Intercettazioni: ancora novità (e non saranno le ultime)
26 Marzo 2025
Premessa: le ragioni del nuovo intervento sul tema Dove eravamo rimasti? Ah sì: le intercettazioni. Dal 2017 ad oggi sono stati numerosi gli interventi del legislatore, di varia natura e di vario impatto, su questa materia. Ancora una volta ci troviamo, quindi, a confrontarci con le recenti nuove indicazioni dovendo premettere considerazioni già svolte, ma che non possono non costituire la premessa dell'intero discorso. Si tratta, come ragionevole è pensare, del settore della procedura penale che presenta la maggiore complessità, in quanto devono essere conciliate quattro esigenze completamente differenti e spesso in palese contrasto tra loro: la completezza e correttezza delle indagini, il diritto di difesa, il diritto dei cittadini di essere informati e la riservatezza. Profili tutti riconosciuti a livello costituzionale e che hanno condizionato le scelte del legislatore nel corso degli anni, in base alla priorità che si è voluta dare all'una piuttosto che all'altra. È storia vecchia, eppure sempre attuale. Non solo: anche all'interno della tematica “intercettazioni” vi sono dei nervi scoperti, ossia punti più delicati e controversi di altri, sebbene tutti rilevanti ai fini della valutazione globale di tale strumento di indagine. Si tratta, come possiamo ricordare, della “quantità” e qualità delle di comunicazioni che possono essere concretamente trascritte e quindi in prospettiva utilizzate nelle varie fasi del procedimento, espressamente al centro degli ultimi provvedimenti legislativi, che hanno avuto per principale obiettivo quello di ridurre sotto vari aspetti la possibilità di far entrare negli atti del procedimento stesso le comunicazioni non pertinenti rispetto ai fatti oggetto di accertamento e soprattutto di evitare di menzionare comunicazioni che potessero riguardare non soltanto la vita di soggetti terzi ma anche a quella degli soggetti direttamente coinvolti nelle indagini. Un altro profilo di estrema delicatezza riguarda l'utilizzazione delle intercettazioni in procedimenti diversi: anche in questo senso vi è stata una brusca frenata da parte del legislatore, che fortemente limitato la possibilità di “travaso” degli atti da un procedimento all'altro In prospettiva, anche se non è stata ancora concretamente oggetto di revisione nei suoi principi generali, rimane la problematica del captatore informatico, a tutt'oggi strumento che viene largamente utilizzato, sulla cui sorte potrebbe essere imprudente scommettere delle cifre elevate, quantomeno in relazione all'utilizzo che attualmente viene effettuato. Al proposito si deve rilevare che le molteplici funzionalità del captatore avrebbero meritato da tempo una autonoma globale disciplina, che porterebbe chiarezza nel settore. Resta da valutare – ed è questo l'oggetto del nuovo provvedimento – la disciplina sui presupposti e sui tempi di possibile esecuzione delle captazioni, ossia sulla durata delle stesse e sui criteri di valutazione della possibilità di proseguire l'attività di intercettazione. Questo è, sostanzialmente, l'oggetto del recente intervento. È importante comprendere, analizzando le dichiarazioni che hanno portato ad approvare la riforma, le effettive motivazioni della stessa. Certamente, una volontà di “responsabilizzare” i giudici nell'attività di autorizzazione delle proroghe che – a dire dei fautori della modifica – sarebbe spesso priva di quel tasso di “valutazione critica” delle richieste del p.m. indispensabile per un corretto esercizio dell'attività di controllo. Inoltre, rendere difficoltosa quella attività degli uffici requirenti, in tema di intercettazione, malignamente definita “pesca a strascico”, asseritamente consistente in una prosecuzione dell'attività di intercettazione non finalizzata alla ricerca della prova per reati già individuati, ma per cercare nuove e differenti ipotesi di reato. Aggiungendo a ciò la generica considerazione sull'eccesso dell'uso delle intercettazioni e dei conseguenti costi e l'altrettanto scontato argomento legato alla potenziale “offensività” di ogni captazione in chiave di pericolo per la riservatezza, il quadro è completo. È, tuttavia, indispensabile inquadrare correttamente le modifiche apportate dal provvedimento in commento, più che in termini astratti, nell'ambito della concreta incidenza che potranno