Atti processuali digitali delle parti (PAT)

Veronica Varone
26 Maggio 2020

L'art. 9, comma 1 del Regolamento è la disposizione tecnico-regolamentare che vivifica e, quindi, rende concretamente praticabile il portato (ex se rivoluzionario) dell'art. 136, comma 2-bis c.p.a., subordinando l'accesso alla giustizia amministrativa degli atti (di “qualsiasi atto processuale”) all'assunzione di una veste “digitale”.
Inquadramento

Il processo amministrativo tradizionalmente inteso, incentrato sullo “scambio” di produzioni documentali, tra non molto cederà il posto ad un processo amministrativo telematico in senso stretto con l'emanazione del d.P.C.M. 16 febbraio 2016, n. 40 recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico.

Il d.P.C.M. in oggetto non può essere letto isolatamente in quanto trova suoi immediati precursori:

  • nell'art. 136, comma 2 c.p.a. sulle copie informatiche degli atti depositati in formato cartaceo;
  • nell'art. 13 dell'Allegato n. 2 intitolato al “Processo telematico”, che rinvia ad un d.P.C.M. di futura adozione per le regole tecniche sul processo telematico (quello che oggi, a sei anni di distanza dalla previsione, è, appunto, il d.P.C.M. n. 40/2016);
  • nell'art. 136, comma 2-bis c.p.a., sebbene integrato in un secondo momento nel tessuto codicistico, sulla cui attuazione si gioca la partita decisiva per la realizzazione del processo telematico.

L'informatizzazione realizzata con il Codice del processo amministrativo, e in particolare con l'art. 136, comma 2, c.p.a., è stata soltanto parziale in quanto i documenti informatici di cui si parla sono unicamente “copia” di quelli, cartacei, già depositati al Tar o al Consiglio di Stato (a sua volta, in originale e in copie). Proprio in quanto non viene in rilievo un documento realizzato in forma digitale ma soltanto un duplicato informatico di un documento cartaceo, il difensore è obbligato ad attestare la conformità del contenuto della versione elettronica a quella cartacea.

L'atto processuale digitale

L'emanazione del “Regolamento recante le regole tecnico-operative per l'attuazione del processo amministrativo telematico” (detto, appunto, PAT) cui rinvia l'art. 13 delle Norme attuative c.p.a. è il presupposto affinché l'art. 136, comma 2-bis c.p.a. sulla sottoscrizione con firma digitale di tutti gli atti processuali venga attuato e non resti lettera morta: solo nell'ambito di una cornice processuale rigorosamente definita in senso tecnico è possibile che trovi spazio l'atto processuale digitale. Questo perché l'atto digitale non è semplicemente un atto formato con strumenti informatici, ma è proprio l'esercizio in via telematica della funzione giurisdizionale, in tutte le sue manifestazioni.

L'obiettivo principale da raggiungere con l'entrata in vigore del “processo amministrativo telematico” infatti risiede nell'attribuire al flusso documentale digitale un “valore sostitutivo” ad ogni effetto legale, della documentazione cartacea e delle trasmissioni “a mani”; soltanto in questo modo l'informatizzazione è in grado di svolgere il suo vero ruolo di strumento evolutivo, e non di orpello aggiuntivo alle procedure tradizionali.

Prima di esaminare puntualmente le disposizioni sulla redazione e il formato degli atti processuali delle parti e degli organi ausiliari del giudice contenute nelle norme tecniche di cui allo Schema di regolamento citato, occorre procedere con il metodo applicato in precedenza, vale a dire ricercare la legge di copertura.

Questa volta la fonte attributiva del valore legale al documento processuale non ha una matrice processuale, trattandosi invero di norme di diritto sostanziale.

La prima fonte con cui si è provveduto a definire i concetti di “documento informatico” e di “firma digitale” è stata la l. 15 marzo 1997 n. 59 (art. 15, comma 2) a cui ha fatto immediatamente seguito il d.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 (art. 1, lett. a) che ha definito i concetti di documento informatico e di firma digitale.

Il “documento informatico” è, in quella sede, definito come rappresentazione giuridica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, mentre la “firma digitale” è la sottoscrizione in forma virtuale del documento, quale risultante di una procedura informativa di validazione basata su un sistema di chiavi asimmetriche a coppia, una pubblica e l'altra privata, che consente al sottoscrittore tramite la chiave privata e al destinatario tramite la chiave pubblica di comprendere e verificare la provenienza e l'integrità del documento informatico.

