Ancora in tema di riassunzione del processo. Il Tribunale di Potenza preferisce il telematico

Stefano Bogini
14 Luglio 2017

Il ricorso in riassunzione dà vita ad un nuovo procedimento? Le parte del giudizio sono considerate già costituite e soggette all'obbligo di deposito telematico?
Massima

Il ricorso in riassunzione si inserisce all'interno di un processo già instaurato, rispetto al quale le parti risultano costituite in precedenza ai sensi dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, pertanto, l'iscrizione a ruolo del relativo giudizio deve avvenire esclusivamente tramite deposito in forma telematica del relativo ricorso.

Il caso

Proposto ricorso contro un verbale di accertamento dell'INPS avanti a giudice territorialmente incompetente, il giudizio veniva riassunto con ricorso depositato in modalità cartacea/analogica avanti al Tribunale di Potenza, sezione lavoro. L'INPS eccepiva preliminarmente, fra l'altro, l'inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012. Preso atto che il ricorso non era stato depositato telematicamente, il Giudice ha pronunciato sentenza ex art. 281-sexies c.p.c., nei termini di cui alla massima sopra riportata.

La questione

Le questioni affrontate dalla sentenza sono due: a) se la riassunzione avanti al giudice dichiarato territorialmente competente dia vita ad un nuovo procedimento o se sia quello già introdotto, avanti al giudice dichiaratosi incompetente, che prosegue; b) se le parti del giudizio possano essere considerate già costituite e soggette all'obbligo del deposito telematico degli atti e dei documenti ai sensi dell'art. 16-bis d.l. n. 179/2012.

Le soluzioni giuridiche

Risolta univocamente la prima questione, nel senso che in ogni ipotesi di riassunzione, non si ha nuovo procedimento, ma quello precedente, già instaurato, prosegue (anche in ipotesi di incompetenza territoriale), la giurisprudenza di merito continua ad esprimersi in maniera antitetica sulla seconda, passando dall'indifferenza circa le modalità di deposito/iscrizione degli atti di riassunzione, alla dichiarazione di inammissibilità in caso di violazione della disposizione di cui all'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, che prescrive il deposito esclusivamente telematico alle parti già costituite. Espressione del primo orientamento sono le due pronunce del Tribunale di Perugia, 6 ottobre 2016 e 1 dicembre 2016 (v. S. Bogini, Forma e sostanza nella riassunzione del processo: in atomi o in bit, per il Trinunale di Perugia "sono pari, in www.ilProcessotelematico.it), mentre si ha notizia di una sentenza del Tribunale Benevento, 27 aprile 2017 n. 793 (v. Inammissibile la domanda di riassunzione non depositata telematica www.ilProcessotelematico.it), che si è attestata sull'orientamento più rigoroso, fatto proprio anche dalla sentenza in commento.

Osservazioni

A) L'avvio dell'uso «delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nel processo civile» (art. 4 d.l. n. 193/2009) ha dato modo di ribadire e consolidare il concetto per cui la fattispecie processuale della riassunzione non dà vita ad un nuovo processo, ma configura una fase di un procedimento già pendente, che prosegue, anche se avanti ad altro magistrato.

La giurisprudenza di legittimità aveva già chiarito un simile concetto (Cass. S.U. 10 ottobre 1992, n. 11065; Cass., 5 ottobre 1998, n. 9890; Cass. 20 aprile 2001, n. 5892; Cass. 27 ottobre 2011, n. 22436), ben prima che l'informatica e la telematica divenissero protagoniste della vita professionale degli operatori della giustizia.

Una delle conseguenze che ne derivano è che le parti del procedimento riassunto sono da considerare già costituite e, come tali, dal 30 giugno 2014, destinatarie della norma di cui all'art. 16-bis, comma 1, d.l. n. 179/2012.

B) Ancora una volta, il problema è quello di individuare le conseguenze derivanti dalla violazione di quella norma ed, in particolare, della prescrizione secondo cui : «il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche... ».

Né questa norma, né altre, prevedono conseguenze per l'ipotesi di violazione di questa prescrizione (trattasi di precetto imperfetto, perché non munito di sanzione processuale?), onde si tratta di verificare se l'avverbio “esclusivamente” utilizzato nella composizione del precetto legislativo, abbia un significato o ne sia privo.

È evidente che le decisioni che ammettono ogni modalità per la riassunzione ritengono quell'avverbio come un'inutile orpello privo di significato.

Diversamente, le decisioni che affermano l'inammissibilità di modalità diverse da quelle previste dalla norma in esame, mostrano di prendere sul serio le indicazioni ed i desiderata di un legislatore che, se non sempre impeccabile, sembra aver compiuto una scelta precisa a favore della digitalizzazione dei flussi procedurali, sia in termini di modalità di approccio ai servizi, sia in termini di archiviazione dei dati e dei documenti che vengono trasmessi.

Le mie personalissime osservazioni sono di piena e convinta adesione alla linea del rispetto di quanto voluto dal legislatore e della conseguenza della sanzionabilità dell'attività diversa da quella prescritta come “esclusiva”.

In ciò aderendo alle considerazioni (svolte da Rosario Russo, L' ultima sentenza sull'assegno di divorzio. Diagnosi e terapia. in www.judicium.it) secondo cui «anche i riti e le norme processuali vanno presi sul serio» e chi si rivolge alla tutela giurisdizionale deve conoscere le modalità con le quali questa funzione viene esercitata.

La sentenza del Tribunale di Potenza, che si pone in questo solco interpretativo, non dedica molte righe né particolari argomentazioni alla decisione, “limitandosi” a rilevare come il deposito in forma cartacea di un atto che deve essere depositato con modalità esclusivamente telematica non può che comportarne l'inammissibilità.

