Condominio e locazione

Proprietà esclusive (opere)

22 Settembre 2017

Le peculiarità insite nella coesistenza di una pluralità di unità immobiliari poste nel medesimo stabile registrano sempre più spesso l'incontro (per non dire lo scontro) di contrapposti interessi concernenti, da un lato, la libera esplicazione del diritto dominicale e, dall'altro, le esigenze della pacifica convivenza; in quest'ottica, l'art. 1122 c.c. disciplina le opere eseguite dal singolo nel proprio appartamento, contemplandone le conseguenze giuridiche allorquando si verificano interferenze con le parti comuni dell'edificio, e, in quest'ottica, il testo di recente novellato svela scenari operativi alquanto problematici.
Inquadramento

Il vecchio testo dell'art. 1122 c.c. - rubricato erroneamente «opere sulle parti dell'edificio di proprietà comune» - registrava un solo comma, dal contenuto abbastanza conciso, con il quale si disponeva che «ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che arrechino danno alle parti comuni dell'edificio».

L'attuale testo - rubricato correttamente «opere su parti di proprietà o uso individuale» - risulta, invece, articolato in due capoversi: «1. Nell'unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano state attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio. 2. In ogni caso è data preventiva notizia all'amministratore che ne riferisce all'assemblea».

La versione approvata da Palazzo Madama, nella seduta del 26 gennaio 2011, si rivelava più articolata e pregnante - e forse poteva riguardare i limiti di «godimento», oltre che le «opere» in senso stretto - perché l'originario comma 1 vietava al condomino anche di «modificare o variare la destinazione d'uso indicata dal titolo, benché consentita dalle norme di edilizia, se ne derivasse danno alle parti comuni o individuali o notevole diminuzione di godimento o valore di esse», mentre il comma 3 prevedeva che, «in mancanza di dettagliate informazioni sul contenuto specifico e sulle modalità di esecuzione, l'amministratore può, previa diffida, rivolgersi all'autorità giudiziaria che provvede in via d'urgenza ai sensi dell'articolo 1171 c.c. »

Il triplice ordine di limiti

Più nel dettaglio, sul versante lessicale, si evidenzia l'abbandono dell'arcaica terminologia riferita al «piano o porzione di piano», tipica della collocazione affiancata o sovrapposta del condominio verticale, in favore dalla più moderna accezione concernente la «unità immobiliare» di proprietà esclusiva, nell'ottica evolutiva dell'istituto che comprende altre (e più complesse) figure architettoniche, come ad esempio il condominio orizzontale, regolamentato attualmente dall'art. 1117-bis c.c.

Inoltre, il novellato comma 1 dell'art. 1122 c.c. si preoccupa delle opere realizzate dal condomino sia nell'unità immobiliare di sua proprietà, sia anche «nelle parti normalmente destinate all'uso comune, che siano attribuite in proprietà esclusiva o destinate all'uso individuale».

Per il resto, la Riforma del 2013 affianca, al concetto di «danno alle parti comuni», quello di «pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio», mutuando la stessa espressione contenuta nell'ultimo comma art. 1120 c.c. (sul punto, invariato), come limite invalicabile alla realizzazione delle innovazioni deliberate dall'assemblea.

In buona sostanza, il suddetto triplice limite - stabilità/sicurezza/decoro - proprio delle innovazioni vietate approvate dalla collettività, è stato posto come argine invalicabile anche alle iniziative del singolo sulle parti comuni ed esclusive, disciplinate, rispettivamente, dagli originari artt. 1102 e 1122 c.c.

Riguardo al concetto di «stabilità», si richiamano le caratteristiche statiche dell'edificio ogni qual volta la modifica profili un attuale, serio o probabile pericolo di indebolimento delle strutture portanti o, addirittura, di crollo di tutto o parte del fabbricato - trattasi soprattutto di valutazioni di natura tecnica, da rapportarsi anche alle condizioni dello stabile in cui l'opera è eseguita - nonché un rischio per l'incolumità degli abitanti e dei terzi estranei (si pensi ai lavori di escavazione nel sottosuolo che interessino le fondamenta, salva l'adozione di idonei accorgimenti, o alla trasformazione di terrazzi in locali chiusi).

Il concetto di «sicurezza», inoltre, coinvolge la vita personale ed il godimento patrimoniale all'interno del condominio che possono essere minati o turbati da eventi vari, sia connessi all'attività dell'uomo (come, ad esempio, furti agevolati dall'ampliamento di un cancello privato che rende più accessibile lo stabile ai ladri), sia posti in relazione a fenomeni naturali (come, ad esempio, incendi provocati dall'impiego di materiali infiammabili, e lo stesso dicasi per alluvioni, intemperie, terremoti, e quant'altro).

