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È legge il ddl Zanettin: maggior controllo sulla durata delle intercettazioni

24 Marzo 2025

È stato definitivamente approvato il disegno di legge, d'iniziativa del senatore Zanettin, avente ad oggetto «Modifiche alla disciplina in materia di durata delle operazioni di intercettazione», che fa immaginare l'imposizione di un tetto massimo alla durata delle intercettazioni, mentre, si risolve solamente in un maggior controllo da parte del giudice per le indagini preliminari.

Il provvedimento, subito giornalisticamente definito “stretta sulle intercettazioni”, ha suscitato grande allarme come se privasse il pubblico ministero dello strumento captativo nelle indagini. In realtà, non vi è nessuna limitazione dei poteri investigativi, ma solo un maggior controllo da parte del giudice sulla durata delle intercettazioni.

La vigente disciplina sulla durata delle intercettazioni

Che non si tratti di una mutilazione dei poteri investigativi risulta da un rapido esame della normativa vigente confrontata con quella appena approvata.

Attualmente le intercettazioni di comunicazioni e conversazioni non hanno termini di durata massima e quindi, di proroga in proroga, esse possono protrarsi per l'intera fase delle indagini preliminari che, per i reati più gravi, raggiunge i  due anni  (art. 407 c.p.p.).

Chiunque si rende conto che l'ininterrotto e invasivo controllo per due anni delle proprie conversazioni e della propria vita privata, scrutata anche nell'intimità del domicilio, soprattutto quando è impiegato il  virus trojan, che tutto e tutti ascolta, vede, registra, ispeziona, ricerca, acquisisce, è una  servitus iustitiae  sproporzionata anche per la ricerca della prova di un grave reato.  È vero che  l'indagato non può sottrarsi alle conseguenze dell'investigazione  ma, pur essendo egli sospettato di aver commesso un reato, è pur sempre un soggetto che, per la nostra Costituzione, deve presumersi innocente e perciò ha diritto a che la segretezza delle sue comunicazioni e la riservatezza della sua vita privata non siano incisi oltre la soglia della necessità e adeguatezza dell'atto captativo.  Si aggiunga che l'intercettazione può colpire anche un  soggetto che è estraneo alle indagini, come un testimone o addirittura la persona offesa dal reato, per i quali essere “ascoltati” occultamente e invasivamente tanto a lungo rappresenta comunque un eccesso irragionevole.

Si tratta di principi ormai unanimemente riconosciuti nel rapporto tra diritti fondamentali della persona ed esigenze della repressione penale, che impongono i caratteri della  necessità e adeguatezza delle misure limitative di tali diritti come principi cardinali di uno Stato di diritto, previsti dal diritto sovranazionale e interno, più volte richiamati sia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, sia dalla Corte di giustizia U.E., oltre che dalla nostra Corte costituzionale.

Addirittura, la Corte EDU aveva reiteratamente indicato, tra i requisiti essenziali per ritenere che una regolamentazione delle intercettazioni sia compatibile con la preminenza del diritto necessaria in una società democratica, tra l'altro, la  fissazione di un termine massimo per la durata delle intercettazioni, ma il monito è rimasto finora inascoltato per quasi vent'anni, potendo le intercettazioni protrarsi per l'intera durata delle indagini.

Attualmente l'art.  267, comma 1, c.p.p. prevede che il pubblico ministero richieda al giudice per le indagini preliminari l'autorizzazione a disporre l'intercettazione e il giudice autorizzi, con decreto motivato, in presenza dei due presupposti: i “gravi indizi” di uno dei reati indicati negli artt. 266 e 266-bis c.p.p. e l'”assoluta indispensabilità” ai fini della prosecuzione delle indagini.

L'art. 267, comma 3, c.p.p. stabilisce che il decreto del pubblico ministero che dispone l'intercettazione “indica le modalità e la durata delle operazioni”. Tale durata «non può superare i quindici giorni, ma può essere prorogata dal giudice con decreto motivato per periodi successivi di quindici giorni», qualora permangano i presupposti dell'autorizzazione e cioè i “gravi indizi di un reato” tra quelli per i quali gli artt. 266 e 266-bis c.p.p. ammettono l'intercettazione e l'“assoluta indispensabilità” della captazione. Quindi se il giudice per le indagini preliminari ritiene che permangano tali presupposti,  autorizza la proroga di volta in volta, anche per tutta la durata delle indagini, con un decreto di proroga per il quale la giurisprudenza non richiede una particolare motivazione a sostegno. 

Spetta poi al pubblico ministero emanare un decreto (c.d.  decreto esecutivo) con cui regola le modalità e la durata delle operazioni. Infatti, secondo la giurisprudenza, solo al pubblico ministero è demandato il compito di  stabilire con decreto le modalità e i tempi delle operazioni di intercettazione autorizzate dal giudice per le indagini preliminari. Le modalità e la durata delle operazioni, previamente autorizzate, sono rimesse al pubblico ministero, salva la possibilità di proroga del termine da parte del giudice, che solo in tale specifica ipotesi indica l'ulteriore periodo di protrazione dell'attività di ricerca della prova.