La decisione è stata commentata in maniera negativa, sia per l'utilizzo della categoria dell'inammissibilità, sia per non aver applicato i principi della libertà delle forme e del raggiungimento dello scopo di cui agli artt. 125 e 156 c.p.c..

C) Sotto il primo profilo, è ben vero che la sanzione dell'inammissibilità è usata nel codice di procedura civile in fattispecie ben determinate, che poco hanno in comune con quella in esame. Appare, però, altrettanto vero che dar vita ad una serie procedimentale difforme da quella prescritta dalla legge (come è il deposito in modalità analogica in luogo di quella digitale), una qualche conseguenza deve averla, pena la perdita di credibilità del sistema. Se la norma prevede che un dato comportamento debba attuarsi “esclusivamente” in una determinata modalità, o entro un certo termine, non sembra sia necessario esplicitare le conseguenze sanzionatorie connesse alla sua violazione, per renderne cogente il precetto. Non sempre, ad esempio, la previsione di termini perentori per il compimento di certe attività processuali è accompagnata dalla sanzione conseguente alla violazione del termine: le memorie di cui all'art. 183, comma 6, c.p.c., debbono essere depositate entro i noti termini perentori ivi previsti e, pur non essendo comminata espressamente una sanzione per la loro violazione, nessuno dubita che il contenuto dell'atto depositato tardivamente non dovrà essere preso in considerazione dal Giudice; quella memoria è inammissibile, in assenza di un'esplicita previsione sanzionatoria in tal senso? Deve essere espunta dal fascicolo processuale, anche se non previsto espressamente? O vi sarà solo l'obbligo di considerarla tamquam non esset, perché depositata in violazione di una precisa cadenza temporale perentoria? Qualunque sia la formula da utilizzare, in questo caso nessuno dubita che il concetto di perentorietà sia sufficiente per sanzionare l'attività tardivamente compiuta: la stessa cosa, ritengo, debba avvenire con l'interpretazione dell'avverbio “esclusivamente” di cui all'art. 16-bis d.l. n. 179/2012. L'espressione sembra autosufficiente, senza che possa parlarsi di precetto imperfetto, anche perché la stessa non fa altro che specificare e rafforzare quanto programmaticamente previsto nella rubrica della norma: «Obbligatorietà del deposito telematico degli atti processuali». D'altra parte, nessuno sembra dubitare, sempre per restare in tema di memorie endoprocessuali, che le stesse, depositate in formato analogico, non possano essere prese in considerazione.

D) Nemmeno può dirsi che un atto di riassunzione depositato in formato analogico sia, comunque, idoneo a raggiungere lo scopo.

Un'attività posta in essere in violazione di una serie procedimentale voluta in modalità “esclusiva” dalla legge, non può, di per sé, essere idonea al raggiungimento dello scopo, o degli scopi, plurimi (su cui V. Roberto Arcella, Il regolamento eIDAS e le modifiche al CAD ed al PCT, in www.csm.it), ad essa sottesi. Il principio dell'inammissibilità di una serie procedimentale prevista dalla legge è stato ribadito (anche se ad altri fini) recentemente nella giurisprudenza di merito (Trib. Civitavecchia, 6 maggio 2017), richiamando Cass., 15 settembre 1992, n. 10546.

Nella fattispecie, in esame, inoltre, non vi è un problema di violazione del contraddittorio, quanto quello del rispetto del termine perentorio per la riassunzione, al fine di evitare l'estinzione della procedura e la serie procedimentale utile ad evitare questa conseguenza è quella prevista dalle norme del codice di procedura civile come integrate da quelle del d.l. n. 179/2012. Una serie procedimentale diversa (che privilegi l'analogico al digitale) non è idonea al rispetto del termine perentorio per la prosecuzione del giudizio, così come non lo sarebbe il deposito analogico di una memoria ex art. 183, comma 6, c.p.c..

E) Da ultimo, nemmeno il richiamo agli artt. 121 e 156 c.p.c. può giustificare il deposito con modalità analogiche.

A mio avviso tali principi non possono essere applicati alle modalità di compimento di attività processuali, specie quando siano individuabili scopi ulteriori che le giustifichino, che si aggiungono a quelli della messa a disposizione dell'atto al giudice ed alla controparte.

Non è questione di forma degli atti, ma di modalità di accesso al servizio giustizia che, a decorrere dal 30 giugno 2014 e poi dal 30 dicembre 2014, segue regole diverse da quelle vigenti in precedenza. E non per il capriccio di un legislatore ultimamente dedito ad infarcire di ostacoli di ogni tipo la richiesta di giustizia (vengono in mente le varie forme di “degiurisdizionalizzazione”, oltre alla “leva fiscale” del contributo unificato), ma nel perseguimento anche dello scopo della «progressiva implementazione e digitalizzazione degli archivi e della piattaforma tecnologica ed informativa dell'Amministrazione della Giustizia», come da piani per l'informatica nella pubblica amministrazione, che di triennio in triennio vengono perseguiti ed attuati con sempre maggior convinzione e coerenza.

Se, invece, fosse una questione di forma degli atti, la stessa non potrebbe, comunque, essere considerata libera, in quanto la legge ne richiede una determinata, cioè quella telematica, che ha regole e disciplina proprie, al fine di conseguire il raggiungimento di tutti gli scopi ad essa connaturati e che fanno dell'attività di deposito non più una “attività materiale, priva di un requisito volitivo autonomo” esercitabile da chiunque (Cass. S.U., 4 marzo 2009, n. 5160). L'atto depositato telematicamente, infatti, è corredato da un file in formato .xml, da sottoscrivere con firma digitale (requisito volitivo) che rappresenta il vero veicolo del deposito, che non può avvenire in sua assenza.

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