L'alterazione del decoro architettonico va, infine, ravvisata, quando comporti un deprezzamento dell'intero fabbricato e delle singole porzioni in esso comprese, non tanto come diminuzione del valore d'uso quanto piuttosto del valore di scambio dell'immobile e, quindi, degli appartamenti, considerando che la sussistenza del predetto pregiudizio non deve essere del tutto trascurabile, stante la sua incidenza negativa sull'aspetto esterno del fabbricato condominiale e sulla simmetria dell'immobile.

La preventiva notizia all'amministratore

I problemi, in verità, vengono dell'esegesi del comma 2 dell'art. 1122 c.c., laddove - in senso fortemente innovativo rispetto al passato - si prescrive che, «in ogni caso», colui che ha eseguito opere nell'unità immobiliare di sua proprietà debba dare «preventiva notizia all'amministratore, che ne riferisce all'assemblea» (in questa prospettiva, non basta una lettera all'amministratore in cui si comunichi genericamente la prossima realizzazione di lavori di rifacimento dell'appartamento).

In evidenza

Il capoverso in esame esordisce con la locuzione «in ogni caso», la quale, se correttamente interpretata in combinato disposto con il comma precedente, va intesa nel senso che tale informativa è dovuta dal condomino comunque, e non soltanto allorché le opere realizzate nel proprio appartamento possano coinvolgere, in qualche modo potenzialmente negativo, gli interessi e le esigenze della collettività condominiale (danno alle parti comuni o pregiudizio alla statica/sicurezza/decoro dell'edificio).

In parole semplici, il condomino deve sempre notiziare l'amministratore di ciò che intende realizzare, anche quando i lavori risultino circoscritti nell'àmbito della propria unità abitativa e lo stesso condomino reputi che, nemmeno indirettamente e minimamente, possano pregiudicare i beni comuni (pur se soggetti, sotto il profilo amministrativo, alla S.C.I.A, ossia Segnalazione Certificata di Inizio Attività, che è la dichiarazione con cui il proprietario segnala al Comune che inizierà determinate opere edilizie di ristrutturazione del proprio immobile).

I possibili scenari

Si conviene che la norma risulta priva di ogni sanzione, in quanto si contempla un mero onere di comunicazione da parte del singolo nei confronti dell'amministratore, il quale, a sua volta, è tenuto esclusivamente ad informarne l'assemblea, e peraltro non vengono nemmeno specificati quali poteri competano al massimo organismo gestorio eventualmente convocato per tale incombente.

Innanzitutto, la notizia, da parte del condomino, deve essere «preventiva», ossia deve avvenire - non «a cose fatte», bensì - prima di dar corso alla realizzazione delle opere, restando inteso che lo stesso partecipante non deve aspettare che l'amministratore si attivi nel senso delineato dal Legislatore; va escluso, quindi, che l'iniziativa del rappresentante del condominio operi come una sorta di condizione di procedibilità all'esecuzione dei lavori da parte del singolo, né quest'ultimo è tenuto a corredare la sua comunicazione con una relazione peritale che specifichi tecnicamente le modifiche da apportare (di diverso tenore si presenta il comma 3 dell'art. 1122-bis c.c. che, riguardo alla realizzazione di impianti non centralizzati di ricezione radiotelevisiva e di produzione di energia da fonti rinnovabili, qualora tali iniziative provochino necessarie modificazioni delle parti comuni dell'edificio, richiede che «l'interessato ne dà comunicazione all'amministratore indicando il contenuto specifico e le modalità di esecuzione degli interventi»).

In secondo luogo, stando al tenore letterale della norma in commento, l'amministratore deve riferire «all'assemblea», e non ai condomini, precludendo che lo scopo dell'informativa sia raggiunto, ad esempio, mediante una lettera circolare fatta «girare» dal portiere tra gli abitanti dello stabile o attraverso un avviso affisso nella bacheca posta nell'androne dello stabile.

In questa prospettiva, l'eventuale giudizio negativo dell'assemblea sull'esecuzione delle opere non è vincolante per il condomino, il quale potrebbe comunque dar corso materiale alle sue intenzioni, salvo eventualmente impugnare la delibera per eccesso di potere, chiedendo, al contempo ed in via prudenziale, al giudice l'accertamento del suo diritto alla medesima esecuzione.