Il d.P.R. n. 513/1997, peraltro, per la prima volta, oltre a definire il concetto di documento informatico digitalmente sottoscritto ha avuto il pregio di sancire formalmente l'equipollenza di un documento formato con strumenti informatici ad un documento formato con i tradizionali strumenti cartacei «a tutti gli effetti di legge».

Tuttavia con l'entrata in vigore di un atto avente forza di legge, e precisamente il d.lgs. 7 marzo 2005 n. 82, il cd. Codice dell'amministrazione digitale (cd. CAD) si è perfezionato sia il concetto di “documento amministrativo informatico”, cioè dell'«atto formato dalle pubbliche amministrazioni con strumenti informatici» (art. 23-ter), che di firma digitale distinta sia dalla firma elettronica “avanzata” che da quella “qualificata”. La diffusione di questi strumenti rappresenta un “diritto” dei cittadini e delle imprese che ha ad oggetto «l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni, con i soggetti di cui all'art. 2, comma 2 (vale a dire le pubbliche amministrazioni di cui all'art. 1, comma 2, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165, nonché le società interamente partecipate da enti pubblici o con prevalente capitale pubblico inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione e individuate dall'ISTAT) e con i gestori di pubblici servizi ai sensi di quanto previsto dal presente codice».

Nell'ambito di tale cornice di principi, come si è anticipato, il legislatore del 2012, forte dell'equiparazione giuridica del documento informatico a quello tradizionale e alla luce delle applicazioni dello strumento della firma digitale, ha introdotto, all'art. 136, comma 2-bis, nel nostro ordinamento il (rivoluzionario) concetto di “atto processuale digitale”.

L'atto processuale digitale si differenzia sia dalla copia informatica dell'atto di cui all'art. 136 comma 2, c.p.a., che dall'atto sottoscritto con firma digitale quale strumento di trasmissione della copia informatica del documento analogico. Si tratta infatti di qualcosa di molto più dirompente: è una vera e propria “natività digitale”, ovvero sia gli atti di parte che i provvedimenti del giudice, nonché tutte le attività processuali conseguenti sono redatti direttamente e successivamente pubblicati sul sito web della pubblica amministrazione, previa “sottoscrizione digitale”. Il documento, in altre parole, viene ad esistere e a produrre effetti giuridici solo a partire dal momento in cui venga sottoscritto digitalmente.

L'atto processuale digitale è, dunque, un “documento informatico sottoscritto con firma digitale”. Il documento informatico” è «la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti» (art. 1, comma 1, lett. m), del Regolamento) che, ai sensi dell'art. 20 CAD, è idoneo «a soddisfare il requisito della forma scritta» e, quando è sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata o digitale, «ha l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c.» (art. 2 CAD). Le regole tecniche in materia di formazione e conservazione dei documenti informatici sono previste dal d.P.C.M. 3 dicembre 2013 e dal d.P.C.M. 13 novembre 2014.

La “firma digitale” di cui trattasi è quella codificata per la prima volta con il d.P.R. n. 513/1997, ovvero «la firma elettronica basata su un certificato qualificato e un sistema di chiavi crittografiche, una pubblica e l'altra privata, correlate tra loro, in guisa che il titolare tramite la chiave privata ed il destinatario tramite la chiave pubblica possano verificare la provenienza e l'integrità di un documento informatico o di un insieme di documenti informatici» e segue le regole tecniche di cui al d.P.C.M. 22 febbraio 2013 (art. 1, lett. i), del Regolamento).

Detta firma, «deve riferirsi in maniera univoca ad un solo soggetto ed al documento o all'insieme di documenti cui è apposta o associata» (art. 24, comma 1, CAD) ed «integra e sostituisce l'apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi di qualsiasi genere ad ogni fine previsto dalla normativa vigente» (art. 24, comma 2, CAD).

La redazione degli atti processuali digitali delle parti

Con specifico riguardo al tema delle modalità di redazione degli atti processuali delle parti, le norme del d.P.C.M. n. 40/2016 sono contenute all'art. 9 del Regolamento e puntualizzate agli artt. 69 dell'All. A) delle Specifiche tecniche.

L'art. 9, comma 1 del Regolamento è la disposizione tecnico-regolamentare che vivifica e, quindi, rende concretamente praticabile il portato (ex se rivoluzionario) dell'art. 136, comma 2-bis c.p.a., subordinando l'accesso alla giustizia amministrativa degli atti (di “qualsiasi atto processuale”) all'assunzione di una veste “digitale”.