Ne consegue che  il termine di durata delle intercettazioni può legittimamente essere sospeso, per ragioni contingenti, funzionali alle indagini e concretamente apprezzabili, per poi riprendere la sua decorrenza dal momento in cui, venuta meno la causa di sospensione, venga riattivata la captazione delle conversazioni, senza la necessità di una nuova autorizzazione, ove permangano i presupposti previsti dalla legge.

Persiste il difetto di necessità e adeguatezza delle intercettazioni a causa della loro durata indefinita

Non sempre le nozioni di ragionevolezza, proporzionalità, necessità e adeguatezza sono state impiegate dal legislatore in modo appropriato, anche se la loro distinzione è risalente nel tempo. A voler essere precisi, dovrebbe distinguersi tra la  ragionevolezza e proporzionalità di  una norma sanzionatoria  o  punitiva, che non deve produrre una compressione eccessiva dei diritti fondamentali del suo destinatario, con una valutazione rivolta al passato e dunque retrospettiva (backward-looking) e la necessità e adeguatezza della misura processuale rispetto alla finalità legittima perseguita dalla norma, con una valutazione orientata invece  al futuro e quindi prospettica (forward-looking).

Ma, finora la legge italiana disciplina le intercettazioni come un  mezzo di ricerca della prova senza limiti di durata e quindi privo dei caratteri della necessità e adeguatezza rispetto alla finalità da raggiungere. Era pertanto indifferibile domandarsi sulla esistenza e praticabilità di altre possibili misure meno incidenti sul diritto fondamentale (ad es. l'acquisizione dei tabulati, la geolocalizzazione), nonché sulla sostenibilità del bilanciamento effettuato dal legislatore tra la finalità perseguita e la limitazione del diritto fondamentale del destinatario della misuraMa vedremo che anche il disegno di legge appena approvato non pone un limite massimo di durata alle intercettazioni.

Le modifiche alla disciplina per i reati comuni

La “novella” del 2025 cerca di attenuare la previgente rigida disciplina che consentiva una proroga senza limiti alla durata delle intercettazioni, modificando sia l'art. 267 c.p.p. che l'art. 13 d.l.13 maggio 1991, n. 152, conv. con mod. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, che prevede una “disciplina speciale”.

L'intervento legislativo è stato però meno incisivo di quanto ci si sarebbe aspettati, e cioè che il legislatore apponesse finalmente per legge un  termine massimo alla durata delle operazioni di intercettazioni, che, incidono su un valore fondamentale della persona quale la segretezza delle comunicazioni e conversazioni, tutelato dagli artt. 15 Cost. e 8 Conv. e.d.u., alla pari di quanto è previsto, ad esempio, per la durata massima delle misure cautelari.

Invece, il disegno di legge approvato aggiunge all'art. 267, comma 3, c.p.p., in fine, il seguente periodo: «le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l'assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione».

In questo modo non viene posto, per legge, un termine di durata massima delle operazioni di intercettazione, come sarebbe ragionevole per ogni atto limitativo di diritti fondamentali, ma soltanto una prima durata, di fatto, la minima, di quarantacinque giorni, che sembra una durata adeguata per un'indagine su un reato di non particolare gravità. In questo modo, però, l'intervento legislativo non pone un termine di durata massima dell'intercettazione, ma solo un primo termine, superabile se, con «espressa motivazione», contenente «elementi specifici e concreti», il giudice per le indagini preliminari giustifichi l'«assoluta indispensabilità» delle operazioni per una durata superiore.

Quindi  non esisterà nemmeno in futuro un termine massimo di legge per la durata delle intercettazioni, che potranno essere prorogate per tutta la durata delle indagini e quindi fino a diciotto mesi. E poiché la Corte di cassazione, in tema di motivazione del decreto di proroga delle intercettazioni, è stata finora piuttosto lassista, non c'è molto da illudersi che in futuro si possa affermare una giurisprudenza tendente a valutare con particolare severità tali richieste di proroga del P.M.: sarà naturale osservare, come oggi, che, in fondo, il P.M. sta chiedendo solo di poter continuare ad indagare. Certo, occorrerà una «espressa motivazione», anche se sarebbe stato meglio esigere una “autonoma valutazione” (come nell'art. 267, comma 1, c.p.p. per autorizzare l'intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile) per escludere la tanto abusata motivazione  per relationem; e tale motivazione “rafforzata” deve fare   riferimento ad «elementi specifici e concreti» già emersi: ma qualsiasi indagine, dopo quarantacinque giorni si auspica che abbia portato a raccogliere qualche elemento di prova.  