A questo punto, però, si pone un dubbio in capo all'amministratore, nel senso di come comportarsi correttamente, anche al fine di andare esente da responsabilità.

L'amministratore, infatti, non dovrebbe convocare un'assemblea ad hoc, con all'ordine del giorno le opere che sta realizzando il condomino all'interno del suo appartamento, perché l'assemblea non può statuire nulla in proposito, atteso che la «competenza» dell'organismo gestorio è limitata alle parti comuni dell'edificio (in pratica, il relativo punto dell'o.d.g. non può avere mai la dicitura: «lavori eseguiti dal proprietario dell'int. 7: delibere in merito»).

Peraltro, potrebbe accadere che la convocata riunione vada deserta perché a nessuno interessi che tale proprietario, ad esempio, sta per spostare il tramezzo del salone, intendendo allargare la camera dei ragazzi; al massimo, l'amministratore potrebbe inserire tale argomento, in un'assemblea già fissata, tra le «varie ed eventuali», deputate appunto a meri scopi informativi e mai decisori, e l'assemblea si limiti a prenderne atto.

Le responsabilità dell'amministratore

Potrebbe, però, succedere - e non è fantascienza, ma purtroppo fatto di cronaca - che l'amministratore rinvii l'adempimento del suo onere informativo alla «prima utile», ossia all'assemblea convocata alla fine della sua gestione per l'approvazione del rendiconto, e, nel frattempo, il fabbricato crolli o, comunque, quello che l'amministratore medesimo credeva fosse, tutto sommato, un'inoffensiva modifica del locale seminterrato adibito a palestra, in realtà aveva intaccato le strutture portanti dell'edificio.

Ecco, quindi, che si carica l'amministratore di una rilevante responsabilità perché, doverosamente notiziato dal condomino, non ha tempestivamente informato l'assemblea, che avrebbe potuto adottare le opportune decisioni, fermo restando il potere, in capo al primo ed a prescindere da una delibera autorizzatoria della seconda, di «compiere gli atti conservativi relativi alle parti comuni dell'edificio», come disposto ora dal nuovo n. 4) dell'art. 1130 c.c.

D'altronde, l'originaria versione, nelle attribuzioni dell'amministratore, contemplava quella di «compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio», e la modifica da parte del Legislatore del 2012 deve intendersi nel senso che lo stesso amministratore, anche ai sensi del combinato disposto con l'(invariato) art. 1131 c.c., sia legittimato, senza necessità di una specifica delibera assembleare, ad agire in giudizio, nei confronti dei singoli condomini (oltre che dei terzi), per compiere atti conservativi a tutela della sicurezza delle parti comuni dell'edificio, pure richiedendo le necessarie misure cautelari, e ciò indipendentemente dal sorgere di un pericolo concreto ed attuale di crollo, in quanto la ridotta sicurezza del fabbricato rappresenta causa di deprezzamento del medesimo; in altri termini, il vecchio testo sembrava quasi limitare la legittimazione dell'amministratore all'esercizio di attività di matrice prettamente giudiziale, mentre il nuovo appare ampliare le facoltà di ordinario mancipio dell'amministratore volte alla conservazione delle parti comuni dell'edificio, trascendendo gli originari limiti e permettendo l'espletamento di tutte quelle attività funzionali a preservare, nella loro materiale integrità, le medesime parti.

Il registro dell'anagrafe condominiale

A ciò si correlava, altresì, il nuovo n. 6) dell'art. 1130 c.c. il quale, all'interno della c.d. anagrafe condominiale che doveva curare l'amministratore - e la cui inottemperanza poteva essere causa di revoca giudiziale ex art. 1129, comma 12, n. 7), c.c. - faceva rientrare anche «ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza» di ciascuna unità immobiliare.

Invero, venuto meno quello che doveva essere, e non è più stato, nel testo definitivo della Riforma, l'art. 1122-bis c.c., che avrebbe conferito all'amministratore ampi poteri e correlate responsabilità per la tutela della sicurezza nelle unità immobiliari di proprietà individuale, i dati concernenti il singolo condomino potevano comunque considerarsi pertinenti e necessari rispetto allo svolgimento delle attività di gestione condominiale, almeno al fine del rispetto dei limiti imposti dagli artt. 1120, comma 4, e 1102 c.c., nel senso che ciascun condomino poteva servirsi della sua porzione di proprietà esclusiva, a condizione, fra l'altro, che non pregiudicasse la stabilità e la sicurezza dell'edificio.