Il carattere digitale dell'atto è indisponibile dalle parti, trattandosi di una norma imperativa derogabile solo «salva diversa previsione», da intendersi come diversa previsione regolamentare (si pensi a tal proposito alle eccezioni previste dallo stesso art. 9, ai commi 8 e 9), sebbene in astratto la legge sia legittimata (in futuro) a fissare ulteriori “clausole di salvezza”.

Tutti gli atti processuali delle parti debbono avere carattere digitale e, cioè, debbono essere redatti in formato di “documento informatico” e sottoscritti con firma digitale” del difensore. L'art. 9 d.P.C.M. indica espressamente il ricorso introduttivo, le memorie, i motivi aggiunti ma conclude con una clausola aperta comprensiva di «qualsiasi altro atto del processo».

Il deposito in via telematica degli atti processuali digitali delle parti

L'atto processuale così formato è depositato “esclusivamente” in via telematica (art. 9, comma 2 del Regolamento) utilizzando i moduli scaricabili sul sito web istituzionale della giustizia amministrativa, da compilare con le indicazioni ivi rese disponibili e distinti in ModuloDepositoRicorso ovvero ModuloDepositoAttoa seconda dell'atto processuale che viene di volta in volta in rilievo (nel primo caso il ricorso introduttivo e i relativi allegati e, nel secondo caso, tutti gli atti successivi al ricorso introduttivo e i relativi allegati, art. 6, comma 1, Specifiche tecniche).

La parte invia l'atto o il documento mediante la PEC del difensore ovvero, nei casi in cui è autorizzata a stare in giudizio personalmente, tramite la propria PEC (art. 7, comma 2 e 9, comma 3, delle Specifiche tecniche). A sua volta, l'Avvocatura delloStato provvede al deposito in via telematica degli atti digitali “con modalità di cooperazione applicativa” (art. 6 comma 9 delle Specifiche tecniche). Per cooperazione operativasi intende la capacità di uno o più sistemi informativi di avvalersi, ciascuno nella propria logica applicativa, dell'interscambio automatico di informazioni con gli altri sistemi, per le proprie finalità applicative.

Le uniche eccezioni alla regola generale del deposito in via telematica dell'atto processuale digitale sono previste ai commi 8 e 9 dell'art. 9 del Regolamento e attengono alle ipotesi in cui ricorrano «specifiche e motivate ragioni tecniche»(comma 8) ovvero un' «oggettiva impossibilità di funzionamento del

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» (comma 9).

Le fattispecie sono accomunate dal fatto che rivestono un carattere eccezionale, attenendo ambedue all'ipotesi di imprevisto tecnologico, che può riguardare il sistema di una delle parti o, addirittura, l'intero

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. La disciplina però si differenzia.

Nel primo caso, qualora cioè si verifichi un problema tecnico (“specifico” e “motivato”), il giudice può ordinare o autorizzare il deposito di singoli atti o documenti su copia cartacea (ai sensi dell'art. 5, norme tecniche att. c.p.a) ovvero su supporto informatico (art. 136, comma 2, c.p.a.) o ancora su diverso supporto. Il giudice, pertanto, ha facoltà di individuare il mezzo sostitutivo, sebbene chiaramente la scelta sarà condizionata dal tipo di problema tecnico verificatosi.

Nel secondo caso, invece, ancor più “grave” (e dunque ancor più eccezionale) il problema tecnico riguarda proprio il

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l'atto deve essere sempre depositato dalla parte con strumenti cartacei.

Pertanto, ogni qualvolta ricorra un deposito cartaceo (perché non funziona il

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a norma del comma 9 o perché il giudice ha così disposto a fronte della natura del problema tecnico verificatosi, ai sensi del comma 8) gli atti e i documenti depositati in formato cartaceo sono poi acquisiti dalla Segreteria dell'Ufficio giudiziario che, lungi dal lasciare circolare versioni solo cartacee di quanto depositato, rimedia alle falle sistemiche effettuando copia informatica dell'atto o del documento, che verrà poi inserita nel fascicolo informatico previa apposizione di firma digitale.

Nell'ulteriormente eccezionale ipotesi in cui, per ragioni tecniche ostative, non sia realizzabile neppure ciò, e quindi gli atti depositati in formato cartaceo non siano duplicabili in formato informatico, allora solo in questo caso verranno raccolti e conservati in un fascicolo cartaceo che riporti gli elementi identificativi del procedimento (comma 10). Tale fascicolo formerà parte integrante del fascicolo informatico del giudice.

L'architettura informatica, infatti, per quanto ben strutturata presta sempre il fianco a rischi di stalli sistemici o di problemi tecnici, ragion per cui il decreto ha escogitato dei piani b.