Certamente gli elementi da porre a base di questa rafforzata motivazione dovranno essere più d'uno (visto l'uso del plurale) e, ovviamente, dovranno essere “specifici”, cioè, riferiti specificamente all'ipotesi di reato per il quale l'intercettazione è stata autorizzata, mentre l'aggettivazione di “concretezza” pare ultronea, non esistendo elementi di prova astratti o ipotetici. Piuttosto, il riferimento agli elementi già emersi resta indicato piuttosto genericamente, perché dovrebbero essere elementi emersi dall'intercettazione (a dimostrazione della sua “indispensabilità”), ma il requisito potrebbe essere interpretato anche in senso più ampio come elementi emersi da altri atti di indagine, che non rilevano ai fini della valutazione della indispensabilità della proroga dell'intercettazione. Inoltre, deve trattarsi di  elementi che confermano la sussistenza del reato ipotizzato o addirittura la responsabilità di taluno, che potrebbe essere l'intercettato oppure un indagato o anche un terzo finora rimasto estraneo alle indagini: in tutti questi casi sarebbero elementi che giustificano la proroga dell'intercettazione.

Le modifiche alla disciplina speciale per i reati di criminalità organizzata

Le modifiche all'art. 13 d.l. n. 152/1991, conv. con mod. dalla l. 12 luglio 1991, n. 203, sono meramente formali.

L'art. 13 d.l. 13.5.1991, n. 152, conv., con mod., dalla l. 12.7. 1991, n. 203, introduce un regime speciale che apporta diverse deroghe alla disciplina ordinaria dettata dall'art. 267, commi 1 e 3, c.p.p.  Il menzionato art. 13 originariamente si riferiva solamente alle indagini «in relazione ad un delitto di criminalità organizzata o di minaccia col mezzo del telefono». Mentre è facilmente individuabile il  delitto di minaccia col mezzo del telefono, grande incertezza regnava nella giurisprudenza nell'accertare quali fossero i delitti di “criminalità organizzata”. Sul punto, le Sezioni Unite della Corte di cassazione fecero chiarezza, includendo anche il delitto di cui all'art. 416 c.p. tra i reati di criminalità organizzata e precisando che per “delitti di criminalità organizzata, anche terroristica” si intendono quelli “elencati nell'art. 51, commi 3-bis  e 3-quater, c.p.p., nonché quelli comunque facenti capo a un'associazione per delinquere, con esclusione del mero concorso di persone nel reato” (Cass. pen., sez. un. 28 aprile 2016, Scurato, n. 26889, in Cass pen., 2016, 3536; in precedenza le stesse Sezioni Unite avevano affermato (sia pure in riferimento alla mancata sospensione dei termini processuali nel periodo feriale prevista dall'art. 240-bis disp. coord.) che la nozione di “criminalità organizzata” deve intendersi riferibile non solo ai reati di criminalità mafiosa ed assimilata e ai delitti associativi previsti da norme incriminatici speciali, ma anche a qualsiasi tipo di “associazione per delinquere”, ex art. 416 c.p., correlata alle attività criminose più diverse, con l'ovvia esclusione del mero concorso di persone nel reato, atteso che in tali ipotesi manca il requisito dell'organizzazione: Cass. pen., sez. un., 11 maggio 2005, Petrarca ed altri, n. 17706, in  Cass. pen., 2005, 2916. Negli anni tale disciplina speciale è stata però progressivamente estesa dal legislatore. Una prima estensione ha riguardato i procedimenti per delitti di terrorismo di cui agli artt. 270-ter e 280-bis c.p., nonché di cui all'art. 407, comma 2, lett. a), n. 4 c.p.p. (art. 3 d.l. n. 374/2001, conv. con mod. dalla l. 438/2001).

Successivamente la  disciplina speciale  è stata estesa ai delitti previsti dal libro II, titolo XII, capo III, sezione I, del codice penale (cioè, ai delitti contro la personalità individuale di cui agli artt. 600-604 c.p.) nonché dall'art. 3 l. 20.2.1958, n. 75, che sostituì gli artt. 531 e 536 c.p. in materia di delitti in materia di sfruttamento dell'altrui prostituzione (art. 9 l. n. 228/2003). Inoltre, il menzionato art. 13 è stato applicato anche ai delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, determinata a norma dell'articolo 4 c.p.p. (art. 6 del d.lgs. n. 216/2017).