Si segnala, al riguardo, che il testo originario dello stesso art. 1122 c.c. - non confermato nell'ultimo passaggio parlamentare, che prevedeva, altresì, il potere di accesso dell'amministratore nelle unità immobiliari esclusive, la nomina di un tecnico, la convocazione senza indugio dell'assemblea, il ricorso al tribunale per gli opportuni provvedimenti cautelari e d'urgenza, il regime delle spese, i profili risarcitori, ecc. - contemplava formalità comunicative più puntuali, perché consentiva all'amministratore medesimo di adire il magistrato qualora il condomino esecutore avesse omesso di fornire dettagliate informazioni sul contenuto specifico e sulle modalità di esecuzione dei realizzandi interventi, e ciò, peraltro, trovava la sua giustificazione poiché, a differenza delle opere eseguite sulle cose e sugli impianti comuni, tali interventi risultavano poco visibili all'esterno.

Quanto sopra - ovviamente - prescindeva dall'eventuale esistenza di obblighi comunicativi del singolo e correlati nulla-osta dell'amministratore o dell'assembla prescritti nel regolamento di condominio, senza escludere che l'eventualità di una sanzione pecuniaria, ai sensi del novellato art. 70 disp. att. c.c., qualora il condomino, inottemperando ad una precisa disposizione del suddetto regolamento, non comunicava all'amministratore la realizzazione di quanto stava per eseguire all'interno del suo appartamento.

Sul punto, la situazione è cambiata a seguito dell'entrata in vigore del decreto-legge c.d. destinazione Italia, ossia il d.l. 23 dicembre 2013, n. 145 - convertito nella l. 21 febbraio 2014, n. 9 - il quale, all'art. 1130, comma 1, n. 6), c.c., dopo le parole: «nonché ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza», ha inserito le seguenti: «delle parti comuni dell'edificio»; in pratica, per quanto concerne la c.d. anagrafe condominiale, i dati relativi alle condizioni di sicurezza da inserire in essa solo quelli relativi alle parti comuni dell'edificio di cui all'art. 1117 c.c., evitando così che la formulazione normativa previgente, nella sua genericità, potesse dar luogo ad intromissioni nelle proprietà individuali, anche quando le attività ivi realizzate non interferissero in alcun modo con la tutela delle strutture essenziali e comuni dell'edificio.

La sicurezza dell'unità immobiliare

In concreto, non saranno più indispensabili le dichiarazioni emesse dai singoli condomini sulle condizioni di sicurezza delle loro unità immobiliari, e la modifica non è di poco conto, considerando che, fino al 23 dicembre 2013, sia i condomini che gli amministratori, in base alla precedente norma, erano stati chiamati a svolgere un'attività particolarmente complicata, piena di difficoltà operative e fonte di possibili responsabilità; l'amministratore doveva, infatti, richiedere ai condomini - e questi ultimi erano tenuti conseguentemente a fornirgli - i dati relativi ai propri impianti o, addirittura, doveva essere rispettivamente richiesta e inviata la (dettagliata e aggiornata) documentazione afferente a tali dati.

Ad ogni buon conto, la nuova regola di condotta informativa da parte del singolo sembra configurare, però, una sorta di controllo ex post da parte degli organi amministrativo e deliberativo, che si aggiunge agli ordinari poteri di vigilanza e correlativo intervento per la manutenzione dell'integrità lato sensu dello stabile: ogni iniziativa edilizia compiuta all'interno del proprio appartamento, che prima poteva contare sulla distrazione o sull'indifferenza dei condomini, registra ora, a seguito della prescritta comunicazione, un maggiore coinvolgimento dell'amministratore, prima, e dell'assemblea, poi, che non potranno più trincerarsi, quando succede qualcosa di grave per il fabbricato, nel classico «non ne sapevo nulla».

Non si nasconde, tuttavia, da un lato, che, dall'entrata in vigore della Riforma del 2013, sarà estremamente arduo per un amministratore, che gestisce numerosi condominii, selezionare le varie comunicazioni che gli arrivano da chi, a vario titolo, intraprende attività edilizie nel proprio appartamento e, poi, valutare le opportune iniziative (mere informative, diffide, atti conservativi, tutele giudiziarie in via d'urgenza, e quant'altro); dall'altro lato, facendo emergere tali opere all'esterno, in passato circoscritte all'unità abitativa di proprietà esclusiva, si rischia fortemente di suscitare invidie o gelosie e, comunque, di indurre a condotte strumentali - ben note a chi vive nelle compagini condominiali - ispirate a curiosità morbose e non rispettose delle giuste esigenze di privacy del singolo partecipante.