Il deposito tramite PEC e tramite upload

Tale deposito in via telematica avviene, in linea generale, a mezzo di posta elettronica certificata (PEC) ai sensi dell'art. 9, comma 3 del Regolamento e dell'art. 7 delle Specifiche tecniche. Solo in due casi particolari il Regolamento consente che l'atto non sia consegnato via PEC bensì mediante upload, ovvero caricamento diretto sul sito istituzionale. Si tratta dei casi in cui per “ragioni tecniche” (e dunque difetto di funzionamento della PEC del destinatario o del mittente) oppure per la dimensione del documentonon è possibile utilizzare la PEC (art. 9, commi 5 e 6 del Regolamento e art. 8 delle Specifiche tecniche).

Il primo caso è di intuitiva evidenza e non reca problemi: a fronte dei problemi tecnici che attengono alla PEC della parte o del destinatario non è possibile recapitare il messaggio e quindi trasmettere l'atto in via telematica.

Nel secondo caso, invece, trattandosi di un invio fallito a fronte di un documento eccessivamente “ampio” (in termini di spazio in memoria) si prospettano più alternative.

La dimensione massima è fissata dall'art. 6, comma 8 delle Specifiche tecniche in “30 MG”.

Quando il messaggio di PEC eccede la dimensione massima si può procedere ad un invio multiplo (o frazionato) in più messaggi di posta elettronica (art. 9, comma 5 del Regolamento) ovvero al caricamento mediante upload sul sito web di giustizia amministrativa (art. 9, comma 6).

Occorre tuttavia svolgere a tal proposito una considerazione, sollecitata dalle osservazioni presentate dall'Associazione veneta degli avvocati amministrativisti. Non è dato comprendere se, a fronte di un messaggio eccessivamente corposo (per “dimensione del documento”) sia rimessa alla scelta della parte se procedere con invio di più PEC o via upload ovvero la seconda strada (quella dell'upload) sia percorribile solo nell'ipotesi di fallimento o incertezza nella riuscita della prima strada. La formulazione della disposizione, per questo profilo, è ambigua in quanto l'eccesso di dimensione massima si pone al tempo stesso quale presupposto sia della PEC multipla che del deposito tramite upload, lasciando più di un'incertezza all'interprete, che si auspica venga risolta dalla pratica o per mezzo di un'interpretazione autentica chiarificatrice. Dall'obbligo imposto all'avvocato dall'art. 8, comma 2 delle specifiche tecniche, di indicare le ragioni che hanno impedito il deposito mediante PEC e digitare il codice identificativo del messaggio di mancato deposito. sembrerebbe desumersi che sia sempre necessario il tentativo di invio via PEC per avere a disposizione il codice inviato in riposta con il messaggio di mancato deposito; probabilmente anche quando vi è si sa che il documento supera i 30 MB).

La tempestività del deposito

Nel momento in cui al deposito mediante consegna a mani del documento o dell'atto si sostituisce un deposito esclusivamente telematico si pone più di un dubbio circa il momento in cui quest'ultimo possa dirsi “tempestivamente” effettuato.

A tal proposito viene in gioco la disciplina posta dall'art. 9, commi 3, 4, 5 e 6 del Regolamento, parzialmente modificata rispetto all' originaria formulazione per effetto dei pareri dell'Agenzia per l'Italia digitale, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa e del Garante della privacy. Viene considerato “termine finale” per il deposito le 24 ore del giorno di scadenza dell'atto processuale. Ne consegue se, come da regola generale, il deposito è effettuato via PEC allora è tempestivo se nel termine finale, ovvero entro le 24 ore del giorno di scadenza, sia generata la ricevuta di avvenuta accettazione. Peraltro, qualora al mittente dovesse giungere il messaggio di mancata consegna della PEC si può, sempre nello stesso termine, provvedere a reiterare il medesimo messaggio. In quest'ultimo caso, qualora il termine sia decorso e sempre che la mancata consegna sia dipesa da cause non imputabili al mittente, ai fini della rimessione in termini da parte del giudice deve essere allegato il messaggio di mancata consegna unitamente alla ricevuta di avvenuta accettazione generata tempestivamente. Ne consegue che, ragionando a contrario, la situazione fisiologica è la seguente: una volta che l'avvocato ha inviato la PEC, egli riceverà un messaggio di “avvenuta accettazione” della PEC di deposito, con indicazione di data e ora di accettazione, da parte del proprio gestore (art. 7 comma 3, Specifiche tecniche); un messaggio di “avvenuta consegna” della PEC di deposito, da parte del gestore dell'Amministrazione (art. 7, comma 3, Specifiche tecniche); infine, entro le ore 24.00 del giorno lavorativo successivo al messaggio di avvenuta consegna, un messaggio di “registrazione deposito”, che riporta anche l'indicazione del numero di protocollo assegnato e l'elenco di tutti gli atti e documenti trasmessi (art. 7, comma 4 Specifiche tecniche).