Ancora vi fu un'altra estensione ai procedimenti per i delitti, consumati o tentati, di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti (art. 452-quaterdecies c.p.) e sequestro di persona a scopo di estorsione (art. 630 c.p.), ovvero commessi con finalità di terrorismo o avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416-bis c.p. (forza di intimidazione del vincolo associativo e condizione di assoggettamento e di omertà che ne derivano) o per agevolare l'attività delle associazioni di tipo mafioso (art. 1, comma 1, d.l. n. 105/2023, conv. dalla l. n. 137/2023, norma definita di carattere interpretativo a partire da Cass., sez. II, n. 47643/2023 e Cass., sez. VI, n. 41458/2024). Infine il comma 3-bis  del menzionato art. 13 (inserito dall'art. 19, comma 1, della l. n. 90/2024) ha esteso la disciplina speciale ai  procedimenti per i delitti di accesso abusivo a sistemi informatici o telematici di interesse militare o relativi all'ordine pubblico o alla sicurezza pubblica o alla sanità o alla protezione civile o comunque di interesse pubblico  (art. 615-ter, comma 3, c.p.); di danneggiamento di informazioni, dati e programmi informatici pubblici o di interesse pubblico (art. 635-ter c.p.); di danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblico interesse (635-quinquies c.p.); nonché, quando i fatti sono commessi in danno di un sistema informatico o telematico utilizzato dallo Stato o da altro ente pubblico o da impresa esercente servizi pubblici o di pubblica necessità, in relazione ai procedimenti per i delitti legati ad attività di intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (artt. 617-quater617-quinquies e 617-sexies c.p.).

Il disegno di legge specifica  che le  deroghe  apportate dall'art. 13, comma 1, della legge speciale alle disposizioni dell'art. 267 c.p.p. devono intendersi riferite al comma 1 di questa disposizione e, quindi, ai  presupposti necessari per l'autorizzazione le intercettazioni nelle indagini per i reati suindicati, che viene concessa allorché le stesse appaiano «necessarie» (non «indispensabili») in presenza di «sufficienti» (e non «gravi») indizi di reato, «per lo svolgimento delle indagini» (e non per «la prosecuzione»).  Il disegno di legge specifica pure che la disciplina del comma 2 del menzionato art. 13 si applica nei casi di cui al comma 1 “in deroga a quanto disposto dall'art. 267, comma 3, c.p.p.” e pertanto in riferimento alla durata delle intercettazioni che per questi più gravi reati è prevista in  quaranta giorni   (e non quindici)  con successive proroghe di venti giorni (e non di quindici), fino alla conclusione delle indagini e cioè fino a due anni.

Pertanto, la disposizione che limita a 45 giorni la durata delle intercettazioni non si applica ai reati di criminalità organizzata e restano immutate le ulteriori deroghe,  rappresentate dalla previsione che nei «casi d'urgenza» alla proroga dell'intercettazione provvede lo stesso pubblico ministero, dovendosi poi osservare le disposizioni dell'art. 267, comma  2, c.p.p. per la convalida, nonché il fatto che l'intercettazione nel domicilio  è consentita anche se non vi è «fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa», come pure che il pubblico ministero e l'ufficiale di polizia giudiziaria possono farsi coadiuvare, nelle operazioni di intercettazione, da agenti di polizia giudiziaria.

Conclusioni

Le modifiche legislative appena approvate non meritano un giudizio totalmente positivo, almeno a fronte delle aspettative che avevano fatto nascere.

Come sempre, sono in gioco  due valori costituzionali contrapposti, da un lato l'esigenza della repressione penale, certamente rilevante e quindi da tutelare, e, dall'altro, la segretezza delle comunicazioni e la riservatezza della vita privata, che un diritto fondamentale della persona, almeno altrettanto importante, per cui il legislatore, se non vuole cadere nell'irragionevolezza della disciplina legislativa, dovrebbe operare un equilibrato contemperamento tra i due beni di rango costituzionale.  Ma non sembra che la “novella” abbia rispettato tale ovvia modalità legislativa che, invece, lascia prevalere totalmente la prima per l'intera fase delle indagini preliminari a discapito della seconda. Occorre un bilanciamento tra di esse che si può raggiungere soltanto apponendo per legge un limite massimo alla durata delle operazioni di intercettazione. Se un sacrificio totale della segretezza delle comunicazioni e della riservatezza della vita privata può essere giustificato per i reati di criminalità organizzata, tale giustificazione non è invece ammissibile per i reati “comuni”, per i quali sarebbe stato ragionevole apporre un tetto massimo di durata e non una mera “motivazione rafforzata” per la proroga.

Del tutto ingenerose sono perciò le critiche al provvedimento da quanti lamentano una compressione irragionevole dell'impiego delle intercettazioni, perché, al contrario, è la segretezza delle comunicazioni che resta irragionevolmente compressa per tutta la durata delle indagini.

In conclusione, l'intervento legislativo aveva promesso più di quanto ha poi realizzato, apparendo quindi più di facciata che di sostanza, se non addirittura di natura gattopardesca perché aveva fatto nascere la speranza che si sarebbe cambiato tutto per poi non cambiare quasi niente.

  

*Fonte: DirittoeGiustizia

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