Casistica

CASISTICA

Recinzione con struttura a box

Il condomino ha la facoltà di recintare, anche con una struttura a box, lo spazio, di proprietà esclusiva, destinato a parcheggio di un autoveicolo, ancorché sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, purché a ciò non osti l'atto di acquisto o il regolamento condominiale, avente efficacia contrattuale, e non ne derivi un danno alle parti comuni dell'edificio, ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dell'autorimessa (Cass. civ., sez. II, 16 dicembre 2014, n. 26426).

Lesione del decoro architettonico

Non lede il decoro architettonico del caseggiato il condomino che ricorre solo ad opere interne senza variazione del volume nel locale originario e, quindi, senza alterare esternamente l'edificio condominiale; nemmeno rileva, ai fini del decoro architettonico, l'apposizione di tendaggi e stracci sul terrazzo dell'edificio, senza nessuna compromissione per l'accesso al lastrico solare di proprietà condominiale (Cass. civ., sez. VI/II, 30 gennaio 2012, n. 1326).

Danneggiamento di porzioni di proprietà esclusiva

Il proprietario di un appartamento sito in un edificio condominiale non può eseguire nella sua proprietà esclusiva opere che, in contrasto con quanto stabilito dalla norma dell'art. 1122 c.c., rechino danno alle parti comuni dell'edificio stesso, né, a maggior ragione, opere che attraverso l'utilizzazione delle cose comuni, danneggino le parti di un'unità immobiliare di proprietà esclusiva di un altro condomino (Cass. civ., sez. II, 11 luglio 2011, n. 15186).

Mutamento di destinazione del parcheggio

In mancanza di norme limitative della destinazione e dell'uso delle porzioni immobiliari di proprietà esclusiva di un edificio condominiale, derivanti dal regolamento che sia stato approvato da tutti i condomini, la norma dell'art. 1122 c.c. non vieta di mutare la semplice destinazione della proprietà esclusiva ad un uso piuttosto che ad un altro, purché non siano compiute opere che possano danneggiare lo parti comuni dell'edificio o che rechino altrimenti pregiudizio alla proprietà comune (nella specie, si è confermata la sentenza di merito la quale aveva ritenuto che l'uso dell'area scoperta antistante il fabbricato, destinata a parcheggio, dovesse avvenire in modo da lasciare agli attori lo spazio per le manovre di ingresso e regresso in relazione ai loro magazzini, non assumendo rilievo in contrario il mutamento di destinazione a garage operato dagli stessi attori) (Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2011, n. 22428).

Trascrizione della domanda giudiziale

In tema di condominio negli edifici, il divieto, sancito dall'art. 1122 c.c., di eseguire, nelle porzioni di proprietà individuale, opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio, comporta una limitazione di fonte legale intrinseca alle singole unità immobiliari, assimilabile ad un'obbligazione propter rem, cui corrisponde, dal lato attivo, una situazione giuridica soggettiva che non ha natura di diritto reale di godimento su cosa altrui; ne consegue che non occorre che la domanda diretta ad ottenere la relativa tutela venga trascritta, agli effetti indicati dall'art. 2653 c.c. (nella specie, si è confermata la sentenza di merito, la quale aveva escluso la necessità della trascrizione della domanda giudiziale di riduzione in pristino di un'unità abitativa realizzata in uno spazio di proprietà comune, ai fini dell'opponibilità della pronunziata sentenza all'avente causa dell'originario convenuto) (Cass. civ., sez. II, 29 febbraio 2012, n. 3123).

Guida all'approfondimento

Bordolli, Le opere sulle parti esclusive, in Consul. immob., 2012, fasc. 920, 2178;

De Tilla, Individuazione dei limiti condominiali all'uso della proprietà esclusiva, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 2, 14;

Celeste, Responsabilità e convivenza nel condominio, Milano, 2003, 71;

Vincenti, Norme giuridiche e tolleranza civile: per una nuova cultura del vivere insieme, in Arch. loc. e cond., 2001, 507;

Corona, La disciplina della convivenza e il godimento delle unità immobiliari in proprietà esclusiva nell'edificio in condominio, in Riv. giur. sarda, 1997, 539;

Basile, Regime condominiale ed esigenze abitative. Contributo alla revisione del condominio negli edifici, Milano, 1979, 217;

Alvino, Limiti nell'interesse comune all'esercizio del diritto da parte del condomino sulla cosa di sua esclusiva proprietà, in Giust. civ., 1976, I, 1140.

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