suprema Corte hanno poi effettuato un concreta individuazione dei “ragionevoli limiti di tempo e di misura” oltre cui non può riconoscersi l'obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni siano essi indipendenti economicamente oppure no. In particolare il Tribunale di Milano Sez. IX Civile con l'Ordinanza del 29 marzo 2016 ha precisato che: “con il superamento di una certa età il figlio maggiorenne anche se non indipendente, raggiunge comunque una certa sua dimensione di vita autonoma e non può essere trattato come figlio bensì come “adulto”, giova infatti ricordare che in forza dei doveri di autoresponsabilità che su di lui incombono il figlio maggiorenne non può pretendere la protezione dell'obbligo al mantenimento oltre ragionevoli limiti di tempo e di misura, pertanto in linea con le statistiche ufficiali nazionali ed europee oltre la soglia dei 34 anni lo stato di non occupazione del figlio maggiorenne non possa più essere considerato quale elemento ai fini del mantenimento, dovendosi ritenere, che da quel momento in poi il figlio stesso possa semmai avanzare le pretese riconosciute all'adulto”. Il figlio è tenuto, quindi, ad attivarsi concretamente nella ricerca di un'idonea occupazione che, ovviamente, sia in sintonia con il proprio percorso formativo e il proprio livello sociale. Nel caso di specie parliamo di un figlio già maggiorenne ancora convivente con due genitori coniugati ma non economicamente indipendente per sua inerzia. Non essendoci già un titolo, ovvero un provvedimento giurisdizionale efficace e vincolante che disciplina gli aspetti economici ponendo ad esempio a carico di uno dei genitori un assegno ( in tal caso l' obbligazione non cesserebbe “ipso facto“, ma andrebbe dichiarata dal Tribunale previa presentazione di un'istanza di modifica non essendo consentita alcuna autoriduzione o sospensione dell'assegno) ritengo che i genitori non dovranno rivolgersi al Tribunale per ottenere una pronuncia di accertamento negativo dell'insussistenza del diritto del figlio maggiorenne al mantenimento. La Corte di cassazione in una pronuncia innovativa sul tema (Cass. n. 17183/2020) ha stabilito infatti che l'obbligo di mantenimento legale cessa con la maggiore età del figlio; in seguito ad essa, l'obbligo sussiste laddove stabilito dal Giudice. Pertanto, alla maggiore età il figlio diviene auto responsabile, ritenendosi raggiunta la capacità lavorativa e con essa l'idoneità al reddito. I genitori saranno, quindi, liberi di interrompere ogni forma di contribuzione economica verso il figlio fermo restando che quest'ultimo potrà sempre agire in giudizio (perché legittimato) per rivendicare il diritto al mantenimento dimostrando che la sua non autosufficienza economica e determinata da cause a lui non imputabili. In tema di mantenimento del figlio maggiorenne privo di indipendenza economica, l'onere della prova delle condizioni che fondano il diritto al mantenimento è a carico del richiedente, vertendo esso sulla circostanza di avere il figlio curato, con ogni possibile impegno, la propria preparazione professionale o tecnica o di essersi, con pari impegno, attivato nella ricerca di un lavoro. Per il "figlio adulto" in ragione del principio dell'autoresponsabilità, sarà particolarmente rigorosa la prova a suo carico delle circostanze, oggettive ed esterne, che rendano giustificato il mancato conseguimento di una autonoma collocazione lavorativa (Cass. civ. n. 5177/2024.) |