avere nell'ambito delle attività investigative. Non si tratta solo di prendere atto di tali sopra indicati, verosimilmente a sfavore delle esigenze investigative. Cosa non è cambiato: le intercettazioni ex art. 13 d.l. n. 152/1991 Partiamo da un dato positivo. La riforma non ha modificato - se non per dettagli “lessicali” funzionali al coordinamento con la disciplina generale di cui agli artt. 266 ss. c.p.p. - i criteri di valutazione, l'ambito di applicazione e i termini previsti per le intercettazioni di cui all'art. 13 d.l. n. 152/1991. Si tratta di numerosissime e rilevanti ipotesi. Ricordiamo, al proposito, che l'originario ambito di applicazione della norma (caratterizzato, nei presupposti, dalla sussistenza di sufficienti indizi e della semplice “necessità” ai fini dello svolgimento delle indagini) e previsto per i reati di criminalità organizzata e di minacce al mezzo del telefono, è stato progressivamente ampliato, in termini molto significativi. In questo senso tali captazioni sono consentite:
E' singolare, al proposito, il fatto che, all'atto di licenziare la presenta modifica sia stato già adombrata un ulteriore intervento: la Camera ha votato un ordine del giorno che impegna il Governo "ad adottare le opportune iniziative normative al fine di estendere ai delitti di violenza sessuale e di violenza di genere, stalking, revenge porn, e pedopornografia il regime della proroga prevista dall'articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991" (Ordine del giorno n. 9/02084/001, del 19.3.2025). Insomma, work in progress ancora una volta, con scelta ineccepibile sul piano logico- sistematico, atteso che sarebbe stato difficilmente comprensibile un inasprimento sul tema del femminicidio e reati analoghi con una contestuale- lo vedremo- riduzione delle concrete possibilità di accertamento delle responsabilità anche proprio per tali reati. Senza dimenticare che un mancato adeguamento della normativa sulle intercettazioni proprio sul tema del femminicidio (o comunque in tema di reati di violenza di genere e domestica) potrebbe porsi in contrasto con gli obblighi internazionali assunti dall'Italia con la firma della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (art. 49, comma 2), in base alla quale siamo tenuti a “garantire indagini e procedimenti efficaci” nei confronti dei reati oggetto della convenzione. La nuova disciplina: il limite temporale Come abbiamo visto, se il regime delle intercettazioni speciali resta identico, significativo è il mutamento per quelle ordinarie, disciplinate dagli artt. 266 ss. c.p.p. Molto semplicemente, la riforma si limita ad aggiungere all' art. 267, comma 3 c.p.p. questo periodo finale: «Le intercettazioni non possono avere una durata complessiva superiore a quarantacinque giorni, salvo che l'assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore sia giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti, che devono essere oggetto di espressa motivazione». Si tratta di tre aspetti, differenti e di grande rilevanza. In primo luogo: per la prima volta è inserito nel sistema un limite alla durata dell'intercettazione differente rispetto a quello coincidente con la durata delle indagini. Limite che continua a non esserci per le intercettazioni speciali e che, al contrario, sussiste per quelle ordinarie: dopo 45 giorni dall'inizio delle operazioni (attenzione: non dal provvedimento del G.i.p.) le stesse potranno essere prorogate solo a determinate condizioni. Prima di esaminare tale aspetto, è interessante notare che – per quanto risulta – non esistono altri mezzi di ricerca della prova limitati sul piano temporale. Con questo principio viene meno la possibilità di sovrapporre le potenzialità di ricerca della prova con la scansione temporale delle indagini preliminari. Si potranno effettuare ispezioni, perquisizioni, sequestri ma intercettare solo a specifiche condizioni e con un obbligo di motivazioni rafforzato. Come è stato correttamente osservato «Se la legge consente di compiere atti di indagine fino a due anni, in ragione della gravità del reato o della complessità delle indagini (v. art. 407 c.p.p.), sembra irragionevole limitare nell'arco di questi due anni a soli 45 giorni un mezzo di ricerca della prova come quello delle intercettazioni; tanto più che si tratta notoriamente, in presenza di indagini complesse, di uno dei più efficaci