Alla luce dei tre messaggi che il mittente deve ricevere, il giudizio sulla tempestività del deposito è così strutturato: ai sensi dell'art. 9 comma 3 del Regolamento il deposito effettuato mediante PEC è tempestivo se entro le ore 24 del giorno di scadenza è generata la ricevuta di avvenuta accettazione, purché, tuttavia, il deposito risulti andato a buon fine successivamente (ovvero giunga la terza comunicazione, di avvenuta registrazione del deposito). Tuttavia, come chiarisce l'art. 7 comma 5 delle Specifiche tecniche, una volta ricevuto il messaggio di “registrazione deposito” (ossia, il terzo), il deposito si considera effettuato nel momento in cui è stata generata la ricevuta di accettazione della PEC (ossia, il primo messaggio).

Il d.P.C.M. n. 40/2016 ha anche pensato all'ipotesi in cui il c.p.a. preveda il deposito di atti e documenti fino al giorno prima della trattazione della domanda in camera di consiglio: in questo caso il deposito, da effettuarsi con modalità telematiche, deve avvenire entro le ore 12.00 dell'ultimo giorno consentito (art. 9, comma 4).

Nell'ipotesi di PEC frazionata, poc'anzi analizzata, la procedura è completata (e dunque il deposito è eseguito) quando è completato con generazione della ricevuta di accettazione entro le 24 ore del giorno di scadenza.

Infine, nel caso di deposito tramite upload, ai fini del rispetto dei termini il deposito si considera perfezionato con la registrazione degli atti o dei documenti ad opera del SIGA.

I destinatari

Come già d'uso anche prima della predisposizione del Regolamento in questione (sebbene, in quel caso, allo scopo di rendere applicabile l'art. 136, comma 2, c.p.a.), gli indirizzi PEC degli uffici giudiziari a cui inviare gli atti processuali digitali sono pubblicati sul portale istituzionale della giustizia amministrativa (art. 9, comma 10 del Regolamento).

Il formato degli atti processuali delle parti

Il d.P.C.M. non dedica un'approfondita disamina al formato degli atti processuali. Tale omissione, tuttavia, non costituisce una lacuna trattandosi di un profilo che è comunque consequenziale a quello della redazione e, dunque, del deposito degli atti. Il formato è la diretta conseguenza di un atto nato digitale e trasmesso in via telematica.

Infatti, la norma dedicata al “formato”, cioè l'art. 11 d.P.C.M. n. 40/2016 rinvia all'art. 19 che, a sua volta, effettua un “rinvio generale” alle specifiche tecniche. La tecnica adoperata è, dunque, quella del doppio rinvio, come si evince dalla tabella riportata.

Le Specifiche tecniche impongono rigidi vincoli di forma agli atti processuali trasmissibili nell'ambito di quel complesso sistema informativo della giustizia amministrativa che è il

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e ciò al fine di preservarne e garantirne la funzionalità. I formati indicati dall'art. 12 delle Specifiche tecniche, a loro volta, «non possono contenere restrizioni al loro utilizzo per selezione e copia integrale o parziale» (comma 2).

I formati prescritti per gli atti del processo sono i seguenti:

a) PDF ottenuto da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti. Non è ammessa la scansione di copia per immagine, fatta eccezione per gli atti di cui ai successivi commi 3 e 4;

b) testo piano senza formattazione (estensione TXT);

c) testo formattato (estensione RTF);

d) archivio compresso WinZip (estensione zip) o WinRAR (estensione rar) (art. 12, comma 1, Specifiche tecniche).

I formati dei documenti allegati e la procura alle liti sono invece:

a) PDF ottenuto da trasformazione di un documento testuale, senza restrizioni per le operazioni di selezione e copia parti;

b) testo piano senza formattazione (estensione TXT);

c) Extended Markup Language (estensione xml);

d) Immagini (estensioni: jpg, jpeg, gif, tiff,tif);

e) messaggi di posta (estensioni: eml, msg), purché contenenti i file nei formati di cui alle lettere precedenti;

f) archivio compresso (estensione zip) o WinRAR (estensione rar), nei formati di cui alle lettere da a) a f) del presente comma (art. 12, comma 3, Specifiche tecniche).

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