messi di ricerca della prova» (Così G.L. Gatta, Durata massima delle intercettazioni (45 giorni). Note a caldo sulla legge Zanettin, in sistemapenale.it, 24.3.2025) Indubbiamente la norma in sé non affronta - e non poteva essere diversamente - la possibilità che anche a fronte dell'assenza – dopo 45 giorni - di elementi tali da consentire la possibilità di prorogare ulteriormente le captazioni, il quadro probatorio possa in un secondo momento “arricchirsi” di elementi nuovi sulla base dei quali potranno essere inoltrate al G.i.p. nuove richieste di autorizzazione. La “durata” complessiva andrebbe a escludere anche tale ipotesi? Anche nel caso nel quale, poniamo, sia mutato il titolo di reato o i soggetti indagati? In sostanza: rispetto a quali elementi si calcola il termine massimo di 45 giorni, rispetto al titolo di reato e ai soggetti della originaria richiesta o globalmente rispetto al procedimento? Forse, ci sarà da ragionare su questo aspetto. Gli elementi “specifici e concreti” Recita il testo del nuovo art. 267 comma ter c.p.p. che l'assoluta indispensabilità delle operazioni per una durata superiore deve essere giustificata dall'emergere di elementi specifici e concreti. Ciò significa che dopo la seconda proroga, il P.M. sa di non poter contare sul quadro indiziario che ha portato al decreto di autorizzazione delle captazioni e – sostanzialmente - alle prime due proroghe. Nel terzo decreto il P.M. dovrà mettere il G.i.p. nella condizione – ferma restando la gravità indiziaria – di concordare sulla “assoluta indispensabilità”, evidentemente sulla base di elementi nuovi e diversi da quelli originari. Elementi che indubbiamente potranno derivare dalle precedenti intercettazioni ma anche da altre fonti (documenti, dichiarazioni di persone informate sui fatti, esiti di valutazioni tecniche disposte). Non ci sono ragioni, logiche o letterali, per ritenere che tali elementi debbano essere limitati a specifiche categorie di prove. Ritenere ciò significherebbe imporre una limitazione che non è positivamente riscontrabile nel testo della legge e – verosimilmente - neppure nelle intenzioni del legislatore. Gli elementi devono essere non solo specifici e concreti, ma anche “emersi”. Ciò significa, a rigore, che la valorizzazione di elementi preesistenti alla terza proroga ma non evidenziati nelle precedenti richieste potrebbe non essere reputata sufficiente. Problema che si potrebbe porsi- evidentemente- anche per ogni proroga successiva, che potrebbe essere giustificata solo da elementi nuovi rispetto al quadro preesistente. È un aspetto non secondario, ove si consideri che l'elemento che giustifica la terza proroga potrebbe aprire scenari- soggettivi e oggettivi- del tutto nuovi, il cui approfondimento potrebbe di per sé non potere essere compiuto nei successivi 15 giorni. Quello che è certo è che la nuova disposizione potrebbe suggerire al P.M. di fornire con maggiore ampiezza gli elementi a sostegno della propria richiesta, con una valutazione costi- benefici rispetto a un deposito “progressivo” sbilanciata a favore di una maggiore discovery, a fine di ridurre i rischi di diniego da parte del G.i.p. Non impossibile l'inquadramento dei due aggettivi utilizzati dal legislatore: concreto significa, evidentemente, non frutto di una prospettazione teorica dell'accusa o di mere congetture, quanto correlato a elementi in fatto autonomamente provabili. La specificità deve ritenersi connaturata al contesto – specifico, appunto – nel quale il nuovo elemento viene a inserirsi e ad assumere, conseguentemente, un significato probatorio. La motivazione della proroga Gli elementi sopra indicati devono essere oggetto di “espressa motivazione”: il G.i.p. deve dare specificamente atto degli elementi indicati nonché del quando sarebbero emersi: solo a queste condizioni può prorogare gli ascolti. Nella prassi giudiziaria la motivazione delle proroghe avviene frequentemente con un richiamo alla motivazione del P.M. (a sua volta spesso mutuata dagli atti della P.G.). Una prassi che ha superato in termini univoci il vaglio della S.C., laddove la stessa ha chiarito che la motivazione dei decreti di proroga può essere ispirata a criteri di minore specificità rispetto alle motivazioni del decreto di autorizzazione, potendosi anche risolvere nel dare atto della plausibilità delle ragioni esposte nella richiesta del pubblico ministero (Cass. pen., sez. VI, 1° luglio 2020, n. 22524 Rv. 279564 – 01). La domanda da porsi è semplice. Potrà essere ancora accettabile un simile approccio da parte del G.i.p. o la nuova disposizione imporra un vaglio critico differente e più severo? Sarò ancora possibile procedere con motivazioni delle proroghe per relationem? La risposta potrebbe essere positiva, anche se tale soluzione può sembrare, per alcuni aspetti, sorprendente. Se il P.M., nella richiesta di proroga, avrà adeguatamente indicato:
non può ritenersi preclusa al G.i.p. la possibilità di procedere a un vaglio critico di tali aspetti nei termini e in base ai principi delineati dalla S.U. (Cass. pen. sez. un., 21 giugno 2000, n. 17 Rv 216666), in particolare laddove la stessa impone al giudice di dimostrare di aver preso cognizione del contenuto sostanziale delle ragioni del provvedimento di riferimento e di averle meditate e ritenute coerenti con la sua decisione. Questa è l'essenza del vaglio critico già necessario precedentemente e che oggi – soprattutto - deve essere oggetto di espressa ed esaustiva esplicitazione. L'incidenza sul sistema: le tipologie di reato È il momento di trarre le conclusioni: quale l'incidenza in concreto delle nuove disposizioni? Non pochi i reati che potrebbero essere sottoposti alle limitazioni temporali sopra descritte: pensiamo a omicidi, rapine, estorsioni in ambito estraneo ad ambienti criminali definibili in termini di criminalità organizzata. Pensiamo a maltrattamenti, atti persecutori e violenze carnali, o agli abusi su minori. Pensiamo ai reati societari. Pensiamo alla cessione di stupefacenti non occasionale ma neppure “organizzata” in un contesto associativi. Reati di grande allarme sociale, rispetto ai quali non infrequentemente dal momento di attivazione delle captazioni alla fase di piena comprensione delle stesse e di inquadramento degli interlocutori può passare un non breve arco temporale. Pensiamo al tempo necessario per decriptare il linguaggio dei soggetti intercettati o per “collocare” nelle singole caselle relazionali o soggetti presenti in un contesto familiare nel quale il delitto è avvenuto. Pensiamo al caso – drammatico - degli abusi sessuali o dei maltrattamenti di minori in tenera età, per i quali non è ipotizzabile una “assunzione” quali persone informate in termini probatoriamente accettabili e per i quali l'unica prova idonea possibile può derivare da non brevi intercettazioni ambientali. In generale, si può ricondurre l'esigenza di prorogare e captazioni a fronte di quadri indiziari gravi negli esiti ma indeterminati nella riferibilità degli stessi: l'omicidio, soprattutto. Difficile ipotizzare un grave indizio di reato più concreto di un cadavere (con morte violenta, ovviamente), rispetto al quale non emergono elementi indiziari univoci su specifici soggetti ma sussiste l'esigenza di ricostruire a 360 gradi il passato, le relazioni e le frequentazioni del defunto. In moltissimi di tali casi, 45 giorni possono essere pochi e non è detto che gli investigatori potranno essere in grado di “corroborare” tempestivamente ed efficacemente gli elementi a loro disposizione. Ad analoghe conclusioni occorre arrivare per alcune vicende di violenza sessuale, nelle quali la ricostruzione dei rapporti tra le parti e la possibilità di ricostruire il narrato rispetto a terzi possono rivelarsi tanti decisivi quanto di difficile rapida emersione. Se è così, perché porre un limite temporale? In questo senso, si è osservato che «Sotto il profilo della valutazione di proporzionalità, il diritto alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni, garantito dall'art. 15 Cost., sembra già adeguatamente tutelato dalla legge attraverso questi plurimi presupposti e la garanzia del controllo giurisdizionale. Se il giudice ha ritenuto assolutamente indispensabile il ricorso alle intercettazioni, nell'ambito di un procedimento che può durare fino a 18 o 24 mesi, non si vede per quale ragione non possa concedere ulteriori proroghe dopo solo un mese e mezzo di intercettazioni» (così G.L. Gatta, op. cit.). È una prospettiva concreta, che, nel valutare le prospettive di applicazione della legge, deve essere considerata. Senza pregiudizi, ma in forza di un sano realismo che – pensiamo – deve improntare il lavoro del giurista. In conclusione
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